Dipendenze e counseling nell'ambulatorio del Medico di Medicina Generale

(Relazione presentata al terzo congresso nazionale della Società Italiana Tossicodipendenze tenuta a Milano dal 14 al 16 ottobre 1998 dal dott. Andrea Michelazzi)

L'argomento assegnatomi dagli organizzatori del Congresso mi sembra particolarmente interessante in quanto offre l'opportunità di trattare alcune questioni che mi sembrano importanti per una consapevolezza maggiore anche da parte del tecnico delegato alla gestione del counselig.

In effetti al di là del senso classico dato al counseling nel rapporto medico paziente ed in particolare nel rapporto Medico di Medicina Generale e paziente tossicodipendente,l'argomento permette delle considerazioni aggiuntive normalmente poco trattate,ma certamente rilevanti per l'esplicazione dei risultati raggiunti a Trieste in questo campo.Più di sessanta Medici di Medicina Generale che seguono ambulatoriamente pazienti tossicodipendenti con farmaco sostitutivo,per un totale di più di 200 trattamenti,quattro ambulatori distrettuali con 15 pazienti cadauno,dove si alternano 5 Medici di Medicina Generale alla settimana in ciascuno di essi.Il tutto retribuito dall'Azienda Sanitaria.

Tutto ciò a poco più di quattro anni da quando ho iniziato e poi dato vita assieme ad altri colleghi al Coordinamento Medici di Base per l'Assistenza Territoriale alla Tossicodipendenza - il Combatt- che si è affigliato alla SITD ed ha continuato la sua opera di implementazione di questa pratica terapeutica così come del coinvolgimento istituzionale progressivo.

La prima considerazione da fare è che in questo caso noi parliamo di tossicodipendenza e quando parliamo di tossicodipendenza facciamo riferimento ad una realtà che oltre a riferirsi ad una specificità -propria di ogni paziente- si rifrisce ad una generalità che riguarda sì, il problema della tossicodipendenza da oppiacei,ad esempio,ma anche ad una generalità che riguarda tutto ciò che può derivare dal contesto sociale normativo e conseguentemente pregiudiziale in cui questa dipendenza è neccessariamente inserita.

Tutto ciò è doppiamente importante in quanto nella relazione medico-paziente condiziona da una parte il paziente tossicodipendente e dall'altra il medico stesso.

Quindi se da una parte è stato impegnativo modificare attivamente l'attegiamento medico,abituato a rimandare il problema dipendenza altrove,altrettanto impegnativo è stato modificare l'atteggiamento del paziente tossicodipendente,rassegnato,frustrato o ribelle allo status in cui risultava obbligato.

Non dimentichiamo infatti che fino a prima del referendum,la legge Jervolino-Vassalli delegava esclusivamente il Servizio Pubblico alla dispensazione del farmaco sostitutivo e le Comunità Terapeutiche alla disintossicazione in ambiente protetto.

La detenzione di eroina ed il consumo stesso erano e tuttora sono in pratica criminalizzati.Poco importa se la pena è un trattamento obbligatorio o una sanzione civile o penale.La differenza a certi livelli può essere molto sottile.

Di fatto ciò che ne deriva è un attegiamento pregiudiziale di esclusione sociale che condiziona pesantemente l'identificazione del tossicodipendente sia sul piano personale sia nelle sue dinamiche di gruppo.

L'emarginazione,la reclusione nelle carceri,il contenimento più o meno obbligato nelle comunità,le varie misure alternative,la ghettizzazione nei Servizi Pubblici,sono solamente alcune delle conseguenze pratiche in cui il paziente tossicodipendente si trovava e si trova quasi inevitabilmente costretto.

Tutto ciò evidentemente ha un peso per lui,ma anche per la sua famiglia,impotente evidentemente di dare soluzioni ai bisogni del famigliare e nel contempo incapace di interpretare gli eventi al di fuori della logica imposta dal sistema e dalla collettività.

E' evidente che se questa logica,che definisco pregiudiziale,in quanto contiene un pre-giudizio che possiamo definire etico,condiziona la mentalità degli operatori sanitari,essa condiziona parallelamente la mentalità del soggetto pre-giudicato.

Alla mentalità del medico che introietta l'immagine del tossicodipendente come un deviante,responsabile se non colpevole della sua condizione,corrisponde la mentalità del tossicodipendente che accanto ai problemi connessi all'uso ed alla dipendenza della sostanza,reagisce,si difende ed alla fine si complica con atteggiamenti che possiamo definire artificiali in quanto frutto della relazione sociale imposta e non semplcemente del suo rapporto con la sostanza.

La rivendicazione,certe componenti autolesionistiche,la simulazione,l'aggressività,la diffidenza,la clandestinità,le tendenze narcisistiche,la confidenzialità stessa,sono solo alcune delle caratteristiche che vengono evidentemente amplificate da una prospettiva sociale pregiudiziale quale quella sopra descritta.

Evidendemente tutto ciò poi non fa altro che rinforzare in termini di feed-back positivo sia l'attegiamento repulsivo dell'operatore sanitario sia quello emarginante della famiglia stessa.

Il farmaco sostitutivo è stato importante per neutralizzare alcune delle conseguenze nefaste collegate alla dipendenza dell'eroina. In particolare ha permesso di sottrarre agli spacciatori il tossicodipendente, di evitargli la carriera dello spacciatore, di stabilizzarlo in modo da poter gestire un lavoro quando ne ha la possibilità, ed in modo da non esasperare i conflitti famigliari e sociali almeno nella misura in cui potevano essere esasperati dalla sofferenza connessa all'astinenza e dalle problematiche economiche relative al reperimento della sostanza.

La terapia metadonica ha l'intento di diminuire il rischio di commettere reati collegati all'uso o al reperimento della sostanza, di diminuire il rischio di overdose, di contrarre malattie infettive gravi. I risultati sembrano positivi, al più presto li renderemo pubblici.

Sul piano del rapporto Medico di Medicina Generale-paziente tossicodipendente,il counseling,inteso in senso classico, ha certamente importanza, in quanto permette sia l'aiuto concreto al paziente nel suo percorso terapeutico/riabilitativo, sia il perfezionamento dell'atteggiamento tecnico nella prospettiva di una gestione sanitaria d'equipe.mi riferisco in particolare alla neccessità di interagire con dispositivi quali il Servizio Pubblico o altre specificità sanitarie, o ancora, con le varie agenzie socio/assistenziali quasi inevitabilmente coinvolte nella gestione del soggetto tossicodipendente.

Certamente,essendo questa,una presa in carico del tutto nuova,notevoli sono state, e continuano ad essere le difficoltà incontrate.

L'igiene e la profilassi delle malattie infettive,la supervisione ed il monitoraggio del trattamento farmacologico,la sensibilizzazione rispetto le consulenze psico-pedagogiche o socio-assistenziali sono i principali ambiti in cui il Medico di Medicina Generale si trova impegnato nel suo rapporto con il soggetto tossicodipendente ed indirettamente con il suo contesto famigliare.

Però accanto a questo è stato molto importante il lavoro fatto nella relazione medico-paziente mirata alla presa di coscienza da parte del tecnico, ma anche e contemporaneamente del paziente e dei suoi familiari, riguardo la sovrastruttura ed in particolare riguardo ai condizionamenti ad essa impliciti.

Togliere un soggetto dalla ghettizzazione e dall'esclusione ha significato far comprendere al sanitario quanto vittima egli stesso fosse di un sistema che in qualche modo lo condizionava nella sua concezione del problema dipendenza.

Ha significato svelare ad uno ad uno i sottili meccanismi attraverso cui ciò poteva avvenire.

Ha singificato però, dimostrarglielo con il proprio esempio, ma non solamente. Infatti è stato necessario fare un lavoro sul paziente stesso, che oltre a quanto accennato prima rispetto al counseling classico, cercasse di renderlo cosciente anch'egli delle varie "trappole" in cui rischiava di cadere senza un'adeguata consapevolezza dei meccanismi connessi al pregiudizio sociale di cui inequivocabilmente appariva vittima.

Ecco che la riacquisizione della dignità di un rapporto medico-paziente è il frutto sì di una consapevolezza diversa da parte del tecnico, ma anche di una consapevolezza diversa del paziente dipendente che viene aiutato contemporaneamente a riconoscersi nel suo diritto alla salute e nella sua rivendicazione non più maldestra ed inevitabilmente inconcludente, ma piuttosto rafforzata dal riconoscimento stesso che gli deriva dal tecnico.

Gli stessi pazienti e le loro famiglie hanno contribuito attivamente alla trasformazione dell'asssistenza territoriale alla dipendenza da oppiacei. Senza il loro contributo non sarebbe stato possibile. Molto ancora c'è da fare soprattutto nell'ambito dell'organizzazione più propriamente riabilitativa e soprattutto rispetto le varie risorse economiche disponibile in tal senso. Trasformare un sistema assistenziale significa anche trasformare un sistema di potere ed un sistema economico che coincide con esso. Ma questo è un altro discorso...