-LXXVI-

 

   So bene cosa mi è successo, anche se nessuno qui intorno a me vuole ammetterlo: dentro a questo cilindro metallico da cui sporge solo più la mia testa con spalle e braccia, io sono stato trasformato in qualcosa di terribile, simile a un insetto.
È stata una metamorfosi lenta, dolorosa: prima nelle gambe, poi gradualmente su fino al torso: quella parte di me che mi tengono nascosta, quello che io non posso vedere di me stesso, chiusa dentro a questa tremenda macchina metallica, color bianco-latte.
O forse sono solo diventato pazzo, schizofrenico, incapace di distinguere la realtà dall'immaginazione.
Ma io li sento parlare fra loro; li sento perfettamente, anche se ormai sono completamente sordo. Li ascolto comunque, e so di essere diventato qualcosa che somiglia a uno scarafaggio grande quanto un uomo.
Silvano è l'unico ad ammettere, tacitamente, che io non sia affatto impazzito, ed è stato proprio lui a farmi riavere il computer su cui sto scrivendo: è stato l'ultimo dono di mia madre. L'hanno appeso a due staffe ricurve avvitate al bordo superiore del mio cilindro, in modo da permettermi di scrivere... ma ormai mi sento esausto, e spero di aver scritto tutto ciò che dovevo raccontare, per la pace della mia anima.
Solo Silvano ha avuto pietà di me; per questo lo perdono per ciò che mi ha fatto. O forse lo perdono solo perché mi è necessario pensare che fosse in buona fede, e perché ora, pentito o solo impietosito, ha avuto compassione per me.
Non riesco a immaginare cosa ne sarà di lui!
Infine, vi prego, fate in modo che sia suonato in memoria di me, della mia vita perduta e della mia sfortunata Sophia, questo canone a tre voci:


Che al tempo di un Andante calmo, in cui la sequenza dei trentasei quarti di questa melodia si conti sul pulsare del cuore tranquillo dei Giusti, ne rendano il suono tre viole da braccio, con la loro dolce malinconia.
Io, novello Marsia, l'ascolto come fosse musica di una divina cornamusa, di una armoniosa ghironda... è una visione dell'eternità, una fuga di specchi che riflettono specchi, mondi che riflettono altri mondi. È musica composta per suoni che in me sono solo più silenzio abissale.

Eppure, se in quell'infinita profondità potrò disperdermi, vorrei solo la benedizione delle sue none di dominante, a concedermi quel perdono che ora imploro.
Sì: perdono per quel mio stupido credere che tutta la musica fosse solo suono, mera aria che vibra, sensi sollecitati dal ritmo del cuore... o solo in un ancor più stupido silenzio, confondendo quell'assenza del senso con un sublime galleggiare nella luce... e poi scrivere, per non suonare, per dimenticare il canto... cercare le risonanze dell'anima, dov'era solo il riflesso della mia vanità...
Se ho scritto questa mia storia, forse è stato solo per la ragione più banale: non morire del tutto. Ma scrivere è davvero il gradino sotto al far musica: è il ripiego di un fallimento atroce nel cammino verso l'ineffabile. La musica resta appena dietro le parole: essa è là, ferma, muta... come la morte.
Eppure anch'io ho dovuto scrivere, e non oso immaginare cosa ne sarà di ciò che ora abbandonerò in questa macchina elettronica. Voglio però implorare tutti coloro che mi leggeranno - se mai vi sarà qualcuno a farlo - di non giudicare ciò che ho scritto senza aver prima osservato attentamente tutte le immagini che ho selezionate e raccolto qui, in questi stessi files, allo scopo di non lasciar spazio al dubbio: nulla di quel che qui è narrato è anche solo in parte una finzione, o pura fantasia di un sognatore; tutto è fatto reale, storico, tanto quanto lo sarà questa mia morte che ora si avvicina sempre più veloce...
Silvano, su mia supplica, ha collegato questo mio computer fatto a libro con l'intelligenza elettronica che comanda il mio cilindro vitale: quel cervello maledetto che mi nutre, mi pulisce, fa sì che io respiri, toglie da me materia e altra ne mette, la trasforma, la plasma lontano dalla mia volontà, senza più alcun contributo da parte di questa povera cosa che ormai io sono.
Io gli ho chiesto di potermi dare la morte! Come sposo che va alla sposa!
Silvano mi ha spiegato in che modo potrò fermare la macchina che mi tiene in vita, come riuscirò a ingannarla con i circuiti del mio vecchio computer-libro: basterà inviarle un solo impulso elettronico, semplice, leggero, imprevedibile; non una combinazione di codici dalla quale saprebbe certamente proteggersi, qualsiasi ne fosse la complessità... un virus elettronico mortale, semplicissimo e invisibile... ma devo essere io a darmi la morte!
Al di là dell'opinione che ne potrà avere la legge vigente, Silvano non è da considerarsi in alcun modo responsabile per questa mia fine: sono stato io a far in modo che quel che è rimasto del mio corpo sia in grado di compiere il gesto...
Quando Silvano mi ha chiesto quale lettera o simbolo della mia tastiera nel mio attimo finale dovrà bloccare tutte le funzioni di questa macchina che mi imprigiona nella vita, io gli ho risposto che desideravo fosse il tasto destinato a scrivere un numero; il numero:

OTTO

Ecco: è per questo io ho dovuto consegnarvi tutta la mia storia senza mai usare quel tasto, per non morire anzitempo, per non uccidermi con una sciocca distrazione; ho dovuto stringermi dentro alla certezza che Ahasvero fosse certamente un demonio, pur soffrendo in modo atroce del dubbio che tutto ciò che ha cercato di far credere di sé fosse vero...
Non ho risposte da dare, né ultime parole da pronunciare: tutto è già stato detto; potrei solo ripetere, e scagliarmi in quel volo che è stato promesso...
Ma non mi è dato altro tempo: oggi è il mio ultimo compleanno, e l'unico dono che ricevo è questa fine, nel silenzio della mia sordità totale, dove sento il mio animo per la prima volta finalmente, definitivamente tranquillo.
Saluto chi resta, e imploro il Dio che regna sull'Universo: frammenta la mia anima, dissolvila, spargila, lasciala evaporare nel vento che attraversa i tuoi mondi, ma non disperdere il mio avvertimento a tutti gli uomini della mia generazione! Per quel suono che io ho potuto restaurare, rendi benedetta almeno la mia memoria, proteggine il segno e il significato; e se ancora nell'aria ne resta qualche traccia, rendila sonora, vibrante, armonica, e benedici i tuoi Giusti, qui, sulla nostra umida terra...


Che la pace giunga a regnare nel mondo, tornando in Dio,
nella Sua Perfetta Armonia.

 

 

 

 

© Claudio Ronco 1999

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