Una lettera.
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dopo il 1° dicembre 2001


 

...Sono a Vancouver, Canada, da una settimana.
Abito una suite al Gran Hotel Westin, 26mo piano, in downtown. Fra poco vengono a prendermi in macchina per andare in sinagoga per il Kaddish, la preghiera per i morti, come ad ogni carneficina nella nostra nazione di Israele. Più tardi, in programma, c'è una cena di lavoro, e poi un atto di presenza a una conferenza sull'architettura veneziana. Dopodomani un'altro mio concerto di virtuosismi leggerissimi e spensierati, misti a gravità retoriche e a complessità esteticamente ordinate: musica di Alfredo Piatti, fine Ottocento, impregnata di speranze per il nuovo mondo, la nuova era dell'intelligenza.
Qua in alto l'aria è pulitissima e non si sentono rumori se non quelli del vento e i richiami dei gabbiani, o rari passaggi di elicotteri silenziosi. L'occhio insegue fughe di grattacieli in cristallo, splendide montagne innevate, l'oceano e le grandi navi, dalla finestra della mia camera da letto, dietro il letto "heavenly night", bello come una nuvola bianca.
Ma al tempo stesso mi capita di guardare qua sotto, ventisei piani più in basso, da queste gigantesche pareti-finestra, e osservare le macchine e gli autobus pubblici che passano ritmati, indifferenti, quasi ieratici nella tranquilla quotidianità. Poi li vedo allargarsi, espandersi in frammenti, sollevarsi altissimi in una bolla di luce nera. Un fumo di corpi e di anime che offusca l'aria a queste altezze, e annerisce i vetri del mio grattacielo...
A mezzogiorno si parte per la sinagoga, a recitare un altro Kaddish a tutte le vittime di Israele. E la pace resta una parola nella bocca dei cronisti, giusto un istante prima delle notizie sportive, raccontate con l'usuale, energetico buon umore.
The show must go on, anche se ormai il teatro di tutto ciò è la nostra vita...

Claudio,
Vancouver, 1 December 2001.

 

 

Caro Claudio,....
spero che quando tu dici "le vittime di Israele", pensi anche alle vittime della Palestina, che sono 5 volte di più......

S.
Venezia, 2 dicembre 2001.

...Quando dico "tutte le vittime di Israele" intendo tutti coloro che abitano e vengono assurdamente uccisi in quella località geografica, per la quale non esiste, né può esistere alcun diritto di appartenere a coloro che pretendono di farne la "nuova Palestina".
Così pensa ogni persona civile, e così si prega nelle sinagoghe.
Non si può dire altrettanto delle moschee islamiche, dove per lo più si incita la gente all'odio e al sacrificio della vita per la causa di Allah, producendo in questo modo il fanatismo esasperato e mostruoso, necessario a lanciare aerei civili contro obiettivi civili, o vestirsi di esplosivo per uccidere o invalidare le vite di esseri innocenti.
Non c'è terrorismo ebraico! E l'esercito e la polizia israeliana non sono composte da carnefici o sottoposte a propaganda demagogica. Se in un paese soggetto alla pressione di una tale violenza e insicurezza si sviluppa ANCHE un senso negativo ed esasperato di odio e paura, e se questo degenera occasionalmente in atti di violenza —com'è stato alcuni anni fa per un rabbino estremista e isolato che ha sparato contro una moschea durante la preghiera islamica, o per l'assassinio di Rabin—, tutto ciò è nel tristemente "normale" ordine delle cose, in un mondo che è ben lontano da una sufficiente ricchezza culturale e maturità spirituale per vivere libero da atti di violenza e odio.
Ma quando il poliziotto israeliano occasionalmente agisce secondo istinto e con incontrollato odio verso il palestinese, il suo paese lo punisce secondo una legge democratica e civile, con tutti i limiti che ogni moderno Stato, nonostante leggi e ordini morali elevati, si trova a dover accettare come "compromesso", nella coscienza che nel mondo attuale "nulla è perfetto".
E nessun onesto poliziotto o militare israeliano gioisce dell'uccidere bambini o adulti: ogni occasione è fonte di dolore e rabbia, di fronte all'incredibile assurdità del fanatismo islamico che getta le fragili menti di un'umanità inconsapevole e innocente nell'esaltazione del "martirio", concetto che ogni mente civile dovrebbe aborrire soprattutto con l'intelligenza cresciuta nell'apprendere le fondamentali nozioni dell'esperienza storica.
Così pure non tutti i palestinesi o gli "arabi" in generale, sono estremisti, o fanatici, o caricati di odio verso lo Stato di Israele: moltissimi, infatti, amano quello Stato e ne rispettano le leggi e l'etica, vivendo e lavorando onestamente a fianco della popolazione ebraica. Il gioco ambivalente delle autorità palestinesi sotto l'apparente comando di Arafat è cosa che disapprovano e controbattono con idee che, ahimè, non possono vincere il facile, diretto, mostruoso plagio esercitato sulla maggioranza della popolazione di cultura islamica o cristiana, che agisce invece come una droga, una dipendenza senza uscite o soluzioni che non siano questa tremenda separazione sociale, fonte di violenza inarrestabile.
Israele esiste e deve esistere. I palestinesi devono accettare di essere cittadini israeliani e devono conquistarsi il rispetto degli ebrei che hanno reso il territorio geografico nel quale i loro padri sono vissuti, un luogo di democrazia, di ricchezza economica e naturale (con acqua, piantagioni, strade, industrie, ospedali, scuole, teatri e un mercato internazionale), e di speranza di pace e prosperità per i tempi a venire, contro la povertà culturale ed economica nella quale i governanti islamici, ovunque nei loro territori, costringono la maggioranza della popolazione.
In un mondo arabo nel quale solo pochi, pochissimi hanno la possibilità di diventare ricchi, e lo fanno mantenendo coscientemente nella dipendenza e nell'incultura l'altra parte della società, donne comprese, non ci potrà mai essere una base sulla quale appoggiare un "ponte" verso il resto del mondo! Mai un'intelligenza evoluta potrà o dovrà accettare la vergogna di leggi che trattengono nell'ignoranza e nella prigionia esseri umani, come semplici "tradizioni etniche" da rispettare in nome del bisogno delle identità e diversità culturali!

Ti prego quindi di meditare su tutto questo, e di convincerti una volta per tutte che a nessun ebreo capita di ascoltare il suo rabbino —quando riconosciuto tale dalle autorità rabbiniche— incitare all'odio razziale o alla violenza verso qualsiasi "diversità" esistente sulla faccia della terra. Ogni considerazione è data per esercitare ed evolvere l'idea di giustizia ed equilibrio sociale, tenendo strettamente sotto controllo anche (se non soprattutto, almeno in territorio israeliano) le forze della difesa.
Ricordati che le uniche voci che incitano alla risposta violenta in Israele vengono da personalità non religiose, politici che senza lungimiranza né rispetto per i fondamenti morali, etici e politici di Israele cercano una facile via al successo elettorale (cha passa, come ben sai, soprattutto dalla demagogia e dalle semplificazioni esasperate, come quella di citare i meri numeri delle vittime di ambo le parti...), o da pochi, pochissimi, isolati e malvisti fanatici ebrei, religiosi o meno, che comunque hanno fatto ben pochi danni al paese, a causa del loro esiguo numero, certo, ma soprattutto grazie al REALE e attivo controllo che la polizia israeliana esercita su di loro.

Questa mattina, così come avevo cantato al mio concerto di sabato sera, ho nuovamente intonato "Hashkivenu Avinu le Shalom", preghiera che dice: "Facci riposare in pace e facci sorgere, Padre nostro, Re nostro, per una buona vita in pace, e proteggici, stendi su di noi la tenda della pace. Ispiraci, sostienici col tuo consiglio e dacci presto la salvezza in grazia del Tuo Nome. Proteggici, e stendi su di noi la tenda della misericordia e della pace. Sii benedetto, Signore, che stendi su di noi la tenda della pace, e cosė su tutto il Tuo popolo e su Gerusalemme. Amen."
Cosė è terminato il Kaddish di questa mattina, la preghiera per i morti.
Per TUTTI i morti.


 

Claudio,
Vancouver, 2 December 2001.

 

 

CONTINUA

 

 

Musica:
"Hashkivenu Avinu le shalom",
di Michele Bolaffi, Livorno 1826.
Midi di C. Ronco.