David

-LX-

   Crollai di nuovo in una terribile depressione. Poi fu rabbia, e infine un crudele desiderio di indifferenza, che chiamavo "bisogno di riposare"...
Ci vollero tre giorni di indicibile grigiore, tre giorni vischiosi, strisciando nella mia vecchia casa, staccando il telefono, dormendo quasi tutto il giorno, senza leggere, né suonare, neppure ascoltare i miei dischi...
Poi, il quarto mattino, mi svegliai con una gran voglia di vivere nonostante tutto. Mi misi al resto della corrispondenza; c'era una lettera del liutaio di Ginevra; ecco! Non erano stupidi! Erano risaliti al mio vero indirizzo, e mi chiedevano la cortesia di inviare una documentazione fotografica del violoncello che avevo mostrato loro anni prima: quello attribuibile al giovane Guadagnini. Dicevano di essere molto interessati a studiarlo, considerando, in effetti, assai probabile la sua autenticità...
Mi sembrava pazzesco! Ora non volevo più saperne di avere quella conferma! Ne ero terrorizzato! E se fosse stato davvero un violoncello rubato? E se il vero proprietario avesse potuto togliermelo? Se mi avesse privato di quel suono che ormai era mio? Che avrei fatto? Sarei riuscito a fare ancora musica, su un qualsiasi altro violoncello?
No, non avrei risposto. Avrei ignorato quella lettera, la loro richiesta. Io ne avevo il diritto! Io ero custode dei suoi maggiori segreti! Nessuno me l'avrebbe mai tolto di mano! Perché non avrei mai più potuto suonare nessun altro violoncello al mondo che non fosse il mio! Quello! L'unico strumento al mondo creato per le mie mani, il mio corpo, la mia anima!!
Basta: non potevo più distrarmi, o piangere, o riposarmi. C'era moltissimo, troppo lavoro da fare: scegliere, selezionare, combinare, accettare, rifiutare; dovevo decidere su una montagna di proposte di concerti fino al 2003, registrazioni, dischi, conferenze; dovevo ordinare e riflettere su tutte le recensioni dei miei dischi, tutte entusiastiche, tutte utili a ricominciare una fulgida carriera; c'erano lettere di alcuni altri agenti disponibili a lavorare per me, complicati problemi fiscali da risolvere, poi problemi di spese condominiali, una perdita d'acqua dal mio bagno che rovinava il soffitto del vicino al piano di sotto... i concerti che ricominciavano già il primo di ottobre, con un ritorno a Barcelona, poi Valencia, Sevilla, Granada, Madrid... avrei potuto visitare il Prado, vedere finalmente il trittico di Bosch dal vero, la mia ghironda... ma ora dovevo concentrarmi, scegliere, scrivere, telefonare, ordinare, studiare, esercitarmi...
Mi gettai nel lavoro, mi drogai di lavoro, dimenticai me stesso, nel lavoro.
Nel clima meraviglioso di Barcelona trovai qualche ora libera per scendere sottoterra, e vedere la prima città romana, sepolta e poi ritrovata, con le vasche intatte in cui si tingeva la stoffa d'azzurro, le grandi anfore in cui fermentava il mosto, le piccole stanze in cui vivevano i suoi abitanti. Salii fino in cima alla torre del Rey Martì, e dalle tante, bellissime finestre ad arco guardavo anch'io il mare infinito, e il vento perenne asciugava i miei occhi. Salivo alla follia di Gaudì, nella sua Cattedrale impossibile, a scoprire che ciò che non era stato fatto era più grandioso e fantastico di tutto ciò che stava lì a pesare sulla terra. Scendevo alle spiagge rumorose, cariche di desiderio sessuale, di abbandono orgiastico, di vanità.
Nella Valencia gentile, profumata di legno d'arancio, una sera mi ubriacavo della sua "Aqua", fatta di succo dolcissimo dei suoi agrumi, misto a vino e acquavite. Passeggiavo inseguendo i pipistrelli scolpiti o dipinti, che simboleggiavano qualche leggenda antica di quella città, e gustavo golosamente il tonno essiccato che chiamano "mohamma", ricordo del mondo arabo che aveva reso quelle terre fertili giardini del Paradiso.
A Sevilla passai un'intera notte a camminare fra le sue case dai cortili incantati, fra i bar che non chiudono mai, fra la gente che non va mai a dormire. Sotto la Giralda, l'antica torre araba, m'innamorai di una donna stupenda, in un lungo abito nero. La seguii fin dentro la Cattedrale: era quasi mezzanotte, e in una delle Cappelle si svolgeva un rito di matrimonio. Nel buio della notte, con le sole luci di quella Cappella, le navate della Cattedrale sembravano non aver fine, continuare in eterno nelle loro prospettive incantate.
A Granada rimasi tutto un pomeriggio sulla collina dell'antica città mussulmana, con le strette stradine ripidissime, le piccole case dipinte di bianco e azzurro; ascoltai suonare una chitarra meravigliosa, quindi bussai alla porta e passai l'intera serata a scoprire la velocità magica delle dita di quel virtuoso sconosciuto, la vertigine dei suoi arpeggi, la passione delle sue melodie, il calore, la sensualità stravolgente delle sue corde basse.
Madrid fu solo stanchezza, giornate intere in un hotel dall'aspetto anonimo, uguale a qualsiasi altro luogo nel mondo moderno, ore stupide davanti alla televisione in camera, sofferenza fisica, per dei forti dolori alla testa e alle gambe. Venni visitato da un medico, che mi disse di preoccuparmi: avrei dovuto fare diversi esami ospedalieri, al mio ritorno a casa. Non mi volevo preoccupare: andai a spasso per il centro sopportando i dolori; mi fermai a un locale di spettacoli porno; rimasi lì come un idiota fino alle tre del mattino, a spendere un sacco di soldi e vedere cose che trovavo solo più incredibilmente insensate.
Tentai anche di visitare il Prado, ma mi dissero che il Bosch era in restauro. Non entrai nemmeno: comprai un grande poster con la riproduzione del dettaglio della ghironda. Sulla base del poster era scritto: «EL BOSCO - EL JARDIN DE LAS DELICIAS detaille». Già: Bosch era "il bosco"...