-LXIII-



   Le quattro settimane successive passarono fra esami medici in ospedale e gli incontri con Silvano, che si occupava di me come fossi stato suo fratello: mi veniva prendere in macchina, mi portava agli appuntamenti che prendeva lui per me, discuteva coi medici del mio caso, mi faceva lunghe e pazienti spiegazioni su quel che si capiva e su quel che restava oscuro del mio male e dei miei problemi.
Lo lasciavo fare: mi sentivo totalmente nelle sue mani, come se me l'avesse mandato Dio. Per di più, sentivo che la sua era vera amicizia, e desiderio, bisogno autentico di guadagnarsi il mio affetto, sebbene non ne capissi il motivo.
«Cos'è che ti spinge a far tutto questo per me, Silvano? Perdi un'infinità di tempo ad accompagnarmi, resti vicino a me durante le visite... non ti basterebbe darmi dei consigli?»
«Ascolta: primo, io sono un libero professionista, quindi faccio quello che voglio col mio tempo; secondo, ho visto molta gente morire, e ho un'idea piuttosto precisa sul valore della vita. Quindi lascia che ti dica una cosa: la tua musica è uno dei grandi valori dell'esistenza, o almeno lo è secondo ciò che io vedo e considero, dal momento che questa esistenza io devo vivermela... e poi... poi tu mi hai salvato la vita, Claudio, anche se non lo sai... e non lo sai perché non te l'ho mai detto, ma...»
«Spiegami...»
«Soffro di depressione... da anni sono sotto cura col Litio... ho tentato il suicidio tre volte nella mia vita... e ho solo quarant'anni... una vita di merda... Ti ascoltavo suonare, anni fa, e mi sembrava che ci fosse un mondo... di suoni... una meraviglia... poi sono arrivati i tuoi dischi... io alla ricerca del suono avevo dedicato la vita... sì, lo sai: audiologo, laureato a pieni voti... anni a studiare il suono al computer... un "virtuoso" del computer... poi i tuoi dischi mi hanno guarito: entrare dentro alla tua musica è stato come trovare dio... la fede... credimi: tu mi hai salvato la vita! Cosa vuoi che sia, adesso, dedicarti qualche ora? E poi, il tuo problema è molto, molto delicato: non si può prendere alla leggera. Devi avere un grande coraggio e fiducia assoluta nei medici, per affrontarlo...»
«...Grazie... Silvano, non sapevo di avere un amico così... non so che altro dirti...»
E veramente non sapevo che dire: il suono del mio violoncello era entrato nella memoria del suo computer... questa era l'unica cosa evidente; lui era riuscito a realizzare quel che io avevo tentato con tutte le mie forze per due mesi, senza riuscire ad altro che produrre una vaga somiglianza al timbro più patetico del mio strumento, scoprendo poi che non gli rimaneva altro che quello. Silvano era riuscito a rivisitare tutto quanto era sul mio CD, e "suonarlo" nuovamente, con tutte le sue sfumature, la molteplicità di voci, la "magia" del suono... quel suono che non capivo come avesse potuto conoscere, o intuire...
Era la cosa più affascinante che mi fosse capitata, ma al tempo stesso era così strana da cacciarla via dal mio pensiero, col timore che fosse solo un'altra illusione, prodotta forse dalle mie orecchie malate, o dal mio cervello troppo occupato a compensarne l'inefficienza.
Avevo cancellato ben sei concerti per quell'occupare i medici a cercar di capire cos'avevo e cosa stava rovinando il mio corpo, ma avevo anche cancellato tutto ciò che in quel periodo distraeva la mia mente dal curare il mio corpo: la morte di Sophia, il ricordo di Hannah, della morte di mia madre, l'esperienza dei penitenziari, il violoncello e il suo segreto, il mio segreto...
Ahasvero... lui non era a Parigi, quando ci passai al ritorno da Angers, nei giorni immediatamente prima del mio breve ritorno a Torino; dal nostro ultimo incontro non gli avevo neppure scritto una lettera per raccontargli di tutti i concerti di agosto, della mia esperienza, del mio profondo cambiamento interiore... eppure non riuscivo a cominciarne proprio nessuna: qualcosa bloccava la mia mano e il pensiero, e faceva sempre in modo che la rimandassi al giorno dopo. Scrissi invece al liutaio di Ginevra, comunicandogli che alla prima occasione possibile sarei andato a visitarlo con il violoncello, piuttosto che inviargli fotografie.
Ebbi una risposta quasi immediata: mi ringraziava e sperava di vedermi al più presto, offrendosi persino di venir lui a Torino.
L'ultimo martedì di novembre mi venne recapitato un grosso pacco con molti libri miei che erano rimasti nella casa di Giulia. Lei me li inviava, col disprezzo di non includere neppure la sua calligrafia nello scrivere il mio indirizzo.
Ritrovai lì dentro anche un gran numero di appunti scritti su fogli vaganti, idee e intuizioni che avevo appuntato e dimenticato, promemoria lasciati fra quelle cose mentre cercavo di capire il mio violoncello e il mio futuro.
Tutto mi sembrava ricongiungersi, e completare ciò che avevo appreso a Vienna: tutto sembrava confermare quella storia straordinaria, soprannaturale... ritrovavo la riproduzione del ritratto di James Cervetto the Younger, mentre cambia la corda del violoncello, i ritratti di Alfredo Piatti, con lo sgabello sotto i piedi per poter suonare il violoncello con le sue gambette corte; quello di Lanzetti, col suo naso a "piscia'n bocca"; persino -e non riuscivo a ricordare il perché- la riproduzione di un'incisione raffigurante la Glassharmonica di Benjamin Franklin, del 1762, attorniata da alcuni curiosi disegni di uno strano fiore, -credo la "bocca di leone"-, numerati e riferiti, evidentemente, ad altre pagine del libro cui quell'illustrazione apparteneva. C'era però, inciso sopra alla figura della Glassharmonica, tra i fiori, anche un riquadro nel quale l'incisore aveva disegnato una coppa di cristallo semisferica rovesciata su un piano, sicuramente per mostrare com'erano fatte le coppe di quel particolarissimo strumento musicale; ma dentro, sotto a quella coppa, io avevo disegnato con cura maniacale uno scarafaggio, o uno strano insetto imprigionato...
Mi spaventava questo mio ricordare minimi dettagli e accorgermi nello stesso tempo di averne completamente cancellati altri... ricordavo perfettamente tutti i particolari dell'acquisto del libro in cui era il ritratto del Cervetto, -«HISTORY OF THE VIOLONCELLO AND VIOL DA GAMBA, THEIR PRECURSORS AND COLLATERAL INSTRUMENTS, WITH BIOGRAPHIES OF ALL THE MOST EMINENT PLAYERS OF EVERY COUNTRY, BY EDMUND S. J. VAN DER STRAETEN Author of "Technics of Violoncello Playing," "The Revival of the Viols," "Hints to Violoncellists," "The Viola," "The Romance of the Fiddle," etc. - the result of thirty years research - Illustrated with Portraits, Musical Examples, Facsimile Letters, Reproductions from Rare and Curious Paintings and Engravings - London, William Reeves, 1914»-, così come di un'infinità di particolari di quel libro stesso, mentre altre cose restavano sospese sul vuoto assoluto della memoria, com'era appunto per l'aver completamente dimenticato il modo in cui quell'incisione era stata fotocopiata, e quando, come e perché avevo disegnato quell'insetto.
La cosa che più mi inquietava, però, era una serie di disegni a matita, nei quali avevo cercato di ricostruire il volto di Ahasvero...