...Stasera è la prima sera di Hanukkah, la festa delle luci. Quest'anno Hanukkah si interseca con Natale, che cadrà nel quarto degli otto giorni di festa ebraica, durante i quali si accende un lume in più ogni sera, in "aumentazione"...


LUDUS DANI-ELIS

“In natura, nulla si crea e nulla si distrugge”
(Cartesio?)

«La materia prima, come per gli alchimisti, è quanto esiste prima della divisione del senso: enorme paradosso perché, nell'ordine umano, all'uomo non è dato nulla che non sia immediatamente accompagnato da un senso, quello dato da altri uomini, e così di seguito, risalendo, all'infinito.»
(Roland Barthes, "La saggezza dell'arte", New York, 1979; in "L'ovvio e l'ottuso", Einaudi, 1985, trad. D. De Agostini.)

«Et constituit eis rex annonam per singulos dies de cibis suis et de vino unde bibebat ipse ut enutriti tribus annis postea starent in conspectu regis »
(Vulgata)
(Il re poi assegnò loro una razione giornaliera delle vivande della mensa reale e del vino che egli stesso beveva; dovevano essere così mantenuti per tre anni, dopo i quali sarebbero passati al servizio del re.)
Daniel 1:5
(Trad. italiana di Rav Dario Disegni, Torino 1967, ed. Com. Israelitica)


« haec est autem scriptura quae digesta est mane thecel fares
et haec interpretatio sermonis
mane numeravit Deus regnum tuum et conplevit illud
thecel adpensum est in statera et inventus es minus habens
fares divisum est regnum tuum et datum est Medis et Persis »
(ibid)
(Questo è lo scritto che fu tracciato: Menè Menè Tekel Ufarsin. Questa ne è poi l’interpretazione: Menè, Dio ha contato i giorni del tuo regno e gli ha posto fine; Tekel: sei stato pesato sulla bilancia e fosti trovato mancante; Peres: il tuo regno è fatto a pezzi e dato ai Medi e ai Persiani)
Daniel 5:25/28
(ibid)


« post hoc aspiciebam in visione noctis et ecce bestia quarta terribilis atque mirabilis et fortis nimis dentes ferreos habebat magnos comedens atque comminuens et reliqua pedibus suis conculcans dissimilis autem erat ceteris bestiis quas videram ante e considerabam cornua et ecce cornu aliud parvulum ortum est de medio eorum et tria de cornibus primis evulsa sunt a facie eius et ecce oculi quasi oculi hominis erant in cornu isto et os loquens ingentia»
(ibid)

(Dopo di ciò osservavo nelle visioni notturne una quarta bestia, terribile e straordinariamente forte; aveva enormi denti di ferro; mangiava, stritolava, calpestava il resto con i suoi piedi. Questa era diversa da tutte le bestie precedenti e aveva dieci corna. Io ponevo attenzione alle corna, quand’ecco spuntava da quelle un altro piccolo corno, all’apparire del quale tre delle prime corna furono divelte. Ed ecco degli occhi, quasi occhi umani, vi erano in questo corno, e una bocca che pronunziava grandi parole arroganti!)
Daniel 7:7-8
(Trad. italiana di C. R.)


«........perchè questo "moto" della ricchezza interviene sulla mano dell'uomo con la stessa impronta dell'Arte?
È facile infatti modificare la materia dei fatti per dargli una forma nuova e, diciamo, più presentabile. Questa è l'opera di oscurare parti di una frase per metterne in risalto altre, spostare, incastrare ed incollare, inventare. Ma non è creare: è solo "sagomare" i fatti secondo una materia, una struttura con vere e proprie leggi da rispettare, come se fosse una mente che si serve della nostra mano, tramite l'ebbrezza dei soldi, per procurarsi dati dall'esterno, fatti da leggere e poi sagomare, reinterpretare, riproporre come nuovi ma col nome di quelli originali.
La cosa inquietante è che tutto questo parte da un abuso della cosa più importante al mondo per l'uomo: la libertà...
non si può eliminarla, ovviamente, perchè sappiamo di essere "condannati alla libertà"; ma può esistere un punto di contatto tra alienazione e libertà, tra PROGRESSO e libertà? Devono necessariamente oscurarsi vicendevolmente, tanto che sembri che l'uno escluda l'altra?
Qual è questo punto di contatto?»
Daniele.



Proviamo a credere che il punto di contatto sia “la parola”, intesa quale “materia prima” di altri mondi possibili.

Una qualsiasi materia fisica ha una “struttura” molecolare più o meno alterabile, manipolabile, e noi possiamo osservare l’oggetto “parola” secondo la stessa ottica: sequenza di lettere dell’alfabeto con una struttura che è l’etimo, e quindi, paradossalmente, è “interna” ed “esterna” al tempo stesso. È “interna” poiché contenuta dalla parola, “esterna” perché tendente all’espansione verso altre parole connesse fra loro grazie all’etimo, così come, sempre grazie all’etimo, quella stessa parola è presente anche in altre di etimo uguale.
Prendiamo il versetto di Daniele 7:8: “Io ponevo attenzione alle corna, quand’ecco spuntava da quelle un altro piccolo corno, all’apparire del quale tre delle prime corna furono divelte”. La parola ebraica “qeren” (tre lettere: Qof, Resh, Nun finale, in ghematria: 200 + 300 + 700 oppure 50 = 1200 oppure 550), qui tradotta “corno”, significa anche “forza, potenza” oppure “brillare, irraggiare”, e in latino o in italiano è ben visibile e udibile il rapporto fra le parole corna e corona (e, fra l’altro, entrambe sono ornamento della testa e “segno” di forza e potere fra gli animali che ne sono dotati dalla natura o dalla “Volontà di Dio”...). Non così in ebraico, dove la parola per corona è “keter” (tre lettere: Kaf, Tau, Resh; cioè: 20 + 400 + 200 = 620), ma dove , ovviamente, nel senso di quella parola rimane comunque il rapporto con la testa ornata da qualcosa. E dunque solo nel suono della parola ebraica “qeren” possiamo riconoscere la somiglianza con il latino “corona”.
Ecco allora una possibile esegesi di quel versetto: la quarta bestia vista da Daniele ha dieci corna, (le stesse dieci, presumibilmente, che si ritroveranno poi nella bestia con sette teste di Apocalisse 13:1 “et vidi de mare bestiam ascendentem habentem capita septem et cornua decem et super cornua eius decem diademata et super capita eius nomina blasphemiae”) e rappresenta un mondo nel quale le dieci sefirot sono “globalmente” in conflitto; le prime tre corna sono le prime tre sefirot, dalle quali scaturisce un corno più piccolo: esso rappresenta la sefirà nascosta, occulta, che si trova a seguito delle prime tre ma si conta come undicesima; essa è chiamata Da’at, ossia la “Conoscenza”, che nella bestia vista da Daniele “parla con grandi parole d’arroganza” ed ha sguardo umano.
Cosa vede dunque Daniele? Un mondo capovolto, speculare, mostruoso, dove le emanazioni divine sono convertite in “grandi parole arroganti”. A seguito di ciò, quando gli ebrei medioevali leggeranno dentro al famoso 666, ossia il numero della bestia nel capitolo 13 dell’Apocalisse di Giovanni, vi leggeranno il nome di Gesù Nazareno scritto in ebraico: Yesu Notzrì, ovvero: Yod + Shin + Vav + Nun + Tzade + Resh + Yod, cioè: 10 + 300 + 6 + 50 + 90 + 200 + 10 = 666. Inoltre faranno notare come le sette lettere del nome siano le sette teste della bestia, e le dieci corna siano la somma degli apici che ornano, e quindi “coronano”, le sommità di quelle sette lettere: infatti Yod (che si presenta due volte), Vav, Nun, Resh hanno un apice, Tzade ne ha due e Shin ne ha tre, per un totale di dieci (In: “Toledoth Yesu”, versione Huldricus, Leiden 1705; disponibile in traduzione italiana in: Il Vangelo del Ghetto, Rav Riccardo Di Segni, ed. Newton Compton, Roma 1985).
Ecco quindi come agli occhi dell’ebreo medioevale Gesù appariva un mostro blasfemo, pronunziante parole arroganti e terribili. Egli si appropriava della corona divina, univa le tre sefirot iniziali in una falsa conoscenza che lo rendeva potente nel mondo da lui dominato con le tenebre, l’ignoranza e l’inganno.
Ma com’è possibile? Non è forse proprio il messaggio di Gesù a rappresentare nell’immaginario comune tutto ciò che contrasta l’arroganza umana, dalla vanità della Roma imperiale fino a quella del capitalismo moderno? Come poteva una società poverissima, sofferente, soggiogata dal potere delle nazioni, qual era quella ebraica nel Medioevo, non provare simpatia per il messaggio di Cristo?

In Daniele 5:25/28, Daniele legge e interpreta tre parole misteriose, la prima delle quali si ripete due volte: Menè Menè Tekel Ufarsin.
Si tratta di tre voci verbali che significano rispettivamente: “computare”, “pesare” e “spezzare”. L’invito alla ghematria, qui, sembra davvero eccitante; invece Daniele sembra occuparsi solo del senso letterale di quelle parole, più o meno in questo senso: “il Cielo ha misurato, pesato, quindi spezzato il tuo regno” (Rav Dario Disegni), deducendone il percorso che, nella sua permanenza a corte, lo porterà nella fossa dei leoni dalla quale si salverà per intercessione divina. Tanto rimarrà di lui nell’immaginario popolare: Daniele è salvato dai leoni, e i primi cristiani gettati in pasto ai leoni si identificheranno in Daniele, salvando la vita eterna delle loro anime.
Dovremmo occuparci ancora di “svelare” quelle tre parole e la loro sequenza binaria? Avvicinarle al mistero delle tre lettere che formano il nome Tetragramma di Dio (Yod, He, Vav, He) e quindi “formano” tutti i mondi superiori e inferiori?


Claudio.

continua