Contrappunti
del Silenzio
Tratto da:
“La Meghillat Ester: lo svelamento del nascosto”
di Rav Roberto Della Rocca
[...] I Maestri del Talmùd, ricorrendo ai più originali espedienti interpretativi, si domandano "Dove si parla di Estèr nella Toràh?" (Talmùd babilonese; Haghigàh 5,b). I Maestri fingono di non sapere che tra la Toràh ed Estèr trascorrono almeno sette, otto secoli.
Per capire il senso della loro domanda bisogna interpretare il testo come segue: in quale punto della Toràh si trova un'allusione alla storia di Estèr? Nella Toràh, dove è compresa la storia passata, presente e futura del popolo ebraico, deve pur esserci un qualche riferimento al tipo di miracolo che caratterizza Purim e molta parte della storia ebraica.
I Maestri leggono quindi nel verso del Deuteronomio, 31;18: "Ed Io continuerò a nascondere (ester) il Mio volto in quel giorno", un preciso riferimento a Estèr e a Purim.
Il Talmùd, quindi, scorge uno stretto rapporto tra il tema del Dio nascosto, che si eclissa, e l'etimologia del nome Estèr, che significa appunto nascosta. [...]
La parola ebraica che indica il mondo è olam e deriva dalla radice alum, nascosto, forse per significare che l'esistenza di Dio in questo mondo è nascosta e lo scopo dell'olam, cioè del mondo nascosto, è la ricerca di quella verità, emèt, che secondo il Midràsh al momento della creazione Dio ha gettato a terra, affinché l'uomo la facesse germogliare con i suoi propri strumenti.
[...] Benché altri quattro libri biblici portino il nome di Meghillàh, [termine che deriva dalla radice ebraica G-G-L, che significa arrotolare, avvolgere, e che indica la lettura su un rotolo di pergamena] quello di Estèr è considerato il Rotolo per antonomasia. Durante il suo srotolamento ci viene gradatamente rivelato ciò che è avvolto e nascosto. [...] L'abilità, la forza di Israele consiste nel saper srotolare il rotolo, dipanare la matassa: potremmo dire nel saper "meghillare estèr", cioè svelare il nascosto, sollevare il velo dell'ascondimento, saper leggere dietro la maschera dell'apparenza e restituire un significato autentico al volto della maschera, che di umano ha solo la parvenza.
E' detto nel Talmùd che nel pasto del giorno di Purim è consuetudine bere tanto vino fino al punto di non saper piu' distinguere la destra dalla sinistra, di non saper piu' riconoscere la differenza tra "maledetto Hamàn e benedetto Mordekhài". [...] In un universo, quindi, dominato dalla confusione, dove non si discerne il giusto dall'ingiusto, dove la fatalità sembra reggere i due estremi della catena della storia e il mondo rischia di trasformarsi in una gigantesca mascherata, e in una sbornia generale, i Maestri invitano a mantenere quel discernimento che permette di decifrare il senso del trucco universale.
In ebraico la differenza tra golàh [che significa esilio] e gheullàh [che significa redenzione] è data da una sola lettera: la Alef, prima lettera dell'alfabeto ebraico [e un numero, secondo la scrittura ebraica: l'uno, simboleggiante quindi l'unicità di Dio]
[...] Se la gheullàh è la condizione ideale a cui deve aspirare il popolo ebraico, ed essa sarà raggiunta con la celebrazione di quel Seder, [il Seder è la cena pasquale, dove a seguito di una rigida e ordinata sequenza di cibi rituali si legge la storia della liberazione del popolo ebraico dalla schiavitù in Egitto] quell'ordine di tutta l'umanità, la golàh del libro di Estèr, è la condizione reale del mondo, dove tutto è confuso, distorto, disordinato.
[...] Purim, le sorti del popolo ebraico [Il termine Purim, dal persiano pur, designa le sorti che si gettano per fissare una data o per regolare il destino altrui secondo il decreto del solo caso], sono legate alla ricerca e alla riconquista dell'Alef, dell'unicità, dell'identità individuale e collettiva, di quella particella dell'Unico che è in ognuno di noi e in virtù della quale Gli somigliamo.
E' proprio l'assenza dell'Alef che consente agli Hamàn di ogni tempo di giocare a dadi le sorti del popolo ebraico. La disunione e le scissioni all'interno del popolo ebraico scatenano le forze di Amalek, antenato di Hamàn, prototipo dell'antigiudaismo irrazionale e gratuito di tutte le generazioni, destinato a minacciare l'esistenza di Israele in tutti i tempi della storia.
La salvezza nella storia di Purim, giunge viceversa solo quando Estèr rivela ciò che ha tenuto celato: la sua identità, la sua Alef, adempiendo così all'imperativo della Toràh "Ricorda ciò che fece a te Amalek!" ( Deuteronomio, 25;17 ).
Il digiuno istituito da Estèr per invocare l'aiuto divino contro il decreto di Hamàn diventa, quindi, una premessa a un radicale capovolgimento della situazione.
La Teshuvàh, il pentimento, il ritorno, attraverso il digiuno rappresenta l'occasione per scrutare dentro di sé, per riprendere in mano le sorti del proprio destino e per liberarsi da un esilio che non ha una valenza esclusivamente geografica.
La condizione necessaria per passare oltre la golàh e raggiungere la gheullàh è, dunque, l'esperienza della Teshuvàh, così come è detto nel Talmùd " ...grande è la Teshuvàh perchè avvicina la gheullàh..." ( Jomà 86, b).
Forse questo è il senso di ciò che è sostenuto dalla letteratura rabbinica: la parola Purim, sorti, è contenuta dalla parola Kippurim, espiazioni. Le sorti sono dentro le espiazioni, nel senso letterale dell'affermazione, ma si può anche leggere: le sorti sono nella Teshuvàh. [...]
La prima volta che figura la parola Estèr nella Toràh è in Genesi, 4; 14:
" sarò rimosso dal tuo cospetto". E' Caino che parla: egli teme di essere abbandonato da Dio e non essere considerato più come uomo. Caino, uccidendo suo fratello, tende a restaurare il caos originario dell'universo. Eppure la sua condanna non è la pena capitale, ma l'esilio: il primo assassino gode di una strana immunità, nessuno ha il diritto di imitarlo, grazie a un marchio che Dio incide su di lui. Il primo segno che il Signore pone nel mondo. Secondo un midràsh [ovvero una lezione rabbinica] Adamo incontrando Caino rimane stupito nel trovarlo vivo, tanto da chiedergli: "Non hai forse ucciso tuo fratello Abele?" Caino gli risponde: "Io ho fatto Teshuvàh, padre, e sono stato perdonato!". Nascondendo il volto fra le mani, Adamo allora esclama: "Tanto grande è il potere della Teshuvàh?... non lo sapevo!".
Caino, l'uomo del crimine brutale, rappresenta qui la prova vivente che il perdono è possibile e che la forza della Teshuvàh può far risplendere la luce velata dall'oscurarsi del volto di Dio: la Hastaràt Panim.
"Se si legge la Meghillat Estèr a ritroso non si è compiuto il proprio obbligo" (Mishnàh, Meghillàh, 2; 1)
Quale è il senso di questa norma? Chi legge la Meghillat Estèr pensando che gli eventi in essa narrati appartengano solo al passato, "a ritroso", e il miracolo non è rilevante per il presente, non ha compiuto il suo obbligo.
Molti eventi della storia ebraica, anche quelli più recenti sembrano farci rivivere la storia del libro di Estèr, dove Dio sembra essere completamente assente. Per questo motivo i Maestri hanno visto nella storia di Purim, la condizione paradigmatica del popolo ebraico, indicando che sta all'uomo cercare la presenza divina nella storia, anche quando l'oscurità dell'esilio è divenuta più fitta, o quando la disumanità della maschera rischia di trasfigurare il volto umano.
Non dimentichiamoci, infatti, che nella lingua ebraica l'etimo G-L-H significa "esiliare" e "rivelare" nello stesso tempo.
Tratto da: "La Meghillat Ester: lo svelamento del nascosto"
di Rav Roberto Della Rocca
Articolo pubblicato su "Hebraica"
Miscellanea di studi in onore di Sergio Sierra – Torino 5759-1998
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