La grotta

 

 

«...Questa casa suda e piange e non è una metafora, vive e mi sta chiedendo aiuto, mi stava aspettando perchè nessuno la sa vedere come la vedo io, nessuno può sapere cosa ci sia nel suo sottosuolo e di cosa essa abbia effettivamente bisogno. Quando mia madre viene qui, piange, dice che non potrò mai fare nulla e che sono pazzo, che devo cambiare sistema...

Con affetto, tuo Ivan.»

 

 

 

 

«...Sopra, quella voce serena, quella risonanza leggera: la quinta corda, fatta d'aria finissima, ritorta dalle dita sottili e bianche dei Cherubini, tesa fra i punti invisibili delle estremità dell'universo materiale, d'atomi musicali, richiamati fra loro da armonia pura, a formare le cose; materia, là per essere lasciata, perduta, e ancora ritrovata...»

 

«...Era lì, sul suo letto, morta. Irrompevano, sfuggivano, migliaia di larve, cristalli luminescenti, l'aria era l'ultima del mondo, in terra, intorno, ovunque brevi fiammelle violacee, caos, carte, furore. In centro al letto, come lontanissima, come sott'acqua...
Non c'era lei, non era lei...»

«...Là, oltre quella porta, c'era il labirinto di parole, c'era il mostro-guardiano che l'abitava ancora, da cui mia madre aveva cercato di tenermi distante, di proteggermi.
Avevo abbandonato mia madre su un'isola di disperazione, di annichilimento, di vuoto, di desolazione. Avevo lasciato mia madre. E lei, senza pianto, in un grido senza suono, senza fine, s'era lasciata morire...»

«...L'Organo della chiesa suonava Bach, inutilmente, battendo le sue note sugli orecchi dei sordi.
Il prete pronunciava parole sommesse, e tante donnine anziane, coperte dalla veletta nera, rispondevano in ritornello monotono, riunite nei primi banchi, una accanto all'altra, muovendo appena il capo...»

«...Che cazzate... suoni come un'attrice del teatrino dell'azione cattolica... in una vecchia recita ridicola... Io sento solo più la dissonanza irrazionale della morte! Sai cos'è? È una settima non risolta, per l'eternità! O solo un inganno dei sensi... Cristo!... vorrei essere solo stupido e basta! Vorrei una chitarra elettrica, una batteria, un microfono, un'amplificatore e un palco, per gridare con un bel casino di tamburi: "I can get no/ satisfaction!"; giro su me stesso, sputo sulla vita! Sì, correre in macchina, spaccarsi i timpani in discoteca, scopare, fottere fottere! Si deve morire giovani, per star bene! Woah! I feel good! c'è Satana dappertutto, Lucifero è sorridente, euforico! Guarda com'è sano, tutto ritmo positivo e good vibrations! E io sono l'unico scemo che non se lo gode?!...»

«...L'incubo era fatto di vesciche appese, gonfie di un liquido pesante, semitrasparenti, color rosa sfumato al giallastro, venate d'azzurro scuro. Non c'era fuoco possibile: ovunque ristagnava acqua putrida; la pioggia sapeva odore acidulo, di morte...»

«...E' un fratello bastardo, una madre snaturata, è il nostro sangue che non possiamo rinnegare ma che dobbiamo dominare come l' istinto alla superficialità...»

«...Andavo allo specchio, fissavo il mio volto ancora di ragazzo, la peluria dei primi baffi, lo stato mediano della metamorfosi in adulto. Sulle note della Sinfonia, i miei capelli si sollevavano, il brivido saliva violento alle spalle, poi su per il collo, fino a tutto il cuoio capelluto, e i capelli ritti volavano via come una furiosa tempesta di vento, ricrescendo senza sosta, invadendo l'ambiente come nugoli infernali d'insetti, sbattendo sulle finestre, sulle superfici di tutti i muri, dei quadri, dei libri sugli scaffali. Ero prigioniero della paura di quella casa, ovunque, senza via di fuga...»

«...e io ero là in mezzo, burattino incosciente, col mio sordo violoncello, con le mie spalle stanche per il suo peso, inutile immagine di Cristo al Calvario, cinereo, già morto, già vinto...»

...Ti racconto questi fatti, così come avrei posato sul tuo capo una Kippah per accoglierti nell'infinito spazio di una breve, antichissima benedizione.

Tuo Claudio.

...Mi è scesa ancora qualche lacrima, piena di significato, nel momento in cui sono stato trasportato infallibilmente in quell' "infinito spazio di una breve, antichissima benedizione". In quel luogo mi avevi già condotto quella sera famosa del nostro primo straordinario incontro. E poi ancora "nel dolce tempo", quando, suonando insieme, era premio e riposo.
Devo alla tua poesia, alla tua saggezza, al tuo dolore e al tuo affetto questo dolce momento di ristoro che anelavo da tanto.

Grazie, Claudio.
A.

 

«...Questa volta ho cambiato pelle per almeno due volte: il secondo passaggio è cominciato all'incirca quando sei partito per Napoli; il fatto non ha nulla a che vedere, era solo per darti un riferimento. Ogni volta, passata la sfuriata ci vuole un po' perché si rigeneri il tessuto, che dopo questa fase è sempre secco e troppo poco elastico. Se è vero che di pelle ne abbiamo sette strati, ora dovrei essere nuovo. Sarebbe bello se se ne andassero insieme alle cellule morte, anche le cicatrici e tutte le altre imperfezioni: sembrerei una statua di cera...»

E-mail di Ivan, che soffre di psoriasi. Nell'ultimo mese le crisi psoriache sono fortemente aumentate e l'hanno bloccato in casa; non esce neppure per acquisti alimentari, che affida alla sua ragazza. L'e-mail che segue, giunge a commentare le mie lamentazioni per i troppi, rumorosissimi lavori in corso del mio vicinato veneziano, al ritorno da una mia tournée di concerti.



16 giugno '99; Ivan a Claudio.

Ciao carisssimo, Venezia è un cantiere perenne... Il messaggio a cui mi hai mandato risposta e che si trova nell'attach, te lo avevo spedito un mese fa (20 messaggi addietro), da dove è sbucato?

Visto che ora ti prenderai un po di riposo, mi dilungherò moltissimo e quindi se sei in linea, metti via questo messaggio, che te lo leggi con comodo!

Ho anche io voglia di assaggiare la tua cucina, e quindi devo ristabilirmi al più presto! Per farvi venire qui, invece, dovrei potervi procurare delle tute da laboratorio di biochimica, perché alcune muffe girano per casa: ne ho scoperto anche la causa, ma per ora non posso farci granchè, perchè bisognerebbe modificare anche l'assetto dei muri e delle travi a vista per il soffitto...

E' stato uno scherzo di quelli che mi hanno venduto la casa: ho scoperto che quando era in vendita, venivano tutte le domeniche a passare la calce (la pittura costa troppo) e come potrai ben immaginare, quella si polverizza e ti cade addosso mentre dormi. Me ne sono accorto quando stavo lisciando con la levigatrice un lavoro murale appena fatto (è così che si dovrebbe fare), e mi è caduta sulle braghe la polvere della parte di muro che sembrava normalmente tinto; dopo averli lavati, nei pantaloni ho trovato buchi larghi almeno tre centimetri!

Altra causa delle muffe, è che invece di restaurare i muri di questa vecchia casa colonica con pietre ragionevolmente provate dal tempo e con impasti antichi, hanno preferito mettere una guaina interna fino all'altezza di un metro, e poi coprirla con dei mattoni forati... insomma: un doppio muro che impedisce la traspirazione e fa solo salire l'umidità ancora più in alto. Quando sono venuto quì, già sapevo che avrei dovuto fare qualche lavoretto, e la cosa non mi spaventava. Quello che vedo ora, però, non solo stravolge i miei piani (vorrei portare a nudo tutta l'antichità possibile) ma rovina il "contorno" che mi sono coltivato, e cioè il rapporto con gli amici con i quali avevo il piacere di trovarmi nella mia casa.

Dover rinunciare proprio a questo, è stata per me una delle cose più dure; poter unire il lavoro e gli amici, sarebbe stato qualcosa di cui avrebbe beneficiato sia il lavoro che la vita, per l'appagamento e i ricordi che rimangono.

Non credere che io ami "accumulare" cose: per la verità, prendere una casa non rientrava neanche nei miei piani. E infatti nulla ha più funzionato bene da quel momento; le cose vanno fatte per gradi, e forse prima bisognava avviare meglio il lavoro, mentre io, ora, devo ricominciare tutto da capo, e solo da pochi mesi comincio a vedere qualche soldino...

A presto, Ivan.


21 giugno '99; Claudio a Ivan.

Caro Ivan, poco fa ho riletto il tuo penultimo messaggio (quello in cui parli dei muri della tua casa) e ho sentito molto "mia" la tua frustrazione per questo luogo/spazio che non senti adeguato a ricevere amici.
Lo sento profondamente, perché se solo io fossi impedito da qualcosa nell'ospitare gente in casa mia, immediatamente ne fuggirei. La nostra casa, infatti, è molto piccola, piena degli usuali problemi causati dalla stupidità e ignoranza della storia italiana recente: benché sia di proprietà di un architetto, sui muri di mattoni antichi aveva fatto mettere un intonaco di cemento, che non respira, si copre di muffe nere, si crepa dappertutto, fuori e dentro, sicché quasi ad ogni pioggia c'è qualche punto della casa che sgocciola e si macchia. Anche qui, al piano terra, la soluzione di un contromuro di mattoni forati piatti ha fatto marcire i primi due metri della base della casa, le finestre di alluminio anodizzato rendono all'occhio la squallida immagine di una Venezia degradata, insensibile e stupida, e si coprono di condensa ad ogni primo freddo, colando tutt'intorno.
Per di più, non essendo proprietari, noi non possiamo farci un gran ché...
Ma in questa piccola casa sono passate tantissime grandi persone: filosofi, poeti, pittori, scienziati, scrittori e giornalisti, musicisti di ogni genere, alti ufficiali dell'Esercito e anche grandi saggi senza specifiche attività culturali o artistiche. Nei pochi metri quadri del nostro soggiorno abbiamo assistito a momenti meravigliosi di intelligenza, sensibilità, amore, arte... almeno tanti quanti ne avremmo vissuti se il nostro fosse stato il salone di un palazzo reale!
Se apparentemente un poeta o un filosofo parrebbero persone naturalmente capaci di non fermarsi all'aspetto esteriore di un luogo, sappi che molti (considerati e acclamati come tali), al contrario, non vanno oltre il limite dell'apparenza, e questo non fa altro che palesare la pochezza del loro essere e l'inutilità e falsità delle loro conoscenze. Là dove manca la "cornice" del potere, con le sue cerimonie e i suoi ambienti "valorizzanti", tutto si scopre per quel che autenticamente è, e non solo "appare".
Il mio messaggio è semplicemente questo: nello stabilire le priorità della vita devi inevitabilmente scegliere fra l'essere o l'apparire, e anche se la prima scelta sembra la più difficile, meno gradita e ancor meno appagante, di fatto è l'unica che valga veramente qualcosa. Se io avessi scelto di incontrarmi e vedere solo i divi della televisione e della politica, avrei dovuto fare investimenti e scelte relativi: vivere in un palazzo sul Canal Grande e spendere tanti milioni al mese; ti sembra assurdo? Molti dei miei ex compagni di studi artistici e amici di adolescenza l'hanno fatto e vivono su un livello di spese che li fa schiavi del loro "status" sociale.
C'è ben poco, nella ricchezza della nostra civiltà dei consumi, che abbia sufficiente dignità per migliorare il mondo: forse uno yacht con le maniglie d'oro massiccio può far felice un uomo che muore?
Si accettano così i compromessi inevitabili con una società sempre più materialista, ed è più che mai necessario ammirare, contemplare, urlare al mondo la nobiltà, bellezza e forza di ogni scelta di vita idealista e incorruttibile.
Ieri sera sono stato brevemente a una festa in un palazzo miliardario: duecento invitati VIP in un'orgia di vanità inconcepibile... una cena costata almeno una quarantina di milioni, fra cuochi celebri, non so quanti camerieri, gruppo musicale pop, quartetto musicale "classico", champagne raro, tovaglie di stoffa preziosa... Alle due di notte sarebbero usciti per una riunione molto particolare: un rito satanico... Forse cento, o forse duecento imbecilli straricchi, sarebbero andati a giocare col demonio, nell'indifferenza totale per l'umanità intera, con la loro illusione perversa e folle di potere sulla morte e sulla vita... Mi hanno concesso "il permesso" di non assistere alle loro squallide stupidaggini rituali (forse convinti -Dio sa perché....- che io sia "qualcuno di superiore"...) solo perché avevo partecipato al loro "party": ero apparso come un loro "simile". E se non ci fossi andato avrei cero dovuto subire complicate conseguenze nei miei rapporti socio-lavorativi... dunque: alcune ore come un "pagare le tasse", sopportando pacificamente il ridicolo, grottesco teatro di vanità che comunque sarebbe avvenuto anche senza di me, e che comunque da me non ha ricevuto alcun tipo di contributo, né musicale, né intellettuale, né ancor meno morale o economico...

Adattiamoci a vivere con l'indispensabile, ma soprattutto con la fierezza della nostra integrità morale: è un bene prezioso, e l'unico che sia veramente duraturo.

Ciao, tuo Claudio.

 

Notte 21/22 giugno '99; Ivan a Claudio.

Caro "Vecchio e Saggio" Claudio, in verità non si può essere degni di essere chiamati artisti senza aver conosciuto la miseria di una malattia o della povertà; un artista può essere chiamato tale solo se le sue opere materiali e intellettuali che siano, parlano all' umanità tutta e quindi dal più ricco al più povero degli uomini, dal più dotto al più ignorante! L'artista si strugge per farsi capire, ma non vuole compatimenti perchè nell' intimo si sente il capitano della nave, il depositario dei grandi tesori, magari nascosti, che quella nave trasporta, e anche della sapienza necessaria per farla navigare. Tuttavia, è anche quello che rimane a bordo quando la nave affonda: perchè è lui il capitano!

Potremmo anche dire che fa "figo" chiamarsi fuori; un po' come facciamo noi, che ci sentiamo ben poco parte di questo sistema stupido e veramente contro natura. Ma potrebbe pure essere solo una bella scusa per non essere (o sentirci) all' altezza degli altri, almeno finanziariamente.

...Questa casa suda e piange e non è una metafora, vive e mi sta chiedendo aiuto, mi stava aspettando perchè nessuno la sà vedere come la vedo io, nessuno può sapere cosa ci sia nel suo sottosuolo e di cosa essa abbia effettivamente bisogno. Quando mia madre viene qui, piange, dice che non potrò mai fare nulla e che sono pazzo, che devo cambiare sistema. Ma in realtà pretenderebbe che io alleviassi a mio ulteriore costo i suoi sensi di colpa per avermi chiesto i soldi che mi servivano per mettere a posto il mio laboratorio e la mia casa, e quindi lavorare a quello per cui sono nato, cosa che da quel momento non ho più potuto fare, perche per me tutto ha un ordine preciso e quindi anche il come e quando spendere quel denaro che per lei rappresentava in quel momento una ennesima possibilità di passare una spensierata serata al casinò, convinta di poter vincere all' "ingrosso" e restituirmeli presto! Erano gli ultimi, perchè tutto era calcolato al millesimo. Così come erano gli ultimi rimasti anche i soldi buttati in un'altra delle sue serate; ed erano quelli strettamente necessari per sistemare mille cosette prima di trasferirmi in questa casa. E li ha avuti usando sempre, vigliaccamente, argomentazioni come impellenze bancarie o emissioni a vuoto, che io ero l'unico a poter bloccare e coprire.

Non ti sto dicendo bugie: mia madre mi ha distrutto il lavoro, mi ha messo in croce e in condizione di dover accettare uno sconvolgimento dei piani tale... perchè anche qui era tutto calcolato e fattibile, e non mi sarei mai sognato di fare cose impossibili, né tantomeno superflue... ma anche un sacco di cemento o un vaso di pittura costano, e non potendo contare sul mio lavoro...
Dopo avermi causato tutto questo, non posso neanche avere il piacere di vederla una volta ogni tanto qui da me: se venisse ora, mi toglierebbe anche quella serenità che ho, malgrado tutto, o riuscirebbe a distruggere le mie sicurezze sulla fedeltà e la compagnia della mia ragazza, che non abbandonerei neanche nelle più difficili situazioni di coppia, per non farmi a lei mancare, o la riservatezza sulle mie miserie nei confronti del vicinato, che non mi ha mai conosciuto e che non mi può capire, o come l'ultima flebile speranza che mi rimane, di rimettere tutto in piedi, con calma, perchè altrimenti non saprei proprio come fare.

Io conosco solo un modo per arrivarci: lavorare e lavorare anche per un nulla all'inizio. Io smetto il mio lavoro anche a mattina, e solo quando non ne posso più e voglio potermi concedere il lusso di fare anche favori ad amici. Anche prendermi impegni gravi: l'ho sempre fatto, e questo non mi ha mai portato alla rovina, come invece è stato per gli incidenti che ti ho detto.

Caro Claudio, questo non è stato uno sfogo, ma una dimostrazione della fiducia che nutro nei tuoi confronti. Tu mi hai scritto che la tua casa è piccola, e lo è anche la mia, che suda e piange; e che l'acqua scende dalle finestre anche quando non piove, e io ho capito anche molto altro. Anche io, come te, mi trovo spesso in ambienti e con persone di ceto molto lontano dal mio, eppure non mi ci trovo per fare il cameriere (sarebbe normale...): sono loro che a volte sembrano avere bisogno della mia presenza... Come al solito non manchi di darmi una lezione!

Offriamo MUSICA a quei depravati che ti volevano partecipe di una bestialità come una messa in scena a favore di satana! Chissà che si appassionino a cose più umane!

Io me lo mangio, gli faccio ascoltare se ho voglia i canti più sacri per una intera giornata, faccio per gli altri quello che non farei neanche per me stesso, e lui mi sputa facendomi mancare la terra sotto i piedi!

È un fratello bastardo, una madre snaturata, è il nostro sangue che non possiamo rinnegare ma che dobbiamo dominare come l' istinto alla superficialità (tipo il mio).

Io ci proverò: non so quando ti permetterò di venire a casa mia, o se riuscirò a muovermi di casa pur non trovandomi ancora nelle condizioni ideali, o quando ancora deciderò di poter avere un figlio anche senza sapere come sfamarlo al meglio. Ma comunque sappi che ti sono grato, perchè mi hai posto dei nuovi traguardi da raggiungere, e che in qualche modo non li mancherò.

Un forte abbraccio.... Ivan.


Mattino del 22 giugno '99; Claudio a Ivan.

Grazie, Ivan. La tua lettera è davvero un abbraccio fraterno, che muove nelle uniche ragioni di speranza nel mondo e nella vita. Là dove la comunicazione si conquista questa luce, non c'è bisogno di temere il male, o di ricorrere ai medici oltre la misura di quel che si dice "lo stretto indispensabile". Io sono commosso e onorato dalle tue parole, e per questo ti sono soprattutto riconoscente.
Là dove la parola "madre" viene pronunciata, infatti, si lacerano veli in grandi profondità: c'è comunque un potere, una energia primordiale, quasi sacra, nell'essere che "ha generato". Questa lacerazione, a volte, è tremenda; il modo in cui si manifesta nella tua vita, per di più, è forse il più atroce: una madre che "lacera" la "sacca vitale" nella quale il figlio trova il suo equilibrio con il mondo, è una perversione profonda delle dinamiche naturali (o divine...) nelle quali l'essere umano deve trovare corrispondenze armoniche, equilibrio e vitalità.
Una casa è come un corpo: ti riveste e ti protegge, ma ti porta pure nel luogo dell'azione, del movimento vitale; in un certo senso, allora, i muri di casa sono la "pelle" di un corpo, e quando la pelle si ammala, perde l'equilibrio del suo rinnovarsi e adattarsi ai cambiamenti esterni, ambientali, e l'essere la cui pelle è insufficiente alle sue necessità, è un essere bloccato, impedito nelle sue dinamiche fisiche e metafisiche, "dissonante" con le armonie del mondo, impossibilitato ad adattare la sua "velocità" di movimento a quella della vita che lo circonda.
Un amore vero, o una forte passione riescono, a tratti, a forzare l'inerzia dei vari, scoordinati movimenti di un essere così colpito nella sua "pelle", ricongiungendo le sue lacerazioni più gravi, ricostituendo le energie fondamentali alla sua sopravvivenza; ma certo sopravvivere non basta: una trasformazione radicale, totale di se stessi si impone come una necessità insopprimibile. E allora, vedi, ancora una volta un inganno è presente di fronte agli occhi: i muri di una casa si camuffano con un po' di calce, o la pelle si ricostituisce momentaneamente restituendoti l'illusione di bellezza, innocenza, speranza di un "essere neonato", roseo, fresco... anche se terribilmente fragile!
Tua madre "lacera" i tuoi "luoghi", siano essi casa o corpo, rigettandoti ogni volta in una condizione di falso, ingannevole "ritorno" allo stato iniziale: la pelle rosea e fresca del neonato.
Dentro al sacco amiotico, nella leggerezza simile al volo che è il "galleggiare" nel liquido vitale, respirando come pesci, ma legati come astronauti nello spazio a un "cordone umbilicale" e a un "centro" (madre o astronave che sia...), la pelle, l'involucro, tutto sembra "protetto" dalla stessa materia liquida e piacevole, che pare essere uguale sia dentro che fuori di noi stessi.
Uscire è traumatico: il pesce deve imparare a respirare aria, la pelle si secca di botto, e deve riuscire a trovare immediatamente, in se stessa, il suo nutrimento; il "distacco" è doloroso: per la madre e per il "generato".
Non ci si libera di queste "riflessioni", o "rifrazioni" (come giochi di specchi, rimandi continui di immagini riflesse che ti fanno perdere il senso e il dominio delle tue scelte, delle tue "direzioni") né con facilità, né senza dolore. Cominciare a riconoscerne i "meccanismi" aiuta (come nelle terapie psicanalitiche) ma non risolve necessariamente i nodi più nascosti, né soprattutto quelli "scritti" nel nostro corpo.
A volte, chi se lo può permettere economicamente, si fa "cambiare d'aspetto", con una plastica facciale, o addirittura con un "cambio di sesso"... La maggior parte dei casi gravi di psoriasi -l'esperienza medica lo afferma, e tu forse ne sei ben informato- avvengono in persone la cui madre ha generato non solo l'essere, ma anche la maggior parte dei complessi conflitti della sua esistenza. Proprio come se solamente il ritorno a galleggiare nel sacco del liquido amiotico fosse la sola cura e la sola consolazione, ad ogni passo il malato e sua madre sembrano ricostituire l'"ambiente" di quel rapporto: il bruciore dell'aria è lenito dal ritorno nell'"olio primordiale" dato dalla madre, la sofferenza dell'attesa del parto è preferita all'espansione violenta, straordinaria della nascita, dell'uscire alla luce, all'aria, al mondo, alla vita. Si ripete allora tutto un "rituale" perverso di stimoli, desideri, atti inconsci, come correndo costretti dal percorso prestabilito di binari ferroviari, dove però, a differenza della gradita certezza di arrivare a una stazione precisa a un preciso orario (...se ci si trova in Svizzera, perlomeno...), qui si sostituisce il tormento di percepire un destino insopprimibile, che imprigiona, impiccia l'anima e impedisce la libertà del corpo e del pensiero insieme.
Ogni essere è schiavo oppure padrone dei "rituali" della propria vita: siano essi "messe nere", o corrette solennità religiose tradizionali, oppure le complesse, imponderabili "tessiture" che ognuno di noi "lavora" per vivere ogni giorno, sperando di muoversi verso le mete che si è immaginate. Riuscire a "convertire" una schiavitù in libertà, è quanto di più difficile e importante ogni uomo debba fare. Quando una comunicazione arriva a sbloccare quasi totalmente gli impedimenti linguistici e culturali (di cui ogni comunicazione è fatta) verso un "dare" la propria parola con forza, amore, desiderio intenso e profondo di bene, si aprono porte nuove, mondi nuovi, nuovi destini e nuovo futuro ad ogni occasione; per questo ti ringrazio della tua lettera, e mi sento sicuro, certo, nel dirti che questo è il solo modo per camminare, muoversi, trasformarsi, verso un avvenire che vince con la sua luce il buio e la prigionia nella complicata macchina del nostro inconscio.

Infatti, a prova di ciò che ti ho detto, lascia che ti renda partecipe dei fatti veri di quest'ultimo weekend, facendoti conoscere la corrispondenza che è avvenuta fra me e il mio amico A. Cohen, che non sentivo da un paio di settimane. Al fine di renderti comprensibili alcune cose, ti spiego che il nome "Cohen" è ebraico, e significa sacerdote. I Cohen (Koanìm, in ebraico) ricevono speciali benedizioni alla nascita e durante i momenti significativi della vita religiosa, come il "Bar Mitzvà", che è il "passaggio" dall'infanzia alla maturità, poiché ci si impegna ai 613 doveri dell'ebreo. A, il mio amico, è un organista, nato cattolico. Per conseguenza, A porta il nome dei sacerdoti, ma non ha mai avuto un'educazione ebraica, né, in fin dei conti, ha mai avuto una vera fede cattolica. Nella notte tra il 20 e il 21 giugno, nove anni fa, era morto suo padre; io l'ho sapito solo alla lettura della sua risposta alla mia lettera, giunta questa mattina insieme alla tua.
La notte del 21 giugno, il "solstizio d'estate", è "notte del potere e dell'apocalisse" (rivelazione) per diverse antiche religioni (ecco perché si chiama "notte di San Giovanni"), e mentre i popoli nordici pregano tutta la notte per vincere i demoni della terra, i cattolici attribuiscono a San Giovanni il potere di organizzare la vittoria del Cristo su Satana.
Tornando ad A, quella notte io l'ho pensato intensamente, perché lui fa musica nel mondo, come me; ossia immette nel mondo armonie. E anche lui, come me, passa molto tempo a cercare in se stesso dei buoni motivi per perseverare nella nostra difficile fatica quotidiana di musicisti: l'ininterrotto studiare la musica del passato, l'esercitarsi a rispettarne tutti i codici e gli strumenti. Il mondo non sembra più interessato al nostro sacrificio, o, ancor peggio, nell'ipotesi che l'elettronica possa sostituire prima o poi definitivamente i nostri "inattuali" strumenti di Musica, ci sentiamo scoraggiati...
Dieci anni fa, durante il nostro primo incontro, io ricordai ad A il significato del suo cognome, invitandolo a non dimenticarsene mai, così come si vorrebbe l'impegno costante a non "dimenticare Auschwitz" o l'avverarsi del male più cupo.
L'altra sera, oltre al "party" VIP sono successi anche altri fatti, come leggerai ora. Nel salutarti con grande e rinnovato affetto, ti consegno la corrispondenza di ieri e oggi fra me e A.

A presto! Claudio.

Per leggere la lettera, clicca l'immagine