-MAESTRI-

  

 

«Il mondo è stato creato con delle frasi, composte di parole, formate da lettere. Dietro a queste ultime sono nascosti numeri, rappresentazione di una struttura, di una costruzione in cui si manifestano indubbiamente gli altri mondi che io voglio analizzare e capire, perché l'importante non è questo o quel fenomeno, ma il nucleo, che è la vera essenza dell'universo»

Albert Einstein

 

 

 

Rebbe Chaim.

 

      Il mio Maestro e amico Rebbe Chaim, Rabbino chassidico, fondatore di una scuola di Qabbalah a Gerusalemme, era arrivato a Venezia alle nove di mattina, con la moglie incinta a tre settimane circa dal parto, un bambino di un anno e mezzo, un altro di dieci e una bambina di nove. Avevano viaggiato in cuccetta da Vienna, dove lui e lei insegnano, e organizzava gioiosamente la discesa dal vagone di borse piene di cibo kosher per poter invitare a cena la mia famiglia, dato che Venezia non è attrezzata per l'osservanza che lui pretende per se stesso.

  Era vestito come sempre: con il severo gabardine nero e il cappellone di velluto - stoffe preziose, raffinate, come ci si aspetta da un maestro venerato e importante -, non aveva però altro che una valigia 60 per 50 per 30 a contenere abiti per tutti; il resto erano borse di pannolini, attrezzature per bebé, cibo (latte di soia compreso) e omaggi per noi... Dalla stazione al suo albergo vicino alle Sinagoghe del ghetto, in mezzo a un fiume di turisti in marcia verso Rialto e San Marco, fra piccole soste per far riposare la moglie, io ricevevo una articolata, complessa lezione sul "suono nascosto" secondo alcuni maestri chassidici, e una serie di esempi ed esercizi sul significante rapporto fra il numero 8 e il 21. Intorno scorreva il mondo, e Chaim, ne sono certo, poggiava i piedi per terra soltanto per non darmi imbarazzo, e fingeva di spingere il suo corpo nel camminare, pesando solo su un'illusione ottica.

Tutto è semplice e perfetto nella loro vita: è la forza straordinaria di un mondo che si regge su un equilibrio divino, separato, incontaminato, sperimentato, perfezionato ed esercitato nei secoli del suo ripetersi. Sono stati insultati, malmenati e portati al martirio, ma sono resuscitati, e cantano per chi li incontra nell'armonia.

In un attimo di relax, gli ho detto quanto spesso io provi il desiderio di dismettere i vestiti di questo mondo e vestire quelli chassidici, ma so bene di non poter distruggere la mia famiglia per questo o altro. Eppure la mia vita è troppo dura e assurda: far crescere i miei figli con la TV, per negarne quotidianamente i valori e gli effetti... e da più di quindici anni frequento, osservo e conosco i figli delle famiglie chassidiche, dove vedo bambini felici, di incredibile intelligenza... occasionalmente, possono trovarsi a giocare con una pistoletta di plastica blu, o una bambolina, un trattore di legno o un trenino, ma poi si rivolgono all'interlocutore in tre, quattro, cinque lingue diverse, e ti scrutano dentro meglio di una chiromante, ti scoprono, ti regalano sapienza. So bene di cosa si tratta: ne ho letto lungamente nei testi cabalistici dal XIII al XVIII secolo: è il segreto del matrimonio di David e Betsabea: "Il Signore Dio sposa le coppie" (Genesi Rabbà 68:4), ed esse generano nell'intelligenza e sapienza di Dio.

 Un chassid non ha di che preoccuparsi: c'è sempre, da qualche parte, in qualche modo, un lavoro adatto a lui, casa e vestiti gli costano poco, la consuetudine all'elemosina e all'occuparsi dell'altro trova miracolosamente sempre la via dell'equilibrio: era anche l'insegnamento estremo di Gandhi... non dei francescani, che negandosi la sessualità fermavano il cammino del mondo...

Dicevo a Rabbi Chaim: «un abito di gabardine col suo ricambio per dieci anni mi costerebbe meno di una serie di blue jeans. E poi, mentre questi mi omologano quanto un doppio petto gessato con cravatta a pois, il tuo lungo, antico, nerissimo gabardine chassidico offre il segno della futilità dell'illusione temporale; focalizza, agli occhi del saggio, la distanza dal movimento lineare della storia...»

Rabbi Chaim rispondeva: «sì, contribuisce a ricordare e chiarire qual è il centro dell'esistenza: questo è il modo in cui offre le condizioni ideali per il riposo sabbatico... e so bene che ti manca... Al resto, già ti sei dato la risposta: non si distrugge una famiglia per regalarsi un'illusione ottica, o un altro vestito: anche le parole rivestono il pensiero, lo rendono disponibile attraverso diversi mondi; tuttavia, ogni mondo ha bisogno dei suoi sacerdoti, e dunque in ogni mondo si deve cercare e trovare un centro, dove il tempo non ha il prima e il dopo, e l'uomo riconosce ciò che in lui si conforma alle strutture del corpo di Adam Qadmon: dell'Adamo primordiale»

«Resta il mio bisogno di riposo...», dicevo.

«Il Sabato: Shabbes è dono e premio finale per tutte le cose, perché tutte le cose sono destinate all'era messianica, in cui tutte saranno trasformate.»

«Ma ora?...»

«...Però non è una cosa visibile o udibile: non lo si percepisce coi sensi nell'ordine consueto. Eppure, se l'arte porta al suono il messaggio musicale, così come l'occhio riceve il segno della bellezza, o l'intelligenza di una narrazione raggiunge l'anima dell'uomo, allora, al Santo piacendo - sia benedetto il Suo Nome -, l'arte è anch'essa opera diretta a un Sabato possibile, purché vi si dispongano i fondamenti dell'armonia universale che, Baruch ha-Shem, sia benedetto il Suo Nome, il Santo ci ha dato nella sua Torah. Tu mi hai detto che era proprio questo che gli artisti, i poeti e i filosofi del Rinascimento venivano qui in Italia a cercare!»

«...Ma i vestiti...», mi sfuggiva dalla bocca.

«Aprono o chiudono porte.» mi rispondeva distrattamente.

«...E la stanchezza?», rimandavo confuso...

«Beh, ascoltami: Rabbi Nachman di Braslav diceva "danza! batti le mani! canta e fai sorgere la melodia! C'è un punto positivo in ogni essere: cercalo! Trovalo!"... Scoprirlo e illuminarlo è un po'come accendere le candele di Shabbes, della pace del Sabato. Unire quei punti positivi, è un po' ricomporre la partitura musicale di Kadosh Baruchu, del Santo, benedetto il suo Nome, della Shekinah, la Sua Luce, nel Suo Mondo.»

«Ricostituire l'ordine?...», chiedo.

«Tutti i dittatori o i criminali lo fanno in una direzione, verso la tenebra, e i Saggi nell'altra... è semplice! Ora vai a studiare la tua musica; e guarda anche nei suoi vuoti, non solo là dove è piena di significato o carica di strutture!»

 Nell'incastro delle ore e dei minuti, a quel punto, c'era l'incongruenza: Chaim era arrivato alle nove del mattino, e all'orologio dell'oreficeria di campo S. Geremia, a circa dieci minuti a piedi di turista calmo dalla stazione, diretti verso il ghetto, erano solo le nove e dieci minuti.

C'è sempre ancora tempo per parlarci, per ragionare ancora, per scriverci lettere lunghe o brevi, per ridere o piangere, per acquistare un pezzo del tempo del Messia, nel mondo in cui siamo.


Claudio Ronco