Antefatto. Il giorno 22 febbraio dell'anno 2006, qui a Venezia non era una brutta giornata; un po' cupa ma non troppo fredda. Per me era il giorno di un'attesa: l'arrivo nel primo pomeriggio di un biologo di valore, docente universitario da poco in pensione, amico molto amato il cui eclettico argomentare non mi aveva mai lasciato insoddisfatto.
L'appuntamento era fissato nei pressi di un piccolo laboratorio artigianale dove con il plexiglass si fabbricano oggetti d'ogni tipo. Lì il mio amico si era fatto realizzare un certo numero di vetrinette e cornici destinate alla sua casa, in misura da riempirne ben tre borse di plastica. Concluso l'acquisto, passeggiando per calli tranquille e libere da turisti, la nostra conversazione girò per qualche tempo intorno a soggetti scialbi, ma presto finì –o meglio, cadde...—sul tema della fine del mondo.

"Dunque non mi resta altro da fare che morire?" mi ritrovai a chiedergli con un grosso punto interrogativo. La sua risposta fu appena appena evasiva: "Vedi... all'incirca dagli anni '50 agli anni '80... poi basta... Quelli come me, che oggi hanno all'incirca settant'anni spesi in un paese come l'Italia, hanno vissuto e lavorato godendosi i privilegi di un momento storico d'irripetibile abbondanza; ormai, com'era se non prevedibile senz'altro inevitabile, quel tempo è finito e non tornerà più..." (i puntini sono i lunghi sguardi silenziosi che seguivano quelle frasi). "Che fare, allora, prima di morire?" tornai a chiedere senza puntini di sospensione. E nel rispondere sembrava che il mio amico carezzasse con una certa tenerezza gli oggetti di plexiglass appena acquistati: "Sai, io mi restringo più che posso, mi faccio piccolo piccolo, con la speranza di durare il più a lungo possibile... un'automobile più economica, una casa meno spaziosa, bisogni e lussi ridotti al minimo... Però non ho idea di cosa potrà fare mio figlio, nel suo futuro..." . Già... i figli!... E mio figlio, allora? Anzi, i mei due figli!... avrei dovuto cercarli subito al telefono per avvertirli che non avrebbero ricevuto alcuna pensione in vecchiaia? Ma il mio amico riprese a parlarmi, e mi descrisse nei dettagli più impudichi alcuni esempi di follia moderna: il mostruoso mercato di cacca di polli cinesi, venduta nel mondo come mangime per pesci d'allevamento; gigantesche navi francesi cariche di metalli pesanti da riciclare in India, rispedite al mittente da un'India che già ora non vuol più essere la discarica dei nostri rifiuti tossici; la scelta francese di affondare quelle navi in mezzo all'oceano; il sempre più rapido, inverosimile, inconcepibile, inesorabile, inarrestabile, imbecille consumare o avvelenare le risorse vitali del pianeta...

Lo accompagnai in stazione, al treno per Padova, dove quella stessa sera era in programma un concerto cui ero invitato anch'io, e ben m'ero guardato da accettare l'invito data la musica che mi avrebbero proposto... Su sua richiesta, tuttavia, gli avevo procurato il biglietto tramite una mia allieva padovana, Beatrice (il nome, va da sé, non è il suo perché è d'invenzione, ma mi sembra di averlo inventato bene...), che l'avrebbe rintracciato per consegnarglielo all'ingresso dell'auditorium.
Così guardai partire il mio anziano amico, senza esser capace di profferir parola...

Non aetate, verum ingenio apiscitur sapientia. Non con l’età, ma con l’ingegno si acquista la saggezza. E con quel motto di Plauto in testa cercai di consolarmi tornandomene a casa in preda a depressione ansiosa. Mi ci volle quindi un po' d'ingegno e solo un piccolo invecchiamento (all'incirca una quindicina di giorni) per concepire le parole che non avevo saputo trovare durante quell'incontro. Esse sono, nel miglior ordine in cui ho saputo disporle, nella lettera che qui segue, cliccando su...

continua

 

 

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