full moon raga

sabato 14 giugno, ore 20.30

presso:
Azienda Agricola Perusini
Via Torrione 13
Corno di Rosazzo, Udine

Claudio Ronco
sitar

cr

curriculum?

     Nell'estate del 1971 feci una vacanza studio in Inghilterra; erano gli anni dei Beatles e dei Rolling Stones, io ero un adolescente vivace e ribelle, eppure quasi non mi ero accorto di loro. Le mie curiosità erano tutte proiettate verso un mondo antico che credevo perduto, e che avevo scoperto per caso visitando lo studio di Mario Donizzetti, il pittore bergamasco maestro nelle tecniche rinascimentali. Nella sua bottega non c'erano apprendisti, né a me era concesso il tempo di diventarlo, ma tentai di apprendere da lui un poco dell'arte quasi alchemica di preparare i colori dalle terre e dai vegetali, e di educare il mio sguardo sulla realtà in modo d'attraversarla per coglierne l'essenza metafisica.
Nell'estate del '71, a Londra, l'unico contatto con i miti del mio tempo fu l'incontro con la musica hindostana che i Beatles avevano resa popolare, e a me apparve come un "luogo" in cui avrei potuto apprendere la lezione dell'arte che intuivo esser stata quella degli antichi.

Chiesi e ottenni l'appoggio necessario a interrompere gli studi in Italia per iniziarne di nuovi e assai difficili nella lontanissima India senza Beatles né giovani occidentali dai capelli lunghi e l'aria sognante, o quant'altro l'Occidente offriva in quegli anni. Nei primi mesi del 1972 io ero diventato uno studente della Gandharva Mahavidyalayah di New Delhi, scuola di musica fondata nel 1939, nell'urgenza di recuperare e conservare ciò che rimaneva della frammentata tradizione culturale e artistica dell'India, dopo secoli di dominazione islamica ed europea.

Le mie giornate erano scandite dagli obblighi imposti dai miei maestri: il rigore degli esercizi quotidiani destinati a formare la mia tecnica strumentale, l'esercizio della memoria destinata a "contenere" la complessità musicale del Sangheet, la cui materia teorica e pratica si apprendeva solo ed esclusivamente attraverso l'insegnamento orale.

Fra i celebri virtuosi di musica che rendevano l'India fiera delle proprie tradizioni musicali, io ebbi molte straordinarie lezioni dal sitarista Nikhil Banerjee, la cui nobiltà di stile e la formidabile "bravura" strumentale erano diventati per me il modello perfetto di ciò che avrei voluto diventare, convinto ormai di aver destinato la mia vita alla musica dell'India del nord.
Il mio studio musicale prevedeva l'esercizio della voce e degli strumenti a corde e a percussione, ma in particolare, data la celebrità dei miei maestri, si focalizzava sul virtuosismo del Sitar, in quegli anni il più popolare fra gli strumenti indiani, proprio a seguito dei Beatles e dalla loro collaborazione con Ravi Shankar. In quel mondo musicale pareva io avessi dimenticato d'essere un europeo, almeno tanto quanto i miei maestri, nell'istruirmi, sembravano ignorarlo. Dopo quattro anni di studio, io mi guadagnavo da vivere come un qualsiasi musicista indiano di tradizione, suonando e insegnando, in un ambiente quasi ermeticamente chiuso ad ogni contaminazione con la cultura o le abitudini occidentali e moderne – la televisione o i giornali e l'informazione politica e sociale, i divertimenti mondani, il cinema, il teatro o quant'altro non fosse strettamente legato ai rituali quotidiani dell'esercizio del Sangheet. Paradossalmente, fu proprio questo che mi fece riflettere e ricordare d'essere uno straniero, un uomo dalle origini culturali diverse e lontanissime, un giovane che non aveva goduto delle libertà e della varietà di esperienze che forse gli erano indispensabili. Lasciai l'India quello stesso anno, per non tornarci più.

La mia vita continuò legandosi al violoncello che avevo abbandonato dopo pochi anni di studio, e al violoncello e alla sua vicenda storica è tutt'ora legata. Per più di vent'anni il Sitar e la musica indostana sono stati solo brevi sprazzi di memoria che riaffioravano di rado, il più delle volte connessi alla mia pratica della musica antica. Nel 1999, infine, l'Opera di Roma mi propose un contratto come solista di Sitar per la prima esecuzione di una composizione sinfonica di Franco Mannino: la "Missa Solemnis pro Tertium Millennium". Dopo una lunga conversazione con l'autore, il quale desiderava l'inserimento nella sua composizione di un autentico Raga indiano e non la mera esecuzione di una sua personale invenzione musicale, io accettai l'incarico e suonai il Sitar accucciato ai piedi dell'orchestra sinfonica romana.
In quell'occasione, dopo tanti anni, ho potuto capire e constatare la vera grandezza della cultura musicale che avevo ricevuto dai miei maestri: ogni cosa era ancora lì, nella memoria delle mie mani e in quella del mio spirito, come se, con la stessa saggezza degli antichi maestri, avessero innanzitutto saputo trasformarmi in uno scrigno, nel quale racchiudere e conservare ciò che loro stessi avevano ricevuto e conservato. Nulla era andato perso o si era spento, nulla aveva cessato di essere vitale e puro dentro di me. Soltanto in me era il cambiamento: ora posso vedere con chiarezza che ogni cosa mi è stata data in musica – e certo non solo in quella – è cosa che non posseggo, che non mi può appartenere; essa è "malgrado me", per sempre, per tutto il mondo e tutti i mondi; in una parola: eterna.


Claudio Ronco

 

Immagini:

Dipinto di Bichitr, ca. 1620, raffigurante l'imperatore Moghul Jahangir sul trono,
mostrante preferenza per un umile Mullah, anziché per il Sultano della Turchia e per Giacomo I d'Inghilterra.

Veronese: dettaglio dalle "Nozze di Cana".

Particolare di una decorazione in marmi policromi dal Diwan-i-Khas di Delhi, ca. 1650

 

 

©claudioronco2003