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In particolare, è proprio nel campo del simbolo, dell'allegoria che, almeno nell'occidente, si è compiuto un definitivo e perciò insanabile distacco da una tradizione più che millenaria, con il risultato che tutta una serie di contenuti, prima di preponderante e universale importanza, sono venuti meno senza che neppur si senta il bisogno di sostituirli.
C'è anzi da chiedersi se il vero nocciolo della rivoluzione dell'arte moderna non sia tanto la rinunzia alla figuratività per l'astrazione, quanto invece il disprezzo, l'oblio per questi contenuti, che animavano pressoché ogni forma della realtà dandole una quarta dimensione, una efficacia e profondità magica. Un pesce dipinto da Braque, è quasi un elemento ornamentale; un pesce, in una natura morta del Seicento, è una riflessione sulla caducità della vita, oppure come l'epigrafe su una tomba; una speranza di rinascita. Un paesaggio di Monet è l'istantanea di un momento emotivo; le tavolette, con rappresentazioni prospettiche di città, di Ambrogio Lorenzetti, nella pinacoteca di Siena, sono forse un'affermazione di conquista militare; le città cinte di mura in un mosaico bizantino sono le visioni del ripristinato paradiso terrestre. Così l'allegoria, la personificazione, inserite in un ciclo destinato a trasformare un palazzo o una villa in un quadro moralmente solenne, oppure in funzione di una qualificazione esclusivamente privata, come l'ex-libris della propria biblioteca, o l'emblema del proprio biglietto da visita, godettero di una specie di culto, spesso non inferiore a quello delle immagini devozionali. Tali allegorie erano non tanto dei fatti decorativi quanto delle autentiche presenze, addotte a tutelare o ad assistere — come lo stendardo in battaglia— la vita e la fortuna dell'Individuo. Chi avesse deturpato la personificazione della Giustizia o della Magnanimità in una dimora imperiale, probabilmente sarebbe stato condannato a morte; giacche il suo gesto colpiva non un muro, ma l'affermazione di un valore morale. Ecco ciò che dimentichiamo troppo spesso: l'immagine dipinta è una presenza attiva, proprio come la fotografia è assai più che un ricordo: è, a suo modo, una realtà. Vengono In mente i ritratti degli imperatori bizantini, che sostituivano giuridicamente, a tutti gli effetti, la presenza fisica dei sovrani. Ma, senza andare così lontano, basta pensare alle Innamorate deluse che strappano le fotografie dei loro amanti, non differentemente dalle maliarde, che nelle pratiche di magia trafiggono con spilloni bambole o pupazzi per distruggere gli avversati. O, in senso opposto si pensi al conforto che danno, sul tavolo d'ufficio —il nostro campo di battaglia— le fotografie della moglie e dei figli, quasi geni benefici a tutelarci, anche solo dalle sfuriate dei capi. A ben pensarci, l'allegoria è però qualcosa di più: non sostituisce, impersona; dà concretezza all'astratto, definisce l'indefinito, divulga l'immaginatio, diventa arma tanto della dittatura quanto della rivoluzione.”

 

Eugenio Battisti, L'Antirinascimento,
ed Garzanti, primo voI. pp. 219/221

 

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