gerardo dottori · scherzo di fantesca

La prima cosa che osservai entrando nella vecchia casa di campagna del marchese Bignami, furono i due splendidi occhi che la servetta mi piantò addosso con una franchezza orridente: occhi nerissimi con un bel brillo di luce nel mezzo, su di un fondo d'un tenue azzurro purissimo.
Seguitai l'analisi della ragazza, che a sua volta mi guardava, occupata quasi per scusa a mettere a posto le piccole cose del salotto: un bel colorito bruno-salute, un petto non grosso con due capezzoli che puntavano arditi dalla camicetta di velo bianco; una svelta persona ben piantata su due gambe diritte dalla caviglia fine, e calze trasparenti.. scarpini eleganti, capelli neri con riflessi blu.
Il marchese mi spiegava esser quella la casa che preferiva per passare la bella stagione e forse, chissà, « l'ultima parte della sua vita », ragion per cui avrebbe voluto rimetterla decentemente e nel salotto e nella sala da pranzo desiderava gli facessi una decorazione eseguita « con proprietà e pulizia ».
Trovare una bella ragazza in campagna, lontano, tra i monti dove si giunge con il somaro per strade quasi impraticabili, tra boschi di querce e di elci, non incontrando che qualch,e montanara vestita di « rigatino casareccio » scosciata sulla schiena di un somaro pensoso; trovare, quando si ha quasi dimenticato il mondo, un amore di ragazza svelta ed elegante come una passera, che vi accoglie con un bel sorriso come se vi conoscesse da molto, come se vi stesse aspettando: non me lo negate, fa una certa impressione e ne fece molta a me che in fin dei conti non son solito a sdilinquirmi tanto facilmente...

Prendemmo gli accordi per le decorazioni, visitammo la vecchia casa, scendemmo alla vigna superba, di grappoli, vedemmo l'orto pieno di graziadidio per l'abbondante acqua di una sorgente vicina, incontrammo un branco di faraoncine guidate a passeggio da una vecchia chioccia spennata... Visitammo l'importantissimo giacimento di lignite che il marchese non poteva sfruttare per la mancanza di strade di comunicazione con i centri più vicini. E sulla via del ritorno parlammo anche d'arte. Il marchese mi esprimeva la sua simpatia per la « pittura storica » e per le decorazioni pompeiane: e siccome eravamo quasi giunti a casa, io l'ascoltavo sempre meno, intento com'ero ad ascoltare il canto fresco della servetta che sciorinava il suo repertorio di canzonette... ed anche, per la verità, a fiutare uno stuzzicante profumo di preparazioni culinarie che ci veniva incontro dalla finestra della cucina pianterrena.
Quando rientrammo per la porta secondaria, la ragazza aveva quasi finito d'apparecchiare per il pranzo e ci salutò con un «bentornati », aggiungendo per me uno dei suoi lunghi sguardi sorridenti che incominciavano a smuovermi il sangue più di quanto avessi potuto supporre. Era una'servetta tenuta bene. Si capiva che le si usavano dei riguardi. Le avevano messo un garzone che le faceva le fatiche più grosse e una o due contadine che l'aiutavano in cucina.
È una brava ragazza, un po' farfallina, un po' capricciosetta, ma in fondo buona e poi sempre cosi allegra - mi diceva il marchese, forse accorgendosi che guardavo più lei di quanto ascoltassi lui.
Il marchese, infatti, la trattava con una calma bonaria in cui c'era la rassegnazione degli uomini che «han passato l'età» e che provano gioia di sentirsi circondati da un po' di primavera. Certo, vicino a quella ragazza doveva rimpiangere in cuor suo di non aver vent'anni di meno...

Venne l'ora del mangiare. Il mio stomaco da qualche tempo invocava, con un brontolio... poco rassicurante, la pastasciutta il cui profumo soavissimo circolava per l'aria.
Allo squisito pranzo privo di quei fronzoli culinari in odio al mio stomaco sano, non assisteva la signora del marchese rimasta in letto per un disturbo avuto nella notte.
Oltre me e il marchese, erano a tavola il fattore e un suo figlio collegiaIe in vacanza.
La graziosa servetta, trasformata in leggiadra cameriera, seguitava a dimostrarmi la sua simpatia con tante piccole attenzioni che mi commuovevano sempre più. Le lanciavo degli sguardi pieni di riconoscenza, resi forse più intensi dall'azione di certi vini che il marchese curava con le sue proprie mani.
Una buona riposata in una camera ferocemente decorata con striscioni verticali gialli e rossi, mi fece per un po' dimenticare la ragazza, che mi venne a svegliare all'ora stabilita per fare una passeggiata col marchese e il fattore nei boschi vicini. Aveva bussato leggermente alla porta e, alla mia risposta, mettendo dentro la testa, disse col suo solito fresco sorriso:
- Sono le quattro.
- S'accomodi signorina - potevo invitarla perché ero in letto quasi vestito - il marchese è pronto?
- L'ho svegliato adesso.
- E il fattore? - le dicevo queste cose per tentare di trattenerla. - Entri, entri, ha forse paura di me?
Ero ormai sceso dal letto e andavo verso di lei invitandola ad entrare. Le presi una mano.
- Vuol sapere una cosa? -. le dissi con una audacia di cui non mi credevo capace - sa che se mi trattenessi un altro giorno qui, m'innamorerei seriamente di lei?
Mi lanciò una bella risata, che però troncò subito perché, tenendole una mano, con l'altra le facevo sul braccio nudo-bruno-sodo uno studio di... tattilismo. E l'avevo percorso quasi tutto ed ella mi lasciava fare, quando, ad un tratto, il suo nome, lanciato di sotto dal marchese, salì rimbombando per la volta delle scale.
Mi sgusciò via, lasciandomi contrariato ed estasiato.
Una bella passeggiata nei boschi, qualche colpo di fucile alle tortore e ai merli numerosissimi, il ritorno nel delizioso meriggio di mezz'agosto.
Cena all'aperto sotto il pergolato superbamente carico di grappoli di uva squisita. Assisteva anche la signora ormai rimessa dal malore della notte passata.
L'odore appetitoso delle vivande non m'impediva di fiutare la scia di profumo di carne calda che la servetta lasciava girando dall'un commensale all'altro. La signora doveva darle un po' di soggezione, perché le occhiate che mi lanciava erano più furtive, più brevi di quelle della mattina.
Con alcune sigarette, caffè e conversazione, venne l'ora d'andare a letto.
Mi accompagnò lei con una candela accesa al secondo piano, attraverso un lungo corridoio.
Con quella gradevolissima bambina accanto, mi sentivo veramente commosso e le rivolgevo dei piccoli complimenti che accettava con quel sorriso schietto. lo, che non sono affatto audace con le donne, giunsi perfino a prenderla per la vita e a tirarla a me per baciarla mentre, con voce che mi sembrò incerta, mi diceva che il ritratto appeso sopra una porta raffigurava il bisnonno del marchese...
- Lei dove dorme, signorina? - le chiesi.
Mi indicò con un po' di titubanza una porta verniciata in grigio come tutte le altre.
- Vicino alla sua, che è questa - disse, e aprì la porta della camera che m'era destinata. - Non è contento?
- Ma si figuri, dormire vicino a lei. Potessi esserle ancora più vicino! In certi momenti è cosi triste dormir soli... E lei sta bene, sola?
- Se dormo si.
- E se non dorme?
- Allora mi prende la voglia di alzarmi, di uscire, di cantare, di ballare...
- Senta, se io non dormirò, verrò a bussare alla sua porta e se anche lei non dormirà ci faremo un po' di compagnia, vuole?
Rise del suo riso bianco e fresco.
- Ma dorma, ché domattina dovrà alzarsi presto per partire...
- Ci siamo intesi - le risposi - arrivederci bel tesorino!
Usci, chiuse la porta, poi la riapri, mise dentro la testa, e scappò via senza girar la maniglia.

Appena rimasi solo mi buttai sul letto. Sentivo il cuore battermi forte dappertutto. La bella ragazza non mi aveva detto di no. Io potevo andare tra poco da lei: passar con lei, con quel bel fiore di monte, qualche momento delizioso.
Oh, non le avrei mica fatto alcun male: me la sarei stretta un po', l'avrei baciata sulla bocca un po' di più... senza farle male, però... Era così fresca e pura!
Avevo il fuoco addosso. Andai alla finestra: si sentiva la voce del marchese e quella del fattore dall'altro lato della casa. Notai appena la meravigliosa notte d'agosto intessuta di stelle cadenti e di grilli e di stridii semi-spenti : Ma perché non se ne andavano a letto? Perché i bisognava aspettare che tutti dormissero?
« Oh cara, cara! Sento che m'innamorò veramente di te », mi sorpresi a mormorare.
Mi svestii, rimasi in mutande e mi buttai sul letto aspettando che il tempo passasse. Che febbre!
Finalmente sentii un passo - tuffo di sangue nella testa - ma era troppo pesante, per essere il suo. S'avvicinò. E sentii aprire una porta poco distante dalla mia. Era senza dubbio il garzone che andava a letto.
« E lei, quando? Che sia già in camera? »
Ritornai alla finestra. Silenzio completo. «E lei?.. »
Ad ogni modo era troppo presto per tentare la sortita. Se mi fossi potuto addormentare per un'ora sola! Nemmeno a pensarci.
Mi avvicinai alla porta semichiusa ad' ascoltare. L'aprii leggermente e constatai con soddisfazione che non faceva il più piccolo rumore. Cacciai fuori la testa: tutto buio e silenzio, solo il battito sordo delle mie tempie.
Rinchiusi e ritornai alla finestra. Stetti per molto tempo ,ad ascoltar la notte. Notai davanti a me, sul monte nero, un piccolo lume rosso che appariva e scompariva sempre nel medesimo punto. Vidi il lume rosso per cinque volte, poi mi ritirai, spensi la candela, andai all'incerto lume della notte verso la porta, l'aprii con un piccolo urto tremante ed uscii nel corridoio. Li per Il non vidi nulla, poi, assuefacendomi al buio, vidi la finestra in fondo da cui entrava un bagliore lievissimo; stetti un po' fermo e incerto, mi avviai quindi risolutamente - in punta di piedi per quanto fossi senza scarpe - verso la sua porta, accompagnato dai tuffi sempre più feroci del sangue nella testa.
Mi fermai davanti alla porta cenerina assalito da interrogativi improvvisi.
« E se facesse rumore? Se avesse chiuso a chiave? Se non ci fosse ancora? »
Il frastuono indiavolato di tuffi, di battiti, di ronzii che c'era dentro di me m'impedì, forse, di sentire il rumore della maniglia che avevo girato e delIa porta che avevo semiaperto.
Entrai di traverso.
La donna che aspetta non ha bisogno di sentire il rumore per notare la presenza delIa persona aspettata.
« Dorme », pensai, e prov,ai un'impressione di contrarietà. « Se si aspetta e si desidera, non ci si addormenta ».
Sentii distintamente il suo respiro calmo.
« Povera cara, lavora tanto tutto il giorno che non è possibile, non è umano che la sera non ceda alla stanchezza».
Dopo questa riflessione, fui più tranquilIo.. Era buio quasi completamente.
« La chiamo? », mi domandai, « non è forse più belIo svegliarla con un bacio? ».
Incominciavo a vedere il fondo del letto. Mi avvicinai e risalii verso il capo...
Mi curvai e cercai la testna adorata...
Balzai. indietro inorridito. Guidato dal respiro m'ero chinato e avevo sfiorato con la bocca un paio di baffi che puzzavano di pipa: da quei baffi era uscito una specie di grugnito.
Ero entrato di certo nelIa camera del garzone e questi stava svegliandosi e frugava per cercare forse i fiammiferi. Stavo impietrito in mezzo alIa camera, quasi nelI'impossibilità di muovermi.
Alla minaccia delIa luce mi scossi, ritrovai me stesso e la porta, che infilai non senza urtarci leggermente, mentre il garzone che aveva acceso il lume gridava: « Ch'è? Ch'è? » con la sua vociona che sentii rimbombare per tutte le volte delIa vecchia casa.

Rientrai sbalordito nella mia camera, rinchiusi la porta senza pensare al rumore che fece, mi misi a letto con un gran freddo addosso e aspettai gli eventi.
Il garzone ebbe dato l'allarme, sarebbero venuti anche da me.
« E se mi ha veduto uscire, quell'imbecille, dalla sua camera? »
Passò un tempo che non potei definire e niente di anormale accadde, tranne l'abbaiare d'un cane poco lontano.
Allora ripresi un po' d'animo, mi svestir e incominciai a riflettere.
Come diavolo ero potuto entrare nella camera del garzone? Che avessi veramente sbagliato camera oppure la ragazza dagli occhi assassini m'aveva giocato un tiro feroce? No, non era possibile. Certo m'ero sbagliato. Senza dubbio, tra il buio e l'emozione, avevo confuso le porte.
Cercai di rifare mentalmente la strada che avevo fatto con lei per venire a letto, ma non la ritrovai.
Ero disorientato e rimandai l'esame alla mattina.
La calma era completa nella casa. Volli assicurarmene e riaprii la porta cacciando con una certa emozione la testa nel corridoio. Tutto silenzio.
Richiusi, ritornai a letto e, dopo un'altra oretta
di fantasticherie, mi addormentai.

Mi svegliai che la camera era tutta rossa da un bel sole nascente. Avevo il corpo intorpidito e mentre mi vestivo m'avvicinai allo specchio e mi ritrovai gli occhi pesti e un pallore come se avessi passato davvero la notte con una donna ardente!
Una risata limpida e fresca mi fece correre alla finestra e, senza sporgermi, udii il garzone che stava raccontandole come nella notte qualcuno era stato in camera sua, l'aveva toccato sulla faccia, aveva urtato le seggiole e la porta... Il gatto? Gli spiriti? Chi sa? E lei rideva.
Quando uscii dalla camera atteggiandomi tutto a una completa indifferenza, potei constatare con certezza assoluta che la camera nella quale ero entrato era quella stessa che la sera la ragazza m'aveva indicato come sua.
Scesi a far colazione. Risposi di aver riposato magnificamente alla ragazza che me lo cbiedeva mentre mi serviva il caffelatte e ascoltai, impavido, il racconto degli « spiriti » che mi fece il garzone mentre mi andava preparando il somaro che m'avrebbe portato via.
Lasciai i saluti per il marchese e per la signora, salii in sella e, salutata con un «arrivederci presto » la ragazza, partii non senza un certo senso di sollievo.
Dal fondo del viale mi giunse il canto della ragazza che mi lanciava, forse, l'ultimo festevole saluto:

« Ecché m'importa a mee
se non son bellaa
tanto l'amante mioo
fa il pittore... »

tratto da
Due racconti di Gerardo Dottori
a cura di M. Ponti e A. C. Ponti
Perugia 1980