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Ugo Maggini

Letteratura e cinema americano

 

Sin dalle sue origini il cinema attinge a piene mani alla tradizione letteraria: nasce, infatti, nel momento in cui le grandi strutture del romanzo e del racconto ottocentesco entrano in crisi e subiscono le più profonde trasformazioni ad opera delle avanguardie storiche; il cinema, in questo senso, approfitta di un vuoto permettendo di reinventare delle funzioni a strutture narrative ormai logore.

Si può dire (1) che "il cinema imita semiologicamente, prolunga storicamente, e sostituisce sociologicamente il romanzo classico del secolo scorso, con intreccio e personaggi".

Il cinema ha, dunque, un rapporto continuo e ininterrotto con le strutture narrative che lo precedono e lo condizionano, anche se non si tratta sempre di rapporti lineari, ma di una complessa e articolata fenomenologia (in questo senso basti ricordare come negli anni '20 nelle opere e nel pensiero dei grandi registi russi - Ejzenstejn, Vertov, ecc. - si assiste al tentativo di individuare uno statuto autonomo dell'arte cinematografica, soprattutto con un uso del montaggio che attribuisce il massimo potere metaforico alle immagini, seguendo procedimenti del tutto analoghi a quelli osservati nella lingua poetica; oppure si veda come negli anni '50, in Francia, è la letteratura con i romanzi dell'Ecole du régard ad essere direttamente influenzata dai procedimenti espressivi del cinema).

Non si tratta comunque, in questa sede, di ripercorrere la storia del rapporto fra letteratura e cinema, né di analizzare i due termini nei loro mutui rapporti di dipendenza, di traduzione, di osmosi; ma semplicemente di sottolineare il rapporto decisivo che si instaura nel momento in cui il cinema, come fenomeno sociale complessivo, raggiunge un regime di massimo sviluppo.

Questo avviene proprio negli anni '40 in America, quando il cinema "entra insensibilmente nell'età della sceneggiatura" (2), e cioè, dopo che per oltre trent'anni il progresso costante dei suoi mezzi espressivi ha in qualche modo subordinato l'importanza della sceneggiatura, si ha ora come un rovesciamento del rapporto tra il fondo e la forma. Questa tende a cancellarsi, a farsi trasparente davanti a un soggetto che viene apprezzato ormai per se stesso, e verso il quale si è sempre più esigenti.

Il cinema classico americano, infatti, si definisce come il cinema narrativo per eccellenza, che, cioè, si cancella come istanza narrante, come "discorso" (per dirla con Benveniste), per darsi interamente come narrato, come "storia", che attraverso l'illusione referenziale assume i caratteri mitologici di una naturalità piena e coerente. La struttura narrativa hollywoodiana si pone quindi come totalizzante, collocata in uno spazio senza storia, dove il tempo è sempre tempo compiuto e dove l'economia del racconto non conosce distrazioni o cesure, rivelando un gioco rigoroso di segni codificati, di stereotipi, che concorrono a creare un universo autonomo e indipendente, un paesaggio di visi familiari che attraversa un numero limitato di storie.

E' il momento, allora, in cui la grande fabbrica di Hollywood inizia la sua opera di indiscriminato saccheggio verso tutta la letteratura (specie quella vittoriana, ma anche le prime trascrizioni dei romanzi americani contemporanei, come quelli di Hemingway, Scott Fitzgerald per esempio) e il momento in cui gli scrittori di successo (Chandler, Faulkner, Fitzgerald, per esempio) vengono assunti direttamente dall'industria hollywoodiana.

Ma soprattutto è la nozione di genere, operante nella produzione letteraria, per identificare e unificare una pluralità di testi, in cui il rapporto tra l'organizzazione tematica e il piano formale si dispone come un sistema più o meno costante, che diviene decisiva per designare la produzione cinematografica della grande industria di Hollywood. Infatti all'interno di un sistema di autogaranzie, generato dalla macchina hollywoodiana, per radicarsi nelle abitudini e nei gusti del grande pubblico, la distinzione dei generi cinematografici - dal genere poliziesco a quello western, dalla commedia brillante a quella musicale, per citarne solo alcuni - come d'altro canto la creazione dello star-system, diventa l'elemento essenziale di una produzione fortemente serializzata e standardizzata.

Il cinema mutua quindi la nozione di genere dalla letteratura, in quanto i codici della comunicazione letteraria vengono assunti in modo pieno e trasparente nel racconto classico del cinema americano, anche se su di esso interagiscono i codici più propriamente cinematografici che non presentano immediate omologie con il linguaggio verbale. Comunque le analogie semantiche e la stessa disposizione della sostanza del contenuto, di schemi d'azione, di relazioni tra i personaggi, tra il cinema classico e la letteratura, ci consentono di utilizzare le categorie della narratività proprie del racconto letterario.

Tuttavia nella definizione dei generi filmici conta soprattutto il modo in cui i generi, rimandando l'uno all'altro, si fondano sull'equilibrio complessivo del cinema classico. La presenza, la trasparenza, l'equilibrio della narrazione, iscritta in una fitta trama di convenzioni e di stereotipi, permette al cinema di Hollywood di autoriprodursi come genere e di funzionare nella sua autonomia di macchina, di fabbrica di sogni, attraverso le sue fiabe consolatorie perfettamente intercambiabili.

E' chiaro, invece, che dagli anni '70, il nesso cinema/letteratura ha subito ormai notevoli variazioni.

Se nel cinema americano classico il riferimento al testo letterario ha spesso un carattere e un valore di divulgazione, per cui la scrupolosa necessità di fedeltà all'originale rende quasi totalmente insignificante una lettura critica comparata, il discorso si fa diverso negli anni '70, quando rovesciatosi il rapporto tra comunicazione a livello letterario e quella a livello di immagine - questa prevale in termini assoluti senza bisogno di appoggi sul preesistente testo narrativo - il cinema americano assume i testi letterari non più soltanto come materiali da trasposizione, quanto come oggetti paradigmatici all'interno di un processo più generale di rilettura critica e/o nostalgica dei generi classici.

All'uniformità del cinema classico, data dalla trasparenza e dall'equilibrio della costruzione narrativa, si sostituiscono nuovi meccanismi narrativi che non si riconoscono più in alcun standard. La narrazione, perduta la linearità e l'armonia classica, slitta continuamente, non ha paura del vuoto, ma anzi lo riempie di osservazioni, di dettagli, di elementi, cioè, che nella loro apertura e ambiguità sono funzionali alla perdita di univocità della fiction, alla indeterminazione del senso, e alla non finitezza della storia narrata.

E' un cinema, anche, che sempre con maggiore ossessione sceglie come referente primario il proprio passato, sfruttando l'accumulazione prodotta dal cinema classico (accumulazione di temi, di procedimenti, di tropi), per istituire, rispetto ad essa, un gioco di scarti, o una deriva, o comunque una ripresa irrimediabilmente seconda.

In altri termini è un cinema che nasconde, o esibisce secondo i casi, il proprio continuo lavoro metalinguistico sotto la categoria dell'invenzione: e un cinema, cioè, che sembra negare radicalmente l'acquisizione del proprio funzionamento di macchina attraverso l'evidenza della figura dell'autore (il regista è la nuova super-star).

Siamo in anni in cui appare concluso storicamente il periodo di estrema produttività sociale dello spettacolo filmico. Con la trasformazione mediologica che ha prodotto ormai a livello planetario una cultura iconica, per cui tutto l'esistente si percepisce e si riproduce come spettacolo, come continua, anche se catastrofica performance, il cinema, e quello hollywoodiano in particolare, ha perso definitivamente la sua funzione più evidente, quella - tipica di un'industria culturale di massa - di omologare il proprio pubblico attorno ad un immaginario collettivo.

Questa funzione che il cinema classico aveva ereditato dal Teatro e dalla Letteratura di consumo è passata irreversibilmente ad altri media, alla televisione innanzitutto, in quanto medium che più ha contribuito all'instaurarsi della totalità informatico-spettacolare.

 

Note
(1) Cfr. Ch.Metz, Cinema e Psicoanalisi, Marsilio, Venezia, 1980, pag. 8.
(2) Cfr. A.Bazin, Che cos'è il cinema?, Garzanti, Milano, 1979.

 

[Uroboro 7, Edizioni Mediateca, Campi Bisenzio, 1999.]


 
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