GLI ARTICOLI ON LINE DI FRANCO PELLICCIONI

 "I virus custoditi dal ghiaccio artico possono conservarsi anche per migliaia di anni. Un monito alla cautela per gli scienziati che effettuano esperimenti in Groenlandia",

L'Osservatore Romano, 18 Dicembre 1999, 3

[Groenlandia, artico canadese, Svalbard, Hong Kong, Cina meridionale;

Spedizione Franklin, Passaggio a Nord Ovest, Influenza Spagnola, Influenza Aviaria]

[Greenland, Canadian Arctic, Svalbard, Hong Kong, Southern China; Franklin Expedition, North-West Passage, Spanish Flu, Bird Flu]

1966 - 2006

QUARANTA ANNI DI PUBBLICAZIONI SCIENTIFICHE E DI DIVULGAZIONE SCIENTIFICA  

I presupposti che ci inducono a scrivere le presenti note sono due. Il primo  discende dalla notizia del ritrovamento del tobamovirus, un virus preistorico risalente a 140.000 anni fa "ancora in perfette condizioni", in un carotaggio effettuato nell'immenso ghiacciaio dell'ilandsis groenlandese. Non si può escludere che, con lo scioglimento dei ghiacci causato dall'effetto serra, un giorno altri virus possano "venire allo scoperto", riprendendo vita e virulenza dopo migliaia di anni. In tal senso il grido di allarme lanciato dalla recente Conferenza Mondiale sul Cambiamento Climatico (Bonn). Non tutti gli studiosi sono concordi. C'è chi pensa che tali batteri siano capaci di provocare, in piante ed animali, come nell'uomo, effetti dannosi di portata incalcolabile. Altri sono di parere contrario. Allo stato attuale, comunque, nessuno con esattezza sa ciò che potrebbe comportare quest'oscura minaccia proveniente da molto lontano...

Il secondo è  temporalmente più vicino ai giorni nostri, ma non per questo è meno cupo e drammatico.

Nel corso dei nostri "vagabondaggi" artici, più di una volta abbiamo avuto modo di sostare davanti alle sepolture di coloro che avevano perso la vita in quelle remotissime lande. Come nel caso della solitaria tomba di un pilota, che andò a schiantarsi contro la montagna di Resolute Bay, nell'alto Artico canadese. O come quando, per visitare il minuscolo cimitero di Longyearbyen, le cui croci bianche erano visibili da lontano, ci spostammo sul lato orientale della Longyeardalen, la valle dell'immensa isola di Spitsbergen, dove è sito il capoluogo dell'arcipelago norvegese delle Svalbard. Fu da quest'isola che i dirigibili di Amundsen e Nobile (a Ny Ålesund di recente abbiamo osservato il pilone d'attracco dell'Italia) partirono per la conquista aerea del Polo. Incredibile a dirsi, ma comunità norvegesi e russe hanno qui pacificamente coesistito per oltre ottanta anni, quando altrove la guerra fredda e l'incubo di una guerra atomica planetaria davano il alle nazioni. Ed hanno estratto carbone dal ventre gelato di una terra posta a soli 1300 Km dal Polo Nord, ai confini della banchisa permanente.

Il cimitero è localizzato in corrispondenza della miniera più vecchia, aperta dall'americano Longyear nel 1906 e chiusa nel 1920 dai norvegesi. Dopo un'esplosione che causò 26 morti. I resti della miniera erano proprio sopra di noi, a mezza altezza sul fianco della montagna. Quando, muti e reverenti, sostammo davanti alle tombe contenenti le spoglie mortali di Johan Bjerk e di Ole Kristoffersen, non pensammo che il 1918, che tendeva a ripetersi su diverse croci come anno di numerosi decessi, fosse collegabile ad un qualcosa di diverso da un incidente in miniera, uno sfortunato incontro con un orso bianco o una caduta in qualche crepaccio. Eravamo a conoscenza come esplosioni e incendi, specialmente in un passato - neppure tanto remoto -, avessero troncato più di una giovane esistenza. Fermando per sempre le speranze di alcuni tra quei coraggiosi norvegesi, che si guadagnavano il pane in una delle maniere più dure che sia possibile immaginare. Soltanto pensando come il buio dei tunnel scavati nelle viscere delle montagne si sovrappone, a queste latitudini, a quello di una lunghissima "notte" polare. Nel periodo 1920 -1991 si sono registrati almeno 89 decessi tra i minatori norvegesi, di cui gli ultimi due nel 1990/91, nella miniera sita alle spalle dell'aeroporto. Ora è chiusa, ma essa era ancora in funzione durante il nostro soggiorno di ricerca. E dire che gli standards di sicurezza delle miniere norvegesi sono molto alti, anche rispetto a quelli esistenti tra i russi. Che pure possiedono un know how che gli scandinavi non hanno. Ma quei minatori deceduti nel 1918, avremmo appreso soltanto due anni dopo, non erano morti per un trauma, ma perché colpiti dal morbo della spagnola. Che anche qui aveva fatto numerose vittime (le stime parlano di oltre 20 milioni di morti nel mondo, molti di più di quelli provocati dalla Grande Guerra). Nel 1996 un'agenzia di stampa aveva infatti diffuso la notizia che ricercatori canadesi e statunitensi erano in procinto di  esaminare proprio le salme di quei minatori. Allo scopo di rintracciare il virus che, con ogni probabilità, ancora dopo decenni doveva annidarsi nei polmoni e nei tessuti di quelle povere salme, grazie all'alta capacità di conservazione del permafrost, il terreno gelato esistente poco sotto la superficie dei suoli artici. Sapendo bene come possano sempre esserci errori irreparabili anche nel più severo, controllato e sofisticato dei grandi laboratori istituzionali, quella notizia non ci fu invero di alcun conforto, sia perché ci era nota l'estrema pericolosità del morbo, sia per quanto avremo modo di aggiungere in seguito. Solo pochi giorni addietro abbiamo letto sul World Wide Web alcune pagine riguardanti il progetto internazionale diretto dalla geografa canadese Duncan. Studiosi inglesi e norvegesi si erano nel frattempo aggiunti alla missione. Nel 1998 in pochi giorni sono state esumate, con estrema cautela, le salme di sei minatori e raccolti 100 sezioni di tessuto. Ogni precauzione era stata presa. Utilizzando anche il Ground-Penetrating Radar (un tipo di sonar - ad onde radio - per scandagliare accuratamente il terreno da scavare), tute particolari, respiratori, profilassi antinfluenzale per tutti, docce decontaminanti, ecc. Non erano forniti ulteriori dati e informazioni sulle fasi successive. Lacuna colmata a metà novembre dall'intervista di uno dei partecipanti della spedizione, che ha dichiarato di "non aver trovato il virus intero, ma isolato frammenti del suo patrimonio genetico da tessuti come i polmoni, fegato e milza". 

Eccoci infine giunti al nostro piccolo contributo di conoscenza. In passato ci siamo occupati delle scoperte fatte nella metà degli anni '80, nell'artico canadese, da un collega della Duncan, l'antropologo fisico Beattie, i cui risultati non dovrebbero esserle del tutto sconosciuti. Dopo un decennio di missioni interdisciplinari e di ricognizioni sul terreno effettuate nelle diverse regioni artiche raggiunte (con certezza, o presumibilmente), nel XIX secolo, dalla Spedizione Artica di Sir John Franklin, la più grandiosa e formidabile missione mai realizzata fino ad allora, alla ricerca del "mitico" Passaggio a Nord-Ovest. La sua scomparsa nel nulla ha rappresentato il mistero per antonomasia della Storia delle Esplorazioni. Il Beattie, dopo oltre un secolo e mezzo, riuscì a svelare il suo drammatico e infausto epilogo. La chiave della risoluzione non risiedette nel ritrovamento di numerose testimonianze della spedizione, ancora quasi perfettamente conservate. Proprio grazie alle particolari caratteristiche del clima artico, decise infatti di esumare le salme di tre marinai, le cui sepolture si trovavano, com'era da tempo noto, nell'isola Beechey, a non molta distanza da Resolute Bay. Loro erano stati i primi membri della spedizione a morire. Ne prelevò alcuni tessuti e, successivamente, effettuò accurati esami anatomo-patologici in laboratorio. Riuscì infine a sapere quello che era successo alla spedizione. L'imprevedibile catastrofe subita dal Franklin fu dovuta, in base ai risultati delle analisi eseguite, al fatto che le scatole di metallo degli alimenti conservati si erano gravemente deteriorate per la lenta penetrazione del piombo delle saldature. Esse hanno rivelato un altissimo contenuto di piombo nei capelli: dalle 138 alle 657 parti/milione, non derivante da inquinamento ambientale dell'epoca, cioè provocato in patria dalle industrie. Ci si avvelenò durante tutto il corso del lungo viaggio. Ecco spiegata l'alta incidenza dei decessi nel corso della prima fase della spedizione e l'alta percentuale degli ufficiali colpiti (che avevano razioni migliori e più abbondanti rispetto a quelle del resto dell'equipaggio). Le difese immunitarie di tutti i membri della spedizione furono così mortalmente indebolite. Tanto da provocarne l'irreparabile fine. Tutti, nessuno escluso, furono, sia pure inconsapevolmente, condannati a sicura morte tra sofferenze infinite. Gradualmente gli uomini, indeboliti nel fisico e nella psiche, impazzirono. Così si spiega anche il perché del cannibalismo, come ultima ratio e il fatto che non siano state adottate misure adeguate né prese decisioni razionali, per salvare uomini e navi. 

Ma c'è ancora qualcosa da aggiungere. Eccoci giunti al secondo presupposto: le analisi microbiologiche eseguite sulle salme hanno individuato famiglie di batteri del tipo Clostridium, che sono riuscite a sopravvivere, dopo centocinquanta anni, grazie al gelo del permafrost, mostrando altresì una generalizzata resistenza ai moderni antibiotici, " una  caratteristica rimarchevole considerando che i batteri hanno avuto origine un secolo prima dello sviluppo degli antibiotici". E questa, per il Beattie, rappresentò una "sinistra scoperta". 

Non sappiamo in quale misura il monito proveniente dalla scoperta del Beattie sia stato preso in seria considerazione dalla Duncan. Ci sembra che esso meriti, comunque, una non superficiale attenzione ed una riflessione da parte degli addetti ai lavori. Anche per la recente segnalazione giuntaci dalla Conferenza di Bonn. Resta il fatto che il suggerimento che ci viene da lontano indica, secondo noi, come non sempre e comunque sia possibile superare certe soglie. Anche dopo l'adozione di tutte le cautele e le precauzioni tecnico-scientifiche di questo mondo..., anche se sinceramente animati dalle migliori intenzioni. Quale quella di cercare di preparare un vaccino capace di contrastare una possibile, futura pandemia influenzale (una "nuova" spagnola), secondo l'allarme lanciato dal Ledeberg nel 1995 e rinnovato nel 1997, dopo i casi mortali di influenza provocati dal pollame a Hong Kong e nella Cina meridionale.  

 

http://users.iol.it/f-pelli/f-pelli.spanish-bird-flu.htm

PAGINA WEB CREATA:  9 Gennaio 2006

MODIFICATA: 26 Gennaio 2006

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