Cari Amici
sono molto lieto di trovarmi in mezzo a Voi, e di fare così un bagno
di giovinezza, tuffandomi nei ricordi del non recente passato, ed offrendoli a voi qui
presenti, affinché queste memorie belle, e soprattutto sane, rimangano nel tempo,
affidate a voi giovani nelle cui mani arde la fiaccola della vita.
La parte più remota di questi ricordi è stata ricavata da giornali,
da bollettini, da corrispondenza dell'epoca; la meno remota è stata ricavata dalla mia
memoria, e da quella di varii Amici che con me condividono il privilegio di essere nati
negli ultimi decenni dello scorso secolo.
La data ufficiale di fondazione della Sezione di Perugia del CLUB
ALPINO ITALIANO rimonta al 1875. Fin da 1874 il presidente Nazionale del CAI, Quintino
Sella, che - per motivi di studio e per affinità di pensieri - era intimo amico del Prof.
Giuseppe Bellucci, aveva pregato quest'ultimo di costituire una Sezione del CAI in
Perugia. Il prof. Giuseppe Bellucci, da appassionato ricercatore di Scienze naturali, ed
infaticabile camminatore e montanaro, si mise subito all'opera, e coadiuvato da numerosi
amici ed appassionati della montagna, riuscì a costituire ufficialmente in Perugia, nel
1875, la Sezione perugina del CAI. Tra questi collaboratori mi piace ricordare il Conte
Rodolfo Pucci Boncambi, il Barone Danzetta, il Dott. Emanuele Forlini di Ponte San
Giovanni, il Sig. Kühn di Perugia, il dott. Speziali di Città di Castello, il Sig. Pio
Nani, il dott. Andreoli di Spina, il Rag. Carlo Rosati, ed altri.
La Sezione Perugina del CAI fu una delle prime in Italia, e nel 1879
era forte di ben 39 soci.
Fin dalla fondazione la nostra Sezione dimostrò una notevolissima
attività, che interessava tutta la catena dell'Appennino Centrale , dal M. Falterona al
Nord, al gruppo della Maiella e al M. Velino al Sud. Attività tanto più rimarchevole,
quando si consideri che in quell'epoca i mezzi di trasporto erano limitati alle poche e
primitive ferrovie, ed alle carrozze tirate da cavalli.
Mi piace ricordarvi che in quell'epoca fu fatta una gita a M. Vettore,
recandosi da Perugia a Spoleto in treno, e poi tutto a piedi: da Spoleto a Norcia, da
Norcia al Piano del Castelluccio, e da li in vetta; il ritorno con lo stesso sistema.
Naturalmente questa gita, rimasta memorabile negli annali dei CAI di Perugia, impegnò una
settimana di tempo; gita che oggi, andando in auto da Perugia al Castelluccio e viceversa
si compie dalla mattina alla sera. Altrettanto dicasi per le escursioni ed ascensioni ad
altre montagne, quali il Catria, il Gran Sasso, e così via.
Questa attività non sfuggì all'attenzione del Presidente Nazionale
del CAI, Quintino Sella, il quale designò Perugia quale sede del XII Congresso del CAI.
Perugia accettò ed il Congresso si svolse nel 1879, con notevole
affluenza di Soci venuti da ogni parte d'Italia ed occupò vari giorni: lunedì 25 agosto,
dedicato ai lavori del Congresso ed alla visita della Città e Monumenti; martedì 26
agosto alla escursione sui luoghi ove si svolse la leggendaria battaglia del Trasimeno fra
i Cartaginesi, guidati da Annibale, che scendevano dagli Appennini Liguri, dopo aver
valicato le Alpi anche con gli elefanti, ed il Console Flaminio che con le schiere romane
era accampato nella zona nord-est del lago Trasimeno. Questa escursione, che si iniziò
alle tre del mattino, si protrasse fino alle tre del pomeriggio, e portò i convenuti sul
luogo della battaglia che ora sono ricordati con i lugubri nomi delle località:
"Sanguineto", "Sepoltaja", "Ossaja". Gli Alpinisti,
piuttosto affaticati, dopo dodici ore di marcia sotto il solleone ( come riferiscono i
giornali dell'epoca che io conservo) al ritorno a Perugia, furono accolti in ingresso
trionfale , dal Sindaco, dalla Giunta, da Associazioni di studenti, di operai, con
bandiere, banda musicale e moltissimo popolo. Questo resoconto vi dica l'atmosfera che
regnava in Perugia verso la Sezione locale del CAI.. Nella serata ci fu un pranzo sociale
al Teatro Pavone: centoventi persone attorno ai tavoli disposti in platea: i palchi erano
gremiti di distinte Signore e leggiadre Signorine; nel loggione l'ottimo concerto musicale
di Perugia suonò vari pezzi, ritornando (dice la cronaca) ogni tanto, con grande
entusiasmo di tutti, alla Marcia Reale.
Mi piace leggervi, traendolo dai giornali del tempo, il menù di quel
pranzo:
Hors d'oeuvre pour se trainer
Uova d'aquile filate al brodo
Alpenstock al madera
Licheni degli Appennini stracotti
Ghiacciai delle Alpi al Cognac
Entrèe ittiologica del Lago Trasimeno
Fiumi di chianti e ruscelli di Marsala
Il giorno seguente 27 continuarono i lavori del Congresso, e poi
partenza per la gita del Vettore che si svolse il giorno 28. Per i meno ferrati, gita al
Subasio.
In occasione del Congresso la Poetessa Alinda Bonacci Brunamonti lesse
la sua Ode, per l'occasione composta, "Inno ai monti d'Italia", che così
comincia, offrendo ai nostri occhi la visione serena della nostra catena appennina:
"Date ai monti l'alato inno
S'ergan ritti alla nubi i coni alpini
O in lente curve ai due mari scendano
Noti amici per noi, dolci Appennini"
Spero di non avervi tediato, riesumando nei giornali dell'epoca, e
ricordando a Voi questi particolari dello svolgimento del Congresso, che fece conoscere
l'attività, la vitalità del nostro Club e le bellezze della nostra Regione agli
Alpinisti d'Italia.
La Sezione di Perugia del CAI rimase per lunghi anni attivissima,
dedicandosi non solo alle escursioni ed alle ascensioni di montagne, ma dedicandosi anche,
ed a fondo, a ricerche scientifiche di zoologia, botanica, mineralogia, paleontologia,
etnografia, ricerche nelle quali vi furono appassionati cultori, che portarono a risultati
che ancora oggi sono degni di considerazione e di studio, quali, ad esempio le ricerche
sull'uomo primitivo nell'Umbria e sul grande Lago Umbro, che esisteva nell'età
preistorica.
Va ricordato d'altra parte che, nella sua fase iniziale, il CAI era
sorto per l'appunto con simili scopi di ricerca scientifica e di studio, e che le
manifestazioni di attività fisica, alpinistica ed escursionistica, non erano il fine
primitivo, ma erano invece la necessaria conseguenza di tale attività di ricercatore e di
studioso della natura. Analogamente a quanto avviene per esempio nei cacciatori i quali
fanno chilometri e chilometri in pianura ed in montagna, non come alpinisti od
escursionisti, ma per correr dietro alla selvaggina.
La Sezione Perugina del CAI non aveva allora una sede ufficiale. Il
punto di ritrovo era allora presso la Libreria Terese, in Corso Vannucci, di fronte al
Corpo di Guardia dei Vigili Urbani, ove il commesso di negozio, Cipriani, era sempre
premurosamente accogliente verso i soci ed ove faceva recapito il Segretario del Club Avv.
Attilio Nani.
L'attività del Club Alpino Italiano di Perugia si protrasse così per
oltre un trentennio, con ascensioni in tutte le montagne della nostra Regione: dal Vettore
al Serrasanta, dal Nerone a M. Cucco ( ove vi fu anche una visita delle grotte, in cui si
scendeva a forza di braccia lungo le funi fin lassù trasportate; ricordo sempre la famosa
frase che in quell'occasione Gigi Oddi, sfinito per la pesante escursione, esclamò:
"Monte Cucco, tu non mi cucchi più."
Conservo ancora tra i miei ricordi le fotografie che, ragazzo, scattai
nel 1899 e nel 1900 sulle vette del Terminillo e del Gran Sasso, e tante e tante altre
conservo, che mi rammentano le ascensioni del Falterona, del Subasio, del M. Maggio,
dell'Amiata, del Monte di Pale (con discesa nelle grotte), del M. Cetona, del Pennino, del
Tezio, del Catria, dell'Acuto. Tutte ascensioni che richiedevano giorni di tempo per
l'avvicinamento alla base, e notevoli prestazioni fisiche, perché allora le nostre
montagne erano ancora vergini e non percorse da strade automobilistiche o da teleferiche,
come lo sono ora e dovunque, senza che alcuna vetta ne sia salva, e quindi non profanate
da questi cosiddetti progressi di civiltà.
Scusatemi se io, abituato fin da ragazzo ai solenni silenzi della
montagna, quando e dove non si sente altro che il rumore del vento che striscia sulle
vette , ed il rumore del battito del proprio cuore, scusatemi se io chiamo profanazioni
queste moderne trasformazioni del volto delle nostre montagne, profanazioni che certamente
non sono così giudicate dalle comode folle domenicali, abituate a consumare sui prati
delle nostre montagne, per loro una volta inaccessibili, le loro laute merende, e i loro
ben forniti cestini, contaminando con i residui barattoli e cartacce le verdi verginità
dei nostri monti.
Ricordo i nomi del CAI di Perugia che in quel periodo furono i più
fedeli e appassionati: oltre il Prof. Giuseppe Bellucci che ne era il Presidente, e l'Avv.
Attilio Nani che ne era il segretario, ricordo il Prof. Giovanni Carattoli, l'Avv. Amalio
Meniconi, il Dott. Lillo Franceschini, il Dott. Alberto Tei, il Conte Vittorio Pucci
Boncambi, il Rag. Guglielmo Fagioli, il Sig. Frenguelli ( detto Diodato), il Rag. Virgilio
Salvietti, l'Avv Ernesto Salusti, il quale sostituì poi l'Avv. Nani nell'incarico di
Segretario, l'Avv. Enrico Leone Rosati, l'Avv. Dino Silio Assettati, il Conte Federico
Pucci Boncambi, la Contessa Teresa Meniconi, la Bar.na Vittoria Luce Danzetta, la Contessa
M. Pia Pucci, i due fratelli Danzetta, il Sig. Lilletto Ottaviani e molti altri.
L'attività trentennale della Sezione Perugina del CAI si svolse così,
legata precipuamente (come tutte le altre attività di questo mondo) allo slancio e alla
iniziativa di elementi appassionati, o legati tra loro da vincoli di amicizia e di stima.
A poco a poco questi elementi vennero pian piano a mancare, od a rendersi meno efficienti
(non come spirito, ma come attitudine fisica), e per il peso degli anni, purtroppo
incompatibile con la montagna, senza essere sostituiti da nuove energie.
E qui permettetemi, e scusatemi, una parentesi sentimentale: non c'è
niente di più doloroso per un alpinista che accorgersi di non essere più capace di
compiere lo sforzo che la montagna , che si è tanto amata , richiede. Dolore vivo e
mortificante per un uomo, paragonabile solamente (scusatemi il raffronto) al constatare di
non essere più valido di fronte alla donna amata.
Lentamente così l'attività della Sezione perugina del CAI venne
affievolendosi, per poi cessare quasi del tutto nel 1905, dopo un quarantennio di vita
feconda ed attiva.
Ma gli appassionati della montagna non cedettero le armi, ed attraverso
le due società sportive "Libertas", presieduta dal Rag. Benedetto Veneziano
(caro Amico recentemente scomparso) e "Braccio Fortebraccio", presieduta dal
Col. Cappelli, continuarono l'attività escursionistica.
Ricordo le gite, le ascensioni, le escursioni fatte allora, in piena
allegria giovanile, da tanti Soci di queste due Società: primo fra tutti e sempre
presente con il suo biondo barbone, con la ingenua semplicità del suo dialetto
polacco-perugino, il caro indimenticabile amico e compagno Otto Wezelka, e poi Levi
Vajani, Manlio Mancini, Paoloni, Guerri, Agostini Giulio ed Augusto, Franz Verdesi con la
Sua Signora, Cesarini e Signora, Ennio Silvestri, Umberto Moschetti, Giorgio Coen, Aldo
Pascucci, Prof. Gugnoni con le sue due figlie, Enzo Valentini (immolatosi poi giovanissimo
sul Col di Lana il ventidue ottobre del 1915 come volontario nel 51° Reggimento Fanteria,
col quale reggimento partì anche volontario il caro amico Otto Wezelka, benché
sessantenne). Ricordo anche il Rag. Virgilio Salvietti, il Dr. Luigi Vannoni, e la Bar.na
Vittoria Luce Danzetta, la quale, nel 1911 in una esercitazione invernale di slittini sul
M. Subasio, si fratturò malamente una gamba, con le conseguenze che voi potete
immaginare, privi come eravamo di ogni mezzo di soccorso e di trasporto.
Anche in quel periodo furono fatte, oltre tante gite sulle nostre
montagne appenniniche, interessanti escursioni speleologiche nelle Caverne di M. Cucco,
nelle grotte di M. Nero ( ove ricordo che una volta l'amico Otto Wezelka rimase
immobilizzato e prigioniero in un angusto cunicolo, di dove fu dovuto liberare scavando
una galleria laterale).
Nel 1915, con l'avvento della prima guerra mondiale, e col richiamo
alle armi di ogni elemento umano efficiente, cessò ogni attività escursionistica, che
riprese lentamente solo nel 1920.
Nel gennaio del 1921 scomparve il Fondatore della Sezione perugina del
CAI prof. Giuseppe Bellucci, ed in quell'anno gli amanti della montagna ricostituirono una
società, alla quale vollero dare il nome di "Società Escursionisti Giuseppe
Bellucci", Società che ebbe per primo Presidente il Rag. Manlio Zeetti, da poco
ritornato dalla guerra. Nell'estate del 1921 questa Società Escursionisti volle apporre
un ricordo marmoreo a Giuseppe Bellucci, collocando una lapide ricordativa, che tuttora
esiste, sebbene logorata dalle intemperie, sul roccione di M. Tezio.
Al Rag. Zeetti seguì poi la presidenza dell'Avv. Umberto Calzoni,
appassionatissimo camminatore e ricercatore. In quell'epoca furono fatte numerosissime
escursioni ed ascensioni, spesso in unione con la FAUM (Federazione Appennina Umbro
Marchigiana, di cui era presidente l'On. Miliani di Fabriano).
Mi piace qui ricordare, fra le tante gite fatte con l'Avv. Calzoni,
l'Avv. Nani, Il Rag. Giulivi, l'Avv. Peppino Innamorati e colui che vi parla, quella sulle
montagne di Cetona, dove vennero fatte le importanti scoperte di necropoli preistoriche (
il cui materiale figura ora nei Civici Musei di San Domenico in Perugia), ricerche che
ricordo come allora fruttarono all'Avv. Calzoni qualche giorno di prigione, perché il
solerte Maresciallo dei Reali Carabinieri di Cetona credette di ravvisare in quelle
ricerche il reato di violazione di tombe!
La Società Escursionisti "Giuseppe Bellucci" esplicò la sua
attività per alcuni anni, fin quando cioè essa venne disciolta d'autorità, assorbita e
conglobata nelle attività dopolavoristiche del Partito Fascista, entrando alle dipendenze
della locale Federazione, ciò a seguito di precise disposizioni generali allora vigenti,
che fecero salvo solo (sebbene sotto stretto controllo) il Club Alpino Italiano, ed il
Touring Club Italiano ai quali però il nome di Club fu mutato nel nome di
"Consociazione".
Tutto il materiale di proprietà della Società (che era poi il
materiale proveniente dalla primitiva Sezione del CAI, passò in proprietà al Dopolavoro
Provinciale di Perugia (fra questo materiale vi era una preziosa biblioteca, attrezzature
per esplorazioni speleologiche, tra cui ricordo una magnifica scala di corda lunga trenta
metri, che fu acquistata per discendere nella Caverna di M. Cucco, molta preziosa
corrispondenza, ecc.)
Di tutto questo materiale non si è avuta più alcuna notizia,
nonostante le ricerche fatte all'atto della ricostituzione della sezione perugina del CAI,
avvenuta nel 1931. Nel 1930 colui che vi parla iniziò le pratiche con la Sede Centrale
del CAI per la ricostruzione in Perugia della vecchia gloriosa Sezione, fondata nel 1875.
La ricostruzione, da me propugnata e desiderata, ebbe il "nulla osta" da parte
della Direzione Generale, e , nel maggio del 1931 la Sezione fu ufficialmente inaugurata
sulla vetta del M. Subasio, fra grande entusiasmo ed affluenza di amici e di appassionati
della montagna, alla presenza del Presidente Nazionale Avv. Manaresi, di cui conservo
ancora la fotografia con affettuosa grata dedica.
Nel ricostruire la Sezione Perugina del CAI fu chiesto alla Sede
Centrale di riconoscere l'anno di fondazione 1875, ma tale riconoscimento non fu concesso,
per il motivo del lungo periodo di inattività ( 25 anni ) della Sezione dal 1905 al 1930.
Dal 1930 al 1952, la Presidenza della locale Sezione del CAI fu
affidata a colui che vi parla , e la Sezione ebbe quella vita attiva che molti di voi
ricordano, e fra tanti mi piace di ricordare i nomi degli amici Vittorio Pucci, Bruno
Spaglicci, Mario Vittori, Renato Bessio, del compianto Franz Verdesi, Staffa, Ciagli ed
altri.
Nel 1952, a causa di un malaugurato incidente che mi provocò la grave
frattura di una gamba, con vivo dolore dovetti alzare la bandiera bianca della resa di
fronte ai nostri monti, e lasciare la guida della Sezione perugina del CAI in più giovani
e valide mani.
E qui termina la mia rievocazione. La storia recente del CAI è infatti
troppo ben conosciuta , e tutti sanno quanto la sua attività, come alpinismo, come
Sezione Speleologica, come Sci CAI, sia fervida e costante.
Ma io, che ho tanto amato e salito le nostre montagne, fino a che le
forze fisiche me lo hanno permesso, sono felice di constatare come l'entusiasmo e lo
slancio dei primi pionieri sia stato non solo ereditato e mantenuto, ma sia in fase di
sempre maggiore sviluppo, anche in tempi, come i nostri, in cui il materialismo predomina,
e scarso è l'entusiasmo delle masse verso gli orizzonti del CAI, entusiasmo che è
diretto invece verso spettacoli agonistici ove entra spesso di mezzo il lucro e
l'interesse materiale..
L'orizzonte del CAI è invece altamente spirituale e costituisce un
sentimento quasi religioso verso la natura che ci circonda, che ci ricorda la nostra
piccolezza di fronte al Creato, che ci richiama, con la sua voce al vero, al bello, al
buono!