GIOVANNI PASCOLI

Pascoli Giovanni nacque a San Mauro di Romagna il 31 dicembre 1855. Da ragazzo fu nel collegio dei Padri Scolopi ad Urbino, quindi nei licei di Rimini e di Firenze. Il 10 Agosto 1867, il padre mentre tornava a casa su un calesse trainato da una cavalla storna, rievocata in una poesia, fu ucciso. Non si seppe mai chi fosse l’assassino ed il delitto rimase perciò impunito. Poco dopo la morte del padre il Pascoli perse anche la madre e le due sorelle: e la famiglia, composta prevalentemente di ragazzi, cadde nella miseria e nel dolore. Il poeta poté giungere alla laurea, grazie ad una borsa di studio che gli permise di frequentare l’università di Bologna. Su questo fatto importante egli ha lasciato una commossa rievocazione nel racconto Ricordi di un vecchio scolaro.

Le vicende tristissime della sua famiglia, a cui assistette da fanciullo, e poi le difficoltà economiche e gli ostacoli da superare, sempre solo, lasciarono un solco profondo nel suo animo ed influirono sul suo carattere e conseguentemente sulla sua poesia.

Avvicinatosi agli ideali socialisti, Giovanni aderì all'Associazione internazionale dei lavoratori e frequentò Andrea Costa: nel 1879 fu arrestato per aver partecipato ad una manifestazione di protesta. Dopo tre mesi di prigione, e dopo che anche Giosuè Carducci si era schierato a suo favore, fu assolto.

Da professore insegnò a Matera e quindi a Massa ed a Livorno, ma, avendo assunto atteggiamenti anarchici, fu trasferito a Messina. Ma non fu un ribelle, anzi, si chiuse nel suo dolore, si isolò in se stesso, solo con le sue memorie e con i suoi morti. La sua ribellione fu un senso di ripulsa e di avversione per una società in cui era possibile uccidere impunemente e nella quale si permetteva che una famiglia di ragazzi vivesse nella sofferenza e nella miseria.

Non c’è ribellione nella sua poesia, ma rassegnazione al male, una certa passività di fronte ad esso: vi domina una malinconia diffusa nella quale il poeta immerge tutto: uomini e cose. Egli accetta la realtà triste come è, e si sottomette al mistero che non riesce a spiegare. La sua poesia non ha una trama narrativa e non è neppure descrittiva: esprime soltanto degli stati d’animo, delle meditazioni. E' l’ascolto della sua anima e delle voci misteriose che gli giungono da lontano: dalla natura o dai morti.

L'opera di Pascoli s’incentra su tre diverse linee espressive: quella della poesia in italiano, quella della poesia in latino (nel complesso scrisse circa una ventina di poemetti) e quella dell'attività di critico e commentatore di Dante, confluita in vari volumi, fra i quali Minerva oscura (1898) e Sotto il velame (1900). Nel 1905 succedette a Carducci alla cattedra di letteratura italiana all'università di Bologna. In conformità alla sua idea di letteratura universale, Pascoli lavorò a testi latini, greci, neogreci e sanscriti, e a livello editoriale diresse una collana intitolata "Biblioteca dei popoli".

Nel 1891 fu pubblicata la raccolta Myricae, il cui titolo è ripresa da un verso di Virgilio posto all’inizio della raccolta: “arbusta iuvant, humelesque myricae” (ci sono cari gli arbusti e le umili tamerici). Nel titolo quindi è implicato tutto il significato della raccolta che si ricollega alla vita più umile, dei campi. Fra le più note poesie di quest’opera si ricordano: Romagna, Fides, X agosto, Novembre.

I Primi poemetti (1904) e i Nuovi poemetti (1909) segnarono una diversa tendenza, basata sulla volontà di "raccontare". Oltre ai temi già sperimentati (il mondo della campagna, la contemplazione della natura, l'aspirazione a una vita semplice), risalta lo spazio dato alla rappresentazione delle vicende degli emigranti verso l'America: il lessico si fa particolarmente sperimentale, una commistione di italiano e inglese assolutamente estranea alla tradizione lirica italiana. Comprendeva alcune famose liriche come: Suor Virginia, L’aquilone, Il libro, I due fanciulli.

Di alto livello sono anche i Canti di Castelvecchio (sette edizioni, l'ultima nel 1914), nei quali la ricerca pascoliana proseguì su una linea ormai ben identificata. E’ una raccolta di 59 poesie dedicate al  paese dove visse per tanto tempo. Ne fanno parte: Nebbia, La voce, La mia sera, La cavalla storna.

Nei Poemi conviviali (1904), l'attenzione si spostò sul mondo classico e sui suoi miti, anche in forma di riflessione. Tra i poemi più noti: Alexandros e La buona novella.

Con Odi e inni (1906) l'ultima produzione pascoliana si avvicinò alle tematiche nazionalistiche, chiaramente sostenute nel discorso favorevole all'impresa coloniale in Libia La grande proletaria si è mossa (1911).

La poetica di Pascoli è espressa nella celebre prosa, Il fanciullino. Questi ne sono i punti essenziali:

Vi è in tutti noi un fanciullo musico (il "sentimento poetico") che fa sentire il suo tinnulo campanello d’argento nell’età infantile, quando egli confonde la sua voce con la nostra  non nell’età adulta quando la lotta per la vita ci impedisce di ascoltarlo (l’età veramente poetica è dunque quella dell’infanzia).

Infatti, è tipico del fanciullo vedere tutto con meraviglia, tutto come per la prima volta; scoprire la poesia nelle cose, nelle più grandi come nelle più umili, nei particolari che svelano la loro essenza, il loro sorriso e le loro lacrime (la poesia la si scopre dunque, non la si inventa).

Il fanciullino è quello che alla luce sogna o sembra di sognare ricordando cose non vedute mai; è colui che parla alle bestie, agli alberi, ai sassi alle nuvole, alle stelle, che scopre nelle cose le somiglianze e relazioni più ingegnose, che piange e ride senza perché, di cose che sfuggono ai nostri sensi e alle nostra ragione (la poesia dunque ha carattere non razionale, ma intuitivo).

Il sentimento poetico, che è di tutti, fa sentire gli uomini fratelli, pronti a deporre gli odi e le guerre, a corrersi incontro e ad abbracciarsi, per questo la poesia ha in sé, proprio in quanto poesia una suprema utilità morale e sociale. E per questo il poeta è per natura socialista, o come si avrebbe a dire umano. 

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