CAMERA DEI DEPUTATI N. 4416

PROPOSTA DI LEGGE

D'INIZIATIVA DEI DEPUTATI

BERLUSCONI, PISANU, APREA, ARACU, BONAIUTI, MELOGRANI,

MICHELINI, PALUMBO, ROMANI, ROSSETTO,

VITO, DELL'ELCE, CRIMI, SCAJOLA

Nuovo ordinamento dei gradi di istruzione

Presentata il 18 dicembre 1997

ONOREVOLI COLLEGHI! - Ai sistemi formativi dei Paesi più sviluppati sono rivolte domande sempre più esigenti. Ad essi è richiesto di: formare alla cittadinanza; preparare al lavoro; far accedere all'istruzione superiore l'intera popolazione e non soltanto un'élite, favorendo in tutti i modi l'eguaglianza delle opportunità e la mobilità sociale verso l'alto: costruire le classi dirigenti; fornire impulso allo sviluppo economico; conferire all'educazione i caratteri di un'attività che dura tutta una vita (life long learning for all).

Nei Paesi membri dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), i Ministri dell'educazione riunitisi a Parigi nel 1996 hanno chiesto di monitorare gli sviluppi nelle politiche scolastiche dei Paesi membri, onde individuare più chiaramente i progressi in questo campo. Ma se è relativamente facile descrivere l'espansione dei sistemi scolastici evidenziando gli accresciuti tassi di scolarità, assai più difficile è stabilire se simili investimenti riescano a sortire gli effetti desiderati.

I milioni di giovani in più che frequentano le aule scolastiche ed universitarie per un numero più elevato di anni affrontano con una migliore preparazione l'ingresso nel mondo degli adulti e del lavoro?

E le condizioni in cui quest'ingresso si realizza sono tali da indurli a protrarre la propria educazione per l'intero arco della vita ?

In realtà, le opinioni pubblichi, i governi, gli operatori, sono consapevoli dell'inadeguatezza della maggior parte dei modelli formativi tuttora operanti.

Le ragioni sono ormai note.

Istituzioni, organizzazioni, culture pedagogiche sono state create e si sono sviluppate all'interno di un modello produttivo, economico e sociale pervasivo, che si suole designare come " fordista " e di un modello di stato, che si suole designare come welfare state.

Tempo di vita e tempo di lavoro, età della formazione ed età del, lavoro, ruoli dirigenti e, ruoli esecutivi, contenuti formativi d'eccellenza e contenuti formativi professionalizzanti, tutto era scandito secondo gerarchie e cadenze stabili e prevedibili.

Quest'insieme " bene ordinato " sta crollando sotto la spinta dei mutamenti produttivi, economici e sociali indotti dalla globalizzazione e per effetto delle trasformazioni profonde cui il welfare state è stato costretto.

I mutamenti hanno sconvolto ruoli, contenuti, tempi, rapporti tra le generazioni.

Torna una domanda radicale: a che serve la scuola ?

Il rapido propagarsi della società dell'informazione nel mondo ha scatenato una bufera di cambiamenti. Le reazioni sono tuttora contraddittorie. Il nostro Paese, insieme all'Europa, è stato colto alla sprovvista: ci troviamo di fronte ad un continente in evidente squilibrio, che presenta i sintomi di un lento e difficile adattamento.

Non c'è tempo per una lenta riconversione delle mentalità europee.

Il continente americano e le economie emergenti del Pacifico non perdono tempo ad assumere quel protagonismo che gli europei hanno avuto per Secoli, ma che ora stentano sempre più a mantenere.

E' in fase di incubazione una nuova geopolitica della conoscenza e dell'informazione, con conseguenze rivoluzionarie sugli assetti mondiali dell'influenza e del potere.

Restano sempre meno dubbi sul fatto che il primo posto sarà riservato a coloro che avranno saputo dare libero corso all'intelligenza, alla creatività e allo spirito d'iniziativa.

La conoscenza non sottostà a frontiere politiche o amministrative.

La globalizzazione appare quindi un rischio enorme per gli europei: il declino della loro influenza nel mondo.

La scuola italiana non fa eccezione alla condizione generale di crisi.

Tuttavia, vi partecipa secondo proprie specifiche caratteristiche e per proprie specifiche cause, sia sotto il profilo della qualità dei risultati che della quantità.

Quanto alla qualità: è difficile fare un confronto con gli altri Paesi, perché nei rapporti OCSE degli ultimi anni mancano i dati italiani. A differenza degli altri Paesi non abbiamo ancora un servizio nazionale di valutazione in grado di effettuare questo tipo d'analisi. In ogni caso, desta preoccupazione il dislivello rilevato nei risultati degli studenti in matematica e nelle scienze.

Ad un estremo della scala, più di tre quarti dei ragazzi giapponesi e coreani che frequentano la terza media ottengono in matematica voti che si collocano al di sopra della media OCSE.

All'altro estremo, persino alcuni fra i ragazzi che fanno parte del 25 per cento degli studenti migliori del Portogallo non riescono ad eguagliare tali medie. E non si può continuare a non considerare che le prestazioni degli studenti più brillanti in matematica e nelle scienze rappresentano la premessa di una possibile partecipazione di quel Paese al pool dal quale emergeranno i matematici, gli ingegneri e gli scienziati di domani. Per contro, un'elevata quota di studenti che realizzano un profitto scadente deve ingenerare la preoccupazione che una notevole proporzione di futuri cittadini contribuenti ed elettori non sarà in grado dì comprendere, come dovrebbe, concetti e formulare giudizi informati all'interno del mondo d'oggi.

Considerazioni di questa natura impongono un impegno di tipo nuovo nelle politiche scolastiche pubbliche dei governi: non più il puro controllo delle risorse e dei contenuti dell'istruzione, bensì l'attenzione puntata sui risultati.

Dal punto di vista della quantità, invece, la scuola italiana " disperde " al livello del diploma circa il 50 per cento della generazione in età, al livello della laurea circa il 90 per cento.

Alla dispersione si deve aggiungere il fenomeno dell'evasione dell'obbligo, soprattutto al Sud, e quello della fuga dal post-obbligo, soprattutto al Nord.

Queste medie ci collocano molto al di sotto della. media OCSE. Per non parlare dei nostri diretti partner e concorrenti economici: USA, Germania, Gran Bretagna e Francia. Se la media OCSE è del 70 per cento dei diplomati e in Germania raggiunge il 90 per cento, la produttività della nostra scuola è certamente molto bassa.

Le cause della dispersione scolastica si possono ricondurre alla rigidità dei percorsi scolastici, al centralismo politico -amministrativo, alla cultura pedagogica dominante, fondata sulla centralità dell'insegnare, invece che su quella dell'apprendere.

Le cause dell'evasione e soprattutto della fuga si devono, al Nord, alla spinta delle famiglie verso il lavoro subito e purchessia, al Sud a condizioni di povertà economica e deprivazione culturale.

Il crescente tasso di scolarizzazione rende più gravoso l'impegno finanziario a carico dei governi e delle famiglie che prendono parte al finanziamento dell'istruzione. Tale costo aggiuntivo è tanto maggiore in quanto gli studi successivi alla scuola dell'obbligo, ormai generalizzati in tutti i Paesi, prevedono costi per studente solitamente ben superiori a quelli delle scuole elementari e medie. A fronte di questa situazione non si è tuttavia verificato un aumento nelle spese d'investimento dei governi in relazione al prodotto interno lordo, in quanto contestualmente si è verificata la diminuzione di alunni nella scuola dell'obbligo per il calo demografico.

Tuttavia, anche rispetto a quest'aspetto, quello delle risorse, sono molto istruttivi i confronti internazionali. Infatti, le risorse investite in Italia sono in linea con quelle degli altri Paesi: circa 80 miliardi all'anno con i seguenti costi per singolo alunno nei diversi ordini di scuola:

scuola materna lire 4.900.031;

scuola elementare lire 6.602.304;

scuola media lire 7.720.711;

scuola secondaria superiore lire7.322.919;

tutti i livelli di istruzione, comprese le spese non distribuite lire 7.322.372.

(Fonte: elaborazione Ufficio Sistan del Ministero della pubblica istruzione su dati del Ministero del tesoro, del Ministero della pubblica istruzione e dell'ISTAT1997).

E' un'anomalia, invece, il loro impiego, poiché vanno per il 95 per cento in stipendi, contro il 70 per cento della media OCSE. Questo significa che la scuola italiana non fa investimenti. Occorre dunque un mutamento radicale.

Non bisogna dimenticare d'altra parte, che, per essere funzionali, i sistemi scolastici hanno bisogno soprattutto di insegnanti molto qualificati e motivati.

Gli indicatori internazionali dell'istruzione mostrano che i Paesi OCSE investono una consistente quantità di risorse umane nell'educazione. Il nostro Paese presenta tuttavia un notevole esubero: un docente ogni dieci allievi, mentre la media OCSE è di un docente ogni diciassette alunni. In compenso sono pagati poco e male con un appiattimento inaccettabile.

La causa principale di questa situazione va cercata nei contenuti delle politiche sindacali fin qui proposte da una classe politica complice: in quel circolo vizioso che da decenni si alimenta attraverso le azioni sindacali, la demagogia studentesca, l'assistenzialismo.

In ogni caso nessuna riforma potrà funzionare se non si ripensa lo stato giuridico del personale docente e dirigente.

Complessivamente, dunque, la risposta alle sfide della globalizzazione richiede una ridefinizione dei fini che la società attribuisce ai sistemi formativi.

Ciò che appare di primaria importanza per un sistema formativo è, dal nostro punto di vista, l'apprendimento della libertà: assumersi responsabilità, fare scoperte, costruire attivamente la propria identità attiva e creatrice. Occorre una pedagogia della scelta. In secondo luogo, l'apprendimento della complessità: ridurre, filtrare, connettere, comprendere la logica, governare. Non basta accumulare indefinitamente le conoscenze. Occorre una pedagogia fondata sulle nuove scienze cognitive.

In terzo luogo l'apprendimento della relazione: cooperare, comunicare, ascoltare.

Occorre una pedagogia della relazione.

Questi fini non sono realizzati nell'attuale sistema formativo, perché non sono ancora stati proposti come tali. Né, d'altronde, è possibile realizzarli all'interno delle attuali istituzioni formative, proprio perché sono mezzi per altri fini. Le istituzioni formative continuano ad essere ispirate a logiche gerarchiche, all'accumulo indefinito di conoscenze, all'ascolto passivo. Si continua a formare alla cittadinanza e al lavoro per una società civile e un'economia che stanno scomparendo.

E' evidente che esiste un legame assai stretto tra la cultura nazionale e la cultura pedagogica del Paese: la prima non ha ancora elaborato le sfide della globalizzazione, la seconda è perciò arretrata.

Quali siano le riforme necessarie si legge in controluce nelle analisi che sono state appena fatte circa le ragioni della crisi.

Occorre rovesciare la filosofia formativa della scuola fondata sull'unicità del percorso formativo e sul primato assoluto della funzione docente.

Al centro del processo formativo deve stare il soggetto che apprende e si forma, nella concretezza della sua condizione sociale, culturale, ambientale.

La scuola deve prevedere, per questo, in ogni suo grado, larghi margini di opzione, deve articolare l'onnicomprensività, deve adottare "la pedagogia del successo", valorizzando attitudini e interessi. Occorre pertanto una nuova strutturazione dell'apparato formativo, che preveda un minimo comune denominatore di strumenti culturali, sufficiente per muoversi nella società contemporanea, e una pluralità di percorsi flessibili e di curricula ai quali i giovani possano accedere consapevolmente.

Dunque: un nuovo ordine dei cicli, una ridefinizione dei programmi, nuove tecniche di apprendimento e di insegnamento, ma prima ancora un nuovo assetto istituzionale e amministrativo sia del sistema nazionale dell'istruzione che dei singoli istituti scolastici.

Altro punto qualificante di una vera riforma del sistema scolastico resta, dal nostro punto di vista, l'abolizione del valore legale del titolo di studio che sposta l'attenzione dalla certificazione burocratica alle reali competenze acquisite dagli alunni nei singoli istituti.

Oggi in Italia, in materia di istruzione, tutto è ingessato perché, con il valore legale del titolo di studio, l'offerta è unica in tutto il Paese e per tutti i destinatari: quella decisa e pianificata da parte del Ministero della pubblica istruzione.

Al contrario, solamente il pluralismo dell'offerta formativa permette una risposta corretta alla domanda e alla libertà di scelta degli aventi diritto. Ne esce rafforzato il compito della Repubblica, che è di dettare le norme generali sull'istruzione, statale e non statale, pubblica e privata; e dello Stato, che è di garantire i cittadini facendo osservare le norme.

Le scuole di Stato, finalmente autonome dall'ente che le istituisce, sono chiamate, d'ora in avanti, a progettare l'offerta in risposta alla domanda, non in attuazione della pianificazione del Ministro, ma in base alla committenza sociale, visto che le risorse provengono, attraverso l'imposizione, dai privati cittadini.

In questo modo esisteranno scuole secondo modelli autonomi, cioè un pluralismo di scuole con il relativo pluralismo dell'offerta e la responsabilità dei risultati.

Allo Stato competerà la valutazione degli stessi.

La presente proposta di legge si prefigge l'obiettivo di ridisegnare il nuovo sistema scolastico che dovrà ad un tempo potenziare e rinnovare la dimensione culturale, professionale e nazionale degli studenti e favorire il radicamento locale della scuola, proprio di uno Stato federale.

Centralità dello studente e competitività dell'intero sistema scolastico sono le due direttrici di fondo di una strategia scolastica globale che indichiamo come necessità prioritaria del nostro Paese.

La scuola deve dunque porre al centro della propria azione la " persona ". Si istruisce per educare. Per questo la scuola deve partire da un progetto intenzionalmente rivolto alla promozione totale della persona. La scuola non può ridursi ad un luogo di accumulo delle conoscenze, ma deve offrire " significati ".

E' inoltre importante che la scuola recuperi il posto e il ruolo che dovrebbe avere nel contesto attuale in rapporto alle altre istanze educative, prima fra tutte la famiglia che è titolare del diritto -dovere dell'istruzione dei propri figli. La scuola non deve essere, insomma, un'istituzione totalizzante, ma, al contrario, deve dialogare con tutte le realtà, interagendo con esse.

Vanno rivisti e aggiornati i programmi di studio, che dovranno fare riferimento a pochi e approfonditi saperi, evitando il sovraccarico quantitativo di informazione. Va recuperato un modello culturale che eviti il pericolo rappresentato da un sistema sommatorio di un sapere illusoriamente enciclopedico.

Un'attenzione particolare va data al rapporto della scuola con il mondo del lavoro; tale rapporto deve divenire organico e sinergico.

A tempo che nasca anche nel nostro Paese un sistema duale della formazione che riabiliti e valorizzi adeguatamente la formazione professionale.

Sulla base degli orientamenti espressi, proponiamo una riforma dei gradi scolastici che comprende:

la scuola dell'infanzia (anni 3-6);

la scuola di primo grado (anni 6-10);

la scuola di secondo grado (anni 10-14);

la scuola di terzo grado (anni 14-18).

L'obbligo scolastico è previsto dai sei ai sedici anni e interessa in modo differenziato ed articolato i tre gradi scolastici. La scuola dell'infanzia resta fuori dall'obbligo perché noi riteniamo che almeno fino a sei anni debba essere privilegiato il rapporto con la famiglia e non con lo Stato.

La scuola di base è stata immaginata di quattro anni di istruzione elementare più due anni di consolidamento nella scuola di secondo grado. Si dà vita ad un secondo canale di formazione, quello della formazione professionale, di pari dignità del canale dell'istruzione. La scuola superiore, composta da due bienni, mantiene la propria specificità di indirizzo e la caratteristica di scuola di approfondimento culturale. Il corso di studi si conclude a diciotto anni. Dopo il diciottesimo anno si apre un ventaglio di offerte formative, della durata più o meno lunga, da spendere sia nell'università che nell'istruzione post-secondaria o nei corsi di formazione professionale.

L'obiettivo prioritario di questa proposta di legge è quello di consentire il passaggio: dalla centralità delle discipline alla centralità dell'alunno; dalla centralità della scuola alla centralità del territorio; dalla centralità delle nozioni alla centralità della cultura come approccio ai problemi della vita e come palestra di libertà; dalla centralità della burocrazia alla centralità dell'efficienza e dell'efficacia del sistema, attraverso una pari dignità tra i gradi scolastici e tra questi e i soggetti statali e non statali coinvolti nel sistema formativo.

Rispetto alla formazione professionale non possiamo fare a meno di evidenziare che il modello italiano è rimasto l'unico in Europa che non si è posto in sintonia con lo sviluppo industriale e con le nuove logiche della società complessa in cui viviamo. Sicché la formazione professionale è rimasta, nel nostro sistema scolastico, isolata, in una posizione subalterna e di emarginazione, sino a porsi come alternativa finale di ripiego -rispetto a fenomeni che purtroppo caratterizzano negativamente il nostro sistema scolastico (evasione, dispersione, insuccessi).

L'idea che l'istruzione e la formazione professionale siano qualcosa che sta " al servizio di " o che sono " strumentali a ", cioè qualcosa di subalterno, di inferiore, di sottoposto, di subordinato, è radicata storicamente. Intendiamo dire che è parte della storia del sistema scolastico italiano. Il sistema scolastico secondario, infatti, è nato più di cento anni fa in maniera dicotomica, cioè con una netta divaricazione tra l'istruzione classica e l'istruzione tecnica. La spaccatura. tra i due ordini di scuola fu aspramente criticata fin dall'inizio. Ma rimase nell'ordinamento e permane tuttora nella percezione comune anche degli uomini di cultura. Sul gradino superiore stanno i licei. Su quelli inferiori stanno prima gli istituti tecnici e poi, via via, gli istituti professionali e la formazione professionale. Una vera e propria gerarchia, non solo, e non tanto di prestigio, ma soprattutto di natura, di essenza, di qualità. Nel nostro Paese, insomma, la formazione professionale è stata percepita come percorso di pari dignità culturale e pedagogica rispetto a quello scolastico solo da coloro che l'hanno vissuta (enti, docenti, studenti, famiglia). Di questa concezione paritaria, invece, non c'è traccia nei documenti legislativi in vigore, né nelle proposte di riforma del " Governo Prodi ". La formazione professionale sembra ridotta a schiava della scuola nel documento governativo sul " riordino dei cicli scolastici " e a serva del lavoro nel pacchetto che contiene le " norme in materia di promozione dell'occupazione ". Si tratta, in entrambi i casi, di visioni riduttive e penalizzanti della formazione professionale.

L'ipotesi della formazione professionale, cosi come si evince dalla nostra proposta, al contrario, raccoglie le indicazioni OCSE per creare un sistema nel quale: vi sia meno separazione, nei singoli programmi, tra le forme di insegnamento a impostazione generale e quelle orientate all'avviamento a specifici settori professionali; il fatto di seguire un indirizzo di studi non osti il fatto di seguirne un altro; una volta compiuta la transizione al lavoro, le persone si vedano offrire possibilità di riprendere gli studi a pieno tempo, nonché di seguire percorsi di istruzione e formazione permanente a tempo parziale; i certificati e i diplomi siano trasferibili da un particolare contesto del sistema scolastico ad un altro; esistano meccanismi di finanziamento che, facilitando l'accesso da parte di categorie in condizioni svantaggiate, consentano loro di non interrompere l'istruzione e la formazione.

Il sistema proposto è, per questo, duale nel senso di una effettiva compenetrazione ed interazione tra i due aspetti (culturale e professionale) ed è innovativo nel senso che per la prima volta, nel ridisegnare la scuola italiana, si pongono sullo stesso piano lo studio e il lavoro.

La presente proposta di legge si compone di 13 articoli.

L'articolo 2, comma 1, propone l'articolazione di gradi scolastici che va dalla scuola dell'infanzia (dai 3 ai 6 anni), prosegue con la previsione di tre gradi di istruzione successivi e si conclude con l'opzione tra una prosecuzione di studi in ambito universitario o un percorso di formazione professionale permanente.

I commi 2 e 3 dell'articolo 2 prevedono la possibilità di utilizzare moduli di formazione professionale previo convenzionamento con i soggetti fornitori a partire dal secondo biennio dalla scuola di secondo grado (comma 2), nonché la possibilità di raccordo dei percorsi formativi con l'apprendistato a partire dal secondo biennio della scuola di terzo grado (comma 3).

L'obbligo scolastico è previsto in dieci anni che vanno dai sei ai sedici anni (articolo 3, comma 1) e si computano indipendentemente dalle progressioni nelle classi di studio (articolo 3, comma 2) mentre nessun obbligo scolastico è previsto nella scuola dell'infanzia (articolo 3, comma 3).

Particolarmente degno di nota è il testo di cui all'articolo 4 che, occupandosi degli handicappati, prevede espressamente il diritto di costoro di frequentare corsi di studio di ogni ordine e grado al fine di favorirne il pieno inserimento nella società e nel mondo del lavoro. Gli articoli che vanno dal 5 all'8 prevedono espressamente in quale modo si debbono orientare gli studi che vanno dalla scuola dell'infanzia (articolo 5) al compimento della scuola di terzo grado (articolo 8).

Il successivo articolo 9 detta invece i criteri ai quali deve essere ispirata la formazione professionale che avviene nell'ambito della scuola di terzo grado. L'articolo 10 si occupa delle valutazioni finali, prevedendo che l'esame finale della scuola di terzo grado è affidato ad uno scrutinio interno alla scuola con presidente della commissione esterno il quale svolge esclusivamente funzioni di vigilanza e di controllo sulla correttezza degli atti (articolo 10, comma 1). Lo stesso articolo 10 prevede al comma 3 l'istituzione del "servizio nazionale di valutazione e certificazione scolastica" e stabilisce i principi direttivi a cui questo organismo deve conformarsi nell'esprimere le sue valutazioni. Per l'accesso all'università la valutazione di idoneità potrà essere delegata anche a quest'ultima (articolo 10, comma 2).

I crediti formativi di cui all'articolo Il rappresentano oltreché un grosso elemento di novità un valido strumento che spiega la complementarità tra i canali di formazione e professionali. La disamina del presente articolato si chiude con l'articolo 12 che prevede la formazione permanente, ovverosia l'istituzione presso tutte le scuole di ogni ordine e grado di corsi di formazione per adulti che potranno riguardare anche l'attuazione di indirizzi comunitari. Il quadro normativo qui di seguito proposto rappresenta quindi uno sforzo coerente con le esigenze in esso rappresentate, al passo con i tempi ed in linea con la necessità della società italiana di costruire uomini nuovi per una società nuova, indirizzata alla ricerca del bene comune e alla tutela dei principi fondamentali del nostro ordinamento.

 

PROPOSTA DI LEGGE

ART. l.

(Finalità).

1. L'istruzione e la formazione sono servizi di preminente interesse nazionale finalizzati alla crescita e alla valorizzazione della personalità, della cultura e della professionalità di ogni cittadino ed allo sviluppo della autonomia di giudizio e della capacità di analisi critica come premessa indispensabile per lo sviluppo della coscienza democratica e della libertà.

2. I servizi di istruzione e formazione possono essere assicurati da enti o strutture di natura pubblica o privata in condizioni di pari dignità e nel rispetto delle norme generali sull'istruzione dettate dalla Repubblica.

3. A riconosciuto agli studenti, se maggiorenni, ovvero ai genitori o a chi ne fa le veci, il diritto di scegliere liberamente l'istituzione scolastica ed educativa che soddisfa meglio le loro aspirazioni educative, nel rispetto dei valori fondamentali della Costituzione.

ART. 2.

(Articolazione dei gradi di istruzione).

l. Il sistema di istruzione e formazione è articolato nel modo seguente:

a) scuola dell'infanzia, della durata di tre anni;

b) scuola di primo grado, della durata di quattro anni;

c) scuola di secondo grado, della durata di quattro anni, suddivisa in un primo biennio finalizzato al completamento dell'istruzione di base ed in un secondo biennio dedicato all'orientamento;

d) scuola di terzo grado, della durata di quattro anni, suddivisa in un biennio formativo di base ed in un biennio di approfondimento ed articolata in scuola superiore e formazione professionale;

e) apprendistato;

f) istruzione universitaria;

g) formazione permanente.

2. A decorrere dal secondo biennio della scuola di secondo grado è possibile utilizzare moduli di formazione professionale previo convenzionamento con i soggetti formatori.

3. A decorrere dal secondo biennio della scuola di terzo grado è possibile raccordare i percorsi formativi con l'apprendistato.

ART. 3.

(Obbligo scolastico).

l. L'obbligo scolastico ha la durata di dieci anni a partire dal sesto anno di età e si articola nella frequenza della scuola di primo grado, della scuola di secondo grado e del primo biennio della scuola di terzo grado.

2. L'obbligo scolastico si intende assolto con la semplice frequenza decennale indipendentemente dalle progressioni nelle classi di studio.

3. La scuola dell'infanzia è facoltativa.

4. L'istruzione dell'obbligo è gratuita per tutti, indipendentemente dalla natura dell'ente gestore della scuola frequentata. Lo Stato, di intesa con le regioni e gli enti locali, promuove interventi diretti a garantire la frequenza della scuola dell'obbligo con provvidenze mirate ad alleviare situazioni di disagio personale, familiare e socio -economico.

ART. 4.

(Diritti dei portatori di handicap).

l. Deve essere garantita agli handicappati la frequenza dei corsi di studio di ogni ordine e grado, indipendentemente dalla natura dell'ente gestore, al fine di favorirne il pieno inserimento nella società e nel mondo del lavoro.

ART. 5.

(Scuola dell'infanzia).

l. La scuola dell'infanzia, in costante sostegno e proseguimento dell'azione educativa delle famiglie e nel rispetto del loro progetto educativo, ha il compito di creare le condizioni per il migliore sviluppo intellettuale, cognitivo e affettivo dei bambini di età compresa tra i tre e i sei anni; devono essere altresì promosse le potenzialità creative e la socializzazione con particolare attenzione alla compensazione di eventuali svantaggi iniziali.

2. Sono assicurate forme di raccordo con gli asili nido, e, nell'ultimo anno, collegamenti con la scuola di primo grado.

ART. 6.

(Scuola di primo grado).

1. La scuola di primo grado si articola in un quadriennio che va dal sesto al decimo anno di età.

2. La scuola di primo grado ha la funzione di assicurare ai fanciulli l'alfabetizzazione e le conoscenze elementari in campo aritmetico, naturalistico e umanistico nonché l'acquisizione della conoscenza elementare di una lingua straniera; devono essere favorite la formazione della personalità e lo sviluppo di capacità critiche degli alunni.

3. Obiettivo fondamentale della scuola di primo grado è l'acquisizione delle conoscenze di base indispensabili per poter poi procedere agli approfondimenti nelle scuole di grado successivo.

ART. 7.

(Scuola di secondo grado).

l. La scuola di secondo grado ha la durata di quattro anni e va, di norma, dal decimo al quattordicesimo anno di età; la scuola di secondo grado si articola in un primo biennio dedicato al consolidamento dell'istruzione di base attraverso gli apprendimenti disciplinari ed in un secondo biennio con possibilità di utilizzare i moduli della formazione professionale, anche tramite convenzioni tra vari soggetti formatori pubblici e privati. Nell'intero quadriennio deve essere previsto l'insegnamento di una lingua straniera.

2. Nel primo biennio si approfondiscono gli insegnamenti fondamentali delle discipline delle grandi aree umanistica, scientifica, tecnologica ed artistica, con la funzione di consolidare le conoscenze e le capacità acquisite nella scuola di primo grado.

3. Nel secondo biennio, accanto all'approfondimento degli insegnamenti fondamentali, si dedica adeguato spazio alle discipline specifiche dell'indirizzo prescelto, al fine di consentire il conseguimento di conoscenze specifiche e di consentire la verifica della validità della scelta di indirizzo effettuata.

ART. 8.

(Scuola di terzo grado).

l. La scuola di terzo grado ha la durata di quattro anni e va, di norma, dal quattordicesimo al diciottesimo anno di età; si articola in un primo biennio di scuola superiore o di formazione professionale di primo livello ed in un secondo biennio di scuola superiore post-obbligo o in un secondo biennio di formazione professionale di secondo livello.

2. Nel primo biennio si approfondiscono ulteriormente le materie di base e quelle di indirizzo fondamentali al fine di assicurare agli studenti un'adeguata maturazione culturale e le indispensabili conoscenze specialistiche connesse all'indirizzo prescelto. In alternativa, può essere prescelto il canale della formazione di primo livello che deve in ogni caso contenere accanto ad insegnamenti tecnico -specialistici un ulteriore approfondimento delle materie culturali fondamentali.

3. Nel secondo biennio si approfondiscono le conoscenze culturali di base nonché quelle dell'indirizzo prescelte o, in alternativa, si accede o si prosegue nel canale della formazione professionale di secondo livello.

4. Nel primo biennio e nel primo anno del secondo biennio deve essere garantita la possibilità di passare da un indirizzo ad un altro e dalla scuola superiore al canale di formazione professionale e viceversa, attraverso percorsi o moduli didattici fissati dall'organo di amministrazione.

5. In tutto il quadriennio ed in entrambi i canali formativi deve essere impartito l'insegnamento approfondito di almeno una lingua straniera e delle tecniche informatiche di base.

6. Nel secondo biennio sono assicurate per le materie fondamentali di indirizzo esercitazioni pratiche ed esperienze di formazione lavorativa anche mediante alternanza scuola -lavoro e alternanza studio lavoro.

ART. 9.

(Formazione professionale).

1. La formazione professionale e l'ambiente di lavoro, in sinergia con la scuola, sono necessari perché l'alunno pervenga all'acquisizione di competenze. Nell'ambito della scuola di terzo grado la formazione professionale è articolata secondo le seguenti linee guida:

a) sostanziale coerenza e continuità tra le forme d'insegnamento ad impostazione generale e quelle orientate all'avviamento a specifici settori professionali;

b) possibilità di seguire anche insegnamenti appartenenti ad indirizzi diversi da quello prescelto al fine di conseguire arricchimenti cultura e professionali;

c) collegamento ed integrazione con l'apprendistato;

d) possibilità di rientrare nel circuito della formazione professionale anche dopo l'inserimento nel mondo del lavoro per seguire percorsi di istruzione e formazione permanenti anche a tempo parziale;

e) possibilità di spendere i crediti certificati da un particolare contesto del sistema scolastico ad un altro;

f) previsione di meccanismi di finanziamento del diritto allo studio che facilitino l'accesso da parte di categorie in condizioni svantaggiate consentendo di intraprendere o di non interrompere l'istruzione e la formazione.

ART. 10.

(Valutazioni finali).

1. L'esame finale della scuola di terzo grado è affidato ad uno scrutinio da parte di una commissione interna alla scuola stessa, presieduta da un presidente esterno con funzioni di controllo della correttezza delle operazioni.

2. La certificazione del livello di conoscenza necessario per l'accesso all'università, agli uffici pubblici ed al mondo delle professioni è affidato rispettivamente alle università ed al servizio nazionale di valutazione e certificazione di cui al comma 3.

3. Il Governo della Repubblica è delegato ad istituire con proprio decreto, da emanare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, previo parere delle competenti Commissioni parlamentari, il servizio nazionale di valutazione e certificazione scolastica secondo i seguenti principi e criteri direttivi:

a) assoluta indipendenza;

b) garanzia di alta qualità e professionalità dei responsabili e delle metodologie;

c) utilizzazione preminente di criteri obiettivi e di valutazioni del rapporto costi benefici;

d) partecipazione di università ed ordini professionali e di una rappresentanza non maggioritaria di organi governativi.

ART. 11.

(Crediti formativi).

l. La frequenza positiva di ogni anno della scuola di terzo grado dà diritto al riconoscimento di un credito formativo, specificato in competenze acquisite, che può essere fatto valere per la ripresa di studi eventualmente interrotti e per il passaggio tra i diversi canali di formazione: istruzione superiore e formazione professionale, oltre che per l'inserimento nel mondo del lavoro.

ART. 12.

(Formazione permanente).

1. Devono essere previsti presso le istituzioni scolastiche di ogni grado corsi di formazione per adulti anche nel quadro dell'attuazione di indirizzi comunitari.

ART. 13.

(Regolamento di attuazione).

1. Il Governo della Repubblica emana, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, il regolamento di attuazione della presente legge.