Innovazione educativa

Di Mario Fierli

Da Iter maggio-agosto 98 ed. Treccani


Introduzione.

Innovazione e contesto sociale.

Aspetti tecnici e implicazioni cognitive.

Educazione e cultura tecnologica.


 

Introduzione.

Nel nostro paese e nel resto del mondo industrializzato si stanno sviluppando, come è noto, politiche attive per l'introduzione delle tecnologie nei sistemi scolastici. Il Programma di Sviluppo delle Tecnologie Didattiche (PSTD) del Ministero della Pubblica istruzione costituisce uno dei più vasti e organici sforzi in questa direzione.

Tecnologia è uno dei termini chiave del tema affrontato nel Dossier di questo numero. Esiste un uso limitativo di questo termine, risultato di una deriva linguistica principalmente avvenuta nel gergo socio economico, secondo il quale le tecnologie sono semplicemente le macchine e gli strumenti. t invece indispensabile, almeno nel nostro caso, accogliere quel significato più ampio, suggerito dall'etimologia, che include tanto gli strumenti quanto la struttura concettuale che ne governa l'uso e il progetto.

La multimedialità, l'altro termine chiave, allude alla pluralità e alla sovrapposizione dei linguaggi della comunicazione e dell'elaborazione intellettuale, ma anche, inevitabilmente, degli strumenti che le rendono possibili e necessarie.

Spesso i due termini vengono usati indifferentemente l'uno al posto dell'altro, mentre è ovvio che fra tecnologia e multimedialità vi è un'intersezione, ma non un'identità di significato. Quindi il problema delle tecnologie nell'educazione e quello della multimedialità nell'educazione sono connessi, ma diversi. Come cercheremo di mostrare è anche poco utile porre i due ambiti in alternativa, poiché ambedue sono essenziali. Mentre è legittimo domandarsi se essi pongano gli stessi problemi curricolari e didattici o problemi diversi. In questo contributo assumiamo il termine tecnologia come punto di partenza, anche se la tematica in discussione, come ogni reticolo concettuale, ammette altri legittimi punti d'ingresso. Come vedremo, d'altra parte, il punto di vista della tecnologia e, nel caso specifico, quello delle Tecnologie dell'Informazione e della Comunicazione (Tic) non impediscono affatto di cogliere la complessità del problema.

 Innovazione e contesto sociale.

Come succede che una nuova tecnologia venga adottata in un dato contesto sociale? Questa domanda è il punto di partenza di ogni analisi dell'innovazione tecnologica. Ma l'analisi è ancora più interessante e piena di suggestioni quando si esamina quello che succede dopo che una tecnologia è stata adottata e come procede l'interazione fra sviluppo delle tecnologie e cambiamenti sociali e culturali.

Esistono diversi modelli di spiegazione dell'innesco di un'innovazione tecnologica. Alcuni propongono lo stato complessivo, economico e culturale, di una società in un dato momento come determinante della stessa nascita, e quindi dello sviluppo di una tecnologia. Altri, simmetricamente, collocano la nascita di una tecnologia come fatto autonomo del progresso scientifico tecnologico e cercano poi di spiegare i motivi per i quali la proposta tecnologica ha o non ha successo sociale.

Nei casi più semplici si ricorre a una spiegazione basata sulla convenienza: dove una nuova tecnologia mostra in modo assai evidente un vantaggio pratico economico (risparmio di fatica, di tempo o di denaro, maggiore produttività, migliore qualità ed efficacia), nasce facilmente la motivazione ad accettare lo sforzo (anche psicologico) sempre necessario per adottarla.

Ma, nella maggior parte dei casi, anche in realtà ben definite in termini economico produttivi, come le imprese, la spiegazione economicistica appare insufficiente. Altri fattori entrano costantemente in gioco, come la ricerca di un'immagine migliore di sé, l'imitazione, le ideologie prevalenti, ma anche la voglia di esplorare e l'atteggiamento ludico. Essi possono giocare in positivo, come conquista, ma anche in negativo, quando l'uso di una tecnologia crea standard di comportamento il cui non rispetto crea sanzioni: si pensi, per esempio, al fatto che, in un periodo relativamente breve, la presentazione di un documento ben confezionato o di una serie di immagini è passata dalla fase di adozione da parte dei 'primi della classe' a quella di stile professionale che ogni relatore o formatore di un certo livello deve rispettare. Questi fattori di tipo culturale hanno un'evidente rilevanza nel caso delle Tic perché queste, più delle altre tecnologie, hanno un alto grado di iterazione con la sfera cognitiva e degli atteggiamenti. Un caso limite, su cui è interessante riflettere, è quello dell'adozione di innovazioni nell'arte (per esempio, nella musica e nella grafica) dove le motivazioni di convenienza sono applicabili alla produzione industriale (le registrazioni digitali, i cartoni animati), ma non possono spiegare affatto l'adozione di nuove tecniche espressive (la musica elettronica, la creazione di immagini artificiali).

In ultima analisi, dunque, la spiegazione del successo di una tecnologia richiede modelli multifattoriali, all'interno dei quali la convenienza costituisce spesso il 'nocciolo duro', ma va accompagnata nei singoli casi con un insieme di fattori di natura molto diversa. In più in generale, si tende oggi a respingere i modelli di tipo deterministico (per ogni fenomeno d'innovazione sono comunque identificabili le cause) e unidirezionale (la società provoca le innovazioni tecniche o, viceversa, le innovazioni tecniche cambiano la società), a vantaggio di modelli non deterministici e basati sulla reciprocità dei due aspetti. Ci si può a questo punto domandare: è legittimo parlare d'innovazione tecnologica dell'educazione? E, in questo caso, in cosa consiste e quali sono i fattori che la fanno sviluppare? Che si possa parlare di 'innovazione tecnologica' dell'educazione sembra pacifico, visto che è legittimo parlarne per ogni altro ambito socio culturale (incluso, come si è visto, quello delle arti). Per essere chiari fino in fondo, però, e per togliere qualche preoccupazione, diamo al concetto di innovazione tecnologica un significato antropologico, separandolo da ogni valenza ideologica o di valore. Non afferiamo, per esempio, che l'innovazione tecnologica è di per sé e automaticamente progresso dell'educazione.

Temiamo, per un momento, ai modelli di spiegazione dell'innovazione. Quelli basati sulla convenienza, nonostante gli innumerevoli sfoi7.i che da almeno trent'anni compie la ricerca sulle tecnologie educative per dimostrare la maggiore efficacia dell'apprendimento da esse mediato, sembrano essere i meno adatti al caso dell'innovazione educativa. Salvo forse che in alcuni casi di addestramento, infatti, la motivazione principale non è mai quella di 'risparmiare' qualche risorsa (tempo, denaro). Eventualmente c'è una certa fiducia nella possibilità di fornire una migliore qualità dell'istruzione, ma, per fortuna, le motivazioni principali stanno soprattutto sul versante della curiosità e dell'esplorazione intellettuale.

Aspetti tecnici e implicazioni cognitive.

Più che formulare un catalogo o una teoria vediamo alcuni aspetti rilevanti dell'innovazione tecnologica nell'educazione.

e domandiamoci in che modo le tecnologie possono ti della loro partecipazione alla didattica. E tradizione vo dei mezzi, e l'uso degli stessi per apprendere conoscenze già organizzate. Si tratta di due modalità che vengono spesso percepite come distinte o addirittura alternative: la contrapposizione attivo/passivo è spesso assunta come discriminante pedagogica e, da un altro punto di vista, corrisponde a quella fra 'ambiente' informatico aperto e 'prodotto' chiuso.

C'è una certa artificiosità in questa contrapposizione, che del resto prosegue altre analoghe e tradizionali contrapposizioni pedagogiche: per esempio, lo studio dei testi come passività contro la progettazione produzione come attività. In realtà l'interazione fra il soggetto che apprende, gli strumenti per produrre e il 'già scritto' è più complicata. Senza contare che alcuni strumenti, anche prodotti multimediali commerciali, hanno una doppia natura di 'testo' e di 'ambiente': si pensi ai migliori programmi di simulazione.

Quello che è più importante riconoscere, comunque, è che le Tic, viste in particolare come strumenti, possono interagire in modi molto diversi con tutte le attività intellettuali dello studente.

Si tende talvolta a enfatizzare l'aspetto della comunicazione e dell'uso di linguaggi non verbali. Certamente questo è un aspetto cruciale e include, anzitutto, la capacità pratica di dominare l'offerta di messaggi multimediali per trame le informazioni necessarie alla propria 'sopravvivenza' culturale. Cosa per niente scontata: si pensi solo alla difficoltà di ricavare le informazioni da Internet. E altrettanto importante, naturalmente, la capacità di produrre messaggi usando tecniche multimediali e facendo interagire in modo efficace e/o espressivo i diversi canali comunicativi. Operazione, anche questa, molto meno facile di quanto a volte si pensi: basta osservare come spesso anche costosi prodotti industriali non riescano a proporre una 'simbiosi' convincente di testi/suoni/immagini. Non c'è dubbio, infine, che un'educazione alla fruizione e alla produzione dei messaggi postuli anche un certo livello di riflessione sulla loro natura e, quindi, strumenti adeguati di analisi dei linguaggi.

C'è poi l'altro aspetto di grande novità nella comunicazione, ed è quello delle tecnologie per la comunicazione interpersonale offerte da Internet e dalla video conferenza. Qui entrano in campo metodi capaci di cambiare radicalmente il modo di lavorare, cooperare, conoscersi, stare insieme, a partire dalla sovversione delle regole spazio temporali della comunicazione interpersonale: quello che è lontano diventa vicino, quello che è sincrono può diventare asincrono (come in un forum telematico). Salvo, magari, recuperare, nel caso della posta elettronica, forme quasi desuete, come l'epistolario.

Per quanto importante, però, la comunicazione da e verso gli altri non è il solo aspetto rilevante. Forse gli sviluppi recenti delle reti telematiche e della multimedialità fanno a volte dimenticare che la storia dell'informatica ha proposto altre funzioni strumentali: l'utilizzazione e la scrittura di procedure, il calcolo e la rappresentazione grafica, la raccolta, l'organizzazione, l'elaborazione, l'interrogazione dei dati, la simulazione ecc. Si tratta, cioè, di tutte quelle funzioni che interagiscono con le attività di progetto, di problem solving, di analisi della realtà.

Queste attività non hanno cessato di esistere nell'apprendimento e anzi sono patte essenziale della formazione di base. Non si vede quindi perché, come a volte succede, le tecnologie che le innovano debbano essere ignorate, magari sostenendo che le funzioni di cui qui si parla fanno parte dell'informatica, che riguarda gli specialisti, mentre ciò che conta è solo la multimedialità. Per inciso, si osservi che, almeno in questo caso, assumere la tecnologia come parola chiave non solo non è limitativo, ma addirittura fornisce una visuale più ampia del problema.

Decidere quali strumenti utilizzare è una questione pratica di scelto didattiche che, nelle esperienze di successo, è solo governata da un ragionamento sul rapporto fra mezzi e fini (in questo caso obiettivi di apprendimento). Anche qui, però, l'idea deterministica per cui dai secondi discende, più o meno automaticamente, la scelta dei primi è poco più che un mito. E' vero che se fra i due termini non vi è coerenza non si possono innescare reali esperienze innovative; per questo, si commette un errore, per esempio, quando si adotta uno strumento troppo complicato, che richiede lunghi tempi di addestramento e quindi rimanda il momento dell'utilizzazione pratica. L'analisi delle esperienze di uso, però, dimostra che assai spesso la scelta di un mezzo nasce da un'intuizione, una curiosità, una spinta dell'ambiente, ed è accompagnata dalla voglia di esplorare qualcosa di nuovo, e solo dopo si confronta con gli obiettivi formativi.

Il punto di vista delle tecnologie come strumento viene spesso criticato come limitativo rispetto a una visione più ampia delle tecnologie stesse come portatori di un'epistemologia. Ora non c'è dubbio che, a lungo andare, l'adozione di nuovi strumenti nelle attività intellettuali cambia non solo il tardo di acquisizione e di produzione della conoscenza, ma anche, prima o poi, la struttura stessa del sapere. La tecnologia, cioè, per dirla con uno slogan ben noto, non è neutra rispetto ai contenuti. Il problema però è quello dei tempi in cui si verifica tale cambiamento e delle sue fasi. Talvolta si afferma che occorre chiarire la natura del cambiamento epistemologico prima di iniziare il mutamento strumentale. In questo ragionamento c'è un evidente , perché é evidente che un'adozione cieca di strumenti può portare a un rapido stallo e, in definitiva, all'insuccesso se non si raccorda presto con le trasformazioni culturali più profonde. Tuttavia è illusorio, e a volte semplicemente dilatorio, pretendere di sapere fin dall'inizio e in modo esaustivo quali effetti avrà l'adozione di una tecnologia. La storia delle innovazioni tecnologiche mostra che gli esiti finali sono normalmente imprevedibili e, del resto, anche se fosse possibile prevederli, questo non servirebbe gran che alle scelte immediate. Basti pensare alla natura ingannevole di un tipico ragionamento dei 'venditori di tecnologie' che sono per altro simili a quelli dei 'venditori di futuro': siccome il mondo andrà in questa direzione tu devi adottare questa soluzione (o comprare questo congegno).

Il modello più ragionevole per condurre l'innovazione tecnologica nella scuola sembra essere, dunque, quello che si basa su concrete valutazioni di ciò che è davvero possibile fare 'qui e ora' e sugli effetti attesi a tempo breve, accompagnate da un certo senso della prospettiva a garanzia che le azioni intraprese acquistino significato rispetto al quadro complessivo (culturale, istituzionale, tecnologico) e agli sviluppi più sicuri.

All'interno di questo ragionamento si pone la questione del rapporto fra tecnologie e discipline. Si tratta probabilmente del problema più complesso da risolvere. Il fenomeno prevalente è quello della creazione di 'zone franche' nel curricolo (area di progetto e simili) o addirittura di spazi extracurricolari, nei quali il rapporto con le tecnologie si può dispiegare senza preoccupazioni indotte dai programmi. Si crea, quindi, un corridoio di scorrimento veloce che permette in qualche modo di sviluppare una cultura multimediale negli studenti, ma che, qualche volta, finisce per mettere ancora di più in evidenza la staticità della maggior parte del curricolo e per creare così contraddizioni e veri e propri conflitti.

E problema è dunque quello di una reale integrazione delle tecnologie nei curricoli. Ecco quindi che si crea uno spazio decisionale i cui estremi sono, da una parte, l'idea di un 'addomesticamento' delle tecnologie, mediante la loro introduzione nelle discipline in modo tale da ammodernarne o renderne più efficace l'insegnamento, e dall'altra, l'idea rivoluzionata di spostare il principio formativo stesso dalla logica delle discipline a quello delle epistemologie, che nascono dall'interazione con le tecnologie.

 Educazione e cultura tecnologica.

Probabilmente il problema, in questa fase, è solo quello di ridiscutere le aggregazioni disciplinari e puntare a vaste aree di saperi come, per esempio, si propone nel documento cosiddetto dei Saggi sui contenuti essenziali per la formazione di base.

Un'affermazione molto ricorrente è che il problema non è quello di apprendere le tecnologie, se non per gli specialisti, ma quello del loro uso, oppure, in altri termini, che le tecnologie debbono essere 'trasparenti' per gli utenti normali, cioè non richiedere competenze speciali, ma configurarsi come prolungamenti naturali delle facoltà dell'utente. Con lo spirito di questa affermazione si può concordare, se la preoccupazione è quella di non creare inutili deviazioni tecnicistiche rispetto allo scopo principale, ma occorre qualche precisazione.

La prima è che nessuna tecnologia è 'trasparente' per gli utenti fin dall'inizio, ma lo diventa dopo un certo sforzo di addestramento e familiarizzazione, mentre il termine 'alfabetizzazione' mi crea un indefinibile disagio culturale per cui ne evito l'uso. Ed è pura illusione svalutare tale sforzo come un puro accidente e puntare direttamente e solo alle motivazioni alte. Molto meglio è adottare una strategia che introduca una dimensione ludica nell'addestramento e, nello stesso tempo, lo arricchisca intrecciando via via acquisizione di strumenti e applicazione a casi significativi.

La seconda precisazione è che l'acquisizione di una cultura della tecnologia è di per sé un plausibile obiettivo formativo, sia perché può migliorare il livello di padronanza degli strumenti, sia perché la comprensione dei principi scientifici degli oggetti artificiali e delle logiche del loro uso è comunque uno strumento di 'sopravvivenza intellettuale'. Per cui, per esempio, anche se i linguaggi di programmazione informatici sono oramai improponibili e inutili come strumenti pratici per i non specialisti, alcuni di essi (LOGO, PROLOG, Delphi) sono strumenti di esplorazione di importanti paradigmi - la ricorsività, l'inferenza logica, le strutture a oggetti - e fonte di costruzione simbolica.

Si è già detto che non è la convenienza la motivazione principale per l'innovazione tecnologica nell'educazione. Ciò dipende anche dal fatto che, nonostante i grandi sforzi che alcuni fanno per prendere sul serio la metafora della scuola come 'impresa' e dell'insegnamento come 'servizio', i docenti hanno ancora di sé stessi un'immagine di intellettuali artigiani.

Deve quindi scattare la molla della curiosità e della voglia di esplorare, ma può anche imporsi l'evidenza che le tecnologie consentono una migliore qualità della didattica, con i suoi effetti di gratificazione, e quindi un modo più interessante di fare il proprio lavoro. Quando si dice che l'uso delle tecnologie è una dimensione importante della qualità dell'istruzione, non si deve pensare ai soli indici di efficienza, ma anche a qualcosa che complessivamente migliori il clima culturale e anche, perché no, la stima di sé. Curiosamente, del resto, mentre alcuni inseguono nella scuola vecchi modelli tayloristici, nelle imprese più moderne proprio le tecnologie hanno fatto scoprire il concetto della 'organizzazione che apprende' metodologie basate sull'informalità e sull'attitudine - sventare. Occorre anche osservare, infine, che l'arricchimento tecnologico della professionalità dei docenti non si risolve tutto nell'atto della preparazione e della conduzione dell'attività didattica, ma è una facoltà più complessiva, da esercitare in tutta quella sfera delle attività tipiche del lavoro intellettuale, come, per esempio, l'acquisizione di informazioni, la documentazione, la ricerca.