ascende, secondo un nutrito numero di notizie, almeno al XII secolo. Non si deve pensare l'ospedale del basso medioevo simile a quello che noi oggi conosciamo. Il termine latino, da cui è mutuato quello italiano, ha in sé il significato generico di ospitalità. La tipologia dei fabbricati era varia: la consistenza nel migliore dei casi non andava al di là delle due stanze, un chiostro ed un edificio per il culto nelle vicinanze. Erano dunque piccoli, situati più che altro lungo le vie di comunicazione di maggior importanza e potevano ospitare una decina di persone al massimo. La funzione che svolgevano era principalmente quella di dare ricovero ai viandanti e ai pellegrini ammalati o stremati dai viaggi. Normalmente accuditi da religiosi, gli ospedali erano spesso il frutto di lasciti testamentari. Tutt'altro che raro era il caso in cui i benefattori dedicavano non solo gli averi ma anche sé stessi e la propria opera ai luoghi pii: è in tal senso che nel 1348 «Anselmino di Paganino di Coronato» del contado di Milano beneficia l'ospedale di San Bartolomeo Apostolo di Cesena. Nel 1191 si ha notizia di un ospedale, San Giovanni Battista, posto lungo la via Emilia. Altri esempi: San Pietro in Rovereto, posto presso San Vittore (di cui si ha notizia dal 1218); San Lazzaro per i lebbrosi, situato lungo la via Emilia (1272); Santa Maria di Arla, presso Diegaro (1401).
Del 1297
è il documento che segnala ufficialmente l'esistenza di un luogo pio che può essere finalmente considerato della Comunità: Donna Benesai fu Aunesto lascia una somma di denaro all'«Hospitali civitatis et burgi Caesenae». A queste notizie telegrafiche se ne aggiungono altre più curiose. Nel 1341 un certo Anselmo «Fiamingo da Lovanio» ruba a Roma una reliquia di San Gregorio ma la giustizia divina non si fa attendere: passando da Cesena il sacrilego si ammala e di lì a poco muore nell'ospedale cesenate di San Gregorio (!) in Candolfino, situato nei pressi di Porta Cervese. Nel 1348, l'anno della grande peste, la tradizione vuole che addirittura San Rocco abbia dimorato nell'ospedale cesenate di Sant'Antonio Abate. Quest'ultimo, pochi anni dopo, è teatro di un furto. L'episodio risale al 1359 ed ha come protagonisti i forlivesi: essi rubano la statua del santo protettore custodita all'interno dell'edificio. La reazione dei cesenati è tempestiva e la statua viene immediatamente recuperata, pur mutilata di una mano.
Con il passare del tempo
l'interesse per un'azione assistenziale a favore del prossimo riceve una spinta decisiva dalla nascita di associazioni fra laici: la necessità di esprimere la devozione e lo spirito evangelico della carità, e di liberarsi dalla paura della condanna eterna - che con il procedere dei secoli aveva assunto il connotato di vero e proprio terrore - spinge ricchi e meno abbienti a compiere quegl'atti di liberalità che consentono ai luoghi pii di funzionare. In molti casi il benefattore indicava con precisione come il patrimonio doveva essere utilizzato e la capacità dei priori (amministratori) delle confraternite di coordinare le finalità dei lasciti e l'efficacia dell'azione assistenziale era alla base di tutto. I quattro maggiori ospedali cesenati, la cui presenza è attestata ufficialmente dal 1426 insieme alle quattro compagnie che li amministrano, sembra che non siano altro che il prodotto di un processo secolare di unione di piccoli ospedali: un processo che comincia con Domenico Malatesta Novello e si conclude solo nel Seicento.
L'importanza degli ospedali cresce
e i priori delle compagnie sono chiamati a partecipare ai due sinodi diocesani di Edoardo Gualandi (1564, 1566). Da questo momento il controllo ecclesiastico sulla beneficenza si fa continuo e più attento. Intanto pare che tra problemi economici ed amministrativi l'assistenza funzioni: il vescovo si rallegra coi Conservatori della città per le buone opere compiute a favore dei poveri, dei mendicanti e degli orfanelli ad opera dei luoghi pii. Il rischio di errori era comunque presente e nel Sinodo Provinciale Ravennate del 1582 un capitolo viene dedicato all'uso corretto delle elemosine e dei redditi amministrati dai «loca pia». La preoccupazione dell'autorità laica era conforme: nel 1589 il Consiglio della Comunità incarica due persone affinché seguano l'opera degli ospedali. Il controllo era dunque sia laico che ecclesiastico e all'interno delle confraternite - a fronte di una maggioranza laica - vi erano religiosi che si incaricavano di officiare le messe e controllare il comportamento morale dei confratelli e la corretta destinazione della liberalità assistenziale.