ARCHEOSHADOW: MISTERI E OMBRE
DELLA STORIA DAL PIU' LONTANO PASSATO AL
PRESENTE
LE NEWS DEL MESE
ARCHEOLOGIA DELLA "SINDROME DI LAZZARO"
Resurrezione e fenomeni NDE (Near Death Experience)
nei
testi mediorientali e classici.
Sono passati duemila anni da quando le parole"Lazzaro
vieni fuori" (Gv 11,43) così cariche
di tutta la loro
suggestione, furono pronunciate e tramandate,
ma il mistero del
ritorno dall'aldilà ci affascina ancora ponendo
straordinari
interrogativi: quale ricordo portò Lazzaro
dalla tomba? Esistono
documenti paleografici al di fuori del Vangelo
che ci parlano di
altri casi come questo? Per quest'ultima
domanda la risposta è
possibile. Nella letteratura antica mediorientale,
come in quella
classica occidentale ci sono frammenti sparsi
di esperienze
mitizzate di premorte. Raccogliendoli si
forma una vera e propria
"archeologia della Sindrome di Lazzaro"",
cioè
una tematica che parla di problemi legati
a termini
quali"varco della soglia", "effetto
tunnel",
"visioni", "ritorno dalla
morte" . E'
possibile inoltre riconoscere alcuni tratti
della fenomenologia
NDE nei "riti di passaggio" e nei
"viaggi
iniziatici" che tanta parte ebbero nell'immaginario
dell'antichità. Per mezzo di metafore, sono
giunte a noi storie
forse accadute realmente ma sepolte in racconti
più o meno
fantastici e oggi classificati come letteratura
d'invenzione.
Come individuarli? Per scoprire quando un
testo potrebbe
riferirsi al tema dell'NDE, occorre verificare
la presenza di tre
condizioni: a) ogni storia deve iniziare
con l'incubatio, una
specie di sonno sacro tramite il quale prende
avvio il
"viaggio" nell'aldilà; b) il "viaggiatore"
deve percorrere una regione o un tunnel buio
non prima di aver
fatto un sacrificio di sangue per rendere
visibili le ombre dei
defunti. E' una metafora che può significare
un atto cruento
iniziale, il trauma che apre la via al "viaggio";
c)
quando si è di là si hanno visioni d'ogni
tipo, un immaginario
dal quale è nata l'iconografia sull'oltretomba.
Qui s'incontrano
le anime di amici e parenti, ed infine una
figura
"guida" dice al "viaggiatore"
di tornare
indietro poiché non è ancora giunto il momento
di morire.
Possiamo classificare i testi che contengono
questi tre
"passaggi" l'approccio"dell'uomo
antico
all'oltretomba", non imputabile però,
come sostiene
l'Antico Testamento, a Colui che "...
fa vivere e fa morire,
fa discendere allo Sheol e fa risalire"
(1Sam 2,6). Non deve
dipendere cioè da un intervento miracoloso
quale fu appunto il
caso del "risveglio" di Lazzaro.
Per questo nella
seguente relazione sono stati presi in esame
soltanto documenti
paleografici della letteratura antica, dei
quali si hanno già
diversi studi e varie traduzioni. Il lavoro
da fare sarebbe
ancora tanto. Nei magazzini di alcuni musei
mediorientali ed
europei giacciono innumerevoli testi tuttora
da decifrare.
Possiamo immaginare quale patrimonio andrebbe
ad arricchire
quanto già sappiamo su di un tema come questo
che sebbene
sfiorato, forma già un quadro interessante
sulle esperienze del
mondo antico a proposito del ritorno dalla
morte e sulle visioni
dell'aldilà.
UN "TEMPLARE" NELLA SINDONE?
Nell'Aprile del 1997 l'incendio della Cappella
del Guarini a Torino fa divampare anche la
fantasia: l'uomo della Sindone non è Gesù
ma un Templare?
Le ceneri della Cappella del Guarini erano
ancora calde a già
la stampa si scatenava sul pericolo corso
dalla Sindone e sui...
suoi misteri. Nonostante le ricerche scientifiche
e le analisi
c'era chi la definiva un falso storico, una
mistificazione
"affumicata" da un altro rogo:
quello dei Templari. La
stampa scandalistica riesumava infatti le
incredibili teorie di
chi vede nel volto della Sindone quello barbuto
di Jacques de
Molay, ultimo Gran Maestro dei Templari.
Perché proprio lui? A
detta di qualcuno per via di una certa somiglianza
del Volto con
quello del Gran Maestro, torturato e crocifisso
per scherno e poi
avvolto in un lino prima di essere bruciato
sul rogo.
Recuperato di nascosto da carcerieri fedeli
nonostante tutto
alla causa templare, il telo insanguinato
fu utilizzato per
quella che avrebbe dovuto essere la più grande
beffa della
storia. In effetti pregare davanti al "negativo"
di
Molay sarebbe stato uno smacco diabolico
per i cattolici, una
vendetta trasversale fatta dai discendenti
dell'Ordine distrutto
proprio dal Papa e dal cattolicissimo ma
spiantato Filippo il
Bello, determinati a impadronirsi degli ingenti
capitali, terre e
commende del Tempio. Per questo nel 1307
i templari francesi
furono imprigionati e torturati anche per
strappare loro le
informazioni sui loro beni. Nel 1311 si convocò
a Vienna un
concilio per condannare l'eresia dei «fraticelli
guerrieri»,
poi, l'anno dopo, papa Clemente V scioglieva
definitivamente
l'Ordine. Quando quel fatidico 18 marzo del
1314 all'ombra di
Notre Dame salì al rogo il Gran Maestro dei
templari, con lui si
concludeva quindi un'epopea e iniziava la
leggenda. Un'altra
nutrita schiera di "templaristi"
moderni sostiene
infatti che all'epoca della morte del Molay
la Sindone era da
diverso tempo in mano ai Cavalieri. Insieme
a Molay bruciava
infatti Geoffrey Charny, comandante templare
della Normandia,
torturato per fargli confessare il segreto
su di un tesoro
particolare: la Sacra Sindone. Ma che c'entrava
de Charny con la
reliquia? E poi, com'era giunta in Francia?
Si sapeva che il 16 agosto del 944 a Costantinopoli
era stata
portata una reliquia descritta come il Sacro
Lino, sul quale era
impresso il Volto, lo stesso che nel 1147
re Ludovico VII di
Francia aveva venerato. Un crociato dell'armata
veneziana, certo
Othon De la Roche, imparentato ai de Charny,
nel 1205 aveva
trafugato la reliquia nella chiesa imperiale
della Vergine
Blachernissa di Costantinopoli. Scomunicato
da papa Innocenzo
III, insieme ai compagni che avevano saccheggiato
la capitale
bizantina, la Sindone scomparve nuovamente.
Ricomparirà infine
in Borgogna attorno alla metà del XIX secolo
presso la famiglia
dei de Charny, discendente di Geoffrey I
de Charny, proprio lui,
quello bruciato sul rogo il 18 marzo del
1314 insieme al Gran
Maestro! Caso, fatalità?
Probabilmente i de Charny erano i custodi
della Sindone dal
giorno in cui i cristiani avevano perduto
la Terra Santa. Portata
in Francia insieme a tante altre reliquie,
al primo sentore del
pericolo che gravava sui Cavalieri del Tempio,
il Sacro Lino era
stato nascosto da qualche parte in attesa
di tempi migliori. Per
questo forse nel 1745 circolavano ancora
in Francia documenti
come quello detto "Manoscritto Schifman"
che parlava di
uno speciale tesoro appartenuto all'Ordine
del Tempio. Il testo
sosteneva che de Molay aveva confidato al
figlio del cavaliere
Guglielmo di Beaujeux, altro celebre Gran
Maestro, (era stato
eletto nel 1273), dov'era nascosto uno scrigno
d'argento
contenente diverse cose preziose di re Baldovino
di Gerusalemme.
Insieme agli annali ed alla corrispondenza
dell'Ordine, erano
custoditi l'indice della mano destra di Giovanni
Battista, la
corona del re di Gerusalemme (quella di spine?)
il candeliere
d'oro a sette braccia e i quattro evangelisti
dello stesso
metallo che ornavano il Santo Sepolcro. Molay
diceva di aver
portato in Francia lo scrigno facendolo passare
come la bara del
povero Beaujeux, morto durante l'assedio
di Acri.
Il giovane custode avrebbe dovuto quindi
conservare per
l'Ordine quel tesoro spirituale, insieme
ad altri preziosi più
materiali contenuti in due colonne poste
all'ingresso delle tombe
dei Gran Maestri. Ancora un mistero quindi:
la descrizione dello
scrigno sembra quella della cassa d'argento
che conteneva la
Sindone all'epoca del suo soggiorno a Chambery,
lo stesso che in
parte fuse versando argento liquido sulla
reliquia durante
l'incendio della chiesa che la custodiva
avvenuto nel 1532. Le
fiamme, come si vede, tingono spesso di rosso
questa storia!
La reliquia prima di allora era stata quindi
conservata dai de
Charny a Lirey, nella chiesa dell'Annunciazione
della Vergine
Maria, costruita apposta allo scopo. Ma non
portò fortuna ai
suoi possessori. Se un de Charny era morto
tra le fiamme dopo
essere stato torturato brutalmente, il de
Charny che ora aveva
fatto riemergere dalle tenebre della storia
il Sacro Sudario, nel
1356 finì ucciso in battaglia. Non vedeva
almeno l'inizio della
contestazione sull'origine della reliquia
che tuttora trova
accaniti detrattori. Uno scritto del XIV
secolo del vescovo di
Troyes, Pierre d'Arcis della cui diocesi
faceva parte Lirey,
affermò che la Sindone era un falso, un'opera
manuale così come
aveva già notato Henry de Poitiers, vescovo
predecessore di
Pierre d'Arcis. Quali elementi possedeva
per fare queste
affermazioni? D'Arcis sapeva che i de Charny
erano discendenti di
templari e crociati scomunicati? Pensò forse
che quel volto
barbuto potesse essere il misterioso Bafometto,
un demone né
uomo né donna che i novizi dovevano baciare
per essere ammessi
all'Ordine?
Geoffroy II de Charny, figlio del precedente,
trentacinque
anni dopo la morte del padre ricollocò la
reliquia nella chiesa,
con il permesso del Legato pontificio Pierre
de Tury, scavalcando
Pierre d'Arcis che aveva proibito le ostensioni
pena la
scomunica. Infine nel 1453 Anna Lusignano,
discendente dei
principi di Cipro e moglie di Ludovico di
Savoia, in cambio di un
bel po' di quattrini, riceverà dalle mani
di Margherita de
Charny la sacra reliquia che verrà conservata
in una cappella
del castello di Chambery. Il resto è storia
arcinota.
Decisamente poco conosciuta è invece l'ennesima
interpretazione
della figura dell'uomo della Sindone che
potrebbe essere un altro
templare, Guglielmo di Beaujeux, diciannovesimo
Gran Maestro
dell'Ordine, morto durante l'assedio d'Acri
del 17 maggio 1291.
All'interno della città ventunmila cristiani
cercavano di
resistere ai trecentomila saraceni del sultano
Qaawun. I Templari
si difesero con energia e coraggio guidati
dal loro Maestro, ma
trapassato infine da una freccia all'ascella,
Guglielmo si
ritirò dalla mischia rispondendo sconsolato
alle esortazioni di
rialzarsi: "Che fare di più, non vedete
che sono ferito a
morte?". Poche ore dopo spirava steso
su di uno scudo nel
cortile interno del convento templare. Una
curiosa tesi sostiene
che osservando il corpo martoriato del Gran
Maestro, i suoi
compagni lo paragonarono commossi a Cristo,
pieno com'era di
ferite, colpi e ammaccature ricevuti in battaglia.
Cercarono
quindi d'immortalare a modo loro l'avvenimento.
Il cadavere di
Beaujeux fu trasformato allora in quello
di un "povero
Cristo" producendogli trafitture ai
polsi e ai piedi,
(quella al costato c'era già), trapassandolo
con uno stiletto,
un sottile e robusto pugnale costruito apposta
per essere
infilato nei fori delle celate degli elmi
nemici. Poi, avvolto
Beaujeux nel fatidico lenzuolo che ne tamponò
il corpo
insanguinato, si occuparono d'altro fino
a quando il 28 maggio,
la torre templare d'Acri, ultimo baluardo
contro la marea degli
assalti arabi, crollò su difensori e assedianti.
Per undici
giorni quindi, il sudario avvolse il cadavere
del Beaujeux i cui
uomini rimasti vivi portarono la reliquia
a Cipro, governata dal
principe di Lusignano, famiglia originaria
del Forez, la stessa
terra nella quale era nato questo leggendario
Gran Maestro. E'
dunque su queste basi che è nata la leggenda
templare legata
alla Sindone, una storia che si confonde
con strani e
straordinari intrecci dai risvolti gialli.
Il dubbio poggia tuttavia sull'equivoco sorto
dopo l'esame del
C14 (un radioisotopo del Carbonio) effettuato
nel 1988.
Nell'aprile di quell'anno ad Oxford, in Inghilterra,
nell'Università dell'Arizona e al Politecnico
di Zurigo si
analizzò il tessuto della Sindone datata
così al 1260-1390:
più o meno cent'anni. Con una conferenza
internazionale tenuta
nell'Oratorio della Caravita, il 3 febbraio
1996 il ricercatore
Dimitri Kouznetsov, dell'Istituto di Ricerca
sui biopolimeri di
Mosca, correggeva queste date che ringiovaniscono
la Sindone di
dodici secoli, spiegando che l'esame era
stato alterato da
diversi fattori, quali la natura chimica
del lino che forma la
Sindone, la presenza delle muffe, l'idrolisi
subita dal tessuto
dopo l'incendio del 1532.
Che dire quindi di queste teorie? Che ci
sarà sempre chi
pensa alla Sindone, affascinante e controversa
reliquia della
fede, come ad una mistificazione, più che
all'autentica prova
della effettiva esistenza di Cristo.
Ognuno vede e racconta la propria versione
della storia,
spesso in buona fede ma con racconti suggestivi
e improbabili,
dubbie visioni di una ossessiva ricerca di
scoop di cui oggi
sembra non si possa più fare a meno, anche
a costo di insinuarsi
tra le "gaffe" della scienza e
le "pieghe"
della fede.
IL RITO DEL COSMO ANTROPOFAGO
Il racconto egizio del "Rito Antropofago"
e la recente teoria del Buco Nero nella nostra
Galassia a confronto: caso o coscienza universale?
Forse proprio in mezzo alla nostra Galassia
c'è un Buco Nero:
un "niente" che starebbe inghiottendo
stella dopo
stella, comprimendo le loro masse ai minimi
termini. Lo
affermerebbero alcune recenti ricerche degli
astrofisici che
stanno studiando la Via Lattea, quel fiume
composto da polveri
cosmiche e stelle visibile specialmente nelle
notti estive alla
nostra latitudine. In realtà il fenomeno
astronomico altro non
è che il profilo della nostra galassia nella
quale, in un
braccio spiraliforme, se ne sta il sistema
solare. Composta da
miriadi di stelle, di polvere e gas interstellare,
la nostra
galassia ha una forma a disco fortemente
appiattito con al centro
un rigonfiamento (il nucleo galattico), composto
da un'altissima
densità, stellare entro la quale sta probabilmente
il buco nero.
E' questa presenza che darebbe alla nostra
galassia la
caratteristica forma a spirale piatta ruotando
attorno a quel
misterioso stritolatore di materia che un
giorno farà scomparire
anche il nostro sistema solare.
Più di cinquemila anni fa gli egizi ebbero
una curiosa
ispirazione a questo proposito. Pensavano
alla Via Lattea come al
prolungamento nel cielo del Nilo, una strada
che portava dritto
nel mondo dei morti. In effetti standocene
di sera nella valle
entro la quale scorre il leggendario fiume
e guardando verso il
nord, all'orizzonte potremmo vedere combaciare
le acque del Nilo
con la Via Lattea che s'innalza verso il
cielo. Il fenomeno
suggestionò gli uomini dell'antichità. Nelle
cosmogonie come
quella egizia e greca la Via Lattea era la
strada che portava
all'aldilà. I Greci dall'epoca di Omero chiamavano
la Via Lattea
Okeanos o Eridanus , nome dato anche al Nilo.
Uno storico antico
scrisse che "Gli Egiziani credono che
il fiume sia l'Oceano
da cui è nata la razza degli dei" (Eusebio,
Praep. Ev. III,
3,6). Anche in un inno al dio Aton scritto
dal faraone eretico
Amenofi IV (meglio conosciuto come Eknaton)
la dipendenza della
vita dal Nilo celeste oltre che da quello
terrestre, si
rispecchia in una strofa nella quale si diceva
che il Nilo era
stato creato"...per far vivere la gente
d'Egitto al modo in
cui l'hai creata per te, mentre per gli stranieri
hai posto un
Nilo nel cielo che discende per bagnare i
loro campi".
Ma la Via Lattea non ispirò soltanto pensieri
romantici.
Considerata una vera e propria autostrada
che portava nel mondo
dei morti e degli dei, fece nascere una straordinaria
consapevolezza circa la durata della vita
del cosmo. Basterebbe
leggere un antico componimento egizio detto
"Inno
Antropofago" per scoprire la paura legata
a questo
"fiume" celeste. Compilato in forma scritta dai sacerdoti
tra la III e la IV
dinastia, l'inno aveva origini antichissime
risalendo forse al
periodo predinastico (precedente il 3200
a.C.). Diverse copie più tarde dei libri cosmogonici
che parlavano
della creazione dell'universo e di questo
misterioso rito, furono
trovate nella tomba del faraone Unas, a Saqqara,
così come nelle
piramidi di Teti, di Pepi I, di Merenre,
di Pepi II, o di Ibi che
regnò durante il primo Periodo Intermedio.
Le formule dovevano
garantire al re defunto di giungere in cielo,
dove si sarebbe
trasformato in una stella. Per gli egizi
il faraone era
considerato fratello o figlio degli dei ed
alla sua morte li
avrebbe raggiunti in zone definite del cielo
dove, secondo il
"Rito Antropofago", l'ultimo dei
faraoni avrebbe
cannibalizzato tutti i suoi predecessori
fino a quando anche le
mitiche regioni del cielo sarebbero scese
sottoterra morendo a
loro volta!
Il concetto moderno di cosmo limitato nel
tempo era dunque
immaginato tremila anni prima di Cristo!
Da quale intuizione
prescientifica nasceva questo singolare concetto? Anche i Maya chiamavano la Via Lattea "Albero
del
Mondo" rappresentandolo come un albero
fiorito grande e
maestoso, il Ceiba. La Via Lattea era anche
chiamata Wakah Chan:
Wak significava "Sei" (numero)
o "Eretto".
Chan o K'an significava "Quattro",
"Serpente"
o "Cielo". Per la sua forma sinuosa
il
"fiume" stellare era immaginato
infatti come un
rettile: il "Serpente Disossato".
I riti cruenti che si
tenevano in inverno in onore di questa divinità
cosmica
nascevano probabilmente dal fatto che in
questa stagione la
natura è avara con l'uomo.
Resta un mistero comunque perché i Maya ritenessero
la vita
originata proprio nella costellazione del
Sagittario, visibile
nell'emisfero sud e che credevano situata
proprio in mezzo alla
Via Lattea. Formata inoltre da alcune nebulose
delle quali quella
denominata dagli astronomi M8 (la sola visibile
a occhio nudo),
la costellazione del Sagittario è considerata
ancora oggi un
riferimento teorico per individuare il centro
della nostra
galassia. Come fecero i Maya a capire questa
cosa resta un
mistero. L'immaginazione degli uomini antichi ha spesso
sfiorato grandi
verità legate alla moderna cosmologia. Non
si sa da quale
processo mentale o tramite quale percorso
filosofico giunsero ad
alcune delle conclusioni dette. Se confrontiamo
il loro modo di
vedere il cielo e l'universo al nostro, più
realistico ma meno
catastrofico a dispetto delle conoscenze
scientifiche, non si
capisce come nacquero queste convinzioni.
Perché il cielo
stellato oggi suscita stupore e meraviglia
ma non terrore, quando
nell'antichità ispirò invece un timore reverenziale
per la
morte? Il "Rito Antropofago" è
dunque un caso
singolare, una visione allegorica che immagina
una realtà
dell'universo appena conosciuta. Lo psicologo svizzero Carl Gustav Jung sosteneva
che nel mito
l'uomo ha sempre scaricato i propri timori.
Ma quale paura del
cosmo poteva avere l'uomo antico? Soltanto
nell'agosto del 1994
la rete di radiotelescopi australiani coordinata
da Duncan
Campbell-Wilson dell'Università di Sydney,
ha individuato
un'esplosione pulsante prodotta da un "Buco
nero"
nell'atto di divorare una stella, dimostrando
che questo è un
evento tutt'altro che raro nell'universo.
Ma da quale conoscenza
trasse origine ciò che la fantasia dell'uomo
antico trasformò
in favola, mito, leggenda attingendo da una
apparente
consapevolezza che rasenta la precognizione?
Sono domande che per
ora non hanno risposte ma supposizioni. Origene,
un filosofo
cristiano che visse ad Alessandria in Egitto
nel terzo secolo
dopo Cristo, spiegò a modo suo questo mistero:
l'epoca in cui
visse stava chiudendo con l'epoca d'oro del
misticismo pagano. Il
cristianesimo del quale Origene diventerà
un martire, dava altre
speranze all'uomo circa la sua vita nell'aldilà
e sulla strada
per arrivarci. Tuttavia qualche dubbio restava
circa la nostra
appartenenza all'universo ed il filosofo
alessandrino espresse
questa inquietudine con la frase sibillina
diventata celebre:
"renditi conto d'essere in piccolo un
secondo mondo e che in
te sono il Sole, la Luna e anche le stelle".