Lettera al Presidente Bolaños
di Francisco Javier Sancho Màs
 
 
Signor Presidente,
Sono qui, siamo qui. Sono arrivati ancora una volta, affrontando la loro situazione sanitaria, il calore e la strada.
Siamo arrivati. Le confesso che mi sento il meno indicato per parlare in loro nome. Nessuno mi ha delegato per fare ciò e nemmeno ho sofferto le malattie e il lavoro che loro hanno sofferto. Ma con la libertà di questa tribuna, metto le mie parole per loro, una in più di quelle che si dicono e si diranno.
Quando una causa è così giusta, è giusto osare in nome di essa.
Sono migliaia (per non rischiare di mettere numeri concreti) di contadini ammalati a causa del Nemagòn. Nel posto di sempre, come allora, come adesso, alcuni hanno già appeso le loro amache. Sembra che non se ne siano mai andati, arrivano con il corpo abituato alle notti insonni e al freddo. Ma la strada non è facile, non sono così giovani per poter fare tutto questo. E non c'è diritto.
Mi dirigo a Lei, signor presidente, perché credo che in questo momento ha un ruolo importantissimo da svolgere, se ancora ha le forze, il cuore e quella che chiamano la "volontà politica".
Continui a leggere e capirà perché glielo sto dicendo.
Posso immaginare i sospetti che le causano i complessi movimenti di gruppi e associazioni, alcuni di essi politici, che stanno dietro a questa lunga camminata più volte ripetuta.
E' inevitabile, e lei lo sa, che quando le persone si aggruppano per reclamare un diritto e arriva il momento di delegare ai leaders, ci sono sempre interessi paralleli che si incrociano con quelli del bene comune.
Ammettiamo che, anche se non glielo posso assicurare, questo stia in parte succedendo.
Immagino inoltre che lei possa pensare che il gioco delle cifre, quello della quantità di malati, oggi un numero, domani un altro, giochi contro gli ammalati stessi e che questo le faccia sospettare che esistano altri interessi nascosti.
Suppongo inoltre che lei non ci metterà molto tempo a giudicare che un certo gruppo dell'opposizione vorrà utilizzare la tragedia dei bananeros o dei morti di Chinandega durante l'occupazione delle terre.
Il problema è però un altro.
I due fatti insieme danno una chiara idea di quello che stanno soffrendo i nostri contadini. E non possiamo voltare le spalle a questa sofferenza.
Signor presidente, nessuno di questi timori e sospetti, infondati o no, delegittima la causa di questi contadini ammalati per il Nemagòn.
Loro, le conseguenze del loro dolore, la lunga attesa delle loro famiglie, non hanno colpa se non si mettono d'accordo sulle cifre. Non deve essere facile fare il conto di tanti anni senza risposte, di tanti mesi di silenzio, di tanti morti, di tanti ammalati, di tante perdite in vite e beni.
Non deve essere facile e loro non hanno la colpa. Lei può far finta di niente, scusandosi e dicendo che non è un problema che può risolvere il governo, ma che compete ai tribunali.
Ma lei sa benissimo che la contraccusa e la motivazione spuria delle multinazionali che non vogliono assumersi le responsabilità di questo problema, parla da solo e le condanna.
E' chiaro che la causa dei nostri contadini è giusta. Non discuteremo di questo, vero signor presidente?
Chiaro, deve essere un problema guardare in faccia ad ambasciatrici che vigilano gli interessi delle multinazionali del loro paese, scontrandosi apertamente con loro. E non deve essere una cosa facile, con il CAFTA alle porte, mettersi a litigare affinché alcune imprese (una minima parte di quelle che davvero dovrebbero essere) indennizzino i nostri contadini, semplicemente perché loro hanno ragione e lo testimonia il peso schiacciante delle loro vite e delle loro morti.
A lei, come a me, le sembrerà meschino che queste imprese, con il danno che hanno fatto, stiano negoziando al ribasso, allungando i tempi di dolore di tanti nicaraguensi. Come si può indennizzare una morte, due morti e decine di morti e centinaia di morti. Non esiste una somma di denaro per questo. Il gesto che gli si chiede non può nemmeno coprire con terra le tombe dei famigliari morti.
E questi esistono davvero, sono veri e queste persone non le manipola nessuno.
Se guardiamo indietro nel tempo, quando alcuni capi di governo si sono messi al fianco del proprio popolo, in una difesa reale della loro causa contro le multinazionali (ricorda il caso di Mandela e le medicine per l'Aids in Sud Africa, la lotta contro le multinazionali farmaceutiche?) non è stato facile, hanno sofferto una serie innumerevole di pressioni interne ed esterne, ma alla fine il popolo e buona parte della comunità internazionale si è inclinata dalla loro parte, perché quando la causa è giusta e ci si mette il cuore, non c'è struttura economica o politica che resista.
 E non credo che lei, signor presidente, a questo punto abbia paura delle pressioni, dato che ne ha già avute tante durante il periodo del suo mandato presidenziale.
A volte inquietano alcune dichiarazione su di lei. Poco fa qualcuno diceva a un mezzo di comunicazione che "il presidente amministra, ma non governa".
Causa incertezza e fa anche pensare il vederla rispondere durante un'intervista solo con grafici di un computer, mentre l'intervistatore esprimeva il sentire del popolo.
Era amaro vederla agire così senza riuscire a trasmettere la sua sensibilità e vicinanza a quello che lei chiama il "suo popolo".
E' stato ancora più brutto quando non ha voluto andare, né ricevere i contadini del Nemagòn l'ultima volta che sono stati a Managua, dopo che alcuni erano morti durante la strada che hanno rifatto adesso e soprattutto, quel giorno in cui ha detto che era troppo occupato per la visita del governatore della Florida.
Nonostante tutto, credo che questo potrebbe essere il suo momento, signor presidente. Non permetta che i gruppi politici de patto si infilino la camicia del Nemagòn e che la usino a loro beneficio.
Lei ha detto fino alla sazietà che non le interessa la rielezione e nessuna carica politica. Ha l'opportunità, signor presidente, di mettersi al loro fianco, cosa che sarebbe di grande aiuto per affrontare la causa per la quale lottano.
Se così non fosse, ci saranno molte speculazioni, sospetti, mormorii sulle cause di questo rifiuto. Non permetta che accada questo.
Nessuno la obbliga a mettersi al loro fianco se non lo vuole. E' il suo momento, l'ora di recuperare la vicinanza con la gente, di mettersi nel cuore dei nicaraguensi, adesso che non ha niente da perdere, mettersi dalla parte di chi ha sempre perso.
Quello che può fare è guadagnare la stima del suo popolo. Esca dalla Casa Presidenziale e si unisca a loro, li ascolti, guardi nei loro occhi i lunghi anni di malattia, li tocchi, stia con loro mentre scende la sera. Lei è il loro presidente, signore, loro sono il suo popolo, loro sono noi. Siamo qui e qui siamo arrivati.
Direi che ha una possibilità molto importante per dare un parte del suo cuore che è ciò di cui ha bisogno il popolo, affinché sia vera la frase con la quale inizia sempre i suoi discorsi: "In nome di Dio e del Nicaragua". La aspettiamo qui sotto, venga con noi, signor presidente.
 
(Traduzione e foto Giorgio Trucchi)