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9. 1997: il neozomozismo al potere

 

 

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Riportiamo l'articolo apparso su il manifesto del 23 aprile 1997

100 giorni da dimenticare
GIANNI BERETTA - MANAGUA

L' immagine di bambini e bambine di 7 o 8 anni, scalzi, sudici, malnutriti, che sotto un sole cocente e con in braccio un fratellino addormentato o piangente girano fra le auto ai semafori della capitale chiedendo qualche centesimo è certamente fra le più crude ed emblematiche di quello che è diventato il Nicaragua in questi ultimi anni. Ebbene, la mannaia perbenista del nuovo presidente, il "liberale" Arnoldo Alemán, non ha risparmiato neppure loro. Dal febbraio scorso El Gordo ha varato un geniale "piano semafori" per togliere circa cinquemila ninos dalle strade di Managua e, in futuro, assisterli e "rieducarli". Intanto però si è assistito solo agli interventi di sgombero della polizia, con i piccini a risbucare nelle loro postazioni di notte, quando sono rari gli agenti in circolazione.
Nei suoi primi cento giorni di governo, all'insegna dello slogan "el cambio viene", Aleman è riuscito col suo stile arrogante a inimicarsi anche settori che lo avevano votato con convinzione in chiave antisandinista. Ha cominciato a fare piazza pulita nell'apparato statale di cinquemila fra impiegati e funzionari pubblici che avevano servito donna Violeta o ancor prima il governo sandinista. Ha revocato gli aumenti salariali concessi a maestri e agenti di polizia. Ha chiuso il canale 6 tv di governo licenziando tutto il personale (e ora pare intenzionato ad affidarlo al cubano-statunitense Jorge Mas Canosa, insieme a parte dell'Istituto per la telefonia, in via di privatizzazione). Ha tolto la pubblicità statale a tutti i media non liberali (nel senso di legati al partito liberale). Ha rimesso in discussione l'esplosiva questione dei regimi di proprietà disconoscendo anche le sanatorie varate da donna Violeta. Ha proceduto con la forza a centinaia di sfratti di case e terreni di singoli e di cooperative.
Riforma agraria illegale
Ha dichiarato illegali 14.000 atti della riforma agraria sandinista. Ha dato il termine di un anno ai piccoli e medi produttori agricoli per pagare i debiti con le banche, pena la confisca delle loro aziende. Ha congelato i nuovi crediti. Ha avviato una legge di riforma tributaria che ha generato malcontento fra commercianti e imprenditori privati, e scontro con i gruppi economici più forti. Ha tolto le esenzioni e introdotto controlli agli organismi non governativi nazionali e stranieri. Ha litigato con le entità di cooperazione internazionale (dagli Usa all'Unione europea) facendo sapere che non accetterà "interferenze di sorta" nell'impiego degli aiuti. Ha istituito il ministero della famiglia sopprimendo l'Istituto per la donna e il Fondo di protezione dell'infanzia. Ha ridotto il già magro bilancio destinato alle regioni autonome della Costa atlantica. Ha proceduto poi ad una sistematica occupazione da parte liberal-somozista di tutti i posti chiave dell'amministrazione pubblica. Ha rimosso tutti gli ambasciatori di donna Violeta, nominando in Argentina nientemeno che il nipote dell'ex dittatore Somoza. Ha di fatto neutralizzato la Corte dei conti con un docile organo parallelo. E con la pratica dei decreti legge d'urgenza ha svuotato il ruolo del parlamento (presieduto da un suo uomo d'ordine) dove quasi sempre il suo gruppo parlamentare ha raggiunto la maggioranza assoluta alleandosi di volta in volta (non certo gratuitamente) con qualche deputato di centro. Anche la Corte suprema di giustizia ora è a salda maggioranza liberale. In una parola, e come conferma un documento riservato di cinque suoi "ideologhi", il neopresidente ha gettato le premesse per "la ricostituzione del vecchio blocco di potere somozista".
Ma la luna di miele è finita prima del previsto. E l'ingordigia di Alemán gli ha procurato una grave indigestione. Troppi i fronti aperti contemporaneamente. Per di più senza poter contare su un esercito e una polizia che, se pure "desandinizzati", funzionano ancora formalmente secondo il dettato costituzionale democratico.

La protesta del Fronte
E così, all'inizio della scorsa settimana, il Frente Sandinista ha guidato una protesta nazionale imperniata sui produttori agricoli che hanno eretto barricate "soft" in vari punti della strada Panamericana e agli ingressi della capitale. È stato sufficiente per fare andare in tilt i trasporti. Il Fronte ha modulato l'asprezza dello scontro, attento a non urtare troppo un'opinione pubblica esasperata; ma facendo capire ad Alemán che era possibile ripetere la sollevazione del luglio '90, che indusse la presidente Chamorro a scaricare proprio Alemán (allora sindaco di Managua) per una politica di riconciliazione nazionale.
Stavolta non ci sono stati morti; solo qualche tafferuglio con la polizia e qualche veicolo bruciato. Dopo tre giorni (pare anche per forti pressioni dell'ambasciatore Usa) Alemán si incontrava con Ortega accordandosi per avviare un dialogo nazionale articolato in cinque commissioni che dovranno trovare una soluzione ai temi più spinosi (proprietà, occupazione, riforma agraria, crediti alla produzione). Ma perché fossero tolte le barricate Alemán ha dovuto congelare i provvedimenti più controversi. Al dialogo parteciperanno anche settori sociali non affini al sandinismo. Non ci saranno mediatori. Alemán ha rifiutato la presenza di osservatori internazionali. Ma non ci sarà neppure il cardinale Obando y Bravo, storico ambiguo conciliatore nelle crisi nazionali fin dai tempi della dittatura somozista. Il suo sfacciato sostegno ad Alemán nelle ultime elezioni lo ha definitivamente estromesso dalla scena politica.
La destra ora appare disorientata: Alemán non poteva celebrare peggio i suoi primi cento giorni di presidenza. Mentre per i sandinisti si riapre una fase di potenziale accumulazione di forze e un'opportunità per correggere le degenerazioni nell'intreccio fra potere, politica e affari in cui si erano persi negli ultimi anni.

 

 
 
 

Riportiamo l'articolo apparso su il manifesto del 3 novembre 1998

Migliaia di morti

L'uragano "Mitch" devasta l'America centrale. Straripano i fiumi, cedono le montagne. In
Nicaragua una frana ha sepolto un'area di 80 chilometri quadrati. Mentre mezzo continente
conta le vittime di una calamità non naturale, nata dai mutamenti climatici causati dall'uomo,
a Buenos Aires si apre il summit contro l'effetto serra
 

Un vento che soffia da occidente
Forse settemila le vittime in Honduras e Nicaragua
RE. ES. - ROMA

Fonti governative di Honduras e Nicaragua ieri sera hanno avanzato l'ipotesi che i morti causati
dall'uragano Mitch ammontino alla spaventosa cifra di settemila. Tuttavia, sono ancora cifre provvisorie.
Non si contano le centinaia di migliaia di senza tetto e di dispersi in quasi tutto il Centro America, come è
per ora incalcolabile la stima dei danni. Dati ufficiali parlerebbero per ora di una cifra attorno ai cento
milioni di dollari, soprattutto in Nicaragua e Honduras, ma è troppo presto per una stima attendibile.
Mitch è uno dei quattro uragani più devastanti di questo secolo e si è particolarmente accanito sul
Nicaragua, causando la spaventosa frana che si è staccata dal vulcano spento Cerro Casitas e ha
sepolto, con una marea di terra e fango, un'area di 80 chilometri quadrati, causando circa duemila
vittime. Il ministro della difesa, Pedro Joaquin Chamorro, ha parlato di una "nuova Pompei". Con i suoi
quattro milioni di abitanti, il Nicaragua è, secondo l'Unicef, uno dei paesi più poveri del continente: la
guerra che ha sconvolto il paese dal 1982 al 1990 e le molte calamità ambientali sono le cause principali
della miseria. Il paese era stato colpito da un evento altrettanto disastroso nel 1972, con il terremoto. Ora
numerose organizzazioni non governative tra cui il Mlal, che collabora con il Movimento comunal
nicaraguense, prevede una prossima e drammatica emergenza alimentare e sanitaria. Per questo, ha
previsto un fondo per gli aiuti di emergenza (bollettino postale c/c n. 12808374 intestato a Movimento
laici America Latina viale Palladio 16, Verona. Oppure bonifico bancario: beneficiario c/c 14039 intestato
a Movimento laici America Latina Credito Italiano ag. 3, Abi 2008 Cab 11799. Nei due casi è importante
indicare la causale: Emergenza Nicaragua, Dipartimento di Leòn).

Sconvolto dalla furia anche l'Honduras la cui capitale, Tegucigalpa e altre località dell'interno, sono state
invase dalle acque straripate dai fiumi trasformando quelle zone in altrettanti laghi desolati. In un
incidente, mentre sorvolava in elicottero le zone più colpite dal disastro per cercare di organizzare i
soccorsi, è morto il sindaco della capitale.

In una settimana, Mitch ha messo in ginocchio mezzo continente. Prima di arrivare in Nicaragua,
l'uragano, che viaggiava a forza 5 (la massima per un uragano) ha colpito il Costarica, per trasferirsi in
Nicaragua, appunto e in Honduras, dove si sono avuti i danni maggiori, e poi in Salvador, Guatemala e
Belize. E' stata una progressiva devastazione con interi villaggi travolti, case e fattorie scoperchiate,
centinaia di cadaveri galleggianti nelle strade delle città inondate da fiumi straripati, migliaia di ettari di
coltivazioni distrutti e bestiame falciato.

Ora l'uragano, che è stato "declassato" a tempesta tropicale, si sta spostando sul Messico, in particolare
concentrandosi negli stati di Oaxaca, Tabasco e Chiapas. In quest'ultimo sono ancora aperte le ferite per
le inondazioni di due mesi fa che hanno causato centinaia di morti lungo la costa. Dal Chiapas sono già
state evacuate decine di migliaia di persone ed è stato posto in stato di massima allerta tutto il
dispositivo militare che "controlla" la zona dove si trova l'esercito zapatista.

Ecco il bilancio provvisorio dei paesi colpiti da Mitch dal 23 ottobre, quando è comparso: Panama e
Costarica sono i paesi che hanno avuto meno vittime, dato che Mitch non aveva ancora raggiunto la sua
massima potenza. Sette i morti, gravissimi i danni. In Guatemala sono state 55 le vittime, tra cui 12 dei
18 passeggeri di un piccolo aereo partito da Quiche, nel nord del paese, per portare soccorso agli
abitanti delle aree più disastrate. Il velivolo si è schiantato contro una montagna. In Salvador la piena
del Rio Grande ha fatto straripare il fiume nel dipartimento di San Miguel. L'inondazione ha spazzato via
un intero paese, Chilanguera: 150 casette di cui non vi è più traccia, come della maggior parte degli
abitanti che non hanno avuto via di scampo. Solo in questa località i morti accertati sono più di cento e
portano a 144 il numero delle vittime nel paese. Secondo l'unità di crisi di San Salvador 17.235 persone
non hanno più nulla. In Honduras a causa dello straripamento dei fiumi Rio Chiquito e Choluteca sono
362 i cadaveri recuperati, 357 i dispersi, 260.000 i senzatetto.
 

Una catastrofe annunciata e ignorata dal governo
GIANNI BERETTA

Nicaragua, ombelico delle Americhe; terra selvaggia di laghi e di vulcani. Ma anche di catastrofici
eventi ambientali. Come il devastante passaggio dell'uragano Mitch, che ha fatto franare uno dei vulcani
(il Cerro Casitas), col suo cratere colmo d'acqua, seppellendo le povere case di una dozzina di villaggi.
Almeno duemila le vittime.

Fatalità di un disastro dal carattere eccezionale, direbbe qualcuno. In realtà, al di là dei cambiamenti
macroclimatici del pianeta (di cui, casualità vuole, si sta discutendo proprio da ieri a Buenos Aires in un
vertice mondiale convocato dall'Onu) e della tradizionale deforestazione selvaggia in loco (che ha dato
spazio alle monocolture) esistono anche delle responsabilità precise, oggi e sul posto. Era da almeno
giovedì scorso che gli organismi non governativi e l'opposizione sandinista in parlamento scongiuravano
l'ultradestro governo di Arnoldo Aleman di dichiarare lo stato di allerta nazionale e di adottare una serie
di misure preventive. Il grassone e ingordo Aleman ha fatto orecchie da mercante, facendo sapere che
non avrebbe permesso che qualche aiuto internazionale venisse veicolato attraverso le odiate Ong, e
perché voleva meschinamente evitare che i piccoli produttori agricoli fossero legittimati a rimborsare i
crediti della semina ricevuti dalle banche. Ora Aleman non ha inserito le Ong (neppure straniere) nel
comitato di emergenza nazionale: vuole che tutti gli aiuti convergano a lui. Come accadde per il terribile
terremoto che rase al suolo il cuore di Managua nel '72, quando il dittatore Anastasio Somoza ne
approfittò per rimpinzare le proprie casse personali.

Esiste poi un'altra grave colpa che coinvolge l'attuale corrotta compagine di governo. Il Nicaragua è, suo
malgrado, avvezzo alle inclemenze della natura. Negli ultimi 15 anni ha dovuto fare i conti con grandi
alluvioni, eruzioni vulcaniche e un maremoto. Tuttavia, durante la rivoluzione, il governo sandinista aveva attrezzato un dispositivo di protezione civile efficace, tale che, per esempio, quando l'uragano Joan entrò
a 220 Km/h a Bluefields sulla costa atlantica nell'ottobre dell'88, fece registrare una sola vittima.

Ebbene quel dispositivo è stato completamente smantellato, come anche le capillari campagne di
vaccinazione in tutto il paese. La prevenzione non è evidentemente compatibile con le ricette neoliberiste di questi governi (imposte dal Fmi e dalla Banca mondiale) che dispongono draconiani tagli alle già esili
spese sociali di questi paesi.

Ci si potranno aspettare ora adeguati aiuti della comunità internazionale per far fronte a uno stato di
calamità che rischia di convertirsi in un colpo mortale per le fragili economie delle minuscole ma
densamente popolate nazioni centroamericane?Perché, oltre al Nicaragua, anche l'Honduras è stato
duramente colpito, e il Salvador e il Guatemala (mentre ora Mitch, trasformatosi in tormenta tropicale, si
muove verso il Chiapas). Tutti paesi in fondo alla lista nel recente rapporto Onu quanto a sviluppo
umano. Certo c'è poco da essere ottimisti in un'epoca di alleggerimento marcato della cooperazione
internazionale e della solidarietà. Ora gli Stati Uniti si preoccuperanno come si mobilitarono
dispendiosamente (in quattrini e vite altrui) negli anni 80 per fermare l'ondata rivoluzionaria o, più di
recente, per la lotta al narcotraffico? Perché dovrebbero se non si sono preoccupati delle ricostruzioni
postbelliche di questi paesi e hanno abbandonato l'istmo centroamericano in fretta e con grande
disinvoltura?
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