Daniela Leuzzi 

La Tempesta di William Shakespeare

"La Tempesta", datata 1611-12, è un testo di commiato nel quale si realizza la composizione di un contrasto, la catarsi per mezzo dell’acqua: L’isola è il teatro della vicenda, è un limbo magico oppure un palcoscenico. Glauco Mauri concentra l’azione su una pedana circolare: Allude alla "wooden o" del Globe Theatre elisabettiano e suggerisce l’assimilazione tra l’isola e l’orchestra che, nel rito teatrale greco, è il perno del mondo. Nel rito, il tempo è circolare: "La Tempesta" è una Ring- Komposition che dalla morte per acqua conduce al futuro (il ritorno in nave). Il testo shakespeariano è un inno al teatro, una celebrazione della gioia del demiurgo che si compiace, come Prospero, dei giochi visivi da lui creati. Mauri evidenzia nell’allestimento i colori ammalianti, l’atmosfera favolistica, suggestione che Shakespeare trasse forse, insieme con alcuni elementi della trama, dalla Rudens plautina. Prospero mette in scena delle illusioni, finalizzate all’incontro fra sua figlia Miranda e Ferdinando, erede del regno di Napoli; deposta la sua magia, consegna loro il futuro, come un padre benevolo. G. Strehler armonizzò l’umano ed il magico, evidenziandone i simboli: Nella sua messa in scena il mantello veniva piegato da Miranda e da un Prospero che non pareva però incline a deporre il tono imperioso, accentuato nella rievocazione della congiura ordita da suo fratello Antonio. La lentezza del gesto, reiterata nello spezzare la bacchetta magica, conferiva rilevanza scenica all’oggetto. Le scelte di G. Mauri, funzionali ad una lettura umana e generazionale, non eliminano in toto l’alone magico. La voce di Ariel proviene da varie direzioni ed "abbraccia" tutti gli spettatori. Lo spirito è l’esecutore degli ordini del mago, è la fantasia che rende possibile la creazione artistica: Placa la tempesta avvolgendosi su se stesso al centro del cerchio, dal quale si sprigionano tutte le forze. Nello spettacolo di Mauri, Ariel è interpretato da un ballerino: La grande espressività corporea dell’interprete rende giustizia alla vivacità del personaggio ma lo fa apparire meno evanescente. Il sollevarsi da terra è infatti un gesto atletico che non permette al corpo di svanire ma ne evidenzia la presenza. Strehler propose invece un Ariel sospeso ad un filo: Il personaggio era avvolto ad una sfera aerea ma la magia era demistificata dalla scelta straniante del cavo, moderna "macchina del volo", ostentatamente visibile. La leggiadria del candido Ariel, interpretato da una donna, si scontrava con la gravità di un Calibano che emergeva da una botola,una sorta di inferno, e, nero come la terra o come un selvaggio africano, faceva sue le movenze animalesche. Il contrasto era cromatico, di impatto visivo. Ariel riproduceva tuttavia le ambiguità di Prospero e si trasformava in una crudele Arpia che puniva l'usurpatore Antonio, dopo averlo lusingato con l’illusione di un banchetto. Il Calibano di Mauri ostenta con la gestualità un rapporto istintuale ed animalesco con la sessualità e con il vino. Una bottiglia, ben evidente in scena, lega Calibano al buffone Trinculo ed all’ubriacone Stefano: Strehler "citò" felicemente le maschere della commedia dell’arte, ben note a Shakespeare. Mauri si avvale invece della traduzione di Eduardo De Filippo: Si realizza un’ampia proiezione sulla cultura napoletana, intrisa di teatralità. E’ possibile anche una lettura di taglio politico, non estranea al sentire shakespeariano: Calibano complotta con Trinculo e Stefano ai danni di Prospero, duplicazione farsesca della congiura di Antonio e parallela al tentativo di Sebastiano di uccidere suo fratello Alonso. L’uomo, spinto dall’ambizione, cede alle pulsioni bestiali: Quest’"isola del giorno prima",abitata da spiriti e da mostri, è metafora della vita umana, sogno sospeso tra passato e futuro.