(Per accedere alle note passare il mouse sul testo evidenziato)

3. Pauṣya

( Il libro di Pauṣya. I, 3)


                              III



   1A 	il sūta disse:
     	Janamejaya, figlio di Parikṣit, coi fratelli attendeva a kurukṣetra ad un lungo rito,
     	i suoi tre fratelli sono Śrutasena, Ugrasena, Bhīmasena,

   2A 	attendendo costoro al sacrificio, un cane figlio di Saramā si avvicinava,
     	esso battuto dai fratelli di Janamejaya, lamentandosi andava dalla madre.

   3A 	La madre a lui che si lamentava diceva:
     	perchè ti lamenti?
     	da chi sei stato battuto?

   4A 	così egli apostrofato, alla madre rispondeva:
     	dai fratelli di Janamejaya io fui battuto.

   5A	a lui la madre rispondeva,
     	hai portato via qualcosa là, per cui sei stato battuto?

   6A 	egli a lei ancora diceva:
     	non ho portato via alcunchè,
     	non ho guardato le oblazioni, né le ho leccate.
   
   7A	ciò udito, sua madre Saramā piena di dolore per il figlio, al sattra si recava dove
    	attendeva Janamejaya coi suoi fratelli al quel grande rito.

   8A	egli là fu apostrofato da lei piena d'ira:
     	questo mio figlio non ha portato via alcunchè,
     	per quale motivo è stato battuto?
     	in quanto fu battuto innocente, allora un inaspettato male si abbatterà su di te.

   9A 	Janamejaya così apostrofato da Saramā cagna divina, era fortemente agitato, e depresso,

  10A 	compiuto quel sacrificio tornato ad hāstinapura, per cercare un purohita adatto, 
	compiva grandi sforzi per poter lavare quel suo peccato.

  11A 	un giorno andato a caccia Janamejaya il figlio di Parikṣit, in un luogo del suo regno vedeva un āśrama,

  12A 	la vi sedeva un ṛṣi di nome Śrutaśravas,
     	e a lui vicino sedeva il figlio di nome Somaśravas,

  13A 	e avvicinatosi Janamejaya figlio fi Parikṣit, quel suo figlio sceglieva come purohita,

  14A 	egli dopo essersi inchinato diceva al ṛṣi:
     	o venerabile che questo tuo figlio sia il mio purohita.

  15A 	egli così apostrofato rispondeva:
     	oh Janamejaya questo mio figlio è nato da una serpentessa,
     	egli è un grande asceta, dedito ai suoi studi, provvisto del valore del mio tapas, cresciuto
     	nel ventre di quella che aveva bevuto il mio seme.
     	egli è in grado di lavare tutti i tuoi peccati, salvo quelli compiuto verso il Mahādeva,
     	egli ha un solo voto segreto,
     	che  qualsiasi cosa un brahmano gli chieda, egli a lui la darà,
     	se questo puoi fare allora prendilo.

  16A 	da quello apostrofato Janamejaya a lui rispondeva:
     	o venerabile così dunque sia.

  17A 	egli preso con sé il purohita e tornato diceva ai fratelli:
     	io ho scelto questo maestro precettore,
     	quanto lui dica sia fatto senza indecisioni.

  18A 	da lui così apostrofati i fratelli in tal modo si comportarono,
     	egli così comandato ai fratelli partiva verso la città di takṣaśilā
     	e riduceva in suo potere quella regione.

  19A 	in quel luogo vi era un ṛṣi di nome Dhaumya Āyoda,
     	costui aveva tre discepoli, Upamanyu, Āruṇi e Veda,

  20A 	egli comandava al solo discepolo Āruṇi il pāñcāla:
     	vai a chiudere l'argine sul campo.

  21A 	per ordine del maestro Āruṇi il pāñcāla, là giunto, non era in grado di chiudere l'argine del campo,

  22A 	egli abbattuto vedeva un modo,
     	e sia, così io faro,

  23A 	egli dunque entrato nel canale 
     	col proprio corpo fermava l'acqua,

  24A 	dopo quache tempo il maestro Āyoda Dhaumya chiedeva ai discepoli:
     	dove è andato Āruṇi il pāñcāla?

  25A 	essi risposero:
     	da te o venerabile è stato mandato a chiudere l'argine del campo.

  26A 	così apostrofato allora rispondeva ai discepoli:
     	allora dunque andiamo tutti dove egli è.

  27A 	egli là giunto per cercarlo chiamava a gran voce:
     	ohi Āruṇi pāñcālya dove sei?
     	ragazzo vieni dunque.

  28A 	Āruṇi queste parole udendo, del maestro, alzatosi rapido dal canale si avvicinava al maestro
     	e a lui diceva:
     	io sono qui entrato nel canale a fermare l'acqua, come mezzo per fermarla,
      	ma udita la voce del venerabile, alzandomi dal canale mi sono a te presentato.
     	io ti saluto o venerabile,
     	fammi sapere o signore
     	che cosa io debba fare.

  29A 	a lui diceva il maestro,
     	poiché alzandoti hai aperto il canale, perciò il tuo nome sarà Uddālaka.

  30A 	egli fu poi favorito dal maestro:
     	poiché tu hai obbedito alle mie parole, il meglio tu otterrai,
     	tutti i veda in te splenderanno e tutti i dharmaśastra.

  31A 	così apostrofato dal maestro se ne andava dove desiderava,

  32A 	un altro discepolo di Āyoda Dhaumya era Upamanyu di nome,

  33A 	a lui il maestro ordinava:
     	vai Upamanyu, figlio mio a guardare le vacche.

  34A 	egli per ordine del maestro andava a custodire le vacche,
     	egli di giorno avendo guardato le vacche al tramonto, tornava vicino al maestro e fermo lo salutava,

  35A 	il maestro lo vedeva pasciuto,
     	e gli diceva:
     	Upamanyu, figlio mio con quale vitto ti sei sostenato?
     	sei molto pasciuto.

  36A 	egli rispondeva al maestro:
     	di elemosine mi sono mantenuto.

  37A 	a lui il maestro rispondeva:
     	l'elemosina non deve essere consumata prima di mostrarmela.

  38A 	così sia! avendo detto, di nuovo custodiva le vacche,
     	e avendole custodite tornato dunque vicino al maestro si fermava salutandolo.

  39A 	ma il maestro vedendolo ancora pasciuto gli diceva:
     	Upamanyu, figlio mio, tutta l'elemosina interamente io prendo,
     	con quale vitto ora ti sostieni?

  40A 	egli così apostrofato dal maestro rispondeva:
     	al venerabile consegnato tutto, una seconda volta io ho mendicato,
     	e con quel vitto io mi sono sostenuto.

  41A 	a lui rispondeva il maestro:
     	non è questo il modo di obbedire al guru,
     	così agendo tu impedisci il vitto degli altri,
     	avido tu sei.

  42A 	di si avendo detto egli custodiva le vacche,
     	e avendole custodite ritornato alla casa del maestro, stava vicino a lui dopo averlo salutato,

  43A 	Il maestro vedendolo ancora pasciuto di nuovo gli diceva:
     	io prendo tutta la tua elemosina e non vai ad altra, 
     	ma sei pasciuto,
     	con quale vitto ti sostieni?

  44A 	egli al maestro rispondeva:
     	bevendo dalle vacche io trovo il mio vitto.

  45A 	il maestro a lui rispondeva:
     	non è questa una regola approvata da me di bere il latte.

  46A   egli promesso di si, custodite ancora le vacche, tornato alla casa del maestro, stando a lui vicino lo salutava.

  47A 	il maestro lo vide ancora pasciuto,
     	e gli disse:
     	elemosine non ottieni, né ancora ne cerchi,
     	il latte non bevi,
     	ma sei satollo,
     	con quale vitto ti mantieni?

  48A 	egli così apostrofato dal maestro gli rispondeva:
     	io bevo la schiuma che i vitelli emettono quando bevono le mammelle delle madri.

  49A 	a lui il maestro rispondeva:
     	questi buoni vitelli per compassione di te abbondante schiuma emettono,
     	così facendo tu rechi impedimento al sostentamento dei vitelli,
     	neppure la schiuma tu devi bere.

  50A 	promesso di sì, digiunando egli custodiva le vacche,
     	egli avutane proibizione, non tratteneva l'elemosina, né un'altra ne cercava,
     	il latte non beveva,
     	e con la schiuma non si nutriva,

  51A 	egli un giorno nella foresta affamato mangiava delle foglie dell'albero arka,

  52A 	e dalle foglie di akra mangiate i suoi occhi dall'acido pugente di esse presi divenne cieco.
     	egli cieco vagando cadde in un buco.

  53A 	quindi lui non essendo tornato il maestro disse ai discepoli:
     	da me proibito di ogni cosa, Upamanyu
     	fu sempre provocato,
     	quindi non è ancora tornato.

  54A 	egli così avendo parlato, raggiunta la foresta chiamava Upamanyu:
     	Ohi! dove sei dunque Upamanyu?
     	vieni figlio mio.

  55A 	egli udito il richiamo del maestro, forte rispondeva:
     	io o maestro sono ahimè caduto in un buco.

  56A 	il maestro a lui rispondeva:
     	come hai fatto a cadere nel buco?

  57A 	egli gli rispondeva:
     	mangiando le foglie dell'akra io sono diventato cieco,
     	e quindi sono caduto nel buco.

  58A 	a lui rispondeva il maestro:
     	invoca gli aśvin,
     	i due medici degli dèi ti faranno riacquistare la vista.

  59A 	egli così comandato dal maestro, cominciava a invocare gli dèi aśvin con sacri inni:

  60A 	fin dall'inizio esistenti, primigeni, luminosi, con inni io vi invoco, o infiniti splendori,
     	voi due alati divini, puri medici, che proteggete tutti gli esseri,

  61 	uccelli d'oro, aiuti nelle difficoltà, o sinceri aśvin dai bei nasi, insegne di vittoria,
     	voi due intessendo rapidi la luce con arte, ne ricoprite lo scuro sole,

  62 	i colori ingoiati dalla forza della notte i due aśvin liberano, per la gioia di tutti,
     	finché voi virtuosi con la vostra māyā vi impegnate a spingere i supremi rossastri buoi,

  63 	trecento sessanta vacche da latte generano un solo vitello e lo allattano,
     	distribuite in varie stalle dando un solo latte, i due aśvin mungono l'offerta giornaliera,

  64 	settecento raggi sono infissi in un solo centro, e altri venti raggi sul cerchio,
     	con la māyā girano questa eterna ruota senza limite, volendo bene agli uomini,

  65 	una sola ruota gira dodici raggi e sei centri sul dorso, un solo asse e la mammella di amṛta,
     	a questa interamente gli dèi sono attaccati, i due aśvin versandola mai si stancano, 

  66 	gli aśvin divenuti i fornitori dell'amṛta per Indra, voi aśvin avete sconfitto i dāsapatnī,
     	gli aśvin rompendo la nube hanno sollevato la terra, dalla grande pioggia uscita dal buco,

  67 	voi due avete generato le dieci principali direzioni, l'aria vitale in bocca e col carro i cieli,
     	la guida di esse i ṛṣi seguono, gli dèi e gli uomini trovano la loro meta,

  68 	voi due create i colori di tutti i generi, e questi hanno prodotto tutti gli enti,
     	e uomini e dèi si muovono seguendo le stelle e trovano la loro meta,

  69 	io ho dato a voi due, amichevoli aśvin la ghirlanda di loti che portate,
     	voi due gli amichevoli che li rendete felici con l'amṛta, e la dea al momento giusto genera,

  70 	e voi due giovani con la bocca prendete il bimbo, e morto lei lo genera di nuovo,
     	e il bimbo ogni giorno si nutre dalla madre, e i due aśvin liberano facendo vivere le vacche.

  71A 	così da lui invocati i due aśvin vennero,
     	e gli dissero:
     	contenti noi siamo,
     	prendi questa focaccia,
     	e mangiala.

  72A 	egli così apostrofato, rispondeva
     	non falsamente voi due signori parlate,
     	ma io questa focaccia non posso mangiare senza che lo sappia il mio guru,

  73A 	allora i due aśvin dissero:
     	noi prima di te fummo invocati dal tuo maestro, e compiaciuti gli demmo la focaccia,
     	tu puoi consumarla senza il permesso del guru,
     	agisci dunque come il tuo maestro fece.

  74A	così apostrofato, di nuovo egli rispondeva:
     	vi chiedo perdono o aśvin,
     	io non posso mangiare senza il permesso del maestro.

  75A 	a lui dissero i due aśvin:
     	compiaciuti siamo che segua i precetti del guru,
     	di acciaio sono i denti del tuo maestro,
     	e tu diverrai d'oro,
     	di nuovo vedente sarai,
     	e il meglio otterrai.

  76A 	così apostrofato, egli riavuta la vista dagli aṣvin, tornato vicino al maestro, salutandolo lo informava,
     	egli per lui divenne felice,

  77A 	e gli disse:
     	tu otterrai il meglio come gli aśvin ti hanno detto,
     	e tutti i veda splenderanno in te.

  78A 	questa fu dunque anche la prova di Upamanyu,

  79A 	quindi il discepolo di Āyoda Dhaumya, di nome Veda,

  80A 	a lui il maestro comandava:
     	Veda, figlio mio, qui resta,
     	tu dovrai servire qualche tempo nella mia casa,
     	e il meglio tu ne avrai.

  81A 	di sì avendo detto, egli abitava a lungo nella casa del guru intento al suo servizio,
     	come un bue sempre intento agli incarichi del maestro, sempre sopportando fame, sete, freddo e caldo,

  82A 	di lui dopo molto tempo il guru fu alfine soddifatto:
     	e per avermi soddisfatto ottieni dunque il meglio di ogni conoscenza.
     	questa fu dunque la prova per Veda,

  83A 	egli col permesso del maestro, lasciata la residenza del guru, tornava alla sua casa.
     	e pure quando erano nella sua casa i tre discepoli,

  84A 	mai egli nulla diceva ai suoi discepoli,
     	di cosa fare o come servire il guru,
       	sapendo quanto duro fosse abitare nella casa del guru, non imponeva fatica ai discepoli.

  85A 	un giorno i due kṣatriya Janamejaya e Pauṣya scelsero il brahmano Veda come loro maestro,

  86A 	un giorno egli nel compiere un sacrificio, impiegava un discepolo di nome Uttaṅka:
       	oh! Uttaṅka qualsiasi cosa nella mia casa manchi, io voglio che tu la compia, senza ommissioni.

  87A 	Veda così avendo ordinato ad Uttaṅka, si allontanava da casa,

  88A 	quindi Uttaṅka obbedendo all'ordine del guru, stava nel sua casa ad abitare,

  89A   egli là dunque abitando assieme alle donne del maestro parlando fu così apostrofato:
     	la moglie del maestro è nel suo periodo di estro,
     	e il maestro è lontano,
     	fai in modo che il suo estro non sia senza frutto,
     	questo sia fatto.

  90A 	egli così richiesto, alle donne rispondeva:
     	io mai farò un azione sbagliata per ordine delle donne,
     	il maestro non me l'ha ordinato,
     	e anche per te sarebbe un cattiva azione.

  91A 	dopo un po' di tempo il maestro tornava a casa dal suo viaggio,
     	egli saputo interamente della sua condotta ne fu lieto,

  92A 	e gli disse:
     	Uttaṅka, figlio mio, cosa vuoi che faccia per te?
     	secondo il dharma tu mi hai ubbidito, 
     	per questo amore reciproco è sorto in noi due,
     	questo io ti garantisco,
     	ogni perfezione tu otterrai,
     	ora va.

  93A 	egli così apostrofato, rispondeva:
     	cosa posso io fare per te?
     	si dice così che

  94A	chi parla contrario al dharma, e chi chiede contrario al dharma
     	uno di questi due parte e incorre nell'imicizia,

  95A 	io dunque col tuo permesso vorrei conferirti il pagamento dell'insegnamento.

  96A 	da lui così apostrofato il maestro rispondeva,
     	Uttaṅka, figlio mio, attendi un po'.

  97A 	Dopo qualche tempo Uttaṅka diceva al maestro:
     	concedimi di partire o signore,
     	quale bene posso darti a pagamento dell'insegnamento?

  98A 	a lui il maestro rispondeva:
     	Uttaṅka, figlio mio, molte volte incitato ad avere il pagamento dell'insegnamento,
     	vai, dunque.
     	entrato dalla mia signora chiedile la cosa che mi darai,
     	e quanto ella ti dirà questo mi darai.

  99A 	egli così apostrofato dal maestro, chiedeva alla sua signora:
     	o signora, dal maestro ho avuto il permesso di entrare in casa,
     	questo chiedo, di partire libero dal debito per l'insegnamento del guru, 
     	questo fammi sapere o signora,
     	che cosa io devo dare a pagamento del guru?

 100A  così richiesta la moglie del maestro rispondeva ad Uttaṅka:
     	vai dal re Pauṣya, 
     	e chiedi in elemosina dalla regina, i due orecchini che indossa,
     	e questi portami,
     	tra quattro giorni si terrà il puṇyaka,
     	e questi indossando io voglio servire i brahmani,
     	fai in modo che io sia ornata di quegli orecchini in quel giorno,
     	compi dunque rapidamente il meglio che puoi.

 101A  Uttaṅka così apostrofato dalla moglie del guru, partiva,
     	egli sulla via andando vide un toro gigantesco montato da un uomo gigantesco.

 102A  quell'uomo diceva ad Uttaṅka:
     	Uttaṅka, lo sterco di questo toro mangia!

 103A  egli così richiesto non voleva.

 104A  e di nuovo l'uomo gli diceva:
     	mangialo o Uttaṅka.
     	non esitare,
     	pure dal tuo maestro prima fu mangiato.

 105A  così apostrofato, di sì avendo detto, allora lo sterco e l'urina del toro mangiando,
  	Uttaṅka, andava dov'era il principe Pauṣya.

 106A   avvicinatolo, Uttaṅka lo vedeva seduto,
     	egli avvicinatolo e salutatolo con benedizioni diceva:
     	per aver ricchezza io sono giunto da te.

 107A   egli lui salutato, gli diceva:
     	o venerabile io sono dunque Pauṣya,
     	cosa posso fare per te?

 108A   Uttaṅka gli diceva:
     	io sono qui giunto per avere i gli orecchini che la regina porta, per pagamento al mio guru, tu me li devi dare o signore.

 109A   a lui rispondeva Pauṣya:
     	entrato nel palazzo chiedili alla regina.

 110A   così da lui apostrofato, entrava nel palazzo, ma non vedeva la regina.

 111A   quindi ancora diceva a Pauṣya:
     	non è giusto che noi siamo trattati con menzogna,
     	la tua regina non è presente nel palazzo,
     	io non la vidi.

 112A   così apostrofato gli diceva Pauṣya:
     	sporco di cibo ti sei avvicinato o signore.
     	ricorda che fintanto che
     	sei impuro o sporco di cibo, non puoi vedere la regina,
     	ella per fedeltà al marito non si mostra agli impuri.

 113A   quindi così apostrofato Uttaṅka avendo ricordato diceva:
     	è vero, io andrò velocemente a purificarmi dai resti di cibo,

 114A   Pauṣya a lui rispodeva:
     	così dunque sia,
     	non va a purificarsi chi non si muove.

 115A   allora Uttaṅka di sì dicendo, rivoltosi ad est, ben lavandosi mani, piedi e bocca,
 	toccandosi con l'acqua con mute parole dal cuore, tre volte bevendo, due volte 
 	lavandosi le cavità, spuzzandosi con l'acqua, entrato nel palazzo vedeva la regina.

 116A  ella vedendo Uttaṅka, alzatasi e salutatolo diceva:
     	benvenuto tu sia o venerabile,
     	dimmi cosa posso fare per te.

 117A  lui le diceva:
     	i tuoi orecchini in elemosima per pagare il guru tu mi devi dare.

 118A  ella contenta della sua gentilezza e pensando di non sottrarsi a quel comando,
 	toltisi i due orecchini a lui li offriva.

 119A  e gli diceva:
     	Takṣaka il re dei nāga, brama questi due orecchini,
     	con attenzione devi portarli.

 120A  così apostrofato egli rispondeva alla regina:
     	o signora stai tranquilla,
     	Takṣaka il re dei nāga non è in grado di attaccarmi.

 121A  così avendo parlato alla regina, salutatala tornava alla presenza di Pauṣya.

 122A  vedendolo diceva:
     	oh! Pauṣya io fui accontentato.

 123A  a lui rispondeva Pauṣya:
     	o venerabile da molto non ti siedi a mangiare,
     	e tu signore sei un ospite importante,
     	quindi io farò uno śrāddha
     	attendi un poco.

 124A  a lui Uttaṅka rispondeva:
     	dunque io attenderò un momento.
     	velocemente io voglio servirti il cibo come è preparato.

 125A  di si avendo detto, si serviva di quel cibo come era preparato,

 126A  Uttaṅka freddo il cibo e con dei capelli vedendo, pensandolo impuro, diceva a Pauṣya:
     	in quanto a me hai dato del cibo impuro tu diverrai cieco.

 127A  a lui Pauṣya rispondeva:
     	poiché tu, del cibo puro ritieni impuro, senza figli tu sarai.

 128A  poi Pauṣya andava ad accertarsi della natura impura di quel cibo,

 129A   allora pensando che fosse impuro per i capelli persi dalla donna che l'aveva portato, si calmava:
     	venerabile, senza che lo sapessi il cibo è stato portato freddo e con dei capelli,
     	per questo io ti chiedo perdono o signore,
     	fa che io non diventi cieco.

 130A  a lui rispondeva Uttaṅka:
     	io non posso parlare invano,
     	ma diventato cieco dopo poco ritornerai vedente,
     	ma anche la meledizione che tu ha scagliato su me non diventi vera.

 131A  a lui Pauṣya rispondeva:
     	io non sono in grado di ritirare la maledizione,
     	la mia rabbia infatti anche ora non si è calmata,
     	non sai tu dunque che come

 132   tenero burro è il cuore di un brahmano, e nelle parole taglia come affilato rasoio?
     	contrarie entrambe sono le cose dello kṣatriya, tènere le parole e affilato il cuore.

 133A  così,
        così dunque, non sono capace per la durezza del cuore di rendere vana la maledizione,
     	ora vai.

 134A  a lui rispondeva Uttaṅka:
     	tu essendoti accertato della natura impura del cibo sei da me scusato,
     	prima tu hai affermato:
     	poiché del cibo puro hai ritenuto impuro allora sarai senza figli.
     	ma impuro essendo il cibo, questa maledizione non avrà luogo,

 135A  così noi stabiliamo. avendo così parlato Uttaṅka partiva prendendo gli orecchini,

 136A  egli vedeva sulla via, un nudo asceta venire, che a tratti spariva e scompariva,
     	allora Uttaṅka posti a terra gli orecchini partiva in cerca di acqua,

 137A  in quel frattempo il mendicante rapido avvicinatosi, presi gli orecchini fuggiva, 
     	Uttaṅka rincorrendolo lo afferrava,
     	costui mutato aspetto ridivenuto Takṣaka, rapido aperto un grande buco per terra vi entrava,

 138A  ed entrato nel mondo dei nāga andava verso casa,
     	Uttaṅka però lo inseguiva in quel buco,
     	ed entratovi i nāga invocava con queste strofe:

 139    i serpenti che sono nati dal re Airāvata, sono splendidi in battaglia,
     	sono come nuvole piene di pioggia e di lampi spinte dal vento,

 140 	sono di belle e varie forme, con orecchini bianchi e neri,
     	come il sole nella volta celeste regnaste o nati da Airāvata,	

 141 	nolti sono i sentieri dei nāga, sulla riva nord della Gaṅgā,
     	chi vorrebbe muoversi sotto i raggi del sole a parte Airavāta?

 142 	ventimila ottocento e otto sono
     	i serpenti che vanno suoi compagni quando Dhṛtarāṣṭra si muove,

 143 	i quali lo seguono e molto lontano vanno,
     	io faccio omaggio ai migliori fratelli di Airāvata,

 144 	la cui casa sorgeva a kuruksetra, e sempre era nella selva di khāṇḍava,
     	io, ho pregato Takṣaka figlio di Kadru per avere gli orecchini,

 145 	e Takṣaka e Aśvasena sempre insieme vivono entrambi,
     	abitando a kuruksetra, sulle rive della fiumana Ikṣumatī,

 146 	e il fratello minore di Takṣaka è Śrutasena, il quale si sa che
     	risiedeva a mahadyuman, desiderando la sovranità dei nāga,
     	che io mi inchini sempre a questo grand'anima.

 147A  ma quando pure così elogiando i nāga, non otteneva gli orecchini, 
	egli scorgeva due donne al telaio che intessevano un telo.

 148A  in questo telaio vi erano fili bianchi e neri,
     	e una ruota vedeva girata da sei giovani,
     	e un uomo vedeva bello a vedersi,

 149A  egli tutti questi pregava con queste strofe, recitate come mantra:

 150    i trecento sessanta fissati nel mezzo sempre girano attorno all'asse,
     	della ruota composta da ventiquattro parti, che sempre è girata da sei giovani,

 151 	e due giovinette questo telaio di tutti i colori sempre attorcigliando i fili,
     	bianchi e neri intessono, e sempre gli spiriti e le creature.

 152 	l'armato della folgore, il protettore della terra, l'uccisore di Vṛtra e di Namuci,
     	il grand'anima vestito di abiti neri, che mostra al mondo il vero e il falso,

 153 	che ha ottenuto il destriero nato un tempo dalle acque, come eterno veicolo,
        sempre a lui sia omaggio, al signore dell'universo, al signore del trimundio, al distruttore di città,

 154A  quindi quell'uomo gli disse:
     	compiacito sono per questa tua preghiera,
     	cosa posso fare per te?

 155A  lui gli diceva:
     	che i nāga cadano in mio potere.

 156A  l'uomo a lui di nuovo disse:
     	colpisci nel culo questo cavallo.

 157A  egli colpiva il cavallo sul culo.
     	allora dal cavallo colpito da tutte le aperture, fumanti fiamme di fuoco uscirono,

 158A  e da queste il mondo dei nāga fu riempito,

 159A  allora Takṣaka, tremante, preso dal timore del fuoco, presi rapidamente gli
  	   orecchini, uscito di casa diceva ad Uttaṅka:
     	prendi signore questi orecchini.

 160A  Uttaṅka li prendeva allora,
     	e presi gli orecchini, pensava:
     	oggi è il giorno del puṇyaka della signora del maestro,
     	e lontano io sono andato,
     	come dunque posso andare da lei?

 161A  a lui che stava pensando diceva quell'uomo:
     	Uttaṅka sali su questo cavallo,
     	egli in un istante ti farà arrivare alla casa del maestro.

 162A  di sì dicendo, salito sul cavallo, partiva verso la casa del maestro.
     	la signora, purificata, raccolti i capelli, pensando: Uttaṅka non viene, poneva mente di maledirlo,

 163A  allora  Uttaṅka entrando salutava la signora,
     	e le dava gli orecchini.

 164A  ella gli rispondeva:
     	Uttaṅka a tempo e luogo sei giunto,
     	benvenuto a te o figlio mio,
     	per un pelo non sei stato maledetto da me,
     	che tu abbia il meglio,
     	e che tu la perfezione ottenga.

 165A  Uttaṅka allora andava a salutare il maestro.
     	il maestro gli diceva:
     	Uttaṅka, figlio mio benvenuto a te,
     	che hai fatto in questo lungo tempo?

 166A  al maestro rispondeva Uttaṅka:
     	signore, io fui ostacolato nell'agire dal re dei nāga Takṣaka,
     	da lui fui condotto nel mondo dei nāga,

 167A  e là io vidi due donne intente al telaio che tessevano un telo,
     	e su questo telaio vi erano fili bianchi e neri,
     	perchè cio?

 168A  e là io vidi una ruota in dodici parti,
     	che sei giovani giravano,
     	perchè ciò pure?

 169A  e un uomo io pure vidi,
     	chi era ancora costui?

 170A  e un cavallo di grandi dimensioni,
     	pure lui chi era?

 171A  sulla via andando, vidi un toro,
     	da un uomo era questo montato,
     	ed egli urbanamente mi disse:
     	Uttaṅka mangia lo sterco del toro,
     	anche il tuo maestro l'ha mangiato.
     	allora per queste parole io ho mangiato lo sterco di quel toro,
     	questo io desidero che tu mi insegni, cos'è cio?

 172A  da lui così richiesto il maestro rispondeva:
     	le due donne sono il Creatore e l'Ordinatore,
     	i fili neri e bianchi sono le notti e i giorni,

 173A  in quanto alla ruota dai dodici raggi, che i sei giovani girano, i sei sono le stagioni e la ruota l'anno.
     	l'uomo è il dio della pioggia,
     	il cavallo è Agni,

 174A  il toro che tu hai visto andando per via, è Airāvata il re degli elefanti,
     	chi lo cavalca è Indra,
     	lo sterco del toro che tu hai mangiato è l'amṛta,

 175A  per questo tu non hai avuto sventura nella dimora dei nāga,
     	e Indra anche di me è amico,

 176A  per il suo favore tu riavuti gli orecchini sei di nuovo tornato,
     	vai dunque in pace,
     	io te ne do licenza,
     	e il meglio tu otterrai.

 177A  Uttaṅka con permesso del maestro, partiva per hāstinapura, irato, volendosi vendicare di Takṣaka,

 178 	raggiunta hāstinapura, in breve tempo quel migliore dei ri-nati,
     	Uttaṅka si presentava al re Janamejaya,

 179 	da poco tornato vincitore da takṣaśilā,
     	vedendolo perfetto conquistatore, circondato dai suoi ministri,

 180 	a lui, egli prima dedicate secondo le regole delle benezioni di vittoria,
     	a tempo debito le parole gli diceva con voce dal gradevole suono:

 181 	"avendo un'altra impresa da fare o migliore dei principi,
     	come un fanciullo una diversa ne compi o migliore dei sovrani."

 182 	così apostrofato dal savio, il re Janamejaya rispondeva,
     	con animo tranquillo dopo aver onorato il muni:

 183 	"proteggendo le creature, io difendo il mio dharma kṣatriya,
     	dimmi che devo fare o Indra dei ri-nati, io desidero ascoltare ora le parole di uno come te."

 184 	così apostrofato dall'ottimo re, il migliore dei ri-nati, quel migliore dei santi,
     	a quel re di impareggiabile bontà diceva: " l'azione da fare per il re è questa,  

 185 	tuo padre fu ucciso da Takṣaka, o re dei re,
     	di quel serpente malvagio tu devi vendicarti,

 186 	io penso che sia giunto il tempo di agire secondo giustizia,
     	questo onore rendi o re, a tuo padre grand'anima,

 187 	innocente, morso da quell'anima malvagia,
     	il re si estinse negli elementi, come un albero colpito dal fulmine,

 188 	gonfio per l'orgoglio della sua forza, Takṣaka, quel vile serpente,
     	una azione indegna fece, quel malvagio che morse tuo padre,

 189 	quel sovrano pari agli immortali, che proteggeva le schiere dei ṛṣi regali, 
     	fu ucciso dal malvagio, che allontanava Kāśyapa,

 190 	tu devi bruciare quel malo, nel fuoco acceso del divora-offerte,
     	un sacrificio dei serpenti, o grande re dunque sia preparato,

 191 	così tu sarai il vendicatore dell'onore del padre,
     	e a me o re, farai una azione supremamente cara,

 192 	quel malvagio o protettore della terra, al mio agire, mentre
     	ero impegnato o grande re, nel pagamento del guru, si oppose o senza-macchia."

 193 	questo avendo udito il sovrano, una furia montava contro Takṣaka,
     	acceso dal burro delle parole di Uttaṅka quanto il fuoco dal burro dell'offerta,

 194 	e il re pieno di dolore allora chiedeva ai suoi
	alla presemza di Uttaṅka, lumi sulla morte del padre,

 195	e allora il re dei re, sommerso dal dolore e dalla sofferenza divenne,
	quando udì da Uttaṅka la vicenda del padre.