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Argomenti e fatti tratti dal libro: “Padre Luigi Scrosoppi” di mons. Guglielmo Biasutti

 

 


Vista esterna e giardino interno della casa delle suore della Provvidenza, ex Casa delle Derelitte.

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Breve storia della casa 

La “casa delle derelitte” venne istituita nell’ex casa Florenzis di proprietà del sig. Gio Batta Patavini. Dal 1815 al 1822 l’affitto veniva pagato dal sig. Fantini, fattore del conte Alvise Otellio, e il direttore era p. Gaetano Salomoni. Nel 1819 p. Carlo (fratello di p. Luigi) collaborò con p. Salomoni divenendo economo della casa.
Nel 1822 p. Salomoni dovette lasciare l’incarico che venne poi assunto da p. Carlo. Quest’ultimo, oltre a diventare direttore, si fece carico di pagare personalmente l’affitto della casa.
Causa i molteplici impegni di p. Carlo e nonostante le sue doti personali, l’istituzione andò via via illanguidendo al punto che, con il bilancio del 1829, si prospettò una possibile chiusura.
Nel 1830 divenne vicedirettore p. Luigi che, con il suo impegno di promozione delle attività della casa, diede ad esse nuovo vigore e nuove prospettive.
Nel 1832 si presentò la possibilità di acquistare la casa delle derelitte. Tale acquisto divenne possibile nel 1833 grazie ad un’eredità a favore delle derelitte fatte dall’abate francese Lodovico Maria Berruyer.

 

 
Parte alta del disegno:

Progetto per la ristrutturazione della Casa delle Derelitte. La parte in rosso rappresenta la variante che prevedeva un piano “sotto tetto”. Venne poi deciso di adottare quest’ultima soluzione.

Parte bassa del disegno:
Disegno della «casetta», prima sede della Casa delle Derelitte. Le proporzioni dei due disegni ben rappresentano l’impegno e la qualità del’opera.

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 Casa delle derelitte dopo ricostruzione del 1833

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Il progetto della nuova casa 

La ex casa Florenzis misurava allora metri 17 al filo della strada, era alta alla linda m. 5,60 e profonda m. 8 verso l'orto. Un piccolo nido, a paragone con la mole odierna. Il dormitorio per le orfanelle era stato ricavato nel granaio... C'era davvero bisogno di allargare le tende. Ma quanto? Ma come?
Ci sono rimasti due progetti: uno di fattura assai modesta, che si limitava a dare una migliore forma agli edifici esistenti; ed uno di disegno accurato, redatto da un certo Rossi, che invece comportava la demolizione del precedente edificio e l'erezione ex novo di un caseggiato, più grande di oltre due volte in tutte le dimensioni.
Padre Carlo e don Luigi avranno ragionato a lungo sul partito da prendere. E si può ben ritenere che don Luigi, un po' per il fervore dell'età   - aveva quasi trent’anni ed il fratello quarantotto -, un po' per il carattere più deciso ed ardimentoso, deve aver caldeggiato il progetto di maggiore respiro. Tanto più che si sarebbe accollato lui il peso e la fatica dell'esecuzione, poiché p. Carlo era fin troppo occupato nella direzione spirituale dei suoi numerosi penitenti.
Venne scelto, alla fine, il progetto esecutivo che porta la firma del capo-muratore Marco Bernardis: quarantotto metri di fronte, quattordici e mezzo di profondità ed a tre piani. Anzi si aggiunse poi un piano a soffitte abitabili, sino a raggiungere l'altezza di metri dodici.
Il 10 giugno 1834, visto il parere favorevole della deputazione d'ornato - la commissione edilizia di allora -, il podestà conte Colloredo concedeva il nulla osta. Ma i lavori erano già cominciati. Il primo colpo di piccone era stato dato il 30 gennaio, che quell'anno cadeva di giovedì.

Dai registri redatti più tardi da p. Luigi risulta che le maestre e le prime orfanelle presero dimora nella nuova casa il martedì 1° febbraio 1837.

 

Organizzazione e scopi della Casa delle Derelitte

 

La casa aveva una «direzione interna», formata dalla superiora e da quattro suore chiamate «anziane». La «direzione esterna», invece, era costituita dal presidente - che per statuto doveva essere l'ordinario diocesano -, dal vicepresidente - ancora per statuto il podestà di Udine -, dal segretario e da sei protettori e sei protettrici: questi ultimi dovevano venire mutati in parte ogni due anni. Ma la guida e la responsabilità della casa erano principalmente affidate a due sacerdoti: il direttore, di nomina vescovile, ed il vice-direttore, scelto dal direttore e confermato dal vescovo, quale presidente.
Dai documenti gli scopi dell’istituto erano:
«Raccogliere le povere fanciulle orfane ed abbandonate, o figlie di miserabili ed ignoranti, o trascurati e viziosi genitori, per toglierle dal traviamento; educarle e renderle atte al servizio di oneste famiglie; o a maritarsi con buoni artigiani; o ad essere educatrici di altre derelitte, è lo scopo generale dell'istituto».
Le «interne» sono descritte così:
« Le più povere ed assolutamente derelitte si educano e mantengono a tutte spese della casa, di cui divengono figlie, e non ne escono se non dopo compiuta l'educazione e provvedute»
Quanto alle «esterne», vi si dice:
«Quelle poi povere bensì, ma aventi i genitori, che per essere completo il numero delle ammesse permanentemente, non possono divenire figlie dell'istituto, si raccolgono nel luogo durante il giorno, ivi ricevono il pranzo, e si educano come le prime, sebbene separatamente». Codeste esterne dovevano radunarsi ogni mattina nelle chiese delle rispettive parrocchie e di là alcune donne appositamente scelte le accompagnavano alla casa.
Alle interne ed alle esterne venivano insegnati anzitutto la dottrina cristiana ed anche i primi rudimenti del leggere, scrivere e far di conto; « non a tutte però, ma alle più distinte in bontà ed attività, e ciò nelle ore di ricreazione e nei giorni festivi per modo di ricreazione».
Non ci deve stupire che i primi rudimenti del sapere fossero riservati alle più buone ed attive, poiché a quell'epoca s'era tutt'altro che favorevoli all’istruzione femminile popolare. Le cose muteranno in pochi decenni; e la Casa delle Derelitte si troverà ben presto all'avanguardia anche nel campo dell'istruzione femminile.
Per allora il regolamento dava la preminenza all'economia domestica: pratica, ben inteso.

 



 Foto storica madri anziane (1900)

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Foto storica collegiali (1900)

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Come si viveva nella Casa 

Nella Casa, dunque, c'erano i seguenti laboratori: uno di maglieria e calzettificio, naturalmente a ferri; un reparto filatura e tessitura, con conocchie, fusi, aspi cantilenanti, arcolai o « gorlette » e telai a mano; una scuola di taglio, di cucito e di ricamo; per qualche tempo un guantificio; e infine una filanda di seta.
A quest'ultima veniva fornita la materia prima dall'azienda agricola, annessa alla casa e gestita da qualche suora e fanciulla. Essa si trovava subito fuori porta Ronchi, sul lato est dell'attuale viale XXIII Marzo, e già nel 1840 contava circa cinque ettari, parte a prato - per la stalla, donde si traeva il latte - parte a cereali, e con molti filari di gelsi, appunto per la coltura dei bachi da seta.

Il giaciglio delle orfanelle e delle suore fu formato, nei primi tempi, da umili sacconi di paglia o di cartocci. In seguito, vennero migliorati assai i materassi delle figliole; e divennero di lana quelli per le ammalate, fossero fanciulle o suore. Ma le suore in buona salute conservarono a lungo il privilegio del pagliericcio.
Quanto al vestito, il regolamento del 1840 dice che «le alunne interne» vestono uniforme «schiettissimo», cioè semplice, alla popolana. Sappiamo che il loro abito era di «mezzalana verdon», mentre quello delle maestre - le future suore - era di color «bruno». Ovviamente si trattava del vestito buono, da usarsi soprattutto le feste o quando si usciva di casa. Negli altri giorni e soprattutto per certi lavori, ci si rimpannucciava alla bell'e meglio. Il simpatico dott. Zambelli, parlando del vitto e del vestito delle orfanelle nel citato discorso, ce ne dà un quadro più vivo. «Esse, è vero, non si conoscono - scrive - degli agi e delle lautezze del vivere molle cittadino, una ruvida veste ricuopre le loro membra tenerelle, su di un rozzo letto esse dormono i sonni dell'innocenza, frugalissimo alimento sazia la loro fame... E' vero che moltissime indossano ancora scarsa veste sdruscita, è vero che molte, anco tra il rigore del verno, ignudo mostrano il piede».
Scarpe o ciabatte, ce n'erano per le interne, ma le usavano solo nei giorni di festa.
Insomma, i due fratelli non vollero indulgere ad esigenze o coltivare pretese, ma amarono tenere le fanciulle nella condizione in cui si trovavano; neppure il «decoro» dell'istituto li fece mai derogare da un rigido criterio di semplicità e di povertà. E qui crediamo di scorgere il tocco concreto e, diciamo pure, alquanto rude di don Luigi, perché il nobile p. Filaferro doveva essere incline ad una maggiore raffinatezza.
In questo stile di povertà, ad esempio, p. Luigi non volle che la casa venisse esternamente intonacata. Rimase grezza fin dopo la sua morte.
 
 

La casa delle derelitte eretta ad ente morale 

E per tutte codeste iniziative sociali, promosse per carità e non per lucro, credete che i fondatori ricevessero lodi e sussidi dalle autorità governative? Macchè! Soltanto tasse, specialmente a causa di quella benedetta filanda, come fossero degli industriali.
a questo era ancora niente.
Con la guerra del 1866 il Veneto ed il Friuli vennero annessi al regno d’Italia. Tutte le congregazioni religiose, già in difficoltà sotto gli austriaci, col nuovo regno ebbero il colpo di grazia. Molte congregazioni vennero sciolte ed i beni confiscati. Non solo dei filippini ebbe a soffrire p. Luigi, ma anche della soppressione delle monache di S. Chiara (convento duecentesco dell’Uccellis) e della soppressione dei cappuccini (di cui lui era terziario francescano).
Il tentativo di soppressione venne fatto anche nei confronti della casa delle derelitte. Ma la casa delle derelitte non era nata dalla congregazione, bensì la congregazione era nata dalla casa. E’ sulla base di questa sottigliezza che p. Luigi riuscì, non senza difficoltà e sofferenze, a salvare la casa e le suore. Ma i problemi non furono certo risolti così facilmente. La casa delle derelitte doveva essere trasformata da istituzione privata ad ente morale. Ciò ovviamente implicava un totale controllo da parte del governo sull’istituzione; controllo economico e organizzativo. Tanto per intenderci, lo stato aveva il totale controllo sull’istituzione e le suore non dovevano essere più “suore”, ma “maestre”.
Padre Luigi lottò per anni contro questo stato di cose finché nel 1880, con l’approvazione del suo statuto, l’amministrazione della casa venne riconosciuta al padre – quale fondatore – sino alla sua morte. Dopo la sua morte, l’autorità civile nominò un amministratore.
 

Generosità della famiglia Scrosoppi 

Se è vero che grande è stata la provvidenza nei confronti di quella casa, è altrettanto vero che molto di questa veniva dalla famiglia Scrosoppi. Papà Domenico proveniva da una famiglia benestante e impegnò la sua vita per conservare e per crescere il suo patrimonio. Ma non era questo certo il suo più profondo obiettivo. Ci sono fatti e documenti che testimoniano la sua generosità ed altrettanti che dimostrano come appoggiasse i due fratelli Carlo e Luigi mentre questi “usavano” del suo patrimonio per la Casa delle Derelitte e per le opere di bene in genere.
Non si conoscono con esattezza i momenti ed i fatti che riguardano questo aspetto dell’opera dei due fratelli, ma sappiamo con certezza che alla fine della loro vita, tutto quanto possedevano e stato usato per le suore e le orfanelle.
Anche da questo si può capire quanto ingiusta sarebbe stata la confisca della casa delle Derelitte con l’ingresso nel Regno d’Italia.
Alcuni momenti di questa Provvidenza appaiono dallo studio dei documenti arrivati fino a noi. Quasi 10 anni di affitto pagati da p. Carlo.  Trentacinquemila lire per sovvenzioni fornite da p. Luigi dal 1852 al 1865 a pareggiare i bilanci annualmente deficitari. Altri sessantamila lire per analoghe sovvenzioni dal 1865 al 1874. Non sappiamo poi in quanti e quali modi p. Luigi abbia speso il suo patrimonio, ma è certo che nulla è stato trattenuto a suo vantaggio. E’ noto infatti quanto fredda fosse stata d’inverno la sua stanza, quanto logori e rattoppati fossero stati suoi vestiti, quante energie avesse speso nel modo più disinteressato a favore delle derelitte e di ogni altro tipo di “bisogno”.

 

 

 

 


Asilo dell’immacolata, ex casa del provvedimento (1998)

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Foto storica bambini asilo (primi 1900)

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La Casa del Provvedimento od Opera di S. Zita 

Una bella caratteristica della Casa delle Derelitte sino dagli inizi fu il criterio familiare che i due fondatori seguirono sempre nell'accogliere ed educare le fanciulle, nel preoccuparsi di una loro prudente collocazione quando avevano raggiunto l'età e la formazione per muoversi da sole nella vita, e nel vigilare ancora su di esse e riaccoglierle in casa quando si fossero trovate in difficoltà od in pericolo. E, se avevano viscere paterne per tutte, le avevano in modo speciale per quelle veramente abbandonate, secondo quel che era detto nel regolamento: «Le più povere ed assolutamente derelitte si educano e mantengono a tutte spese della casa, di cui divengono figlie, e non ne escono se non dopo compiuta l'educazione e provvedute».
Perciò padre Luigi tratteneva quest'ultime nell'istituto per mesi e talora per anni, anche se eran più che diciottenni: le tratteneva, appunto, finché non poteva sistemarle bene.
Tuttavia sorse ben presto un problema pedagogico. Era opportuno tener unite in una medesima convivenza bambine e giovani, dai quattro ad oltre vent'anni? Ecco perché, vivente ancora padre Carlo, i due fratelli pensarono ad una Casa del Provvedimento, dove le giovani trovassero un ambiente più adatto alla loro età.

A quella casa si stava già lavorando nel 1853, ma venne inaugurata solo il 4 ottobre 1854, festa di s. Francesco d'Assisi. E qui va ricordato come quest'opera, nella piccola Udine, preceda di oltre sette anni quella uguale aperta nella grande Torino il 1° febbraio 1862, col medesimo nome di Casa del Provvedimento od Opera di santa Zita, dal servo di Dio don Francesco Faà di Bruno, che il Trabucco definisce «pioniere dell'assistenza sociale».
L'opera udinese ebbe sede per dieci anni in una «casetta» di poche stanze, corrispondente all'attuale Asilo dell'Immacolata. Vi si accedeva, però, dal portone che dava nella braida ex Missionari, proprio di faccia alla porta principale della Casa delle Derelitte: evidentemente perché p. Luigi volle tenere sotto una discreta vigilanza l'ingresso e l'uscita delle ricoverate.
Forse per dar luogo alla scuola per sordomute, padre Luigi pensò un anno dopo a trasferire la Casa del Provvedimento. A tale scopo, infatti, comperò nel 1855 delle case di proprietà Gremese a sud della chiesina ed oratorio delle Derelitte; ma non poté perfezionare l'acquisto che nel 1862. Iniziò subito in quel sito la costruzione di un più grande edificio. In esso la Casa del Provvedimento prese dimora nel 1865 e continuò a funzionare fino all'ottobre 1904, quando venne sostituita da un convitto per le alunne del collegio della Provvidenza, che frequentavano le scuole esterne della città. L’opera durò, quindi, esattamente mezzo secolo.
Qui vi trovano ospitalità una decina di ragazze dimesse dal reparto “esposti” dell’ospedale civile ed altre giovani provenienti dai vari paesi della provincia per mettersi in servizio in città. L’istituzione era, perciò, nello stesso tempo una scuola professionale di perfezionamento per domestiche e cameriere, un ufficio di collocamento ed un’opera per la protezione della giovane ante litteram.
 

 
Vista dal di dietro dell’ asilo (foto storica)

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L’opera per le sordomute 

Ad un opera speciale per le sordomute si pensava prima che p. Carlo morisse, ma fu possibile realizzarla solo più tardi quando nel 1857 p. Luigi comperava la casa di proprietà delle dimesse, confinante con l’allora Casa del Provvedimento.
Cappellano delle dimesse era don Fantoni, il quale fece certamente da intermediario.
Per quasi una decina d'anni p. Scrosoppi dovette usare personale specializzato estraneo alla congregazione delle suore, poiché non risultava che tra queste ce ne fosse qualcuna esperta in tal ramo di insegnamento. Più tardi però inviò presso le canossiane di Venezia due religiose - suor Costanza Murero e la suor Saveria Pascolatti - che fecero la vestizione il 14 gennaio 1866 e la professione il 27 ottobre 1868.
Esse dovevano aver già fatto pratica tra le sordomute, perché ritornarono da Venezia col diploma di abilitazione dopo tre soli mesi di tirocinio.
Ma la Pascolatti morì il 14 aprile 1871. Ed un po' per questa perdita, un po' perché il padre Luigi venne abbandonato da chi poteva e doveva sostenerlo..., con grave suo dolore fu costretto a lasciar cadere un'opera di tanta carità.
L'autorità civile sotto il governo austriaco s'interessò soltanto per chiedergli, il 9 ottobre 1861, la statistica delle ricoverate. E, mutato governo, non se ne interessò affatto.
L'opera durò quindi all'incirca una quindicina d'anni, dal 1857.
 

 

 

La chiesina di S. Gaetano 

Padre Luigi aveva nel cuore due santi per lui molto importanti, S. Giuseppe e S. Gaetano da Thiene.

S. Gaetano, nel lontano 1500, si era distinto per opere di carità a favore degli ospedali, degli orfanotrofi e dell’infanzia abbandonata in genere (vd. Grande libro dei santi). Quando nella casa le orfanelle e le suore non avevano più di che mangiare, egli e loro si rivolgevano in preghiera ai due santi; e per loro intercessione, la Provvidenza non mancava mai d’intervenire.
Ad est della casa ex Florenzis c'erano alcuni miseri locali adibiti a legnaia o ripostigli, come è d'uso in qualsiasi abitazione rustica. I due fondatori li avevano già trasformati nel 1837, ricavandone la cucina ed i locali per la bigattiera e la filanda. Intorno al 1846 pensarono di sopraelevare quell'edificio e costruirvi, al primo piano una bella chiesetta con oratorio retrostante per la numerosa comunità. Cominciarono dalla chiesetta.
Questa era ormai compiuta nella primavera del 1847, poiché la benedisse il 20 giugno il canonico mons. Gio. Batta Bearzi, che vedemmo per parecchi anni collaboratore di p. Carlo. Ed il vicario capitolare mons. Darò la eresse immediatamente in « sacramentale », cioè concesse di potervi conservare in permanenza il SS.mo Sacramento.
Alla chiesina di S. Gaetano ancora in costruzione accenna il conte Lodovico Rota: « Questa piccola chiesa - egli scrive - che colla massima economia sta ora erigendosi frammezzo alle due fabbriche del pio istituto, può essere ricordata e per la sua singolare ubicazione e per la sua gotica semplicità ».
Anzi, nel suo opuscolo, il Rota dedica alla chiesa ed Istituto delle Derelitte uno spazio maggiore che a qualsiasi altra chiesa od istituto della città. Né fa meraviglia, perché il Rota era legato ai due fondatori da vincoli strettissimi di amicizia e di stima; egli li chiama « veri uomini del Vangelo e... decoro e lustro di questa fiorente città ».
A p. Luigi premeva soprattutto che in casa fosse presente Gesù sacramentato. E' del 29 gennaio 1849 il decreto della curia di Udine con il quale si permette l'esposizione e benedizione col SS.mo in vari giorni e feste dell'anno: occorre ricordare come tali cerimonie venissero allora permesse assai più di rado che ai nostri giorni.
Da quel tempo egli introdusse nella casa la pratica dell'adorazione perpetua. Anche lui si scelse il suo turno, dalle 10 alle 11 della sera, e vi rimase sempre fedele. La memoria di quelle sue ore adoranti rimase indelebile tra le suore.

Ingrandimento altare ed urna