Vicolo Cinema

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Un pugno nello stomaco

Fight Club: un flop?
Proprio ieri mi è capitato sotto gli occhi un trafiletto da nulla, su un giornale da nulla, che riportava i soliti gossip su Brad Pitt: quando si sposa, si è già sposato, quanto era grande l’anello di fidanzamento, quale marca di cereali usa e via discorrendo.

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Però, in mezzo a questo vuoto giornalistico, ecco comparire una frase, un giudizio buttato lì quasi senza importanza, come un dato di fatto, ovvio, per l’autore, così come c’è la luce di giorno e il buio di notte:"…mentre Brad Pitt incassa un altro flop con Fight Club…"

Lo giuro, in quel momento avrei voluto prendere alla lettera gli insegnamenti di Fight Club (club per combattere) e sperimentarli direttamente sul "corpicino" del suddetto autore. Quando poi mi sono calmata, ho capito che forse era meglio usare un’altra arma e la mia cara e vecchia tastiera mi è venuta in soccorso, e ora voglio dire la mia su questo film assolutamente non capito e bistrattato.
Prima di tutto cerchiamo di capire che cos’è un flop: un film che ha fatto cilecca dal punto di vista dei guadagni o una pellicola che è una vera schifezza (qui leggete con tono napoletano così rende meglio la parola!)? Perché, mettiamo subito le cose in chiaro, le due definizioni non coincidono nel modo più assoluto, tanto più in un paese come il nostro, dove l’italiano medio, uno dei pochi animali a non correre pericolo di estinzione, riempie i cinema solo durante le feste istituzionali e solo per andare a vedere film "scalacquosi" che hanno l’unico merito di svuotarti la testa per due ore, fratelli Vanzina docet! Il cinema che va in Italia è quello che propone film carini, cioè mediocri, che non pretendono nulla dallo spettatore e che d’altro canto nulla gli danno; Fight club pretende tanto, ma alla fine dà anche una bella ricompensa: quella di uscire dalla sala cinematografica con la consapevolezza che la nostra mente è stata sveglia, ha colto particolari, è riuscita a seguire la costruzione del regista (David Fincher, lo stesso di Seven),è stata in grado di vedere al di là della violenza e capire che questa non è il centro del film.
Volontariamente non voglio raccontare la trama, sarebbe troppo facile o troppo difficile, dipende dai punti di vista, voglio solo riuscire a convincere qualcuno, fosse anche uno solo, ad andare a vedere questo film senza alcun pregiudizio.

Faccio con voi quello che si fa con i bambini quando non vogliono mangiare qualcosa che non hanno mai assaggiato prima: prendetene un pezzetto e se non vi piace sputatelo, ma se vi piacerà potrete assimilare un nuovo gusto e immagazzinarlo nella vostra memoria sensoriale e cinematografica per molto tempo.

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In conclusione, permettetemi di dare un consiglio alle signorine a cui capiterà di leggere questo mio sfogo: non fate le post-pseudo-cyber femministe etichettando questo film come un alto esempio di maschilismo, dietro tutta la vostra indipendenza alla Lara Croft ( a cui anch’io sono molto attaccata) c’è ancora un cuore da femmina e se proprio proprio non riuscite a convincervi ad andare a vedere Fight Club, allora lasciate che sia quella femmina, che vuole vedere i pettorali di Brad Pitt, a trascinarvi. Come qualcun’altro ha ben detto, il fine giustifica i mezzi.

Cristina Zeppini

 

Canta che ti passa

"Comedian Harmonists"
Armonici commedianti: 5 giovanotti nella Berlino alle soglie del Nazismo fanno il loro viaggio dalle stalle alle stelle per poi dissolversi nell'orrore della storia.
siamo nel 1927 quando Harry Frommermam, arrangiatore, cantante, ottimo imitatore di strumenti musicali, dopo innumerevoli fallimenti nel riciclarsi come attore, decide di mettersi in proprio formando un gruppo vocale. Alla sua porta si trovano così a bussare Robert Biberti, Ari Leschinikoff, Erich Abraham Collin, Roman Cycowshky ed Erwin Booz.
E' ancora presto perché a qualcuno possa interessare che tre di loro, Frommerman, Collin e Cycowshky, abbiano spiccati cognomi e lineamenti ebraici, o che il pianista Booz sia sposato con una "giudea". Così niente può ostacolare la loro scalata al successo: soldi, fama, amore, passione si riversano sui cinque, nel più classico cliché di chi da povero diventa un re.
Ma le svastiche cominciano a spuntare come "fiori del male"sui muri delle strade e nelle menti dei tedeschi e per Harry, Erich e Roman la parola ebreo si antepone a quella di cantante. Tuttavia i Comedian Harmonists sembrano non dare tropo peso agli accadimenti, crogiolandosi forse nell'illusione che la musica non abbia razza. Questa illusione li porta addirittura a rifiutare la possibilità di rimanere negli Stati Uniti, dove si erano recati per un glorioso tour, per finire così dritti dritti nella tana del lupo. Al loro ultimo concerto la scenografia è inesistente, dietro le loro spalle campeggia solo un'enorme croce uncinata; la canzone che cantano parla di un uomo che deve dire addio a chi ama.
Il giorno dopo i tre comedian harmonists ebrei salgono su un treno verso la salvezza, lontano dalla tragedia ma anche dalla fama. "…se il gruppo non si fosse sciolto avrebbe avuto più popolarità degli stessi Beatles…"

Perché vederlo:
Forse qualcuno potrà affermare che a partire dalla "Vita è bella" di Benigni e proseguendo con "Train de vie" si sia inaugurato un filone cinematografico che guarda all'Olocausto con occhio meno cupo, attraverso il tentativo di filtrare gli avvenimenti più aberranti con un taglio ironico, se non addirittura da commedia, e che questo film vi si instaura a pieno titolo ma con meno pretese dei primi. Posso sicuramente ammettere che "Comedian Harmonists" tocchi i temi dell'antisemitismo nazista, sfiorando soltanto le corde della tragedia, ma questo non lo rende necessariamente una fotocopia sbiadita dei precedenti.
"Comedian Harmosists" è prima di tutto un bel film, ben girato, ben calibrato, con dei bravi attori dalle facce interessanti, vere, facce umane, brutte e belle come quelle che vediamo per strada. I sentimenti che mette in gioco sono come i nostri, le paure, gli amori, gli abbandoni sono uguali a quelli che possiamo vivere noi. Ed è qui, a mio giudizio, la chiave del film: lontano dai grandi patemi d'animo di stampo hollywoodiano, questo piccolo gioiellino europeo vuole solo dirci che gli uomini sono uguali tra loro, uguali davanti alla Storia, uguali davanti alla Follia.

Note
Regista: Joseph Vilsmaier
Attori: Ulrich Noethen (Harry Frommerman)
Max Tidof, Heino Ferch, Ben Becker, Heinrich Schafmeister
Particolarità: tratto da una storia vera.

 

Cristina Zeppini

 

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