Mario Bonavia

Verso gli Stati Uniti d’EuropA

L’Europa che cambia davanti ai nostri occhi

Approfondimento: passato, presente e futuro dell’Unione Europea

Se la civiltà dovesse regalare a tutti gli uomini della Terra una sola moneta, si compirebbe un passo importante per convincerli che essi appartengono a una sola specie
( dal settimanale economico  The Economist del 1865)

INTRODUZIONE 

I cambiamenti che hanno interessato i paesi appartenenti all’Unione Europea hanno portato ultimamente a degli sconvolgimenti non indifferenti in campo economico, sociale, legislativo, politico e geografico. 

Il processo dinamico dell’integrazione europea, iniziata subito dopo la Seconda guerra mondiale, raggiunge finalmente molti degli obiettivi fondamentali. Non è storia recente, ma è molto importante il fatto che ora si possa tranquillamente viaggiare in Europa senza più barriere doganali. Tra non molto ogni cittadino dei paesi appartenenti all’Unione potrà dimenticare le vecchie valute nazionali e cominciare ad usarne una sola che valga per tutti. 

Dal primo giorno di quest’anno undici dei quindici paesi dell’UE hanno infatti cominciato a dover considerare la moneta unica europea: l’€uro. Ma questa non è, in fondo, un’idea nuova. All’epoca dell’Impero Romano, in tutta Europa circolavano ed erano accettate le monete dei Cesari. Ma l’unione europea di allora era una realtà forzata, imposta dalla dominazione delle legioni imperiali.

Molto più vicino a noi, nell’Ottocento, vi sono Stati altri tentativi di realizzare una moneta unica. Esattamente il 7 germinale anno XI, ovvero il 28 marzo 1803, una legge del primo console Napoleone definiva come unità monetaria europea il franco al titolo di 5 grammi d’argento, introducendolo poi negli stati vassalli dell’impero francese. L’idea venne successivamente ripresa da Napoleone III, il quale nel 1865 convocò a Parigi una conferenza che avrebbe dovuto costituire il primo passo per la creazione di una moneta universale. Il progetto era però malcostruito e si trascinò a stenti fino alla grande crisi del 1929. Stessa cosa accadde per un tentativo di Unione Scandinava tra Danimarca, Svezia e Norvegia. Miglior sorte toccò invece allo Zollverein, il mercato comune istituito dalla Prussia e altri venticinque Stati tedeschi facendo sì che l’unificazione economica precedesse di fatto l’unificazione politica. 

L’esito tendenzialmente negativo dei tentativi ricordati va comunque riportato alle situazioni storiche di quei tempi, che hanno poco o nulla a che fare con le realtà attuali. La creazione di un mercato unico e una moneta unica infatti rispondono oggi al comune interesse di tutti i Paesi aderenti all’Unione monetaria di avere una moneta solida in grado di affrontare le sfide della globalizzazione dei mercati. Questi sono solo i più evidenti, ma tanti altri cambiamenti influenzano o influenzeranno nel prossimo futuro la vita dei cittadini europei. 

Dal 1951 a oggi la politica internazionale si è mossa a favore dell’unificazione prima economica, poi politica dei paesi nel continente. Questi, già considerati singolarmente delle potenze economiche, cercano insieme la stabilità che possono raggiungere solo con una cooperazione continuativa. Così facendo viene irrevocabilmente riconfigurato l’assetto mondiale e si delinea un bilanciamento tra le forze economiche del pianeta. 

Il cammino che ha portato a questi risultati è stato lungo e non facile, ma è stato percorso fino in fondo. Non sono mancate numerose critiche, talvolta giustificate, rivolte ad alcuni provvedimenti precipitosi, affrettati o male elaborati, segno dell’inesperienza e dell’impreparazione delle nazioni ad affrontare i nuovi macroproblemi che si pongono inevitabilmente in seguito al formarsi di situazioni tanto complesse.

Tra i personaggi di spicco della politica nazionale non manca, infatti, chi guarda con pessimismo al futuro del continente. Antonio Martino ha definito l’avvento della moneta unica “un progetto sbagliato dal nome infelice” e ha aggiunto che si tratta di “una catastrofica ingenuità”. Anche all’estero non mancano gli scettici (o saggi, ai posteri l’ardua sentenza). Secondo Edward Luttwak, il politologo e consulente americano succederà che “l’Italia, per paura di finire come la Grecia e perdere la faccia, andrà al massacro economico programmato dagli estremisti ai quali ha affidato l’unificazione monetaria”. Il neo Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi parla invece di “un cambiamento che porterà prosperità” e della stessa opinione è la Commissaria europea Emma Bonino quando spera nel “miracolo di un’Europa complessivamente unita e legata da vincoli stabili e duraturi, nell’interesse di tutti gli equilibri internazionali”. 

Pur non citando ancora letteralmente l’opinione di Luttwak, si può riassumere che, secondo l’opinione dell’uomo che è stato consulente del ministero del tesoro americano, giapponese e di molte altre corporazioni economiche, gli organi europei dovrebbero svolgere un ruolo in negativo, cioè eliminando dazi, differenze legislative o dogane, in quanto agendo in positivo sono un disastro.

È chiaro il riferimento agli atti emanati dall’Unione: attualmente sono in vigore 22.445 regolamenti comunitari; 1.675 direttive; 1.198 accordi e protocolli; 185 raccomandazioni (della Commissione e del Consiglio); 211 risoluzioni; 678 comunicazioni. Scrive Giulio Tremonti: “la legislazione europea è fonte non solo di progresso, ma anche di regresso: di incertezza del diritto e di moltiplicazione dei costi strumentali di adempimento”. L’europarlamento ha persino approvato una raccomandazione per invitare i cittadini a non sciare quando non c’è neve. La Commissione ha posto un limite continentale al rumore dei tagliaerba da giardino. Sono state regolamentate le gite scolastiche degli studenti, le retine per capelli dei pescatori e le temperature cui deve essere venduto il latte. Mario Giordano, noto giornalista italiano, definisce la legislazione europea come “minuziosa, farraginosa, complicata, ingarbugliata, inconcludente, pretenziosa”. Sicuramente Luttwak sarebbe d’accordo con questo, e non solo lui. Ma bisogna considerare che l’Unione è un organo che ha a che fare con molti problemi che riguardano 370 milioni di persone e la cosa, almeno agli inizi, non è certo facile.  

I cittadini italiani, che pur si sono trovati costretti a pagare un costo salato per consentire al nostro Paese di risanare le finanze pubbliche e partecipare così in prima linea al “progetto euro”, stanno dimostrando un sorprendente interesse e una grande fiducia verso l’arrivo della nuova Unione e della nuova moneta che unirà i milioni di consumatori europei, recando, si spera, vantaggi per tutti. I sondaggi indicano infatti negli italiani il popolo che segue con più passione e partecipazione questo momento storico e che è anche il più informato sui cambiamenti del continente. Infatti il numero verde istituito dagli uffici del Governo italiano per fornire chiarimenti e delucidazioni circa l’Unione economica, monetaria e politica europea, è stato recentemente soppresso per mancanza di richieste di informazioni in quanto i cittadini si ritengono ben preparati ai cambiamenti che porterà l’Europa unita. 

Il 13 giugno 1999 si sono tenute le ultime elezioni a suffragio universale del Parlamento europeo per l’elezione dei 626 rappresentanti dei cittadini dell’Unione. Questa data è considerata particolarmente significativa in quanto ha segnato il traguardo dei primi venti anni da quando il popolo europeo ha iniziato a votare direttamente i deputati (nel 1979 si sono tenute le prime elezioni del Parlamento europeo a suffragio universale di tutti i cittadini degli Stati membri dell’UE, segnando, per molti, il primo passo verso l’unificazione politica continentale). Un fatto considerato fondamentale per questo tipo di elezione è che gli europarlamentari eletti non avranno una funzione di mera rappresentanza del proprio Stato, ma saranno difensori degli interessi di tutto il popolo europeo. Almeno questo è l’auspicio.

 

Con questo elaborato si intende trattare la questione dell’unificazione monetaria e politica europea in modo interdisciplinare, cercando di guardare i fatti da più punti di vista e di analizzare l’argomento considerando i numerosi ambiti in cui si colloca.

 

 

Mario Bonavia

 

 

L’UNIONE EUROPEA: ORIGINI E STORIA

 

L’Unione Europea è una organizzazione sovranazionale dei paesi europei, volta a rafforzare l'integrazione economica e la cooperazione tra i paesi membri, istituita il 1° novembre 1993 con la ratifica del trattato di Maastricht da parte delle dodici nazioni della Comunità europea (CE). Queste nazioni sono Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Gran Bretagna, Grecia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo e Spagna, oggi divenuti membri dell'Unione Europea assieme ad Austria, Finlandia e Svezia (aggiuntesi in seguito).

La storia dell'Unione Europea è strettamente legata a quella della Comunità Europea, un'organizzazione esistita fino al novembre del 1993 cui facevano capo tre distinte organizzazioni confluite nella Comunità Europea nel 1967: la Comunità europea del carbone e dell'acciaio (CECA), creata nel 1951, la Comunità economica europea (CEE) e la Comunità europea per l'energia atomica (Euratom), entrambe istituite nel 1957. La sede principale dell’attuale Unione Europea è a Bruxelles.

 

Storia

Al termine della seconda guerra mondiale, quando l'economia europea viveva una situazione drammatica, in alcuni ambienti europei si diffuse la speranza che la ricostruzione dell'Europa occidentale potesse sfociare in un accordo per la creazione di uno stato europeo unificato: il progetto s'indebolì però con l'inizio della Guerra Fredda. Due statisti francesi, Jean Monnet e Robert Schuman, erano tuttavia convinti che Francia e Germania avrebbero potuto superare il loro atavico antagonismo, e dunque cooperare, di fronte alla prospettiva di ricevere incentivi economici: nel maggio del 1950 Schuman propose allora la creazione di un'autorità comune per regolamentare l'industria del carbone e dell'acciaio; la proposta fu accolta da Germania, Belgio, Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi che, insieme al governo francese, firmarono il trattato di Parigi nel 1951, dando vita alla Comunità europea del carbone e dell'acciaio, operativa a partire dall'agosto 1952. Il governo britannico, invece, contrario alla natura sovranazionale della CECA, decise di non partecipare all'iniziativa.

Nel giugno 1955 i ministri degli Esteri dei sei paesi fondatori della CECA decisero di esaminare la possibilità di ampliare le basi della cooperazione economica: ebbe così inizio il processo che portò alla conclusione dei due trattati di Roma del marzo 1957, istitutivi della Comunità economica europea e della Comunità europea per l'energia atomica. Quest'ultima si rivelò però di minor importanza poiché i singoli governi continuarono a esercitare un pieno controllo sui propri programmi nucleari.

 

Comunità economica europea

Dal punto di vista economico, il trattato CEE prevedeva l'eliminazione entro dodici anni delle barriere doganali tra stati membri, lo sviluppo di un sistema comune di dazi doganali per le importazioni provenienti dal resto del mondo e la creazione di una politica agricola comune. Dal punto di vista politico, il trattato rafforzava sia il ruolo dei governi nazionali sia la natura sovranazionale della CEE rispetto alla CECA.

In risposta alla CEE, nel 1960 la Gran Bretagna e altri sei paesi europei non membri costituirono l'EFTA; nel 1961, in seguito all'evidente successo economico della CEE, ebbero tuttavia inizio i negoziati per l'ammissione della Gran Bretagna. Il presidente della repubblica francese Charles de Gaulle, preoccupato dagli stretti legami tra Gran Bretagna e Stati Uniti, nel gennaio 1963 si oppose tuttavia alla richiesta di ammissione inglese, cambiando parere solo nel 1967.

 

Nascita della Comunità europea

La nascita della Comunità europea risale al luglio del 1967, quando le tre comunità (CEE, CECA ed EURATOM) confluirono in un'unica organizzazione denominata Comunità europea (CE). Nessun ampliamento della CE o qualsiasi altro progetto innovativo fu tuttavia possibile prima delle dimissioni, nel maggio 1969, del presidente De Gaulle, al quale succedette Georges Pompidou, favorevole invece ad appoggiare nuove iniziative in ambito comunitario.

Su proposta del nuovo presidente francese, nel dicembre 1969 venne allora convocata all'Aia una riunione dei capi di stato dei paesi membri per preparare il terreno a un accordo sul sistema di finanziamento permanente della CE, per lo sviluppo di una struttura di cooperazione in materia di politica estera e per l'apertura dei negoziati sull'ammissione di Gran Bretagna, Irlanda, Danimarca e Norvegia.

 

 

Sviluppo della Comunità europea

Gli accordi di adesione dei quattro paesi richiedenti furono firmati nel gennaio del 1972, dopo quasi due anni di negoziati e, a partire dal 1°gennaio 1973 Danimarca, Gran Bretagna e Irlanda entrarono a far parte della Comunità europea; la Norvegia ritirò invece la richiesta in quanto un referendum popolare interno l'aveva bocciata.

La Grecia entrò a far parte della CE nel 1981, mentre nel 1986 fu la volta di Spagna e Portogallo. Negli anni Settanta e Ottanta vi furono anche altri importanti sviluppi: l'intensificazione degli aiuti comunitari ai paesi meno sviluppati, in particolare alle ex colonie un tempo controllate dagli stati membri, la costituzione del sistema monetario europeo, volto a garantire una certa stabilità nei rapporti di cambio tra le monete dei paesi membri e la graduale realizzazione del mercato unico europeo attraverso la riduzione delle barriere doganali.

 

Sistema monetario europeo

Nel marzo 1979 la costituzione del Sistema monetario europeo (SME) rappresentò il primo passo verso la realizzazione dell'unione economica e monetaria, inizialmente prevista per il 1980. In realtà questa previsione si rivelò ben presto ottimistica: la situazione era piuttosto complessa innanzitutto a causa dell'andamento fluttuante di ciascuna moneta europea nei confronti delle altre; la svalutazione di alcune monete finì poi col rappresentare un ostacolo alla crescita economica e col determinare un livello di inflazione piuttosto elevato.

Obiettivo dello SME era stabilizzare i tassi di cambio e porre un freno all'inflazione, limitando il margine di fluttuazione di ciascuna moneta a un piccolo scostamento rispetto a un valore di riferimento, chiamato parità centrale: qualora questo margine, pari a +/- 2,25%, non fosse stato rispettato, le banche centrali dei rispettivi paesi erano obbligate a intervenire liquidando la valuta più forte e acquistando quella più debole. I governi dei paesi membri s'impegnarono inoltre a realizzare interventi adeguati di politica economica per evitare continui spostamenti della propria moneta dalla parità centrale. Con lo SME si propose anche d'introdurre una moneta unica europea, l'ECU, il cui valore fosse definito in base a un paniere di monete ponderato rispetto all'importanza economica di ciascun paese membro.  Questo sistema monetario contribuì sia alla riduzione dei tassi d’inflazione sia all’attenuazione della congiuntura economica degli anni Ottanta, caratterizzata da ampie fluttuazioni valutarie. Il sistema dei tassi di cambio, meccanismo principale dello SME, collassò però nel settembre del 1992 in seguito a forti speculazioni attuate sul mercato dei cambi e provocate dagli elevati tassi d’interesse stabiliti dalla banca centrale tedesca dopo la riunificazione delle due Germanie. Italia e Gran Bretagna furono allora costrette a uscire dallo SME (l’Italia vi è rientrata nel 1996 con la creazione del cosiddetto SME-2).

 

Verso il mercato unico

La graduale realizzazione di un mercato unico europeo può essere considerata una delle evoluzioni più significative avvenute in ambito comunitario nel corso degli anni Ottanta; le iniziative a favore del mercato comune furono guidate da Jacques Delors, ex ministro delle Finanze francese e presidente della Commissione europea dal 1985 al 1995. Su proposta della Commissione, il consiglio dei ministri approvò quindi un piano per rimuovere entro sette anni quasi tutte le restanti barriere doganali tra i paesi membri; il tentativo di raggiungere l'obiettivo del mercato unico entro il 31 dicembre 1993 determinò quindi un'accelerazione del processo di riforma della CE, rafforzò la cooperazione e l'integrazione in Europa e, alla fine, portò alla costituzione dell'Unione europea.

La Politica agricola comunitaria (PAC, vedi pag.16), valutabile negli anni Ottanta intorno ai due terzi della spesa comunitaria annuale, rappresentò tuttavia uno degli ostacoli principali alla piena realizzazione dell'integrazione economica europea. In base alla PAC, la Comunità europea si impegnava infatti ad acquistare alcuni beni agricoli prodotti in eccedenza, sovvenzionando così l'attività agricola di alcuni paesi a spese di altri. Durante una riunione al vertice nel 1988, i capi di stato dei paesi membri concordarono allora sulla necessità di limitare questi sussidi, tanto che, per la prima volta a partire dagli anni Sessanta, le sovvenzioni all'agricoltura previste dal bilancio comunitario del 1989 ammontarono a meno del 60% della spesa complessiva comunitaria.

 

Atto unico europeo

Il termine previsto per l'entrata in vigore del mercato unico evidenziò l'esigenza di conferire alla Comunità Europea poteri decisionali più ampi, indispensabili per affrontare e risolvere tutte le questioni riguardanti l'eliminazione delle barriere doganali; fino a quel momento, infatti, le decisioni del Consiglio dei Ministri dovevano essere approvate all'unanimità dai suoi membri, ciascuno dei quali poteva dunque rallentare il processo decisionale esercitando il proprio diritto di veto. Con l'Atto unico europeo, entrato in vigore nel 1987, furono dunque definite alcune importanti modifiche nella struttura della Comunità, tra cui l'introduzione di un sistema di votazione a larga maggioranza in grado di contribuire all'accelerazione del processo di realizzazione del mercato unico, e furono apportati anche considerevoli cambiamenti: il Consiglio Europeo entrò formalmente a far parte delle istituzioni comunitarie, i poteri decisionali del Parlamento europeo furono ampliati e venne istituito un Tribunale di primo grado, destinato a occuparsi dei ricorsi contro la normativa comunitaria presentati da individui, organizzazioni o società. Gli stati membri concordarono inoltre l'adozione di politiche comuni in diversi settori, dalla politica fiscale a quella occupazionale, dall'assistenza sanitaria alla tutela ambientale e decisero di allineare il più possibile la propria politica economica e monetaria a quella dei paesi confinanti.

 

Cambiamenti in Europa e nella Comunità europea

La proposta, avanzata da alcuni sostenitori dell'Unione economica e monetaria, di limitare le restrizioni ai trasferimenti di denaro per agevolare il libero flusso di capitali fu accolta dalla Commissione Europea, che elaborò un programma d'intervento. La Commissione si occupò contemporaneamente della stesura di una carta dei diritti umani, la Convenzione europea dei diritti umani. In entrambe le occasioni la Gran Bretagna si oppose al progetto comunitario, temendo che un ampliamento dei poteri della CE potesse rappresentare una minaccia alla propria sovranità; soltanto in seguito, di fronte ai rapidi cambiamenti politici ed economici verificatisi in tutta Europa, il progetto per la realizzazione dell'unione monetaria ottenne l'approvazione del governo inglese.

Alla fine degli anni Ottanta, di fronte al fallimento dei regimi comunisti, molti paesi dell'Europa orientale si sono rivolti alla CE per ottenere assistenza politica ed economica. La Comunità europea ha accettato di fornire aiuti militari e di concludere accordi con molti di questi paesi, ma ne ha escluso l'ammissione in qualità di membri; l'unica eccezione ha riguardato la Germania dell'Est, automaticamente incorporata nella comunità con il compimento della riunificazione tedesca. Durante una riunione al vertice nel 1990, Francia e Germania orientale proposero allora la costituzione di una conferenza intergovernativa per rafforzare l'unità europea sulla scia dei rapidi mutamenti politici, conferenza che iniziò a elaborare una serie di accordi poi confluiti nel trattato sull'Unione europea.

 

Trattato sull'Unione europea

Nel 1991 i delegati dei paesi membri della CE presero parte ai negoziati sul trattato dell'Unione europea, cercando di definire le condizioni per l'attuazione del progetto; il Consiglio dei Ministri, riunitosi a Maastricht, nei Paesi Bassi, il 7 febbraio del 1992, firmò la versione finale dell'accordo istitutivo, ratificato dagli stati membri nel 1993. L'Unione Europea fu costituita con l'entrata in vigore del Trattato di Maastricht a partire dal 1° novembre dello stesso anno. In base al Trattato di Maastricht, ai cittadini di ciascuno stato membro viene riconosciuta la cittadinanza europea e, con essa, il diritto di vivere, lavorare o studiare in qualsiasi stato membro. La garanzia di poter circolare liberamente in Europa ha comportato anche una riduzione dei controlli alle frontiere doganali.

Il Trattato di Maastricht è poi stato seguito e sostituito dalla recente entrata in vigore del nuovo Trattato di Amsterdam che ridefinisce gli obiettivi dell’Unione e amplia i poteri dei suoi organi.

 

Prospettive future

Per quanto nel corso degli anni è stato possibile raggiungere una maggiore coesione economica tra i paesi membri dell'Unione europea, la creazione di un unico stato federale, immaginata originariamente dai promotori della cooperazione economica in Europa, era stata ultimamente accantonata. La ragione principale stava forse nell'eterogeneità dei paesi che andavano via via aderendo all'unione. Tuttavia ora è il momento di considerare seriamente tale evenienza in quanto le basi per far si che venga attuata sono già state gettate: creazione di un mercato unico, unione monetaria, adeguamento delle politiche economiche e del sistema legislativo con il progetto di creare una giustizia comune. Non è da escludere inoltre la volontà popolare che, se prima era diffidente verso i vicini Stati membri dell’Unione, adesso vede l’Europa come il simbolo della forza della coesione di Paesi che non sono mai, in tutta la Storia, riusciti a trovare un equilibrio.

Nel 1995 Austria, Finlandia e Svezia sono infatti entrate a far parte dell'Unione europea, mentre un altro referendum ha invece nuovamente bocciato l'ingresso della Norvegia. Il numero degli stati membri è comunque destinato a salire entro pochi anni, dato che altri paesi hanno presentato la richiesta di ammissione (la Turchia nel 1987; Cipro e Malta nel 1990). La Svizzera ha invece ritirato la propria domanda per non violare la posizione neutrale che da sempre la caratterizza.

Nel 1991 la Comunità europea ha inoltre concluso un accordo con l'EFTA per creare un mercato unico per le merci, i servizi e i capitali; con l'entrata in vigore dello Spazio economico europeo (SEE), dal 1° gennaio 1994 sono dunque state eliminate le barriere al commercio tra Unione europea e stati membri dell'EFTA.


 

Al momento attuale la UE opera come organo sovranazionale con delle mirate politiche di intervento nelle quali si riconoscono numerosi ambiti. Le materie interessate da questa pianificazione strategica sono quelle che possono riguardare complessivamente tutti gli stati membri e che, quindi, hanno carattere generale. Una di queste è l’agricoltura, campo in cui l’Unione ha maggiormente operato negli ultimi anni mettendo in atto una serie di misure che, per impiego di mezzi atti a sostenerle e risultati ottenuti, sono già passate alla storia come una titanica impresa ben riuscita, ma non per questo da considerarsi conclusa.

 

  Il marchio CE è ormai da tempo il simbolo che caratterizza la qualità dei beni e  servizi prodotti dalle imprese europee.

 

 

LE POLITICHE DELL’UNIONE EUROPEA: LA PAC

 

Quella agricola è stata la sola strategia politica effettivamente realizzata dall’Unione Europea. Inaugurata nel 1962, la PAC (Politica Agricola Comunitaria) si propose da subito di attuare gli obiettivi stabiliti cinque anni prima con la stipula del Trattato di Roma. I principali obiettivi erano:

1.      l’accrescimento della produttività agricola e del livello di vita della popolazione contadina;

2.      la stabilizzazione dei mercati;

3.      la garanzia della sicurezza degli approvvigionamenti (autosufficienza);

4.      la definizione di prezzi ragionevoli per i prodotti destinati al consumo.

 

Vennero definiti tre principi fondamentali che avrebbero poi regolato il funzionamento del settore:

a.       il principio dell’unicità del mercato europeo, implicante la libera e completa circolazione dei prodotti agricoli fra i paesi membri. Ciò ha portato alla progressiva soppressione dei diritti doganali interni all’Unione e all’innalzamento di barriere doganali unitarie nei confronti dell’esterno, oltre che ad armonizzare le direttive amministrative, sanitarie, veterinarie ecc.;

b.      il principio delle preferenze comunitarie, in base al quale si tese ad assicurare la protezione dei mercati europei rispetto alle importazioni e alle fluttuazioni dei mercati mondiali. Concretamente, venne imposto ai paesi membri di acquistare i prodotti agricoli all’interno della UE, nonostante i prezzi in Europa fossero generalmente più elevati di quelli praticati sui mercati esterni;

c.       il principio della sovvenzione all’esportazione, consistente nel pagamento ai produttori del prezzo in vigore nell’Unione per le eccedenze produttive esportate sui mercati esterni (che vengono trattate ad un prezzo inferiore).

 

Per la realizzazione pratica di queste linee di politica agraria venne inoltre istituito il FEOGA (Fondo Europeo di Orientamento e Garanzia), con capacità di intervento sulle strutture agrarie dei paesi membri, mediante aiuti finanziari rivolti ai settori deficitari e alle regioni meno favorite. Al FEOGA venne inoltre assegnato il compito di vegliare sul buon funzionamento dei mercati fissando annualmente i prezzi, acquistando, stoccando e vendendo le eccedenze. A questo riguardo, una funzione essenziale è stata assegnata ai montanti di compensazione finanziaria, aventi lo scopo di compensare le oscillazioni monetarie interne alla UE, evitando così che paesi a moneta debole fossero favoriti nell’esportazione di eccedenze verso paesi a moneta forte. Nel loro insieme, queste forme di regolazione e compensazione finanziaria assorbivano, nel 1991, il 57% del bilancio dell’Unione.

 

Poste queste premesse, l’agricoltura europea ha vissuto negli ultimi quarant’anni delle profonde modificazioni e da una condizione di sottoutilizzazione delle risorse il continente si è trasformato in un produttore di crescenti eccedenze, soprattutto per quanto riguarda il burro, i cereali, gli oleaginosi, e la carne bovina.


 

 E’ stato nel contempo frenato l’esodo rurale ed è cresciuta sensibilmente la produttività. Ciò nonostante, gli strumenti di quella politica agraria non erano privi di contraddizioni. Anzitutto la modesta dimensione delle aziende, l’elevata tecnologia introdotta e la pratica di una agricoltura scientifica e intensiva hanno originato crescenti costi di produzione, con conseguenze vistose sul fronte internazionale, in particolare degli USA, che producono a prezzi molto inferiori e hanno lamentato più volte l’eccessiva protezione del mercato comunitario nei confronti delle loro esportazioni.

 

La scarsa competitività delle produzioni europee inoltre non ha frenato la progressiva diminuzione dei prezzi e non ha permesso di smaltire all’estero le eccedenze che avevano raggiunto, nel 1992, i 25 milioni di tonnellate di cereali, un milione di tonnellate di latticini e un milione di tonnellate di carne.

La necessità di rendere più competitiva e meno intensiva (per i motivi suddetti e per ridurre lo sfruttamento dei suoli) l’agricoltura, la CEE ha spinto verso la riforma della PAC, venuta a maturazione nella seconda metà degli anni Ottanta e poi decisa dai Ministri dell’Agricoltura dei paesi membri il 21 maggio 1992. In questa riforma si decise di attuare una politica di intervento mirata ed una sorta di pianificazione della produzione totale. La nuova politica si fonda su alcuni principi guida:

 

1.      la progressiva concentrazione delle proprietà fondiarie. Questo in quanto in Europa oltre il 40% degli attivi in agricoltura supera i cinquant’anni di età e si prevede che raramente avranno successori nella conduzione dei fondi;

2.      in un contesto generale di riduzione dei prezzi agricoli, si è stabilito che agli agricoltori sia concessa una maggiore autonomia nella commercializzazione dei propri prodotti, sui mercati sia interni sia internazionali;

3.      la promozione di uno sviluppo fondato sull’integrazione fra agricoltura, artigianato, infrastrutture e imprese industriali legate al settore rurale, da attuarsi con la diretta partecipazione delle comunità regionali locali;

4.      l’adattamento strutturale delle regioni in ritardo, che si rivolge all’intero territorio del Portogallo, della Grecia e dell’Irlanda, a gran parte della Spagna, al Sud italiano, all’Ulster e alla Corsica. A queste regioni è destinata la gran parte dei fondi strutturali (36,2 miliardi di ECU nel periodo 1989-1993);

5.      lo sviluppo delle zone rurali e l’adattamento delle strutture agrarie, attraverso la promozione della diversificazione delle attività agricole e la promozione dei prodotti tipici locali, lo sviluppo del turismo rurale e delle attività artigianali, la formazione della manodopera agricola, il miglioramento delle infrastrutture, la sovvenzione delle pratiche agricole ambientalmente coerenti (come l’agricoltura “biologica” che non usa sostanze chimiche) e delle coltivazioni estensive.

 

Nell’ambito delle iniziative di riforma spicca il progetto LEADER, complementare alle misure precedenti e teso a favorire specifiche iniziative innovative, quali la formazione professionale, la predisposizione di strutture per il turismo rurale, i servizi di vicinato, la valorizzazione locale di prodotti agricoli, della silvicoltura, della pesca ecc. L’originalità del progetto risiede nel finanziamento di iniziative promosse da “gruppi di azione locale”, destinato alle regioni rurali più fragili.

 

 

 

L’ORGANIZZAZIONE DELL’UNIONE EUROPEA

 

L’Unione Europea che, come è già stato visto, discende direttamente dalla Comunità Europea, ha mantenuto molte caratteristiche peculiari e importanti di quest’ultima. In particolare l’organizzazione della UE riprende principalmente la conformazione della CE. Solo l’ultimo trattato di Amsterdam attribuirà maggiori poteri agli organi dell’Unione marcandone ulteriormente la natura sovranazionale. Proprio questa configurazione di entità che supera la sovranità del singolo Stato è uno dei maggiori ostacoli alla crescita della UE e alla legiferazione degli organi europei a ciò preposti. I singoli stati membri, infatti, vedono minacciata la loro sovranità a causa delle organizzazioni internazionali che comportano la progressiva erosione di poteri che prima erano geloso dominio statale.

 

Un’altra precisazione necessaria prima di vedere più da vicino l’organizzazione dell’Unione Europea riguarda il fatto che occorre evitare di cadere in un errore indotto dalla terminologia spesso simile a quella impiegata nelle costituzioni degli Stati membri. Infatti parlando di Parlamento europeo lo si può confondere col tipico ed unico detentore del potere legislativo (come accade nei singoli Stati) così come si può pensare che il Consiglio dei ministri sia l’organo esecutivo. Inoltre i regolamenti sono normalmente considerati atti subordinati alle leggi, invece nel contesto internazionale rappresentano le fonti di diritto principali. Per parlare di organizzazione europea è necessario abbandonare le nozioni tipiche che si acquisiscono dallo studio del Diritto dei singoli Stati.

 

Gli organi essenziali dell’Europa comunitaria sono:

 


 

Il Consiglio dell’Unione europea è senza dubbio l’organo che esercita il ruolo più importante nella vita comunitaria. Il Consiglio provvede al coordinamento generale delle attività dell’Unione Europea, il cui scopo principale è la creazione di un mercato interno, vale a dire di uno spazio senza frontiere interne che assicuri le cinque libertà di circolazione (beni, persone, servizi, capitali e moneta unica). Il Consiglio è inoltre responsabile della cooperazione intergovernativa nei settori, da un lato, della politica estera di sicurezza comune (PESC) e, dall’altro, della giustizia degli affari interni (GAI) che comprendono, ad esempio, i problemi di immigrazione e di asilo, di lotta contro il terrorismo e la droga o di cooperazione giudiziaria. Il Consiglio svolge due ruoli decisivi nell’Unione Europea. Innanzitutto esercita un potere legislativo e un potere decisionale per l’Unione, dall’altra parte costituisce la sede in cui i quindici Stati membri possono far valere i loro interessi nazionali. Per meglio capirne il funzionamento è opportuno scinderlo in tre parti da analizzare singolarmente:

 

    Il Consiglio dei Ministri è un organo nel quale sono rappresentati i Governi degli Stati membri, i quali intervengono attraverso un proprio Ministro competente per materia. Ciò significa che in base all’argomento di cui si deve trattare in ogni singola seduta, interverrà per ogni Paese il Ministro a cui esso compete. Si tratta dell’organo detentore del potere normativo (o legislativo). Il Consiglio dei Ministri non è un organo permanente, in quanto si riunisce solo quando c’è necessità di deliberare e non ha una presidenza fissa. Fino al Maggio 1999 le deliberazioni erano effettuate all’unanimità, in quanto ogni paese poteva esercitare il potere di veto rischiando di paralizzare il processo normativo; ora è invece possibile prendere gran parte delle decisioni a maggioranza, lasciando alle questioni più delicate il consenso unanime. Con l’entrata in vigore del trattato di Amsterdam, inoltre, ogni decisone del Consiglio passa all’approvazione del Parlamento. Questo meccanismo fa si che il Parlamento (eletto dai cittadini) possa esercitare un effettivo potere sull’attività normativa.

 

    Il Comitato dei rappresentanti permanenti, composto da alcuni rappresentanti delegati dai Governi degli Stati membri, svolge il compito di preparare le delibere del Consiglio dei Ministri.

 

    Il Consiglio europeo è composto da tutti i capi degli organi esecutivi nazionali. Si riunisce almeno due volte all’anno per prendere le grandi decisioni di indirizzo politico dell’Unione. A quest’organo, riconosciuto solo con l’entrata in vigore del Trattato di Maastricht, non spettano decisioni formali ma solo l’indicazione delle linee generali della politica che sarà realizzata con decisioni del Consiglio dei ministri.

 

 


 

La Commissione è un organo permanente dell’organizzazione europea che esercita il potere esecutivo. Per il suo ruolo e le sue responsabilità, la Commissione europea si colloca al centro del processo di decisione politica dell’Unione Europea. Per certi aspetti, essa è il vero e proprio cuore dell’Europa, dal quale le altre istituzioni traggono gran parte della loro energia e la loro ragion d’essere. In linea generale alla Commissione è affidata l’attuazione concreta dei Trattati. Ha sede a Bruxelles ed è composta principalmente da 20 membri che, secondo il Trattato sull’Unione, a partire dal 1995 durano in carica cinque anni. Essi vengono nominati con una particolare procedura che attribuisce un notevole peso al Parlamento:

ü      I Governi degli Stati membri e il Parlamento designano, di comune accordo, colui che sarà il Presidente della Commissione;

ü      Il Presidente coadiuva i Governi degli Stati membri nella scelta degli altri Commissari;

ü      Il Presidente e i Commissari così designati sono soggetti, collettivamente, a un voto di approvazione del Parlamento europeo

ü      In caso di approvazione si giunge alla nomina effettiva.

 

Questo collegio di 20 commissari (prima del 1° Maggio 1999 erano 17) dirige la Commissione e sovrintende all’operato delle 24 direzioni generali e dei 15 servizi specializzati.

L’azione della Commissione interessa tutti i settori della vita corrente. Ogni giorno essa prende posizione su argomenti che riguardano direttamente i cittadini. Alla Commissione spettano tre tipi di compiti:

 

v     L’iniziativa per l’approvazione delle norme comunitarie, attraverso la preparazione dei testi su cui il Consiglio sarà chiamato a deliberare;

v     L’attuazione delle deliberazioni comunitarie, attraverso l’uso di vari poteri:

Ø      L’approvazione di regolamenti subordinati a quelli approvati da Consiglio

Ø      La vigilanza sul rispetto degli obblighi comunitari da parte di tutti gli Stati membri con conseguente denuncia alla Corte di Giustizia in caso di inadempienza;

v     La gestione degli stanziamenti previsti per gli interventi dell’Unione (come il FEOGA).

 

Per quanto riguarda la comunicazione esterna, ogni direzione generale pubblica un’abbondante documentazione. Di fronte alla stampa, la Commissione prende posizione ogni giorno su questioni di attualità. I lavori della Commissione sono seguiti da un migliaio di giornalisti accreditati e le notizie più salienti vengono trasmesse sulla rete EbS (Europe by Satellite).

 

 


 

Il Parlamento Europeo, la cui sede è generalmente individuabile a Strasburgo, è composto da 626 deputati con carica quinquennale e rappresenta i 370 milioni di cittadini dell’Unione Europea che dal 1979 eleggono direttamente i deputati (o europarlamentari). Il Parlamento europeo è la sola istituzione comunitaria che si riunisce e discute in presenza del pubblico. Le sue risoluzioni sono pubblicate nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee. Il suo ruolo è stato recentemente ridisegnato e rivalutato, avvicinando le sue funzioni a quelle di ogni altro Parlamento: approvare le leggi (ma solo quelle definitive con testo già redatto dal Consiglio, il quale può essere assistito nel processo dal Parlamento),  ed esercitare un’azione di controllo politico sull’esecutivo.

Come i Parlamenti nazionali anche quello europeo si divide in commissioni (ne sono state istituite 20 che preparano i lavori delle sedute plenarie) specializzate per materia e in gruppi parlamentari (di carattere politico secondo provenienza transnazionale, attualmente sono in numero di 8). Il Parlamento europeo può anche istituire commissioni temporanee o commissioni con poteri di inchiesta su temi particolari. Le commissioni parlamentari miste mantengono contatti con i Parlamenti degli Stati che hanno sottoscritto accordi di associazione con l’Unione Europea.

Tutte le attività del Parlamento si svolgono sotto la direzione dell’Ufficio di Presidenza, composto dal Presidente e da 14 vicepresidenti.

 

I compiti principali del Parlamento europeo sono:

 

v     Partecipare (come già visto) alla formazione della legislazione comunitaria;

v     Adottare il bilancio dell’Unione Europea e controllarne l’esecuzione. Nello svolgere questo compito il Parlamento può approvare o rigettare il bilancio. Per controllare l’esecuzione di quest’ultimo occorre tenere distinte le spese obbligatorie da quelle non obbligatorie:

Ø      Le spese obbligatorie sono quelle che devono essere fatte in attuazione dei Trattati o regolamenti comunitari. Queste spese sono decise dal Consiglio dei Ministri il quale, in tal modo, determina la struttura del bilancio;

Ø      Le spese non obbligatorie (o facoltative) sono quelle che possono essere decise liberamente. Su questo tipo di spese la decisione definitiva è del Parlamento e non del Consiglio.

v     Esercitare un controllo pieno su tutte le attività democratiche ed in particolare vigilare sull’organo esecutivo (la Commissione) tramite dei poteri che consistono:

Ø      nel voto di sfiducia, espresso a maggioranza qualificata (assoluta dei membri e 2/3 dei voti espressi), che comporta le dimissioni della Commissione;

Ø      nelle interrogazioni scritte e orali e nelle risoluzioni per orientare l’azione esecutiva dell’Unione;

Ø      nella nomina di commissari d’inchiesta per far luce sugli abusi nell’applicazione del diritto comunitario.

 

Il Parlamento, si ricorda, ha anche un ruolo di primo piano nel designare il Presidente e i membri della Commissione Europea, la cui attività viene monitorata grazie alle numerose relazioni che essa gli trasmette regolarmente.

 

Qui di seguito viene presentato l’organigramma e tabella di composizione del Parlamento europeo prima delle elezioni del 13 Giugno 1999:


 

 

PARTITI

 

B

DK

D

GR

E

F

IRL

I

L

NL

A

P

FIN

S

UK

PSE

213

6

4

40

10

21

16

1

18

2

7

6

10

4

7

61

PPE

180

7

3

47

9

30

11

4

15

2

9

7

9

4

5

18

UPE

56

 

 

 

2

 

18

7

24

 

2

 

3

 

 

 

ELDR

41

6

5

 

 

2

1

1

4

1

10

1

 

5

3

2

SUE/SVN

34

 

 

 

4

9

7

 

5

 

 

 

3

2

3

1

VERDI

28

2

 

12

 

 

 

2

4

 

1

1

 

1

4

1

ARE

20

1

 

 

 

2

12

 

2

1

 

 

 

 

 

2

I-EDN

18

 

4

 

 

 

11

 

 

 

2

 

 

 

 

1

NI

36

3

 

 

 

 

11

 

15

 

 

6

 

 

 

1

TOTALE

626

25

16

99

25

64

87

15

87

6

31

21

25

16

22

87

 

 


 

La grande innovazione delle Comunità europee e poi dell’Unione Europea rispetto ai progetti precedenti di unificazione dell'Europa consiste nel fatto che l’Unione ricorre, per tale intento, esclusivamente alla forza del diritto.

Infatti, coscienti del fatto che solo un'unificazione garantita e realizzata dal diritto aveva prospettive durevoli, i sei Stati fondatori hanno voluto consacrare la nascita delle Comunità europee su un fondamento giuridico, i Trattati di Parigi e di Roma.

La Comunità tuttavia non è soltanto una creazione del diritto, ma persegue i suoi obiettivi utilizzando esclusivamente un diritto nuovo, denominato diritto comunitario, che ha per caratteristica di essere un diritto autonomo, uniforme per tutti i paesi membri della Comunità, distinto dal diritto nazionale, pur essendo ad esso superiore, e direttamente efficace in gran parte delle sue norme in tutti gli Stati membri.

Come ogni ordinamento giuridico autentico, quello della Comunità doveva disporre di un efficace sistema di tutela giurisdizionale, per il caso in cui il diritto comunitario fosse contestato od occorresse farlo applicare.

 

La Corte di giustizia, nella sua qualità di istituzione giurisdizionale della Comunità, costituisce il perno di questo dispositivo di tutela. Il suo compito è di evitare che ognuno interpreti ed applichi tale diritto a proprio piacimento, di garantire che la norma comune mantenga il suo carattere e la sua natura comunitari, di assicurare che essa resti identica per tutti ed in ogni circostanza.

 

La Corte di Giustizia è composta da quindici giudici e nove avvocati generali. Essa esercita il potere giurisdizionale dell’Unione, per assicurare il rispetto del diritto comunitario.

I giudici e gli avvocati generali sono nominati di comune accordo dai governi degli Stati membri con mandato di sei anni rinnovabile. Essi sono scelti tra giuristi che offrono tutte le garanzie di indipendenza e che riuniscono le condizioni richieste per l'esercizio, nei rispettivi paesi, delle più alte funzioni giurisdizionali, ovvero tra quelli che sono esperti professionisti di notoria competenza.

I giudici della Corte designano tra loro il presidente, che resta in carica per un periodo rinnovabile di tre anni. Il presidente dirige i lavori e i servizi della Corte e presiede le udienze e le deliberazioni.

Gli avvocati generali assistono la Corte e l'aiutano ad assolvere la sua missione. Essi hanno il compito di presentare pubblicamente, in piena imparzialità ed indipendenza, delle conclusioni sulle cause sottoposte alla Corte.

 

 

Spetta alla Corte di Giustizia giudicare:

v     sulle controversie circa l’adempimento degli obblighi comunitari da parte degli Stati membri;

v     sui ricorsi contro la validità degli atti comunitari;

v     sulle questioni sollevate dai giudici nazionali, circa la validità e l’interpretazione del diritto comunitario;

v     sulle controversie che insorgono tra gli organi comunitari.

 

Evoluzione della Corte

Dalla sua creazione, nel 1952, ad oggi, la Corte è stata investita di oltre 8.600 cause. Il numero di 200 nuove cause l'anno è stato raggiunto dal 1978 e quello di 400 cause l'anno è stato superato nel 1985.

Per far fronte a tale afflusso rispettando, nel contempo, termini procedurali ragionevoli, la Corte di giustizia ha adattato il proprio regolamento di procedura in modo tale da rendere possibile una trattazione più spedita delle cause ed ha sollecitato al Consiglio la creazione di un nuovo organo giurisdizionale.

 

Creazione del Tribunale di primo grado

A seguito di tale richiesta il Consiglio le ha affiancato il Tribunale di primo grado.

L'istituzione del Tribunale di primo grado, avvenuta nel 1989, ha lo scopo di migliorare la tutela giurisdizionale dei singoli, introducendo un doppio grado di giurisdizione, e di permettere alla Corte di concentrarsi sul suo compito fondamentale: l'interpretazione uniforme del diritto comunitario. Il Tribunale è composto da quindici giudici, nominati di comune accordo dai governi degli Stati membri con mandato di sei anni rinnovabile. I membri del Tribunale designano tra loro il presidente.

Non esistono avvocati generali permanenti, in quanto le loro funzioni sono esercitate in un limitato numero di cause dai giudici stessi.

 

 

 

 


 

Il Comitato economico e sociale è un organo consultivo che esprime pareri sulle proposte legislative della Commissione europea e su ogni questione di rilievo comunitario.

Esso è formato da 222 consiglieri in rappresentanza dei datori di lavoro, dei lavoratori (sindacati) e di interessi diversi quali le professioni liberali, gli agricoltori, le piccole e medie imprese, i consumatori e i rappresentanti dell'economia sociale.

Organizzati in tre Gruppi (datori di lavoro, lavoratori, attività diverse), i membri del CES elaborano dei pareri in merito alle proposte di normativa comunitaria e alle grandi tematiche del nostro tempo.

 

I suoi pareri sono adottati in seduta plenaria a maggioranza semplice e vengono successivamente trasmessi alla Commissione europea, al Consiglio dell'Unione europea ed al Parlamento europeo affinché gli atti legislativi comunitari in progetto tengano conto degli interessi espressi in concertazione dalle parti sociali. Sono infine pubblicati nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea. Il trattato di Roma prevede che, a richiesta del Consiglio dell'Unione europea e della Commissione europea, il Comitato economico e sociale esprima pareri sulle proposte legislative che incidono sul settore economico e sociale.

 

Esso ha anche istituito un osservatorio sul mercato unico che ha il compito di individuare gli ostacoli che si frappongono alla piena attuazione del mercato unico, così da contribuire alla ricerca di soluzioni concrete. In numerosissimi casi, soprattutto quando sono votati a larga maggioranza, i suoi pareri influiscono sulle decisioni degli organi legislativi. Esso è la piattaforma istituzionale che consente la partecipazione delle parti sociali al processo di costruzione europea.

Organizzazione

Il CES è diretto da un presidente e da un ufficio di presidenza di 36 membri ed è organizzato in sezioni; le attuali 9 sezioni corrispondono ai settori in cui il Comitato deve essere consultato a norma del trattato di Roma. Nella sua attività è assistito da un segretariato generale, diretto dal segretario generale.

I consiglieri sono ufficialmente nominati dal Consiglio dell'Unione europea su proposta dei governi degli Stati membri. Il loro mandato è di 4 anni e sono rieleggibili.

.

Comunicazione esterna

Il Comitato economico e sociale prepara comunicati stampa che informano i mezzi di comunicazione delle attività in corso o in progetto (riunioni, pareri adottati in seduta plenaria, conferenze, ecc.).

La stampa specializzata (organi di comunicazione delle parti sociali degli Stati membri) opera attivamente nella diffusione delle informazioni sul CES.

Il Comitato economico e sociale riceve ogni anno circa 6.000 visitatori, risponde alle domande più disparate e li informa sul ruolo che esercita nell'ambito del processo decisionale.

 


 

Il Comitato delle regioni è stato istituito per garantire che le autorità politiche più vicine ai cittadini (sindaci, consiglieri comunali e regionali, presidenti delle regioni e dei consigli regionali) vengano consultati sulle proposte dell'Unione europea che li riguardano direttamente. Per la prima volta nella storia dell'Unione europea esiste l'obbligo giuridico di chiedere il parere dei rappresentanti delle collettività locali e regionali sulle questioni di loro diretto interesse. Si tratta, in altri termini, di un'applicazione del principio di sussidiarietà.

I membri del CDR hanno il compito di trasmettere alle istituzioni europee il punto di vista locale e regionale sulle proposte da esse presentate e quello di informare i loro concittadini sul processo di integrazione europea.

 

Organizzazione

A capo dell'amministrazione del Comitato delle regioni è il Segretario generale. I suoi membri partecipano ai lavori di 8 commissioni specializzate e di 4 sottocommissioni, che hanno l'incarico di preparare i pareri del Comitato stesso. I componenti del CDR sono scelti dagli Stati membri e ufficialmente nominati dal Consiglio dell'Unione europea. Restano in carica per 4 anni e sono rieleggibili.

L'ufficio di presidenza organizza i lavori del Comitato delle regioni e delle sue commissioni. Esso è costituito da 36 funzionari, tra i quali il presidente, il primo vicepresidente ed un vicepresidente per ciascuno dei 15 Stati membri, tutti eletti per due anni dai componenti dell'assemblea.

 

A norma dei trattati, il Comitato delle regioni deve essere consultato dalla Commissione europea o dal Consiglio dell'Unione europea in 5 settori che si ricollegano direttamente alle competenze riconosciute a tutte le collettività locali e regionali:

·        coesione economica e sociale, compresi i fondi strutturali

·        reti transeuropee (infrastrutture di trasporto, telecomunicazioni e trasporto di energia)

·        settore sanitario

·        politica dell'istruzione e politica per i giovani

·        cultura

La Commissione europea ed il Consiglio dell'Unione europea possono consultare il CDR in altri settori che interessano le collettività territoriali, come il diritto di voto dei cittadini dell'Unione europea alle elezioni comunali dello Stato membro in cui risiedono. Il CDR può anche, di propria iniziativa, adottare pareri su temi quali l'agricoltura, la difesa dell'ambiente e la politica del territorio. Questi pareri sono trasmessi alla Commissione europea, al Consiglio dell'Unione europea e al Parlamento europeo.

 

Il Comitato prende posizione su argomenti che riguardano direttamente i cittadini. Ad esempio, ha adottato alcuni pareri sulla lotta contro l'Aids, sulla lotta contro il cancro, sullo sviluppo delle reti di telecomunicazione e di energia e sul diritto all'istruzione permanente.

Recentemente, il Comitato delle regioni ha preso posizione anche sull'uso illecito di Internet per la diffusione di informazioni di carattere pedofilo, sui problemi della successione per i giovani agricoltori e sulla tutela dei parchi naturali regionali.

Comunicazione esterna

Il CDR dà un contributo particolare alle iniziative prioritarie di informazione dei cittadini europei varate dalla Commissione europea grazie soprattutto alla sua posizione privilegiata di nucleo centrale di una grande rete di diffusori di opinione che si allarga alle collettività locali e regionali e ai mezzi di comunicazione locale e regionale.

La Direzione della comunicazione e della stampa del Comitato delle regioni edita una grande quantità di pubblicazioni che sono disponibili su semplice richiesta e partecipa attivamente alle sue iniziative politiche: seminari sulla politica del territorio, forum sui patti regionali e locali per l'occupazione, conferenze con il Parlamento europeo sull'avvenire delle collettività locali e regionali.

 

 

Casella di testo: La Corte
                   dei Conti

 

La Corte dei Conti europea rappresenta il contribuente ed esercita una funzione di controllo delle spese dell’Unione Europea, per verificare che esse siano effettuate secondo le norme di bilancio e i regolamenti finanziari vigenti, per gli scopi a cui sono destinate. Alcuni politici di spicco nell’arena internazionale considerano la Corte dei Conti come la “coscienza finanziaria” dell’Unione Europea, altri come un “cane da guardia” delle sue casse. In ogni caso, essa garantisce il rispetto di principi morali, amministrativi e contabili. Le relazioni della Corte sono una ricca fonte di informazioni sulla gestione delle finanze dell’Unione Europea e un elemento di pressione sulle istituzioni e su quanti hanno, a livello amministrativo, la responsabilità di una loro gestione occulta. Essa è composta di quindici membri nominati dal Parlamento con carica quinquennale.

 

Altre due istituzioni, oltre a quelle appena citate, svolgono un ruolo importante per la vita dell’Unione Europea. Esse non sono definibili come organi essenziali, ma rivestono una carica determinante perché l’organizzazione dell’Unione raggiunga il pieno sviluppo e possa operare in completa libertà e autonomia istituzionale. Esse sono:

 

La Banca Europea per gli Investimenti

La BEI è l’istituzione finanziaria e lo strumento della politica creditizia europea. Accorda finanziamenti a lungo termine per investimenti volti a promuovere lo sviluppo economico equilibrato e l’integrazione dell’Unione Europea. Essa è una fonte di finanziamento flessibile ed efficiente che, con un volume di finanziamenti dell’ordine di 20 miliardi di euro l’anno, è la più grande istituzione finanziaria internazionale del mondo.

 

Il Mediatore Europeo

Ogni cittadino di uno stato membro è allo stesso tempo cittadino nazionale e cittadino europeo. Uno dei suoi diritti in quanto cittadino europeo è rivolgersi al Mediatore Europeo qualora fosse vittima di un atto di cattiva amministrazione da parte delle istituzioni od organi comunitari. Il Mediatore detiene ampi poteri di indagine: le istituzioni e gli organi comunitari sono tenuti, a certe condizioni, a fornirgli tutti i documenti e le prove richiesti; egli può inoltre ottenere informazioni sulle autorità nazionali. Il Mediatore è abilitato a fungere da conciliatore fra i cittadini e l’amministrazione comunitaria; può inoltre formulare raccomandazioni alle istituzioni UE e deferire il caso al Parlamento Europeo affinché quest’ultimo possa eventualmente trarre conclusioni politiche dalla posizione assunta dall’amministrazione.

 

 

Schemi che riassumono brevemente la composizione e la struttura delle istituzioni dell’Unione Europea:

 

 

Le istituzioni dell’Unione Europea

 

 

Parlamento Europeo

626

Commissione
20

Consiglio dell’Unione Europea
15+15+COREPER

Corte di Giustizia
15 giudici 9 avvocati generali

Tribunale di primo grado
15 giudici

Comitato Economico e Sociale
Comitato delle Regioni
222


Corte dei Conti
15

 

 


 

 

 


IL NUOVO TRATTATO DI AMSTERDAM

 

L’ultimo atto del processo di unificazione è il trattato di Amsterdam, (entrato in vigore il 1° Maggio 1999) recante revisione dei trattati sui quali si fonda l'Unione europea (in particolare il Trattato di Maastricht, entrato in vigore nel 1993). Questo nuovo trattato è il risultato dei lavori svolti dalla Conferenza Intergovernativa (CIG) dal marzo 1996 al giugno 1997. La CIG è il meccanismo formale per la revisione dei trattati, cioè dei testi costituzionali dell'Unione Europea, comportante negoziati fra i quindici governi degli Stati membri dell'Unione.

La Conferenza ha iniziato formalmente i lavori in occasione della riunione del Consiglio europeo di Torino del 29 marzo 1996 e li ha conclusi in occasione del Consiglio europeo di Amsterdam del 18 giugno 1997.

Alla soglia del XXI secolo, l'Unione europea si trova confrontata ad una serie immane di sfide: situazione internazionale in rapida evoluzione; globalizzazione dell'economia mondiale e relativo impatto su occupazione, competitività e creazione di posti di lavoro; terrorismo, criminalità e traffico illecito di stupefacenti; pressioni migratorie; squilibri ecologici; minacce per la sanità pubblica. Sono questi i problemi che l'Unione ha dovuto affrontare in un momento in cui le istituzioni politiche sono ovunque messe in questione da un'opinione pubblica sempre meglio informata.

Inoltre il futuro allargamento dell'Unione costituisce al tempo stesso un'occasione unica e una sfida considerevole.

La Presidenza, i Governi degli Stati membri, il Parlamento europeo e la Commissione si sono adoperati, durante tutta la Conferenza, per rendere consapevole l'opinione pubblica dell'importanza della posta in gioco.

 

Libertà, sicurezza e giustizia

I cittadini desiderano vivere in un'Unione in cui i loro diritti fondamentali siano pienamente rispettati. Desiderano anche poter vivere e circolare liberamente all'interno dell'Unione, senza timore di minacce per la loro sicurezza personale.

Le modifiche del trattato relative alla libertà, alla sicurezza e alla giustizia riaffermano i principi fondamentali su cui l'Unione si basa e rafforzano l'impegno di quest’ultima nei confronti dei diritti fondamentali. Per la prima volta si può intervenire quando in uno Stato membro siano commesse gravi e persistenti violazioni dei diritti fondamentali. In questo contesto, e considerato il livello di tutela dei diritti fondamentali esistente negli Stati membri dell'Unione europea, il trattato affronta la questione dell'asilo per i cittadini di questi Stati. Si sono già prese iniziative per rafforzare l'impegno dell'Unione a favore della non discriminazione e della parità tra uomini e donne, come pure per garantire ai singoli un'adeguata protezione dei dati di carattere personale laddove siano implicate le Istituzioni dell'Unione.

 

I cittadini dell'Unione insistono per poter beneficiare pienamente della libertà di circolazione che lo sviluppo dell'Unione europea rende possibile e, nello stesso tempo, essere protetti da quanto può minacciare la loro sicurezza personale.

Poiché gli obiettivi dell'accordo di Schengen, il quale ha già istituito una zona di libera circolazione delle persone tra tredici Stati membri, coincidono con quelli contenuti nel nuovo trattato, il patto di Schengen sarà incorporato nel contesto dell'Unione.

Tuttavia, la possibilità di circolare liberamente da uno Stato membro all'altro senza frontiere interne non deve in alcun modo pregiudicare la sicurezza delle persone che vivono nell'Unione. La criminalità e le attività criminose, quali terrorismo, reati contro i bambini, traffico illecito di stupefacenti e frode, come pure il razzismo e la xenofobia, valicano le frontiere nazionali. L'Unione deve quindi poter garantire, se necessario, anche al di là di tali frontiere la protezione dei suoi cittadini da tali rischi e fornire loro un ambiente sicuro. Le modifiche del Trattato proposte in questo campo, che comprendono gli aspetti specifici della cooperazione in tali settori all'esterno della Comunità, renderanno l'Unione maggiormente atta a intraprendere azioni più efficaci per prevenire e combattere la criminalità e a migliorare la cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale. La cooperazione tra forze di polizia, servizi doganali e altri organi specializzati per l'applicazione della legge negli Stati membri sarà accresciuta nell'intento di prevenire, individuare e indagare su atti criminosi. L'impatto operativo dell'Ufficio europeo di polizia (Europol) sarà esso pure notevolmente accresciuto. Non solo saranno potenziate la gamma e l'efficacia degli strumenti giuridici di cui l'Unione può disporre, rafforzando il ruolo del Parlamento europeo e della Corte di giustizia, ma l'azione dell'Unione in tali settori subirà un mutamento qualitativo.

 

Politiche dell'Unione a vantaggio dei cittadini

Se rendere l'Unione più vicina e comprensibile per i suoi cittadini è un importante obiettivo che ha permeato tutti i lavori della Conferenza e si riflette in tutto il nuovo trattato, alcune questioni che interessano più direttamente i cittadini nella loro vita quotidiana e il modo in cui percepiscono l'Unione sono state trattate espressamente:

 

   I cittadini aspirano a trovare un posto di lavoro. La disoccupazione ha un impatto diretto sui cittadini. I vari Consigli europei hanno ravvisato nella salvaguardia e creazione di posti di lavoro la più importante sfida per l'Unione europea. Se è vero che la competenza in materia di occupazione deve restare essenzialmente al livello del singolo Stato membro, è anche vero che il problema dell'occupazione sarà parimenti affrontato a livello europeo, a sostegno dell'azione intrapresa a livello nazionale. Il nuovo trattato considera come obiettivo la promozione d'un alto livello di occupazione.

 

   I cittadini desiderano vivere in un ambiente pulito. Le attuali disposizioni del trattato rispecchiano la natura transfrontaliera dei problemi ambientali e la misura in cui il pubblico appoggia un'azione a livello europeo. Il trattato ravvisa nel conseguimento di uno sviluppo sostenibile un espresso obiettivo dell'Unione. Esso sottolinea la necessità di integrare le esigenze della protezione dell'ambiente nella definizione e attuazione di tutte le politiche comunitarie. Esso inoltre rafforza, chiarisce e rende più rigorose le disposizioni sul mercato interno correlate all'ambiente.

 

   I cittadini chiedono un alto livello di protezione sanitaria. Il trattato sottolinea che nel definire e attuare tutte le politiche e attività della Comunità si garantirà un alto livello di protezione della salute umana. L'azione comunitaria mirerà a migliorare la sanità pubblica, a prevenire malattie e affezioni dell'uomo e a eliminare le fonti di pericolo per la salute umana. Inoltre la Comunità integrerà l'azione che gli Stati membri svolgono per ridurre gli inconvenienti per la salute risultanti dall'uso di stupefacenti, anche in materia di informazione e prevenzione. La Comunità può anche adottare provvedimenti per fissare elevati livelli di qualità e sicurezza per organi e sostanze di origine umana, sangue e emoderivati, senza impedire agli Stati membri di mantenere o introdurre misure di protezione più rigorose.

 

   I cittadini chiedono un'adeguata protezione in quanto consumatori che vivono nel più grande mercato del mondo. Il trattato stabilisce più chiaramente l'obiettivo della promozione degli interessi dei consumatori e del loro diritto all'informazione e all'educazione nonché ad organizzarsi per salvaguardare i propri interessi. Si terrà maggiormente conto della tutela degli interessi dei consumatori nella definizione e attuazione di altre politiche comunitarie.

 

   I cittadini chiedono che l'Unione svolga un ruolo appropriato nei campi in cui è attiva, lasciando agli Stati membri le questioni che possono essere meglio affrontate al loro livello. Questo principio, detto di sussidiarietà, è già sancito nell'articolo 3 B del trattato CE, insieme al principio di proporzionalità. Questi principi sono destinati a far sì che l'azione volta a conseguire un obiettivo sia intrapresa al livello più appropriato e sia proporzionata all'obiettivo da raggiungere. Questi principi stabiliscono ciò che può e deve esser fatto a livello della Comunità e ciò che non può e non deve esser fatto a tale livello. Un nuovo protocollo del trattato stabilisce orientamenti particolareggiati giuridicamente vincolanti per l'applicazione di questi principi.

 

   I cittadini chiedono che le istituzioni dell'Unione siano comprensibili e trasparenti, il che è essenziale se si vuole che l'Unione sia da essi meglio compresa e accettata. Il trattato stabilisce chiaramente il diritto di tutti i cittadini di accedere ai documenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione, fatti salvi i principi generali e i limiti che la Comunità deve porre per ragioni di interesse pubblico o privato.

 

Una politica esterna efficace e coerente

Benché occupi il primo posto negli scambi mondiali, l'Unione europea potrebbe sfruttare in modo più efficace la sua influenza diplomatica e il suo peso economico nelle relazioni con  paesi esterni e nella promozione della stabilità nel mondo. Una delle principali priorità della Conferenza è quindi consistita nel rendere le politiche esterne dell'Unione più coerenti, efficaci e visibili.

 

La politica estera e di sicurezza comune (PESC) è stata molto rafforzata. Si miglioreranno considerevolmente le procedure decisionali, in due diversi modi:

    in primo luogo, anche se l'unanimità continuerà a essere richiesta per tutte le decisioni politiche fondamentali, si ridurrà il rischio di situazioni di stallo permettendo una procedura di "astensione costruttiva" in virtù della quale lo Stato membro che faccia una dichiarazione formale in tal senso non sarà obbligato ad applicare una specifica decisione, pur accettando che essa impegna l'Unione;

    in secondo luogo, sarà previsto un "dispositivo d'emergenza" che permetterà a uno Stato membro di opporsi all'adozione di una decisione per motivi di politica nazionale importanti e manifesti. In tali casi gli Stati membri che ritengano importante che l'Unione agisca potranno, se costituiscono una maggioranza qualificata, sottoporre la questione al Consiglio europeo, affinché decida in merito all'unanimità.


L'Unione avrà inoltre la capacità di negoziare e concludere accordi internazionali per attuare la sua politica estera e di sicurezza comune.

 

Le istituzioni dell'Unione

Nel nuovo trattato sono state apportate alcune significative modifiche istituzionali:

Ï       È stato riconosciuto il ruolo del Parlamento europeo quale autentico colegislatore con il Consiglio, modificando la cosiddetta procedura legislativa di codecisione (al fine di garantire condizioni di parità al Consiglio e al Parlamento europeo), ed estendendo considerevolmente il numero dei settori legislativi in cui questa procedura si applicherà. Si è inoltre effettuata un'ulteriore semplificazione riducendo a tre il numero delle procedure legislative, ossia codecisione, parere conforme e consultazione. È stato limitato a un massimo di 700 il numero dei membri del Parlamento europeo, tenendo nel contempo conto della necessità che il numero di rappresentanti di ciascuno Stato membro garantisca un'adeguata rappresentanza. Il Parlamento europeo avrà anche la facoltà di presentare proposte circa la procedura da seguire per la sua elezione, basandosi su principi comuni a tutti gli Stati membri.

 

Ï       La Commissione, che svolge un ruolo centrale nella struttura istituzionale come iniziatrice, amministratrice, mediatrice, negoziatrice e custode dei trattati sarà resa più efficiente ed efficace conferendo al suo Presidente poteri più ampi, migliorando la sua organizzazione interna e provvedendo ad un'evoluzione della sua composizione.

 

Ï       Le competenze della Corte di giustizia sono state estese e chiarite in ordine alla salvaguardia dei diritti fondamentali, all'azione dell'Unione in materia di asilo e immigrazione, e alla cooperazione tra forza di polizia e in materia giudiziaria.

 

Ï       Le competenze della Corte dei conti sono state considerevolmente ampliate; il Comitato delle regioni ha ottenuto una maggior autonomia amministrativa; il campo della consultazione del Comitato delle regioni e del Comitato economico e sociale è stato esteso.

 

Semplificazione dei trattati

I trattati che istituiscono l'Unione europea e le Comunità europee sono divenuti col tempo sempre più complessi e, di conseguenza, meno facilmente comprensibili. Esistono ora circa dodici trattati e atti fondamentali, per non menzionare i protocolli, contenenti un totale di circa ottocento articoli.

La Conferenza ha intrapreso il lavoro della semplificazione dei trattati, come attività separata dalle trattative di merito per la revisione degli stessi. I risultati di tali lavori costituiscono parte integrante dell'esito della Conferenza.

  

L’eUrO, LA SVOLTA

 

Come era stato stabilito nel Trattato di Maastricht, il 1° Gennaio del 1999 ha avuto inizio la terza e conclusiva fase dell’Unione economica e monetaria in base alla quale i Paesi firmatari dell’accordo hanno voluto la realizzazione di una politica monetaria comune e di una moneta unica, con la conseguente eliminazione delle attuali valute circolanti.


 

Non tutti i Paesi del Trattato, però, fanno parte dell’UEM e hanno adottato la moneta comunitaria (l’€uro). Come è noto, sono stati infatti previsti dei “vincoli” ai quali i Paesi dovranno sottostare. Tali vincoli, definiti tecnicamente “criteri di convergenza”, mirano ad armonizzare per quanto possibile le economie dei diversi paesi e soprattutto a evitare condizioni di eccessiva passività dei bilanci pubblici. In sostanza, per poter aderire all’UEM i paesi dell’area comunitaria hanno dovuto risanare i conti pubblici riducendo drasticamente i disavanzi annuali di bilancio e favorendo il riassorbimento del debito pubblico fino al limite concordato a Maastricht.

 

La verifica del rispetto dei criteri di convergenza è avvenuto il 2 Maggio 1998. A quella data i capi di Stato e di Governo dell’Unione Europea decisero che soltanto 11 Paesi su 15 avrebbero fatto parte dell’UEM e adottato la moneta unica a partire dal 1999 (in ordine alfabetico: Austria, Belgio, Germania, Finlandia, Francia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo e Spagna) . Sono invece, per il momento, rimasti fuori la Svezia (perché non ha aderito agli accordi di cambio stipulati tra gli altri Paesi) e la Grecia (a causa del mancato rispetto di alcuni criteri: deficit, debito, tasso d’inflazione). Inoltre hanno spontaneamente deciso di non aderire all’UEM la Danimarca e il Regno Unito (pur avendo conseguito risultati positivi e in armonia con i parametri di Maastricht) a causa di forti perplessità circa l’utilità della moneta unica.

 

Si parla tanto di “criteri di convergenza”, ma quali sono questi criteri? Ecco i cinque temutissimi parametri:

 

1.       L’inflazione di un Paese, calcolata come media della variazione annua dei prezzi al consumo negli ultimi dodici mesi, non deve superare di 1,5 punti percentuali la media aritmetica semplice dell’inflazione dei tre Paesi con l’inflazione più bassa. Agli esami del 2 Maggio scorso, l’Italia si è presentata con un’inflazione del 2%, mentre la soglia massima era al 2,5% (1% di inflazione media nei tre Paesi più virtuosi più 1,5%);

 

2.       Il deficit pubblico deve essere contenuto entro il 3% del Pil, o superarlo eccezionalmente rimanendovi vicino. E l’Italia, guardando ai dati del ’97, aveva un deficit pari al 2,7% del Pil:

 

3.       Il debito pubblico non deve oltrepassare il 60% del Pil, a meno che non si stia riducendo e non si stia avvicinando a quella soglia a ritmo adeguato. L’Italia nel ’97 aveva un debito/Pil al 121,6% e in riduzione graduale dal picco di 124,9% toccato nel 1994; nelle carte, però, c’era già una rapida riduzione del debito/Pil negli anni a venire e il Paese si è impegnato con i partner UE a portarlo sotto il 100% entro il 2003;

 

4.       I tassi di interesse a lungo termine, misurati dal rendimento dei titoli di Stato a dieci anni, non devono superare di più di 2 punti la media dei tre Paesi suddetti (quelli con prestazioni migliori in termini di inflazione). L’Italia ha dimostrato di rispettare abbondantemente questo limite;

 

5.       La moneta nazionale sarebbe dovuta rimanere, per almeno due anni senza svalutare, nel Sistema Monetario Europeo. Quest’ultimo prevedeva una fluttuazione dei cambi tra le monete partecipanti limitata al 2.25% (in su o in giù); questa banda di oscillazione venne modificata nel luglio 1993 e portata al 15%. Nel Maggio 1998 l’Italia era nello SME da 16 mesi, anziché 24. Inoltre molti contestarono questo parametro perché la banda di oscillazione era stata molto allargata.

 

 

Queste regole di ammissione, ora che l’esame è passato e i Paesi sono stati selezionati, non servono più? No, servono ancora. Tutte quante per valutare l’ammissione delle nazioni che lo chiederanno (per esempio Grecia, Danimarca, Svezia e Gran Bretagna). Alcune, invece, perché restano valide norme di comportamento per vivere bene nell’UEM.

 

 

 

Con l’avvio della terza fase dell’UEM hanno preso vita anche il Sistema Europeo delle Banche Centrali (denominato SEBC) e la Banca Centrale Europea (BCE), organismi che hanno iniziato a operare dal momento che il progetto di moneta unica e di politica monetaria comune è andato “a regime”.

Il SEBC è un sistema coordinato di tutte le Banche centrali dei Paesi che hanno aderito alla moneta unica e della Banca Centrale Europea. Il suo obiettivo primario è il mantenimento della stabilità dei prezzi. Ciò significa che il SEBC deve innanzitutto assicurare che non si creino tensioni inflazionistiche nei Paesi aderenti all’UEM.

La BCE, dotata di personalità giuridica, ha il diritto esclusivo di autorizzare l’emissione di banconote all’interno dell’Unione e la possibilità di procedere concretamente a tale emissione (prerogativa che è assegnata anche alle banche centrali nazionali). La BCE, in particolare, assume un ruolo fondamentale nella gestione della politica economica dell’Unione, in armonia con l’obiettivo prioritario e ineludibile della stabilità monetaria in tutti i Paesi dell’UEM.

 

L’uro e i suoi momenti più significativi

E’ stato già detto che siamo entrati nella terza fase dell’euro. Ma cosa è successo prima? Quali sono le tappe che hanno portato l’avvento della moneta unica? Eccole sinteticamente:

 

1 LUGLIO 1990

Prende avvio l'Unione politica, economica e monetaria europea (UEM). Viene permesso il libero movimento di  capitali in Europa. Vengono aboliti i controlli e restrizioni nei cambi tra le monete europee. Viene sancito il diritto di tutti i cittadini europei di poter investire i propri risparmi in qualsiasi Paese della comunità.

 

GENNAIO 1993

Entra in vigore il Mercato unico con l'abolizione delle frontiere doganali. In questo modo viene permessa la libera circolazione di persone, capitali, merci e servizi in Europa.

 

1 NOVEMBRE 1993

Entra in vigore il Trattato di Maastricht che stabilisce le condizioni per la partecipazione all'UEM.

 

1 GENNAIO 1994

A Francoforte in Germania nasce l'Istituto Monetario Europeo (IME) che ha il compito di preparare il terreno per la costituzione della BCE e del SEBC, organi Europei indispensabili per il governo della nuova moneta.

Nel 1994 nasce e prende avvio lo Spazio Economico Europeo (SEE), il più grande mercato comune del mondo, con 370 milioni di consumatori.

 

15 DICEMBRE 1995

Il Consiglio europeo di Madrid sancisce la nascita dell'euro.

 

DICEMBRE 1996

Viene approvato il regolamento della nuova moneta unica e sono stabiliti i parametri indispensabili al funzionamento dello SME-2.

 

SETTEMBRE 1997

Durante un consiglio europeo ECOFIN si stabilisce la data in cui verranno determinati i tassi fissi tra le valute partecipanti all'euro.

 

DAL 1995 AL 1997

I Paesi europei adottano i parametri contenuti nel Trattato di Maastricht per essere ammessi alla fase finale dell'Unione Monetaria Europea. É stato un periodo di grandi sacrifici economici per tutti i Paesi.

 

3 MAGGIO 1998


Il Consiglio Europeo conferma quali Paesi possono partecipare alla fase finale della UEM con l'adozione dell'euro. Undici Paesi sono stati ammessi all'euro fra cui anche l'Italia. La Gran Bretagna, la Danimarca e la Svezia hanno deciso autonomamente di non aderire all'euro. La Grecia non è riuscita a rispettare le regole e i parametri necessari per essere ammessi al nuovo sistema monetario. Lo stesso giorno è stato ufficializzato l'organo di guida e di controllo della Banca Centrale Europea. Fra i suoi componenti anche un italiano: Tommaso Padoa Schioppa. In questa sede prende avvio anche il SEBC.

DICEMBRE 1998

Vengono fissate dalla BCE i cambi definitivi tra le monete europee e l'euro. Prende avvio l'ultima fase dell'introduzione della moneta unica.

 

 

1 GENNAIO 1999

Nasce l'Euro virtuale. Le banche, le istituzioni europee, le amministrazioni degli Stati europei opereranno in euro. Tutti i cambi tra le monete e gli scambi in borsa saranno in euro. Per cambiare le lire in marchi tedeschi sarà necessario convertire le lire in euro e poi in gli euro in marchi. Per le aziende comincia un periodo transitorio dove non vi saranno imposizioni né regole. Tuttavia, proprio per una maggiore competitività sul mercato europeo molte di loro cominceranno da subito a redigere i propri listini in euro. Anche i bilanci aziendali potranno essere redatti in euro. Buste paga, bollette telefoniche, estratti conto bancari, e prezzi nei negozi saranno nelle due valute. Tuttavia l'euro come moneta non esisterà ancora ed, escludendo qualche esperimento locale, il vero euro non sarà in circolazione.


Marco

tedesco

Peseta

spagnola

Franco

francese

Sterlina

irlandese

Lira

Italiana

Franco

belga

Fiorino

olandese

Scellino

austriaco

Scudo

portoghese

Marco

finlandese

1 euro =

1,95583

166,386

6,55957

0,787564

1936,27

40,3399

2,20371

13,7603

200,482

5,94573

 

 

I tassi di cambio bilaterali (valori indicativi, da non usare nelle conversioni)

Marco

tedesco

Peseta

spagnola

Franco

francese

Sterlina

irlandese

Franco

belga

Fiorino

olandese

Scellino

austriaco

Scudo

portoghese

Marco

finlandese

Lire

989,999

11,6372

295,182

2.458,55

47,9988

878,641

140,714

9,65807

325,657

 

 

1 GENNAIO 2002

Finalmente l'euro tangibile. Dopo tanto parlarne potremo realmente vedere e usare la nuova moneta. Le lire come tutte le altre valute europee non spariranno ancora ma saranno gradualmente ritirate dal mercato per lasciare spazio al nuovo sistema monetario.

 

1 LUGLIO 2002


Le valute degli stati europei aderenti all'euro cessano di avere valore legale. Potranno essere ancora cambiate in euro solo presso le Banche centrali. Il sogno di un'Europa unita si concretizza con la nuova moneta europea. Da questo momento gli stati europei opereranno tutti insieme per un miglioramento dell'economia e un miglioramento della vita in tutta l'Europa.


 

 

Effetti sul sistema economico-finanziario: Vantaggi e costi dell’Unione Monetaria

L’avvento dell’Unione economica e monetaria rappresenta sicuramente un evento di portata storica, con effetti notevoli dal punto di vista economico, senza trascurare le sue implicazioni nella sfera giuridica e politica. La sua realizzazione consentirà di risparmiare i costi di transizione legati alle operazioni in cambi tra le valute partecipanti: si potranno scambiare merci, servizi e attività finanziarie all’interno dell’Unione monetaria senza dover cambiare valuta per ogni operazione. Questo guadagno, tuttavia, non sembra essere particolarmente elevato. Inoltre, esso sembra essere un vantaggio per la collettività nel suo complesso, ma anche una perdita per il settore bancario: evidentemente vi sono una serie di profitti sull’attività in cambi destinati a scomparire. Un altro beneficio connesso all’Ume (Unione monetaria europea) risiede nell’eliminazione dell’attuale eccessiva variabilità dei cambi (naturalmente, sempre per i Paesi partecipanti). Questo potrebbe avere conseguenze positive in termini di un aumento dei flussi commerciali internazionali: si ritiene infatti che le decisioni di scambio con l’estero (e conseguentemente di produzione al fine di scambiare con l’estero) siano facilitate dalla certezza sui tassi di cambio. 

Tuttavia, il beneficio principale della partecipazione all’Ume, soprattutto per un Paese come l’Italia, consiste nella sensibile riduzione dei tassi d’interesse. Questi, infatti, sono legati, a livello internazionale, da una relazione nota come “parità scoperta”: ad esempio, i tassi italiani devono essere uguali a quelli tedeschi, più la svalutazione attesa del cambio lira-marco tra oggi e la scadenza delle attività finanziarie considerate; l’Ume azzererebbe la svalutazione attesa, consentendo una convergenza dei tassi verso quelli tedeschi, con un duplice vantaggio:

-            una riduzione sostanziale dell’onere di interessi per il settore pubblico, rendendo assai meno costoso per la collettività l’aggiustamento dei conti pubblici;

-            uno stimolo agli investimenti privati e quindi una maggiore crescita della produzione dell’occupazione. 

L’altro lato della medaglia è rappresentato dai costi dell’Ume. È opportuno distinguere tra i costi legati alla transizione e quelli che rimarranno per sempre. Dei primi si dirà oltre, quando si descriverà lo scenario di transizione. Quanto ai costi permanenti, essi sono riassumibili nella perdita della flessibilità del cambio quale meccanismo di aggiustamento degli squilibri tra i diversi Paesi. Quando un Paese registra per un lungo periodo un tasso d’inflazione più elevato che nei Paesi concorrenti, o comunque la sua economia è caratterizzata da un deficit della bilancia commerciale, un modo per riguadagnare competitività e per ristabilire l’equilibrio è quello di fare una svalutazione della propria moneta. La mancanza di questa “valvola di sfogo”, in mancanza di altri meccanismi di aggiustamento (quali la flessibilità dei prezzi e dei salari o la mobilità del lavoro) può comportare il protrarsi della situazione di squilibrio, generando problemi di indebitamento con l’estero, di riduzione delle riserve ufficiali e di disoccupazione dovuta a perdita di competitività. 

I vincoli economici derivanti dalla moneta unica

Come noto, il Trattato di Maastricht prevede che i Paesi partecipanti all’Ume soddisfino i criteri di convergenza descritti a pag. 41. La giustificazione di questi criteri consiste nel fatto che essi rappresentano una garanzia di stabilità monetaria per tutti i Paesi partecipanti all’Ume, favorendo il perseguimento della finalità istituzionale della Banca Centrale Europea, cioè la stabilità del livello dei prezzi. Inoltre, la stabilità monetaria garantisce che non si creino squilibri tra le economie dei Paesi partecipanti, tali da minare la coesione tra i Paesi stessi e da generare tensioni tra di essi (quali una perdita di competitività di uno Stato rispetto a un altro a causa di un significativo differenziale d’inflazione; oppure la difficoltà di finanziare un debito pubblico elevato di un Paese, con il conseguente effetto di condizionamento sulla politica monetaria). 

I criteri riguardanti la finanza pubblica sono quelli più delicati: essi impongono infatti notevoli sforzi agli Stati membri; inoltre alcuni Paesi, una volta entrati a far parte dell’Ume, potrebbero essere tentati di attuare una politica fiscale deviante rispetto a tali parametri. La procedura prevista dal Trattato in relazione ai disavanzi eccessivi, infatti, non sembra particolarmente vincolante. Per questo motivo, il Consiglio Europeo tenuto a Dublino nel dicembre del 1996 ha raggiunto un accordo sul Patto di stabilità proposto dal Governo tedesco. Secondo questo accordo, in caso di sfondamento del limite del 3% relativo al disavanzo tra deficit e Pil, e qualora non venissero rispettate le raccomandazioni del Consiglio relative al risanamento del bilancio pubblico, un Paese verrebbe sanzionato mediante un deposito infruttifero pari allo 0,2% del Pil, più un ulteriore 0,1% per ogni ulteriore punto di sfondamento, fino a un massimo pari allo 0,5% del Pil; se dopo due anni il Paese non si fosse ancora rimesso in regola, il deposito verrebbe definitivamente requisito dall’UE, a favore del bilancio comunitario. Sono previste delle esenzioni a queste sanzioni, ma solo in caso di recessione. 

La finalità del Patto di stabilità è molto chiara: poiché il Trattato non prevede interventi automatici e con tempi prefissati in caso di disavanzi eccessivi di qualche Paese membro, il Patto è volto proprio a colmare questa lacuna. Lo spirito sottostante all’accordo è condivisibile: occorre infatti evitare che il comportamento deviante di un Paese possa minare la stabilità finanziaria nell’intera area dell’euro, portando ad un aumento dei tassi di interesse. D’altra parte, bisogna ammettere che la sua applicazione potrà creare qualche problema: in particolare, la penalizzazione degli Stati che già si trovano in gravi difficoltà di bilancio potrebbe essere una soluzione inefficiente, rendendo ancora più difficile per quei Paesi il ripristino di una situazione di equilibrio finanziario. 

Lo scenario di transizione: il triennio 1999-2001

All’inizio del periodo di transizione, i tassi di cambio tra le valute dei Paesi partecipanti sono stati fissati irrevocabilmente: da questo punto di vista si può dire che l’Ume ha già cominciato dal 1° gennaio 1999, poiché avere tassi di cambio completamente fissi equivale ad avere la moneta unica, non potendosi verificare svalutazioni o rivalutazioni di una valuta rispetto alle altre. Tuttavia è già stato visto come le nuove banconote e monete non saranno in circolazione per tutto il triennio. Il ruolo dell’euro è comunque importante in tutto questo periodo, poiché esso viene utilizzato in un notevole numero di transazioni, denominate “massa critica” (secondo la terminologia della Commissione). 

Anzitutto l’euro è divenuto subito la moneta bancaria: i rapporti con le banche e le rispettive banche centrali sono in euro, ovverosia le operazioni di politica monetaria vengono effettuate in moneta unica: rifinanziamento (anticipazioni), operazioni di mercato aperto, interventi sul mercato dei cambi (valute di Paesi esterni). Inoltre, il sistema dei pagamenti interbancari sta passando passare all’euro, così come il mercato interbancario e quello dei cambi. 

In secondo luogo, le nuove emissioni di titoli pubblici sono in euro. E i titoli già esistenti? Questo è un aspetto che non era ancora stato completamente definito fino a pochissimo tempo fa. Comunque ora è definitivo che anche i titoli già emessi siano oggetto di conversione nel periodo di transizione. 

Infine, in tutte le altre operazioni finanziarie i privati sono liberi di utilizzare l’euro al posto delle valute nazionali, ove possibile, ma non sono obbligati a farlo (ad esempio: alcune banche offrono ai clienti interessati di avere dei conti correnti in euro; le imprese possono emettere titoli di debito in euro). Chiunque abbia un debito monetario in lire può già, infine, scegliere di effettuare l’addebito su un proprio conto in euro, invece che in lire, la tasso ufficiale di conversione. Da parte sua, il creditore può optare indifferentemente per un accredito in lire o in euro (sempre che disponga di un conto corrente in euro, oltreché in lire). Soltanto nel primo semestre del 2002 le valute nazionali scompariranno completamente per lasciare posto all’euro in tutte le operazioni: dal 1° luglio 2002, perciò, tutti i titoli e i debiti, nonché i prezzi di tutte le merci e servizi, saranno denominati in euro.

 

Il passaggio alla politica monetaria unica

E’ già stato visto come l’Ume (o UEM) abbia portato alla creazione del SEBC e della BCE, istituzioni che detengono dei validi strumenti operativi da utilizzare nella realizzazione della politica monetaria unica. 

Il Sistema Europeo di Banche Centrali è costituito dalla Banca Centrale Europa e dalle banche centrali degli Stati membri dell’Unione. Il SEBC è retto dagli organi direttivi della BCE, la quale, oltre a essere titolare del diritto esclusivo di autorizzare l’emissione di banconote, stabilisce i principi per le operazioni di credito e di mercato aperto, può obbligare gli enti creditizi a detenere riserve minime e, in particolare, prende decisioni relative agli obiettivi monetari intermedi, ai tassi di interesse guida e agli strumenti di politica monetaria. La stessa BCE può anche svolgere compiti specifici in merito alle politiche che riguardano la vigilanza prudenziale degli enti creditizi. Le banche centrali nazionali, quindi, diventeranno le braccia operative del Sistema. 

Il supremo organo di politica monetaria è il Consiglio direttivo, che prende le decisioni relative agli obiettivi monetari intermedi, ai tassi di interesse guida e all’offerta di base monetaria. Tali decisioni vengono attuate dal Comitato esecutivo, che provvede a impartire le necessarie istruzioni alle banche centrali nazionali. Il comitato esecutivo si compone di un presidente, un vicepresidente e quattro membri, tutti nominati dai Governi degli Stati partecipanti all’Ume. I componenti del Comitato esecutivo rimangono in carica per otto anni. Il Presidente presiede anche il Consiglio direttivo, e rappresenta la BCE all’esterno. Il Consiglio direttivo si compone dei membri del Comitato esecutivo e dei Governatori delle banche centrali nazionali. Esiste inoltre un terzo organo decisionale, il Consiglio generale svolge ruoli prevalentemente consultivi e informativi, fra i quali spicca la responsabilità di valutare il grado di convergenza degli Stati inizialmente esclusi dalla terza fase dell’Unione, in vista di una successiva ammissione.


L’ORGANIZZAZIONE DEL SEBC

Il Trattato garantisce l’indipendenza del SEBC. In particolare, esso prevede le seguenti garanzie di autonomia della politica monetaria: 

Ï       i membri degli organi decisionali rimangono in carica per otto anni e possono essere rimossi dall’incarico solo se commettono gravi mancanze o non soddisfano più le condizioni richieste per l’espletamento del mandato; 

Ï       è espressamente vietata la concessione di scoperti di conto o qualsiasi altra forma di facilitazione creditizia da parte della BCE o da parte delle banche centrali nazionali a istituzioni o agli organi della Comunità, alle amministrazioni statali, agli enti regionali, locali o altri enti pubblici; 

Ï       la BCE ha piena responsabilità in merito alla scelta degli obiettivi intermedi, alle decisioni relative ai tassi di interesse guida e all’offerta di base monetaria. L’obiettivo finale (la stabilità dei prezzi) è invece fissato dallo Statuto. 

Per quanto attiene alla vigilanza prudenziale sul sistema bancario, il Trattato di Maastricht e di Amsterdam non assegnano un ruolo estensivo al SEBC in questo campo, ma lasciano al Consiglio europeo il compito di affidare alla BCE eventuali compiti specifici in materia, e attribuisce al SEBC una funzione di supporto e consultiva a favore delle competenti autorità nazionali e comunitarie. Si è quindi optato per una separazione tra le due responsabilità: quella sulla politica monetaria e quella sulla stabilità del sistema bancario, isolando così la prima da qualsiasi interferenza che possa eventualmente derivare dalla seconda. 

Prevarrà quindi un assetto diverso da quello attualmente in vigore in numerosi Paesi europei (tra cui l’Italia) nei quali le due responsabilità sono accentrate presso la banca centrale. Le banche centrali dell’UE che attualmente ricoprono un ruolo di supervisione prudenziale potranno continuare a farlo, ma sotto la loro responsabilità (cioè non come membri del SEBC) e soprattutto senza effettuare alcuna operazione che la BCE giudichi in contrasto con gli  obiettivi della politica monetaria unica. Coerentemente con quest’impostazione, né il Trattato né lo Statuto affidano esplicitamente al SEBC quale prestatore d’ultima istanza, se non per quanto riguarda le esigenza di liquidità a brevissimo termine del sistema bancario, al fine di assicurare il buon funzionamento del sistema dei pagamenti. 

Le caratteristiche operative della politica monetaria unica

In base agli orientamenti dell’Ime, è possibile delineare i caratteri fondamentali che ispireranno l’attività operativa del SEBC. Lo strumento principale di regolazione della liquidità e dei tassi d’interesse sarà costituito dalle operazioni di mercato aperto: all’interno di queste, il ruolo principale sarà affidato alle operazioni temporanee (pronti/termine) in titoli, ma vi saranno anche operazioni definitive. Il tasso p/t sarà quello da cui trarre immediate informazioni sugli indirizzi della politica monetaria. Questo tasso, così come gli altri del mercato monetario, si muoverà all’interno di un corridoio, delimitato superiormente e inferiormente dai tassi sulle standing facilities, cioè rispettivamente: 

a    anticipazioni, concesse a tassi superiori a quelli di mercato: queste costituiranno il rifinanziamento marginale, a cui potranno fare ricorso le banche per fare fronte a carenze di liquidità;

a    depositi, remunerati a tassi inferiori a quelli di mercato: poiché le banche potranno impiegarvi le eccedenze di liquidità, il tasso su questi depositi fornirà un “pavimento” ai tassi del mercato monetario. 

Tutti gli interventi del SEBC sui mercati e presso gli intermediari avvengono in euro dal 1° gennaio 1999. Questo implica che, fin dall’inizio del periodo di transizione, vengono effettuate in euro tutte le operazioni di politica monetaria, comprese quelle sui cambi: sono scomparse quindi le operazioni sulle singole valute dei Paesi membri contro quelle dei Paesi terzi. La gestione della politica dei cambi sarà anch’essa improntata al principio dell’unicità, per il quale al responsabilità ultima delle decisioni in materia di interventi sul mercato dei cambi spetterà alla BCE. 

La BCE ha anche il potere di definire i requisiti di riserva obbligatoria imposti dalle banche degli Stati membri. È presumibile, nonché auspicabile, che tali requisiti vengano posti ad un livello minimo, ovverosia quello giudicato sufficiente per il buon funzionamento del sistema dei pagamenti: la possibilità di mobilizzare la riserva obbligatoria costituisce una fonte di liquidità infragiornaliera, che riduce la necessità di rifinanziamento da parte del SEBC. Questa dovrebbe essere l’unica rilevante funzione dello strumento, dato che le più tradizionali finalità di controllo monetario e prudenziali erano precedentemente perseguite attraverso altri strumenti. Inoltre, l’esistenza di coefficienti di riserva differenti da Paese a Paese introduce notoriamente distorsioni competitive, creando l’evidente necessità di un’armonizzazione in questo campo.

 

COSA CAMBIA IN AZIENDA

 

Le imprese non finanziarie, contrariamente alle banche e agli altri intermediari finanziari, non hanno subito un mutamento così drastico già a partire dal 1° gennaio 1999, per quanto riguarda gli aspetti tecnico-pratici della transizione alla moneta unica. Tuttavia, esse saranno interessate subito dai rilevanti effetti economici dell’Ume e saranno gradualmente coinvolte nel processo di realizzazione della stessa. 

Dal punto di vista economico, l’eliminazione del rischio di cambio (verso i Paesi dell’area dell’euro) rappresenta infatti un cambiamento fondamentale: il rischio insito nella variabilità del cambio può essere visto come un costo per le imprese, destinato a scomparire all’interno dell’Ume. Tuttavia, non bisogna dimenticare i vincoli derivanti da questo stesso passaggio: il fatto di non poter più ricorrere a svalutazioni della propria valuta impone a ciascun Stato di non accumulare divari di competitività con altri Paesi membri; occorrerà quindi uno stretto controllo dei costi e della produttività, al fine di evitare significative e prolungate differenze di inflazione rispetto agli altri Paesi. 

Per quanto attiene ai problemi tecnici della transizione, è chiaro che il mondo delle imprese deve cominciare fin d’ora a predisporre gli adattamenti necessari. Anzitutto, nei loro rapporti con le banche esse dovranno decidere in quale misura avvalersi di servizi (depositi, finanziamenti, pagamenti) denominati in euro fin dall’inizio del periodo di transizione. Analogamente, nei rapporti con la clientela, ciascuna impresa dovrà valutare in quale misura “giocare d’anticipo”, passando all’euro nell’indicazione dei prezzi e nella fatturazione; ciò che di fatto accade è una doppia indicazione di prezzo (sia in valuta nazionale sia in euro). 

Nell’accesso ai mercati finanziari, la possibilità di emettere titoli di debito in euro e il passaggio del mercato monetario e finanziario alla moneta unica hanno imposto l’adozione di scelte strategiche importanti nell’area finanza delle imprese: soprattutto le tesorerie delle imprese medio-grandi, attive sui mercati dei capitali nazionali e internazionali, sono coinvolte in misura notevole. 

Infine, un passaggio cruciale per ciascuna impresa risiederà nell’introduzione della contabilità in euro: a questo fine, occorre che la pubblica amministrazione definisca per tempo un quadro regolamentare preciso, con particolare riguardo alla possibilità di versare le imposte in euro e alle modalità per cambiare la denominazione del capitale sociale. 

Problemi contabili

L’utilizzo dell’euro come moneta avente corso legale negli Stati che partecipano all’Ume darà luogo al cambiamento della moneta di conto con cui sono redatti i bilanci, determinando problemi sul piano contabile. Tra questi si segnalano in particolare il problema del trattamento contabile delle differenze di cambio e il problema dei costi derivanti dalla conversione dell’euro.

La Commissione congiunta per i principi contabili di dottori commercialisti e ragionieri ha approvato nell’aprile del 1998 il Documento di lavoro sull’introduzione dell’euro che:

Ï        nella prima parte riepiloga le fasi e i principi generali dell’introduzione dell’euro nonché le conseguenze per le imprese;

Ï        nella seconda parte fornisce i primi chiarimenti in materia di trattamento contabile e rappresentazione in bilancio degli effetti dell’introduzione dell’euro. 

Trattamento contabile delle differenze di cambio

Con l’applicazione del tasso fisso di conversione (lira/euro) a partire dal 1° gennaio 1999 tutti i crediti e i debiti espressi in una moneta a tasso fisso di conversione non sono più soggetti a rischio di cambio: se un credito o un debito sono sorti dopo il 31 dicembre 1998 si riceverà (o si pagherà) un ammontare predeterminato di lire o euro in quanto e predeterminato e invariabile il tasso di cambio. Con riferimento ai crediti e debiti sorti prima del 31 dicembre 1998 l’introduzione dell’euro e ancor prima la determinazione dei tassi di cambio fissi e irreversibili tra i Paesi aderenti all’UEM fanno sorgere problemi in ordine al trattamento contabile delle differenze di cambio, in relazione sia alle poste di Conto Economico sia a quelle di Stato Patrimoniale.

Il trattamento contabile di queste differenze è diverso se riferito a partite monetarie o a partite non monetarie. 

Costi di adattamento all’euro

Il Documento fornisce indicazioni con riferimento al trattamento contabile dei costi sostenuti per l’introduzione dell’euro.

In primo luogo vengono richiamati i principi generali in base ai quali:

   i costi sostenuti per mantenere in efficienza un sistema, un programma o un singolo strumento e adattarlo alle nuove esigenze, sorte a causa di modifiche legislative e regolamenti, rappresentano costi d’esercizio e come tali devono essere imputati a Conto economico;

   i costi che non esauriscono la loro utilità nell’esercizio di sostenimento ma manifestano la capacità di produrre benefici economici futuri devono essere patrimonializzati, cioè in quanto di utilità pluriennale, devono essere considerati come elementi attivi del patrimonio e devono partecipare alla formazione del risultato economico di più esercizi mediante la procedura di ammortamento. 

Sulla base di tali premesse il Documento ha stabilito che:

     i costi di adattamento all’introduzione dell’euro hanno la stessa natura dei costi ordinari; essi vanno imputati per natura nel Conto economico tra i costi della produzione;

     se i costi di conversione sono rilevanti è necessario che la Nota integrativa indichi il loro ammontare e la loro collocazione nelle voci dei costi della produzione, così da evidenziare che si tratta di costi di natura non ricorrente;

     i costi di adattamento all’introduzione dell’euro sono patrimonializzabili soltanto se questo è consentito dalla loro natura e destinazione. In questo caso si seguono le regole applicabili nella redazione del bilancio d’esercizio, nel rispetto delle norme del codice civile;

     qualora a causa dell’introduzione dell’euro venga a ridursi la residua possibilità di utilizzazione di alcune immobilizzazioni immateriali e materiali, si deve procedere all’applicazione di un nuovo piano di ammortamento. 

Con riferimento alla possibilità che le imprese prevedano accantonamenti per i costi da sostenere in vista della transizione all’euro, il Documento stabilisce che fino a quando non sia sorta un’obbligazione certa o possibile, indeterminata solo per quanto concerne l’ammontare o la data del pagamento nei confronti di uno o più fornitori identificati o identificabili, non è possibile imputare al Conto economico un accantonamento per costi di conversione e accreditare nello Stato patrimoniale un corrispondente fondo oneri. 

Qui di seguito viene presentato un schema che riassume, per ogni settore aziendale, qualsiasi tipo di problema che si può verificare e la logica per affrontarlo. È composto in modo da presentare la situazione di una qualsiasi azienda già avviata che deve passare alla moneta unica:

 

Settore e problema

Logica aziendale

Commerciale

 

L’azienda commercializza i propri prodotti nei Paesi UEM?

Saranno i primi Paesi ad essere toccati dal tema dell’euro

L’euro potrà creare nuove opportunità di mercato per l’azienda?

Occorre imparare a riflettere sull’euro come opportunità, non solo come evento cui adattarsi

Si può guardare verso nuovi Paesi?

La moneta unica potrebbe avere rimosso delle barriere (es. rischio di cambio) che ostacolavano l’export dell’azienda

Si è valutato l’impatto generale dell’euro sul mercato dell'azienda?

Occorre considerare le caratteristiche generali del mercato e ipotizzare le possibili conseguenze dell’euro

Si sa come l’euro influenzerà i propri clienti?

E' opportuno guardare ai mercati dei propri clienti: se saranno impattati dall’euro, la capacità di presentarsi come "euro partner" ai propri clienti potrà essere un forte elemento competitivo

Si conosce che strategia adotteranno rispetto all’euro i clienti principali?

Nel caso in cui ritengano di passare immediatamente all’euro, potrebbe essere opportuno compiere la stessa scelta nell’azienda

I potenziali concorrenti sono in Paesi UEM?

Se fanno parte dell’UEM potranno maggiormente beneficiare dei vantaggi dell’euro

I concorrenti principali hanno già espresso indicazioni circa la loro politica verso l’euro?

Il comportamento dei concorrenti influenza quello dell'azienda: hanno definito nuove politiche di prezzo? Guardano ad altri mercati? Come gestiranno la comunicazione verso i clienti?

Si sono individuati i fattori che li hanno per ora tenuti fuori dal mercato dell'azienda?

 

Se un fattore fosse proprio quello delle oscillazioni dei cambi - tanto più vero quanto più i nostri concorrenti appartengono a Paesi tradizionalmente a valuta forte - è necessario stare attenti!

Organizzazione commerciale

 

Nel caso in cui l’azienda esporti nell’UEM, la sua organizzazione commerciale cambierà con l’euro?

Le vendite nell’UEM potrebbero iniziare a essere considerate "domestiche"

Nel caso in cui l’azienda esporti nell’UEM, viene effettuata una segmentazione del mercato (stesso prodotto, prezzi diversi in mercati diversi)?

E’ una pratica molto diffusa e sensata: con l’euro non si creerà affatto un unico mercato standard, ma occorre comunque tenere conto di alcuni effetti

Si è valutata l’importanza di questa segmentazione e le soluzioni alternative?

Con l’euro queste segmentazioni restano comunque possibili, ma sono maggiormente a rischio in quanto immediatamente verificabili

Si è considerata una politica di prezzo unico su tutti i mercati euro?

Ridurrebbe i costi di marketing (es.: tutta la documentazione commerciale in una sola valuta) dando un’immagine "europea" all’azienda

L’euro consentirebbe lo sviluppo di modalità di vendita alternative (es. commercio elettronico)?

Con prezzi chiari per tutti i Paesi UEM ed esenti dall’incertezza del cambio, si può raggiungere un pubblico molto maggiore di potenziali consumatori senza far crescere la propria struttura commerciale

Anche se l'azienda ha un mercato esclusivamente locale e non intende esportare ci sono clienti provenienti da altri Paesi dell’UEM (es. turisti)?

Anche se non si vende all’estero, degli stranieri possono venire a comprare dalle aziende italiane, specie in un Paese a forte presenza turistica come l’Italia.

Si sono valutati i benefici che una politica dei prezzi in euro potrebbe portare su questa fascia di clienti?

Il cliente straniero avrebbe un’immediata comprensione del costo del bene/servizio. Se questo è un fattore di competitività rispetto al Paese di provenienza del cliente, conviene evidenziarlo. Potrebbe beneficiarne anche l’immagine aziendale.

Si è pensato a un sistema pratico e conveniente di doppia prezzatura?

Sarà obbligatoria nel 2002; qualcuno ha già iniziato a usarla "per immagine" già dal 1° gennaio 1999. Dal punto di vista normativo si attendono decisioni definitive, ma conta di più il comportamento del mercato

Che strumenti di pagamento dal pubblico accetta l’azienda?

Dal 1999 alla fine del 2001, l’euro è solo scritturale e può essere utilizzato per pagamenti che non richiedono contante. Se accetta carte di credito occorre contattare le società emittenti per sapere quale politica hanno verso la moneta unica; se utilizza dei POS occorre contattare la banca titolare. Ci potrebbero essere degli adattamenti anche a livello di hardware con conseguenti costi

Se non accetta altro che contante, non ritiene opportuno verificare l’utilizzo di sistemi alternativi (carte di credito, POS)?

Può essere l’occasione per modernizzare i sistemi di pagamento. Resta sempre aperta la possibilità degli assegni in euro

Per i contanti, si è analizzato come gestire il problema della doppia valuta?

Dal 1° gennaio 2002 si dovranno accettare banconote in due valute diverse

Nel caso in cui non ci si intenda attrezzare per un pagamento in euro, si è valutato come reagire quando questo ci verrà proposto?

Finché non ci saranno le banconote euro, è tecnicamente possibile non accettare un pagamento in euro: ma è commercialmente sensato?

Nell’impresa ci sono macchine automatiche (per i clienti o il personale)?

Occorre contattare il fornitore per prevederne la conversione in euro al più presto quando sarà disponibile il contante in euro

Politiche di prezzo

 

I prezzi al consumatore finale vengono stabiliti direttamente dall’azienda?

In tal caso l’azienda deve riadattare le proprie politiche alla nuova moneta ed al nuovo mercato

La fissazione dei prezzi dei prodotti dell’azienda tiene conto della loro dimensione "psicologica"?

Esistono categorie psicologiche di prezzo (ecco perché tanti 1.990, 9.900, 16.900. ecc.). Con la conversione il meccanismo salta

Si sono valutate che conseguenze potranno avere le conversioni in euro?

Occorre vedere "come si presentano" i nuovi listini in euro

Occorre ridefinire una nuova politica dei prezzi?

E’ tanto più probabile quanto più l’azienda si rivolge direttamente al pubblico

Occorrerà intervenire sul confezionamento dei prodotti per non modificare la struttura dei prezzi?

Se è rilevante la dimensione psicologica, potrebbe essere necessario cambiare quantità, packaging o altro per ripristinare i "prezzi psicologici" dopo la conversione in euro

Se i prezzi al consumatore finale non vengono stabiliti dall’azienda, occorrerà prendere accordi con chi effettivamente li fissa.

Se il prezzo finale viene stabilito da grossista o dettagliante potrebbe essere necessario accordarsi con lui circa la gestione della conversione. Prestare attenzione ai suoi problemi nella fase di conversione potrebbe essere un elemento di aumento della competitività.

Si è valutato da quando avviare la prezzatura in euro sui mercati esteri (sia UEM che extra UEM)?

Dal 2002 sarà indispensabile: occorre valutare se partire in anticipo

Si è valutato quando avviare la doppia prezzatura lire/euro?

In mancanza di obblighi, un maggiore anticipo ha sostanzialmente effetti di immagine, ma per il 2002 sarà indispensabile prepararsi in anticipo

Si sono valutati i costi collegati alla doppia prezzatura, specie in termini di gestione contabile?

In caso di doppia prezzatura occorre comunque identificare quale è la valuta nella quale verrà effettuato il conteggio finale.

Quali strumenti si intendono utilizzare per la doppia prezzatura?

I fornitori di etichette e strumenti per etichettare hanno messo a punto qualche soluzione?

Comunicazione esterna

 

Si è identificato tutta la documentazione (cartacea e non) che riporta i prezzi in lire per valutarne l’eventuale aggiornamento?

Coerentemente con le altre scelte aziendali in materia di euro, è necessario censire tutta la documentazione che dovrebbe essere aggiornata per garantirne l’omogeneità e valutare il costo di aggiornamento

Si è tenuto conto delle modifiche comportate dall’euro nella pianificazione degli acquisti di documentazione che dovrà essere modificata (depliant, modulistica, ecc.)?

Occorre non trovarsi con scorte eccessive di documentazione che con il passaggio all'euro diverrà obsoleta

L’euro può diventare uno strumento di marketing per l’azienda?

Può dare all’azienda un’immagine di avanguardia, capacità di rapido adattamento alle nuove condizioni, proattività, dimensione europea

Si ritiene di dover sviluppare una politica di comunicazione verso i propri clienti relativamente alla politica aziendale sull’euro?

Ad esempio per informarli della disponibilità ad utilizzare l’euro se lo ritengono opportuno, o per garantire informazione e trasparenza nella transizione dei prezzi da una valuta a un’altra

Tra i clienti ci sono le cosiddette "fasce deboli" della popolazione (es. anziani)?

Le fasce deboli sono quelle che richiederanno maggior assistenza: una politica mirata a questo può elevarne il grado di fidelizzazione

Sono stati previsti degli strumenti di comunicazione e assistenza ai clienti?

Una comunicazione chiara può rassicurare il cliente in una fase di confusione

Si è verificata l’opportunità di promuovere e/o aderire a iniziative di comunicazione sul tema della moneta unica?

 

Soprattutto attività di piccole dimensioni possono beneficiare di iniziative di maggiore respiro promosse, ad esempio, dalle Associazioni di categoria o di zona (es. esercizi commerciali)

Legale

 

Si hanno contratti la cui scadenza è oltre il 1° Gennaio 2002?

Già dal 1999 alcune cose cambieranno (es.: sparirà il Tasso Ufficiale di Sconto, ma è dal 2002 che si manifestano gli effetti maggiori con l’uscita di corso della lira

All’interno di questi contratti, quanti sono legati a valute della futura area dell’UME, quanti all’andamento dei tassi di interesse?

I contratti potrebbero essere legati a valute che non esisteranno più (quelle assorbite dall’euro), o prevedere tassi di interesse influenzati dalla moneta unica (che ne provocherà una tendenziale omogeneizzazione verso i livelli più bassi)

Si è verificato l’effetto dell’euro su questi contratti?

Sulla base delle informazioni disponibili, può essere utile effettuare delle simulazioni per vedere le conseguenze pratiche

Si ritiene di dover contattare la controparte per ridiscuterne il contenuto o le condizioni?

L’euro non è una causa per rescindere contratti anche se ne modifica gli oneri per le parti; alle parti è comunque garantito il diritto di modificare il contratto

Si prevede di firmare contratti la cui scadenza sarà oltre il 1° Gennaio 2002?

Ci si può premunire con opportune clausole se si prevedono contratti che saranno influenzati dall’arrivo dell’euro

Se sì, si pensa di dover introdurre delle clausole legate alla moneta?

Può essere utile prevedere una possibilità di revisione del contratto con la definizione definitiva.

Si tiene sotto controllo la legislazione nazionale per verificare quali obblighi bisogna ottemperare?

Per esempio, il nuovo rispetto dei minimi di capitale sociale per le società di capitale, o l'indicazione di nuovi parametri finanziari.

Si ritiene di dover intervenire sul capitale sociale una volta che questo verrà convertito in euro

Questa manovra, semplificata, richiede un intervento sulle riserve.

Formazione del personale

 

Tutto il personale è stato informato della politica aziendale in fatto di moneta unica?

L’euro tocca tutte le dimensioni aziendali e tutti i cittadini: sotto queste due vesti tutti i lavoratori devono avere l’informazione di base su come intendersi muoversi l’azienda in questo passaggio

E’ stata prevista della formazione ad hoc per il personale più direttamente coinvolto nella transizione (es. contabilità, commerciale, sistemi informativi)?

Certe funzioni devono essere in grado da subito di dialogare di euro con clienti, fornitori, pubblica amministrazione: devono a questo scopo essere formati

E’ stata definito un calendario di formazione (per differenti figure professionali, livelli di approfondimento, ecc.) e le risorse necessarie per la sua realizzazione?

L’azienda deve pianificare a priori le attività di formazione del personlae per non trovarsi impreparata all’ultimo momento

Quando l’azienda prevede di utilizzare l’euro nei propri rapporti coi dipendenti?

Obbligatoriamente dal 1° Gennaio 2002, ma potrebbe essere utile una fase di "avviamento" (es. indicando nei cedolini paga il controvalore in euro dal 1999)

Il personale a contatto con i clienti è in grado di presentare la politica aziendale in fatto di euro?

Se l’euro è vissuto dall’azienda come opportunità, chi è a contatto con i clienti deve saperla presentare come tale

Vi è del personale (ad es. di vendita) in diretto contatto con il pubblico?


 

Soprattutto nella fase di doppia circolazione il pubblico dovrà essere informato, assistito e tranquillizzato; servono opportuni strumenti di comunicazione e il personale formato ad utilizzarli per massimizzare il ritorno in termini di fidelizzazione

Contabilità

 

La contabilità è in grado di gestire un sistema multivaluta?

Anche in caso di risposta affermativa occorre verificare se gli algoritmi di conversione sono compatibili con quelli previsti per l'euro.

Si è deciso da quando l’azienda sarà in grado di fatturare in euro?

La scelta è strategica: il sistema contabile deve seguire altre considerazioni e supportare l’attività aziendale

Nel caso di doppia contabilità, si sono previsti sistemi per minimizzare gli errori, ad es. nell’identificazione dei documenti?

La probabilità di errore nel periodo di transizione è molto elevata: occorre predisporre opportuni sistemi di sicurezza (es. documenti contabili di colori diversi per lire ed euro)

Si sono verificate le norme nazionali sugli arrotondamenti e il loro trattamento contabile?

Occorre tenere costantemente sotto controllo la legislazione nazionale.

Si sono verificate le conseguenze contabili del passaggio all’euro?

Occorre controllare le pubblicazioni e le variazioni del Documento

L’azienda ha a bilancio attività o passività in valute che faranno parte dell’UEM?

Guadagni o perdite su queste voci saranno determinati al momento della fissazione del cambio dell’euro è potranno avere conseguenze fiscali

Si hanno sotto controllo le eventuali conseguenze fiscali della conversione in euro sui bilanci?

Occorre attendere la legge italiana che chiarisca la conversione dei costi storici e dei valori monetari e le loro conseguenze fiscali

Si sono verificati i costi e benefici di una doppia contabilità?

Tutti i tecnici sostengono che la doppia contabilità è nettamente la scelta più costosa

Si è verificata la capacità della Pubblica Amministrazione con cui interagisce l’azienda di gestire rapporti in euro?

 

Ai sensi della direttiva del Presidente del Consiglio del Giugno ’97, tutti dovrebbero essere pronti dal 1° Gennaio 1999 sia per quanto riguarda i pagamenti che per le comunicazioni

Sistemi informativi

 

Si è provveduto a definire una strategia complessiva prima di porsi il problema dell'adeguamento dei sistemi informativi?

I sistemi informativi devono seguire la strategia euro dell'azienda: non bisogna commettere l'errore di credere che l'euro si ad un adeguamento solo tecnico.

Quali programmi contenenti indicazioni di valuta vengono utilizzati dall’azienda (paghe e personale, contabilità, tesoreria, reporting, controllo gestionale e dei costi, acquisti, sistemi produttivi, fatturazione, spedizione, magazzino, archivi clienti, altro)?

Occorre verificare tutti i programmi aziendali, dalle applicazioni centrali a quelle sui personal computer (es. fogli elettronici su cui vengono elaborati dati raccolti dal sistema centrale).

Sono programmi standard o sono stati realizzati appositamente per l’azienda?

Le due possibilità richiedono interventi diversi.

Nel caso siano standard, occorre verificare dal fornitore se e come ne è previsto l’adattamento all’euro

Attenzione che non esiste un software "euro-compatibile" per definizione: ognuno deve valutare questa compatibilità rispetto alle propri esigenze.

Nel caso siano stati realizzati appositamente, occorre verificare l’opportunità e la possibilità di modificarlo

Il programma potrebbe essere obsoleto, il fornitore non più disponibile, il linguaggio di programmazione non più diffuso, il costo della modifica non giustificato rispetto alla sostituzione

Le necessarie modifiche al software rese necessarie dall’euro, possono giustificare una sua sostituzione?

Occorre una valutazione economica complessiva delle esigenze di adattamento del software

Si pensa di utilizzare dei convertitori?

Sono programmi che consentono di memorizzare un unico dato, provvedendo successivamente alla sua visualizzazione in una delle valute prescelte

Si ritiene necessario convertire in euro anche dati storici (es. per realizzare confronti)?

Benché nel passato l’euro non esistesse, spesso può essere utile aver un confronto con i dati passati e, dal 2002, sarà indispensabile effettuare questa conversione

Nel caso si preveda di acquisire prima del 2002 del nuovo software, se ne deve valutare la compatibilità con la strategia euro dell'azienda

Occorre farsi fornire precise garanzie, quantomeno della disponibilità futura dell’upgrade; dal 1999 i software devono essere perfettamente euro compatibili

L’azienda ha iniziato a valutare l’esigenza di adattamento dei programmi all’anno 2000?

A che punto del lavoro di adattamento si è arrivati: analisi, valutazione degli interventi, ecc.

E’ conveniente associare la transizione all’euro all’adattamento al 2000?

Benché anno 2000 ed euro siano sostanzialmente differenti, presentano alcuni passaggi in comune (es. mappatura dei sistemi)

Se la gestione dei sistemi informativi è interna, l’azienda ha identificato come ottenere per i propri tecnici tutte le specifiche necessarie per la transizione?

 

Quali sistemi da qui al 2002 devono comunque essere sostituiti?

E’ opportuno integrare gli adattamenti all’interno della normale strategia di manutenzione e ammodernamento dei sistemi

Utilizziamo l’EDI (Electronic Data Interchange)? Se sì, se ne è verificata l’euro compatibilità?

Se l’azienda utilizza lo scambio elettronico di documenti deve verificare anche la compatibilità di questi sistemi con l’euro

Si è valutato il costo di questi interventi e stanziato le risorse (finanziarie, di personale interno, di fornitori esterni) per realizzarli?

In realtà buona parte dei costi rientrano nel normale budget di manutenzione e aggiornamento dei sistemi.

Finanza

 

Si sono verificati i servizi per la transizione all’euro offerti dalle banche con cui lavora abitualmente l'azienda?

Una volta identificati i servizi necessari occorre verificarne la disponibilità; si può anche verificare in anticipo cosa le banche intendono offrire

Si ritiene di aver bisogno di servizi che queste banche attualmente non offrono?

È possibile sfruttare a proprio vantaggio l’accresciuta concorrenza tra le banche verificando quali istituti di credito possono offrire le miglior condizioni

Si hanno dei conti in valuta estera?

Se sono valute appartenenti all’UEM potrebbe essere sensato concentrarle in un conto solo in euro, ottimizzando ad es. la gestione dei saldi

Si ritiene che grazie all’euro si potrà lavorare con meno banche?

A volte si utilizzano certi istituti di credito per lavorare con una particolare valuta.

Si è stimato quale potrà essere il risparmio dovuto all’eliminazione dei rischi di cambio tra le valute UEM?

Questo costo potrà riflettersi sui prezzi ridefinendo la nostra posizione competitiva e così potrà essere per i nostri concorrenti

Nel caso in cui non si passi immediatamente all’euro, quali dati si ritiene opportuno convertire comunque in euro per informazione all’esterno dell’azienda?

Può rientrare nella più complessiva attività di comunicazione verso l'esterno dell'azienda pubblicizzare ad es. i dati di sintesi del bilancio, consuntivo o previsionale, in euro

Con l’euro il mercato finanziario sarà più ampio e offrirà maggiori opportunità di finanziamento: l’azienda è interessata e pronta a cogliere queste opportunità?

Occorre iniziare a riflettere su possibilità alternative di accesso al credito per sostenere lo sviluppo dell'azienda.

Si sono verificate le attività e passività finanziarie dell’azienda in funzione delle eventuali conseguenze dell’euro?

Con la moneta unica i mercati finanziari si modificano sostanzialmente: se ne possono trarre dei vantaggi.

Se si hanno contratti di assicurazione, occorre contattare la società assicuratrice per conoscere le conseguenze del passaggio all’euro

 

 

 

INDICE DELLE ABBREVIAZIONI E SIGLE

 

AUE                                   Atto unico europeo

BCE                                   Banca centrale europea

BEI                                     Banca europea per gli investimenti

CECA                                Comunità europea del carbone e dell’acciaio

CEE                                   Comunità economica europea

CEEA                                 Comunità europea per l’energia atomica

CES                                   Comitato economico e sociale

CDR                                   Comitato delle regioni

CG                                     Corte di giustizia europea

CIG                                    Conferenza intergovernativa

ECOFIN                            Consiglio dei ministri economici e finanziari dell’UE

ECU                                   European Currency Unit

EURATOM                        vedi CEEA

EFTA                                 European Free Trade Association

FEOGA                              Fondo Europeo di orientamento e garanzia agricola

IME                                    Istituto monetario europeo

OCSE                                Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico

OECE                                Organizzazione europea per la cooperazione economica

PAC                                   Politica agricola comunitaria

PESC                                 Politica europea di sicurezza comune

SEBC                                 Sistema europeo delle banche centrali

SME                                   Sistema monetario europeo

TUE                                   Trattato sull’Unione Europea (Trattato di Maastricht)

UE                                      Unione Europea

UEM                                  Unione economica e monetaria

UME                                  Unione monetaria europea (sinonimo di UEM)

 

 

 

 

BIBLIOGRAFIA

AA.VV. (1998/99), Rivista n.1,4,5, Edibook, Milano

AA.VV. (1996), Morire per Maastricht?, Atlantide, Roma

Bini Smaghi, L. (1998), L’euro, Il Mulino, Bologna

Butticè, A. – Raponi, D. (1998), Arriva l’euro, Carmenta Editore, Bologna

De Grauwe, P. (1996), Economia dell’integrazione monetaria, IL Mulino, Bologna

Garosci, R. (1998), Consumatori d’Europa, Marsilio

Giordano, M. (1997), Silenzio, si ruba, Mondadori, Milano

Jossa, B. (1999), La moneta unica europea, Canocci

Mammarella, G. – Capace, P. (1998), Storia e politica dell’Unione Europea, Laterza, Bari

Mammarella, G. (1994), Imparare l’europa, Il Mulino, Bologna

Marè, M. – Sarcinelli, M. (1998), Europa: cosa ci attende?, Sagittari Laterza, Bari

Martino, A. (1997), Stato padrone, Franco Angeli, Milano

Riolo, F. (1997), L’euro – aspetti giuridici ed economici, Edibank, Milano

Secchi, C. (1998), Verso l’euro, Marsilio

Tremonti G. (1997), Lo stato criminogeno, Laterza, Bari

 
 
GRAZIE

A tutti quelli che sono riusciti a leggere tutto.

A Dario Roncadin, per il materiale software fornito.

A Federico Cattin, per il materiale vario fornito.

Alla prof.ssa Paola Pagotto, che ha dovuto leggere la prima stesura.

Ai miei amici, per il sostegno che non è mai mancato.