Mario Bonavia
Verso
gli Stati Uniti d’EuropA
L’Europa che cambia davanti ai nostri occhi
Se la civiltà dovesse regalare a tutti gli uomini della Terra
una sola moneta, si compirebbe un passo importante per convincerli che essi
appartengono a una sola specie
(
dal settimanale economico The
Economist del 1865)
INTRODUZIONE
I cambiamenti che hanno interessato i
paesi appartenenti all’Unione Europea hanno portato ultimamente a degli
sconvolgimenti non indifferenti in campo economico, sociale, legislativo,
politico e geografico.
Il processo dinamico dell’integrazione
europea, iniziata subito dopo la Seconda guerra mondiale, raggiunge finalmente
molti degli obiettivi fondamentali. Non è storia recente, ma è molto
importante il fatto che ora si possa tranquillamente viaggiare in Europa senza
più barriere doganali. Tra non molto ogni cittadino dei paesi appartenenti
all’Unione potrà dimenticare le vecchie valute nazionali e cominciare ad
usarne una sola che valga per tutti.
Dal primo giorno di quest’anno undici
dei quindici paesi dell’UE hanno infatti cominciato a dover considerare la
moneta unica europea: l’€uro. Ma questa non è, in fondo, un’idea nuova.
All’epoca dell’Impero Romano, in tutta Europa circolavano ed erano accettate
le monete dei Cesari. Ma l’unione europea di allora era una realtà forzata,
imposta dalla dominazione delle legioni imperiali.
Molto più vicino a noi,
nell’Ottocento, vi sono Stati altri tentativi di realizzare una moneta unica.
Esattamente il 7 germinale anno XI, ovvero il 28 marzo 1803, una legge del primo
console Napoleone definiva come unità monetaria europea il franco al titolo di
5 grammi d’argento, introducendolo poi negli stati vassalli dell’impero
francese. L’idea venne successivamente ripresa da Napoleone III, il quale nel
1865 convocò a Parigi una conferenza che avrebbe dovuto costituire il primo
passo per la creazione di una moneta universale. Il progetto era però
malcostruito e si trascinò a stenti fino alla grande crisi del 1929. Stessa
cosa accadde per un tentativo di Unione Scandinava tra Danimarca, Svezia e
Norvegia. Miglior sorte toccò invece allo Zollverein, il mercato comune
istituito dalla Prussia e altri venticinque Stati tedeschi facendo sì che
l’unificazione economica precedesse di fatto l’unificazione politica.
L’esito tendenzialmente negativo dei
tentativi ricordati va comunque riportato alle situazioni storiche di quei
tempi, che hanno poco o nulla a che fare con le realtà attuali. La creazione di
un mercato unico e una moneta unica infatti rispondono oggi al comune interesse
di tutti i Paesi aderenti all’Unione monetaria di avere una moneta solida in
grado di affrontare le sfide della globalizzazione dei mercati. Questi sono solo
i più evidenti, ma tanti altri cambiamenti influenzano o influenzeranno nel
prossimo futuro la vita dei cittadini europei.
Dal 1951 a oggi la politica
internazionale si è mossa a favore dell’unificazione prima economica, poi
politica dei paesi nel continente. Questi, già considerati singolarmente delle
potenze economiche, cercano insieme la stabilità che possono raggiungere solo
con una cooperazione continuativa. Così facendo viene irrevocabilmente
riconfigurato l’assetto mondiale e si delinea un bilanciamento tra le forze
economiche del pianeta.
Il cammino che ha portato a questi risultati è stato lungo e non facile, ma è stato percorso fino in fondo. Non sono mancate numerose critiche, talvolta giustificate, rivolte ad alcuni provvedimenti precipitosi, affrettati o male elaborati, segno dell’inesperienza e dell’impreparazione delle nazioni ad affrontare i nuovi macroproblemi che si pongono inevitabilmente in seguito al formarsi di situazioni tanto complesse.
Tra i personaggi di spicco della politica
nazionale non manca, infatti, chi guarda con pessimismo al futuro del
continente. Antonio Martino ha definito l’avvento della moneta unica “un
progetto sbagliato dal nome infelice” e ha aggiunto che si tratta di “una
catastrofica ingenuità”. Anche all’estero non mancano gli scettici (o
saggi, ai posteri l’ardua sentenza). Secondo Edward Luttwak, il politologo e
consulente americano succederà che “l’Italia, per paura di finire come la
Grecia e perdere la faccia, andrà al massacro economico programmato dagli
estremisti ai quali ha affidato l’unificazione monetaria”. Il neo Presidente
della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi parla invece di “un cambiamento che
porterà prosperità” e della stessa opinione è la Commissaria europea Emma
Bonino quando spera nel “miracolo di un’Europa complessivamente unita e
legata da vincoli stabili e duraturi, nell’interesse di tutti gli equilibri
internazionali”.
Pur non citando ancora letteralmente
l’opinione di Luttwak, si può riassumere che, secondo l’opinione
dell’uomo che è stato consulente del ministero del tesoro americano,
giapponese e di molte altre corporazioni economiche, gli organi europei
dovrebbero svolgere un ruolo in negativo, cioè eliminando dazi, differenze
legislative o dogane, in quanto agendo in positivo sono un disastro.
È chiaro il riferimento agli atti
emanati dall’Unione: attualmente sono in vigore 22.445 regolamenti comunitari;
1.675 direttive; 1.198 accordi e protocolli; 185 raccomandazioni (della
Commissione e del Consiglio); 211 risoluzioni; 678 comunicazioni. Scrive Giulio
Tremonti: “la legislazione europea è fonte non solo di progresso, ma anche di
regresso: di incertezza del diritto e di moltiplicazione dei costi strumentali
di adempimento”. L’europarlamento ha persino approvato una raccomandazione
per invitare i cittadini a non sciare quando non c’è neve. La Commissione ha
posto un limite continentale al rumore dei tagliaerba da giardino. Sono state
regolamentate le gite scolastiche degli studenti, le retine per capelli dei
pescatori e le temperature cui deve essere venduto il latte. Mario Giordano,
noto giornalista italiano, definisce la legislazione europea come “minuziosa,
farraginosa, complicata, ingarbugliata, inconcludente, pretenziosa”.
Sicuramente Luttwak sarebbe d’accordo con questo, e non solo lui. Ma bisogna
considerare che l’Unione è un organo che ha a che fare con molti problemi che
riguardano 370 milioni di persone e la cosa, almeno agli inizi, non è certo
facile.
I cittadini italiani, che pur si sono
trovati costretti a pagare un costo salato per consentire al nostro Paese di
risanare le finanze pubbliche e partecipare così in prima linea al “progetto
euro”, stanno dimostrando un sorprendente interesse e una grande fiducia verso
l’arrivo della nuova Unione e della nuova moneta che unirà i milioni di
consumatori europei, recando, si spera, vantaggi per tutti. I sondaggi indicano
infatti negli italiani il popolo che segue con più passione e partecipazione
questo momento storico e che è anche il più informato sui cambiamenti del
continente. Infatti il numero verde istituito dagli uffici del Governo italiano
per fornire chiarimenti e delucidazioni circa l’Unione economica, monetaria e
politica europea, è stato recentemente soppresso per mancanza di richieste di
informazioni in quanto i cittadini si ritengono ben preparati ai cambiamenti che
porterà l’Europa unita.
Il 13 giugno 1999 si sono tenute le
ultime elezioni a suffragio universale del Parlamento europeo per l’elezione
dei 626 rappresentanti dei cittadini dell’Unione. Questa data è considerata
particolarmente significativa in quanto ha segnato il traguardo dei primi venti
anni da quando il popolo europeo ha iniziato a votare direttamente i deputati
(nel 1979 si sono tenute le prime elezioni del Parlamento europeo a suffragio
universale di tutti i cittadini degli Stati membri dell’UE, segnando, per
molti, il primo passo verso l’unificazione politica continentale). Un fatto
considerato fondamentale per questo tipo di elezione è che gli europarlamentari
eletti non avranno una funzione di mera rappresentanza del proprio Stato, ma
saranno difensori degli interessi di tutto il popolo europeo. Almeno questo è
l’auspicio.
Con questo elaborato si intende trattare
la questione dell’unificazione monetaria e politica europea in modo
interdisciplinare, cercando di guardare i fatti da più punti di vista e di
analizzare l’argomento considerando i numerosi ambiti in cui si colloca.
Mario Bonavia
L’UNIONE
EUROPEA: ORIGINI E STORIA
L’Unione Europea è una
organizzazione sovranazionale dei paesi europei, volta a rafforzare
l'integrazione economica e la cooperazione tra i paesi membri, istituita il 1°
novembre 1993 con la ratifica del trattato di Maastricht da parte delle dodici
nazioni della Comunità europea (CE). Queste nazioni sono Belgio, Danimarca,
Francia, Germania, Gran Bretagna, Grecia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Paesi
Bassi, Portogallo e Spagna, oggi divenuti membri dell'Unione Europea assieme ad
Austria, Finlandia e Svezia (aggiuntesi in seguito).
La storia dell'Unione Europea è
strettamente legata a quella della Comunità Europea, un'organizzazione esistita
fino al novembre del 1993 cui facevano capo tre distinte organizzazioni
confluite nella Comunità Europea nel 1967: la Comunità
europea del carbone e dell'acciaio (CECA), creata nel
1951, la Comunità economica europea (CEE) e la Comunità europea per l'energia atomica (Euratom), entrambe istituite nel 1957. La sede principale dell’attuale
Unione Europea è a Bruxelles.
Storia
Al termine della seconda guerra mondiale, quando
l'economia europea viveva una situazione drammatica, in alcuni ambienti europei
si diffuse la speranza che la ricostruzione dell'Europa occidentale potesse
sfociare in un accordo per la creazione di uno stato europeo unificato: il
progetto s'indebolì però con l'inizio della Guerra Fredda. Due statisti
francesi, Jean Monnet e Robert Schuman, erano tuttavia convinti che Francia e
Germania avrebbero potuto superare il loro atavico antagonismo, e dunque
cooperare, di fronte alla prospettiva di ricevere incentivi economici: nel
maggio del 1950 Schuman propose allora la creazione di un'autorità comune per
regolamentare l'industria del carbone e dell'acciaio; la proposta fu accolta da
Germania, Belgio, Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi che, insieme al governo
francese, firmarono il trattato di Parigi nel 1951, dando vita alla Comunità
europea del carbone e dell'acciaio, operativa a partire dall'agosto 1952. Il
governo britannico, invece, contrario alla natura sovranazionale della CECA,
decise di non partecipare all'iniziativa.
Nel giugno 1955 i ministri degli Esteri dei sei paesi
fondatori della CECA decisero di esaminare la possibilità di ampliare le basi
della cooperazione economica: ebbe così inizio il processo che portò alla
conclusione dei due trattati di Roma del marzo 1957, istitutivi della Comunità
economica europea e della Comunità europea per l'energia atomica. Quest'ultima
si rivelò però di minor importanza poiché i singoli governi continuarono a
esercitare un pieno controllo sui propri programmi nucleari.
Comunità economica europea
Dal punto di vista economico, il
trattato CEE prevedeva l'eliminazione entro dodici anni delle barriere doganali
tra stati membri, lo sviluppo di un sistema comune di dazi doganali per le
importazioni provenienti dal resto del mondo e la creazione di una politica
agricola comune. Dal punto di vista politico, il trattato rafforzava sia il
ruolo dei governi nazionali sia la natura sovranazionale della CEE rispetto alla
CECA.
In risposta alla CEE, nel 1960 la Gran
Bretagna e altri sei paesi europei non membri costituirono l'EFTA; nel 1961, in seguito all'evidente successo
economico della CEE, ebbero tuttavia inizio i negoziati per l'ammissione della
Gran Bretagna. Il presidente della repubblica francese Charles de Gaulle,
preoccupato dagli stretti legami tra Gran Bretagna e Stati Uniti, nel gennaio
1963 si oppose tuttavia alla richiesta di ammissione inglese, cambiando parere
solo nel 1967.
Nascita della Comunità europea
La nascita della Comunità europea
risale al luglio del 1967, quando le tre comunità (CEE, CECA ed EURATOM)
confluirono in un'unica organizzazione denominata Comunità europea (CE). Nessun
ampliamento della CE o qualsiasi altro progetto innovativo fu tuttavia possibile
prima delle dimissioni, nel maggio 1969, del presidente De Gaulle, al quale
succedette Georges Pompidou, favorevole invece ad appoggiare nuove iniziative in
ambito comunitario.
Su proposta del nuovo presidente
francese, nel dicembre 1969 venne allora convocata all'Aia una riunione dei capi
di stato dei paesi membri per preparare il terreno a un accordo sul sistema di
finanziamento permanente della CE, per lo sviluppo di una struttura di
cooperazione in materia di politica estera e per l'apertura dei negoziati
sull'ammissione di Gran Bretagna, Irlanda, Danimarca e Norvegia.
Sviluppo della Comunità europea
Gli accordi di adesione dei quattro
paesi richiedenti furono firmati nel gennaio del 1972, dopo quasi due anni di
negoziati e, a partire dal 1°gennaio 1973 Danimarca, Gran Bretagna e Irlanda
entrarono a far parte della Comunità europea; la Norvegia ritirò invece la
richiesta in quanto un referendum popolare interno l'aveva bocciata.
La Grecia entrò a far parte della CE
nel 1981, mentre nel 1986 fu la volta di Spagna e Portogallo. Negli anni
Settanta e Ottanta vi furono anche altri importanti sviluppi: l'intensificazione
degli aiuti comunitari ai paesi meno sviluppati, in particolare alle ex colonie
un tempo controllate dagli stati membri, la costituzione del sistema monetario
europeo, volto a garantire una certa stabilità nei rapporti di cambio tra le
monete dei paesi membri e la graduale realizzazione del mercato unico europeo
attraverso la riduzione delle barriere doganali.
Sistema monetario europeo
Nel marzo 1979 la costituzione del Sistema monetario europeo (SME) rappresentò il primo passo
verso la realizzazione dell'unione economica e monetaria, inizialmente prevista
per il 1980. In realtà questa previsione si rivelò ben presto ottimistica: la
situazione era piuttosto complessa innanzitutto a causa dell'andamento
fluttuante di ciascuna moneta europea nei confronti delle altre; la svalutazione
di alcune monete finì poi col rappresentare un ostacolo alla crescita economica
e col determinare un livello di inflazione piuttosto elevato.
Obiettivo dello SME era stabilizzare i
tassi di cambio e porre un freno all'inflazione, limitando il margine di
fluttuazione di ciascuna moneta a un piccolo scostamento rispetto a un valore di
riferimento, chiamato parità centrale: qualora questo margine, pari a +/-
2,25%, non fosse stato rispettato, le banche centrali dei rispettivi paesi erano
obbligate a intervenire liquidando la valuta più forte e acquistando quella più
debole. I governi dei paesi membri s'impegnarono inoltre a realizzare interventi
adeguati di politica economica per evitare continui spostamenti della propria
moneta dalla parità centrale. Con lo SME si propose anche d'introdurre una
moneta unica europea, l'ECU, il cui valore fosse definito in base a un paniere di monete ponderato
rispetto all'importanza economica di ciascun paese membro.
Questo sistema monetario contribuì sia alla riduzione dei tassi
d’inflazione sia all’attenuazione della congiuntura economica degli anni
Ottanta, caratterizzata da ampie fluttuazioni valutarie. Il sistema dei tassi di
cambio, meccanismo principale dello SME, collassò però nel settembre del 1992
in seguito a forti speculazioni attuate sul mercato dei cambi e provocate dagli
elevati tassi d’interesse stabiliti dalla banca centrale tedesca dopo la
riunificazione delle due Germanie. Italia e Gran Bretagna furono allora
costrette a uscire dallo SME (l’Italia vi è rientrata nel 1996 con la
creazione del cosiddetto SME-2).
La graduale realizzazione di un
mercato unico europeo può essere considerata una delle evoluzioni più
significative avvenute in ambito comunitario nel corso degli anni Ottanta; le
iniziative a favore del mercato comune furono guidate da Jacques Delors, ex
ministro delle Finanze francese e presidente della Commissione europea dal 1985
al 1995. Su proposta della Commissione, il consiglio dei ministri approvò
quindi un piano per rimuovere entro sette anni quasi tutte le restanti barriere
doganali tra i paesi membri; il tentativo di raggiungere l'obiettivo del mercato
unico entro il 31 dicembre 1993 determinò quindi un'accelerazione del processo
di riforma della CE, rafforzò la cooperazione e l'integrazione in Europa e,
alla fine, portò alla costituzione dell'Unione europea.
La Politica
agricola comunitaria (PAC, vedi pag.16), valutabile negli anni Ottanta intorno ai due terzi della spesa
comunitaria annuale, rappresentò tuttavia uno degli ostacoli principali alla
piena realizzazione dell'integrazione economica europea. In base alla PAC, la
Comunità europea si impegnava infatti ad acquistare alcuni beni agricoli
prodotti in eccedenza, sovvenzionando così l'attività agricola di alcuni paesi
a spese di altri. Durante una riunione al vertice nel 1988, i capi di stato dei
paesi membri concordarono allora sulla necessità di limitare questi sussidi,
tanto che, per la prima volta a partire dagli anni Sessanta, le sovvenzioni
all'agricoltura previste dal bilancio comunitario del 1989 ammontarono a meno
del 60% della spesa complessiva comunitaria.
Atto unico europeo
Il termine previsto per l'entrata in
vigore del mercato unico evidenziò l'esigenza di conferire alla Comunità
Europea poteri decisionali più ampi, indispensabili per affrontare e risolvere
tutte le questioni riguardanti l'eliminazione delle barriere doganali; fino a
quel momento, infatti, le decisioni del Consiglio dei Ministri dovevano essere
approvate all'unanimità dai suoi membri, ciascuno dei quali poteva dunque
rallentare il processo decisionale esercitando il proprio diritto di veto. Con
l'Atto unico europeo, entrato in vigore nel 1987, furono dunque definite alcune
importanti modifiche nella struttura della Comunità, tra cui l'introduzione di
un sistema di votazione a larga maggioranza in grado di contribuire
all'accelerazione del processo di realizzazione del mercato unico, e furono
apportati anche considerevoli cambiamenti: il Consiglio Europeo entrò
formalmente a far parte delle istituzioni comunitarie, i poteri decisionali del
Parlamento europeo furono ampliati e venne istituito un Tribunale di primo
grado, destinato a occuparsi dei ricorsi contro la normativa comunitaria
presentati da individui, organizzazioni o società. Gli stati membri
concordarono inoltre l'adozione di politiche comuni in diversi settori, dalla
politica fiscale a quella occupazionale, dall'assistenza sanitaria alla tutela
ambientale e decisero di allineare il più possibile la propria politica
economica e monetaria a quella dei paesi confinanti.
Cambiamenti in Europa e nella Comunità europea
La proposta, avanzata da alcuni
sostenitori dell'Unione economica e monetaria, di limitare le restrizioni ai
trasferimenti di denaro per agevolare il libero flusso di capitali fu accolta
dalla Commissione Europea, che elaborò un programma d'intervento. La
Commissione si occupò contemporaneamente della stesura di una carta dei diritti
umani, la Convenzione europea dei diritti umani. In entrambe le occasioni la
Gran Bretagna si oppose al progetto comunitario, temendo che un ampliamento dei
poteri della CE potesse rappresentare una minaccia alla propria sovranità;
soltanto in seguito, di fronte ai rapidi cambiamenti politici ed economici
verificatisi in tutta Europa, il progetto per la realizzazione dell'unione
monetaria ottenne l'approvazione del governo inglese.
Alla fine degli anni Ottanta, di
fronte al fallimento dei regimi comunisti, molti paesi dell'Europa orientale si
sono rivolti alla CE per ottenere assistenza politica ed economica. La Comunità
europea ha accettato di fornire aiuti militari e di concludere accordi con molti
di questi paesi, ma ne ha escluso l'ammissione in qualità di membri; l'unica
eccezione ha riguardato la Germania dell'Est, automaticamente incorporata nella
comunità con il compimento della riunificazione tedesca. Durante una riunione
al vertice nel 1990, Francia e Germania orientale proposero allora la
costituzione di una conferenza intergovernativa per rafforzare l'unità europea
sulla scia dei rapidi mutamenti politici, conferenza che iniziò a elaborare una
serie di accordi poi confluiti nel trattato sull'Unione europea.
Trattato sull'Unione europea
Nel 1991 i delegati dei paesi membri della CE presero
parte ai negoziati sul trattato dell'Unione europea, cercando di definire le
condizioni per l'attuazione del progetto; il Consiglio dei Ministri, riunitosi a
Maastricht, nei Paesi Bassi, il 7 febbraio del 1992, firmò la versione finale
dell'accordo istitutivo, ratificato dagli stati membri nel 1993. L'Unione
Europea fu costituita con l'entrata in vigore del Trattato di Maastricht a
partire dal 1° novembre dello stesso anno. In base al Trattato di Maastricht,
ai cittadini di ciascuno stato membro viene riconosciuta la cittadinanza europea
e, con essa, il diritto di vivere, lavorare o studiare in qualsiasi stato
membro. La garanzia di poter circolare liberamente in Europa ha comportato anche
una riduzione dei controlli alle frontiere doganali.
Il Trattato di Maastricht è poi stato seguito e
sostituito dalla recente entrata in vigore del nuovo Trattato
di Amsterdam che ridefinisce gli obiettivi
dell’Unione e amplia i poteri dei suoi organi.
Prospettive future
Per quanto nel corso degli anni è
stato possibile raggiungere una maggiore coesione economica tra i paesi membri
dell'Unione europea, la creazione di un unico stato federale, immaginata
originariamente dai promotori della cooperazione economica in Europa, era stata
ultimamente accantonata. La ragione principale stava forse nell'eterogeneità
dei paesi che andavano via via aderendo all'unione. Tuttavia ora è il momento
di considerare seriamente tale evenienza in quanto le basi per far si che venga
attuata sono già state gettate: creazione di un mercato unico, unione
monetaria, adeguamento delle politiche economiche e del sistema legislativo con
il progetto di creare una giustizia comune. Non è da escludere inoltre la
volontà popolare che, se prima era diffidente verso i vicini Stati membri
dell’Unione, adesso vede l’Europa come il simbolo della forza della coesione
di Paesi che non sono mai, in tutta la Storia, riusciti a trovare un equilibrio.
Nel 1995 Austria, Finlandia e Svezia sono infatti
entrate a far parte dell'Unione europea, mentre un altro referendum ha invece
nuovamente bocciato l'ingresso della Norvegia. Il numero degli stati membri è
comunque destinato a salire entro pochi anni, dato che altri paesi hanno
presentato la richiesta di ammissione (la Turchia nel 1987; Cipro e Malta nel
1990). La Svizzera ha invece ritirato la propria domanda per non violare la
posizione neutrale che da sempre la caratterizza.
Nel 1991 la Comunità europea ha inoltre concluso un
accordo con l'EFTA per creare un mercato unico per le merci, i servizi e i
capitali; con l'entrata in vigore dello Spazio economico europeo (SEE), dal 1°
gennaio 1994 sono dunque state eliminate le barriere al commercio tra Unione
europea e stati membri dell'EFTA.
Al momento attuale la UE opera come organo
sovranazionale con delle mirate politiche di intervento nelle quali si
riconoscono numerosi ambiti. Le materie interessate da questa pianificazione
strategica sono quelle che possono riguardare complessivamente tutti gli stati
membri e che, quindi, hanno carattere generale. Una di queste è
l’agricoltura, campo in cui l’Unione ha maggiormente operato negli ultimi
anni mettendo in atto una serie di misure che, per impiego di mezzi atti a
sostenerle e risultati ottenuti, sono già passate alla storia come una titanica
impresa ben riuscita, ma non per questo da considerarsi conclusa.
Il marchio CE è ormai da tempo il simbolo che caratterizza la
qualità dei beni e servizi
prodotti dalle imprese europee.
LE
POLITICHE DELL’UNIONE EUROPEA: LA PAC
Quella agricola è stata la sola strategia politica
effettivamente realizzata dall’Unione Europea. Inaugurata nel 1962, la PAC
(Politica Agricola Comunitaria) si propose da subito di attuare gli obiettivi
stabiliti cinque anni prima con la stipula del Trattato di Roma. I principali
obiettivi erano:
1.
l’accrescimento della produttività agricola e del livello di vita
della popolazione contadina;
2.
la stabilizzazione dei mercati;
3.
la garanzia della sicurezza degli approvvigionamenti (autosufficienza);
4.
la definizione di prezzi ragionevoli per i prodotti destinati al consumo.
Vennero definiti tre
principi fondamentali che avrebbero poi regolato il funzionamento del
settore:
a.
il principio dell’unicità del mercato europeo,
implicante la libera e completa circolazione dei prodotti agricoli fra i paesi
membri. Ciò ha portato alla progressiva soppressione dei diritti doganali
interni all’Unione e all’innalzamento di barriere doganali unitarie nei
confronti dell’esterno, oltre che ad armonizzare le direttive amministrative,
sanitarie, veterinarie ecc.;
b.
il principio delle preferenze comunitarie,
in base al quale si tese ad assicurare la protezione dei mercati europei
rispetto alle importazioni e alle fluttuazioni dei mercati mondiali.
Concretamente, venne imposto ai paesi membri di acquistare i prodotti agricoli
all’interno della UE, nonostante i prezzi in Europa fossero generalmente più
elevati di quelli praticati sui mercati esterni;
c.
il principio della sovvenzione
all’esportazione, consistente nel pagamento ai produttori del prezzo in
vigore nell’Unione per le eccedenze produttive esportate sui mercati esterni
(che vengono trattate ad un prezzo inferiore).
Per la realizzazione pratica di queste linee di
politica agraria venne inoltre istituito il FEOGA (Fondo Europeo di Orientamento
e Garanzia), con capacità di intervento sulle strutture agrarie dei paesi
membri, mediante aiuti finanziari rivolti ai settori deficitari e alle regioni
meno favorite. Al FEOGA venne inoltre assegnato il compito di vegliare sul buon
funzionamento dei mercati fissando annualmente i prezzi, acquistando, stoccando
e vendendo le eccedenze. A questo riguardo, una funzione essenziale è stata
assegnata ai montanti di compensazione finanziaria, aventi lo scopo di
compensare le oscillazioni monetarie interne alla UE, evitando così che paesi a
moneta debole fossero favoriti nell’esportazione di eccedenze verso paesi a
moneta forte. Nel loro insieme, queste forme di regolazione e compensazione
finanziaria assorbivano, nel 1991, il 57% del bilancio dell’Unione.
Poste queste premesse, l’agricoltura europea ha
vissuto negli ultimi quarant’anni delle profonde modificazioni e da una
condizione di sottoutilizzazione delle risorse il continente si è trasformato
in un produttore di crescenti eccedenze, soprattutto per quanto riguarda il
burro, i cereali, gli oleaginosi, e la carne bovina.
E’ stato nel contempo frenato l’esodo rurale ed
è cresciuta sensibilmente la produttività. Ciò nonostante, gli strumenti di
quella politica agraria non erano privi di contraddizioni. Anzitutto la modesta
dimensione delle aziende, l’elevata tecnologia introdotta e la pratica di una
agricoltura scientifica e intensiva hanno originato crescenti costi di
produzione, con conseguenze vistose sul fronte internazionale, in particolare
degli USA, che producono a prezzi molto inferiori e hanno lamentato più volte
l’eccessiva protezione del mercato comunitario nei confronti delle loro
esportazioni.
La scarsa competitività delle produzioni europee
inoltre non ha frenato la progressiva diminuzione dei prezzi e non ha permesso
di smaltire all’estero le eccedenze che avevano raggiunto, nel 1992, i 25
milioni di tonnellate di cereali, un milione di tonnellate di latticini e un
milione di tonnellate di carne.
La necessità di rendere più competitiva e meno
intensiva (per i motivi suddetti e per ridurre lo sfruttamento dei suoli)
l’agricoltura, la CEE ha spinto verso la riforma della PAC, venuta a
maturazione nella seconda metà degli anni Ottanta e poi decisa dai Ministri
dell’Agricoltura dei paesi membri il 21 maggio 1992. In questa riforma si
decise di attuare una politica di intervento mirata ed una sorta di
pianificazione della produzione totale. La nuova politica si fonda su alcuni
principi guida:
1.
la progressiva concentrazione delle
proprietà fondiarie. Questo in quanto in Europa oltre il 40% degli attivi in
agricoltura supera i cinquant’anni di età e si prevede che raramente avranno
successori nella conduzione dei fondi;
2.
in un contesto generale di riduzione dei prezzi
agricoli, si è stabilito che agli agricoltori sia concessa una maggiore
autonomia nella commercializzazione dei propri prodotti, sui mercati sia interni
sia internazionali;
3.
la promozione di uno sviluppo fondato sull’integrazione
fra agricoltura, artigianato, infrastrutture e imprese industriali legate al
settore rurale, da attuarsi con la diretta partecipazione delle comunità
regionali locali;
4.
l’adattamento strutturale
delle regioni in ritardo, che si rivolge all’intero territorio del Portogallo,
della Grecia e dell’Irlanda, a gran parte della Spagna, al Sud italiano,
all’Ulster e alla Corsica. A queste regioni è destinata la gran parte dei
fondi strutturali (36,2 miliardi di ECU nel periodo 1989-1993);
5.
lo sviluppo delle zone rurali e l’adattamento
delle strutture agrarie, attraverso la
promozione della diversificazione delle attività agricole e la promozione dei
prodotti tipici locali, lo sviluppo del turismo rurale e delle attività
artigianali, la formazione della manodopera agricola, il miglioramento delle
infrastrutture, la sovvenzione delle pratiche agricole ambientalmente coerenti
(come l’agricoltura “biologica” che non usa sostanze chimiche) e delle
coltivazioni estensive.
Nell’ambito delle iniziative di riforma spicca il
progetto LEADER, complementare alle misure precedenti e teso a favorire
specifiche iniziative innovative, quali la formazione professionale, la
predisposizione di strutture per il turismo rurale, i servizi di vicinato, la
valorizzazione locale di prodotti agricoli, della silvicoltura, della pesca ecc.
L’originalità del progetto risiede nel finanziamento di iniziative promosse
da “gruppi di azione locale”, destinato alle regioni rurali più fragili.
L’ORGANIZZAZIONE
DELL’UNIONE EUROPEA
L’Unione Europea che, come è già stato visto,
discende direttamente dalla Comunità Europea, ha mantenuto molte
caratteristiche peculiari e importanti di quest’ultima. In particolare
l’organizzazione della UE riprende principalmente la conformazione della CE.
Solo l’ultimo trattato di Amsterdam attribuirà maggiori poteri agli organi
dell’Unione marcandone ulteriormente la natura sovranazionale. Proprio questa
configurazione di entità che supera la sovranità del singolo Stato è uno dei
maggiori ostacoli alla crescita della UE e alla legiferazione degli organi
europei a ciò preposti. I singoli stati membri, infatti, vedono minacciata la
loro sovranità a causa delle organizzazioni internazionali che comportano la
progressiva erosione di poteri che prima erano geloso dominio statale.
Un’altra precisazione necessaria prima di vedere più
da vicino l’organizzazione dell’Unione Europea riguarda il fatto che occorre
evitare di cadere in un errore indotto dalla terminologia spesso simile a quella
impiegata nelle costituzioni degli Stati membri. Infatti parlando di Parlamento
europeo lo si può confondere col tipico ed unico detentore del potere
legislativo (come accade nei singoli Stati) così come si può pensare che il
Consiglio dei ministri sia l’organo esecutivo. Inoltre i regolamenti sono
normalmente considerati atti subordinati alle leggi, invece nel contesto
internazionale rappresentano le fonti di diritto principali. Per parlare di
organizzazione europea è necessario abbandonare le nozioni tipiche che si
acquisiscono dallo studio del Diritto dei singoli Stati.
Gli organi essenziali dell’Europa comunitaria sono:
Il Consiglio dell’Unione europea è senza dubbio
l’organo che esercita il ruolo più importante nella vita comunitaria. Il
Consiglio provvede al coordinamento generale delle attività dell’Unione
Europea, il cui scopo principale è la creazione di un mercato interno, vale a
dire di uno spazio senza frontiere interne che assicuri le cinque libertà di
circolazione (beni, persone, servizi, capitali e moneta unica). Il Consiglio è
inoltre responsabile della cooperazione intergovernativa nei settori, da un
lato, della politica estera di sicurezza comune (PESC) e, dall’altro, della
giustizia degli affari interni (GAI) che comprendono, ad esempio, i problemi di
immigrazione e di asilo, di lotta contro il terrorismo e la droga o di
cooperazione giudiziaria. Il Consiglio svolge due ruoli decisivi nell’Unione
Europea. Innanzitutto esercita un potere legislativo e un potere decisionale per
l’Unione, dall’altra parte costituisce la sede in cui i quindici Stati
membri possono far valere i loro interessi nazionali. Per meglio capirne il
funzionamento è opportuno scinderlo in tre parti
da analizzare singolarmente:
Il Consiglio dei Ministri è un organo nel quale sono rappresentati i
Governi degli Stati membri, i quali intervengono attraverso un proprio Ministro
competente per materia. Ciò significa che in base all’argomento di cui si
deve trattare in ogni singola seduta, interverrà per ogni Paese il Ministro a
cui esso compete. Si tratta dell’organo detentore del potere
normativo (o legislativo). Il Consiglio
dei Ministri non è un organo permanente, in quanto si riunisce solo quando c’è
necessità di deliberare e non ha una presidenza fissa. Fino al Maggio 1999 le
deliberazioni erano effettuate all’unanimità, in quanto ogni paese poteva
esercitare il potere di veto rischiando di paralizzare il processo normativo;
ora è invece possibile prendere gran parte delle decisioni a maggioranza,
lasciando alle questioni più delicate il consenso unanime. Con l’entrata in
vigore del trattato di Amsterdam, inoltre, ogni decisone del Consiglio passa
all’approvazione del Parlamento. Questo meccanismo fa si che il Parlamento
(eletto dai cittadini) possa esercitare un effettivo potere sull’attività
normativa.
Il Comitato dei rappresentanti permanenti, composto da alcuni
rappresentanti delegati dai Governi degli Stati membri, svolge il compito di
preparare le delibere del Consiglio dei Ministri.
Il Consiglio europeo è composto da tutti i capi degli organi esecutivi
nazionali. Si riunisce almeno due volte all’anno per prendere le grandi
decisioni di indirizzo politico dell’Unione. A quest’organo, riconosciuto
solo con l’entrata in vigore del Trattato di Maastricht, non spettano
decisioni formali ma solo l’indicazione delle linee generali della politica
che sarà realizzata con decisioni del Consiglio dei ministri.
La
Commissione è un organo permanente dell’organizzazione europea che esercita
il potere esecutivo.
Per il suo ruolo e le sue responsabilità, la Commissione europea si colloca al
centro del processo di decisione politica dell’Unione Europea. Per certi
aspetti, essa è il vero e proprio cuore dell’Europa, dal quale le altre
istituzioni traggono gran parte della loro energia e la loro ragion d’essere.
In linea generale alla Commissione è affidata l’attuazione concreta dei
Trattati. Ha sede a Bruxelles ed è composta principalmente da 20 membri che,
secondo il Trattato sull’Unione, a partire dal 1995 durano in carica cinque
anni. Essi vengono nominati con una particolare procedura che attribuisce un
notevole peso al Parlamento:
ü
I Governi
degli Stati membri e il Parlamento designano, di comune accordo, colui che sarà
il Presidente della Commissione;
ü
Il
Presidente coadiuva i Governi degli Stati membri nella scelta degli altri
Commissari;
ü
Il
Presidente e i Commissari così designati sono soggetti, collettivamente, a un
voto di approvazione del Parlamento europeo
ü
In caso
di approvazione si giunge alla nomina effettiva.
Questo
collegio di 20 commissari (prima del 1° Maggio 1999 erano 17) dirige la
Commissione e sovrintende all’operato delle 24 direzioni generali e dei 15
servizi specializzati.
L’azione
della Commissione interessa tutti i settori della vita corrente. Ogni giorno
essa prende posizione su argomenti che riguardano direttamente i cittadini. Alla
Commissione spettano tre tipi di compiti:
v
L’iniziativa
per l’approvazione delle norme comunitarie, attraverso la preparazione dei
testi su cui il Consiglio sarà chiamato a deliberare;
v
L’attuazione
delle deliberazioni comunitarie, attraverso l’uso di vari poteri:
Ø
L’approvazione
di regolamenti subordinati a quelli approvati da Consiglio
Ø
La
vigilanza sul rispetto degli obblighi comunitari da parte di tutti gli Stati
membri con conseguente denuncia alla Corte di Giustizia in caso di inadempienza;
v
La
gestione degli stanziamenti previsti per gli interventi dell’Unione (come il
FEOGA).
Per quanto riguarda la comunicazione esterna, ogni
direzione generale pubblica un’abbondante documentazione. Di fronte alla
stampa, la Commissione prende posizione ogni giorno su questioni di attualità.
I lavori della Commissione sono seguiti da un migliaio di giornalisti
accreditati e le notizie più salienti vengono trasmesse sulla rete EbS (Europe
by Satellite).
Il Parlamento Europeo, la cui sede è generalmente
individuabile a Strasburgo, è composto da 626 deputati con carica quinquennale
e rappresenta i 370 milioni di cittadini dell’Unione Europea che dal 1979
eleggono direttamente i deputati (o europarlamentari). Il Parlamento europeo è
la sola istituzione comunitaria che si riunisce e discute in presenza del
pubblico. Le sue risoluzioni sono pubblicate nella Gazzetta Ufficiale delle
Comunità europee. Il suo ruolo è stato recentemente ridisegnato e rivalutato,
avvicinando le sue funzioni a quelle di ogni altro Parlamento: approvare
le leggi (ma solo quelle definitive con testo già redatto dal Consiglio,
il quale può essere assistito nel processo dal Parlamento),
ed esercitare un’azione di controllo politico sull’esecutivo.
Come i Parlamenti nazionali anche quello europeo si
divide in commissioni (ne sono state istituite 20 che preparano i lavori delle
sedute plenarie) specializzate per materia e in gruppi parlamentari (di
carattere politico secondo provenienza transnazionale, attualmente sono in
numero di 8). Il Parlamento europeo può anche istituire commissioni temporanee
o commissioni con poteri di inchiesta su temi particolari. Le commissioni
parlamentari miste mantengono contatti con i Parlamenti degli Stati che hanno
sottoscritto accordi di associazione con l’Unione Europea.
Tutte le attività del Parlamento si svolgono sotto
la direzione dell’Ufficio di Presidenza, composto dal Presidente e da 14
vicepresidenti.
I compiti principali del Parlamento europeo sono:
v
Partecipare
(come già visto) alla formazione della legislazione comunitaria;
v
Adottare
il bilancio dell’Unione Europea e controllarne l’esecuzione. Nello svolgere
questo compito il Parlamento può approvare o rigettare il bilancio. Per
controllare l’esecuzione di quest’ultimo occorre tenere distinte le spese
obbligatorie da quelle non obbligatorie:
Ø
Le spese
obbligatorie sono quelle che devono essere fatte in attuazione dei Trattati o
regolamenti comunitari. Queste spese sono decise dal Consiglio dei Ministri il
quale, in tal modo, determina la struttura del bilancio;
Ø
Le spese
non obbligatorie (o facoltative) sono quelle che possono essere decise
liberamente. Su questo tipo di spese la decisione definitiva è del Parlamento e
non del Consiglio.
v
Esercitare
un controllo pieno su tutte le attività democratiche ed in particolare vigilare
sull’organo esecutivo (la Commissione) tramite dei poteri che consistono:
Ø
nel voto
di sfiducia, espresso a maggioranza qualificata (assoluta dei membri e 2/3 dei
voti espressi), che comporta le dimissioni della Commissione;
Ø
nelle
interrogazioni scritte e orali e nelle risoluzioni per orientare l’azione
esecutiva dell’Unione;
Ø
nella
nomina di commissari d’inchiesta per far luce sugli abusi nell’applicazione
del diritto comunitario.
Il Parlamento, si ricorda, ha anche un ruolo di primo
piano nel designare il Presidente e i membri della Commissione Europea, la cui
attività viene monitorata grazie alle numerose relazioni che essa gli trasmette
regolarmente.
Qui di seguito viene presentato l’organigramma e
tabella di composizione del Parlamento europeo prima delle elezioni del 13
Giugno 1999:
PARTITI |
|
B |
DK |
D |
GR |
E |
F |
IRL |
I |
L |
NL |
A |
P |
FIN |
S |
UK |
PSE |
213 |
6 |
4 |
40 |
10 |
21 |
16 |
1 |
18 |
2 |
7 |
6 |
10 |
4 |
7 |
61 |
PPE |
180 |
7 |
3 |
47 |
9 |
30 |
11 |
4 |
15 |
2 |
9 |
7 |
9 |
4 |
5 |
18 |
UPE |
56 |
|
|
|
2 |
|
18 |
7 |
24 |
|
2 |
|
3 |
|
|
|
ELDR |
41 |
6 |
5 |
|
|
2 |
1 |
1 |
4 |
1 |
10 |
1 |
|
5 |
3 |
2 |
SUE/SVN |
34 |
|
|
|
4 |
9 |
7 |
|
5 |
|
|
|
3 |
2 |
3 |
1 |
VERDI |
28 |
2 |
|
12 |
|
|
|
2 |
4 |
|
1 |
1 |
|
1 |
4 |
1 |
ARE |
20 |
1 |
|
|
|
2 |
12 |
|
2 |
1 |
|
|
|
|
|
2 |
I-EDN |
18 |
|
4 |
|
|
|
11 |
|
|
|
2 |
|
|
|
|
1 |
NI |
36 |
3 |
|
|
|
|
11 |
|
15 |
|
|
6 |
|
|
|
1 |
TOTALE |
626 |
25 |
16 |
99 |
25 |
64 |
87 |
15 |
87 |
6 |
31 |
21 |
25 |
16 |
22 |
87 |
La grande innovazione delle Comunità europee e poi
dell’Unione Europea rispetto ai progetti precedenti di unificazione
dell'Europa consiste nel fatto che l’Unione ricorre, per tale intento,
esclusivamente alla forza del diritto.
Infatti, coscienti del fatto che solo un'unificazione
garantita e realizzata dal diritto aveva prospettive durevoli, i sei Stati
fondatori hanno voluto consacrare la nascita delle Comunità europee su un
fondamento giuridico, i Trattati di Parigi e
di Roma.
La Comunità tuttavia non è soltanto una creazione
del diritto, ma persegue i suoi obiettivi utilizzando esclusivamente un diritto
nuovo, denominato diritto comunitario,
che ha per caratteristica di essere un diritto autonomo, uniforme per tutti i paesi membri della Comunità,
distinto dal diritto nazionale,
pur essendo ad esso superiore, e
direttamente efficace in
gran parte delle sue norme in tutti gli Stati membri.
Come ogni ordinamento giuridico autentico, quello
della Comunità doveva disporre di un efficace sistema di tutela
giurisdizionale, per il caso in cui il diritto comunitario fosse
contestato od occorresse farlo applicare.
La Corte
di giustizia, nella sua qualità di istituzione giurisdizionale
della Comunità, costituisce il perno di questo dispositivo di tutela. Il
suo compito è di evitare che ognuno interpreti ed applichi tale diritto a
proprio piacimento, di garantire che la norma comune mantenga il suo carattere e
la sua natura comunitari, di assicurare che essa resti identica per tutti ed in
ogni circostanza.
La Corte di Giustizia è composta da quindici
giudici e nove avvocati generali. Essa esercita il potere giurisdizionale
dell’Unione, per assicurare il rispetto del diritto comunitario.
I giudici e gli avvocati generali sono nominati di
comune accordo dai governi degli Stati membri con mandato di sei anni
rinnovabile. Essi sono scelti tra giuristi che offrono tutte le garanzie di
indipendenza e che riuniscono le condizioni richieste per l'esercizio, nei
rispettivi paesi, delle più alte funzioni giurisdizionali, ovvero tra quelli
che sono esperti professionisti di notoria competenza.
I giudici della Corte designano tra loro il presidente,
che resta in carica per un periodo rinnovabile di tre anni. Il presidente dirige
i lavori e i servizi della Corte e presiede le udienze e le deliberazioni.
Gli avvocati generali assistono la Corte e l'aiutano
ad assolvere la sua missione. Essi hanno il compito di presentare pubblicamente,
in piena imparzialità ed indipendenza, delle conclusioni sulle cause sottoposte
alla Corte.
Spetta alla Corte di Giustizia giudicare:
v
sulle
controversie circa l’adempimento degli obblighi comunitari da parte degli
Stati membri;
v
sui
ricorsi contro la validità degli atti comunitari;
v
sulle
questioni sollevate dai giudici nazionali, circa la validità e
l’interpretazione del diritto comunitario;
v
sulle
controversie che insorgono tra gli organi comunitari.
Evoluzione della Corte
Dalla sua creazione, nel 1952, ad oggi, la Corte è
stata investita di oltre 8.600 cause. Il numero di 200 nuove cause l'anno è
stato raggiunto dal 1978 e quello di 400 cause l'anno è stato superato nel
1985.
Per far fronte a tale afflusso rispettando, nel
contempo, termini procedurali ragionevoli, la Corte di giustizia ha adattato il
proprio regolamento di procedura in modo tale da rendere possibile una
trattazione più spedita delle cause ed ha sollecitato al Consiglio la creazione
di un nuovo organo giurisdizionale.
Creazione del Tribunale di primo grado
A seguito di tale richiesta il Consiglio le ha
affiancato il Tribunale di primo grado.
L'istituzione del Tribunale di primo grado, avvenuta
nel 1989, ha lo scopo di migliorare la tutela giurisdizionale dei singoli,
introducendo un doppio grado di giurisdizione, e di permettere alla Corte di
concentrarsi sul suo compito fondamentale: l'interpretazione uniforme del
diritto comunitario. Il Tribunale è composto da quindici giudici, nominati di comune accordo dai governi
degli Stati membri con mandato di sei anni rinnovabile. I membri del Tribunale
designano tra loro il presidente.
Non esistono avvocati generali permanenti, in quanto
le loro funzioni sono esercitate in un limitato numero di cause dai giudici
stessi.
Il Comitato economico e sociale è un organo
consultivo che esprime pareri sulle proposte legislative della Commissione
europea e su ogni questione di rilievo comunitario.
Esso è formato da 222 consiglieri in rappresentanza
dei datori di lavoro, dei lavoratori (sindacati) e di interessi diversi quali le
professioni liberali, gli agricoltori, le piccole e medie imprese, i consumatori
e i rappresentanti dell'economia sociale.
Organizzati in tre Gruppi (datori di lavoro,
lavoratori, attività diverse), i membri del CES elaborano dei pareri in merito
alle proposte di normativa comunitaria e alle grandi tematiche del nostro tempo.
I suoi pareri sono adottati in seduta plenaria a
maggioranza semplice e vengono successivamente trasmessi alla Commissione
europea, al Consiglio
dell'Unione europea ed al Parlamento
europeo affinché gli atti legislativi comunitari in progetto tengano
conto degli interessi espressi in concertazione dalle parti sociali. Sono infine
pubblicati nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea.
Il trattato
di Roma prevede che, a richiesta del Consiglio dell'Unione europea e
della Commissione europea, il Comitato economico e sociale esprima pareri sulle
proposte legislative che incidono sul settore economico e sociale.
Esso ha anche istituito un osservatorio sul mercato
unico che ha il compito di individuare gli ostacoli che si frappongono alla
piena attuazione del mercato unico, così da contribuire alla ricerca di
soluzioni concrete. In numerosissimi casi, soprattutto quando sono votati a
larga maggioranza, i suoi pareri influiscono sulle decisioni degli organi
legislativi. Esso è la piattaforma istituzionale che consente la partecipazione
delle parti sociali al processo di costruzione europea.
Il CES è diretto da un presidente e da un ufficio di
presidenza di 36 membri ed è organizzato in sezioni; le attuali 9 sezioni
corrispondono ai settori in cui il Comitato deve essere consultato a norma del
trattato di Roma. Nella sua attività è assistito
da un segretariato generale, diretto dal segretario generale.
I consiglieri sono ufficialmente nominati dal
Consiglio dell'Unione europea su proposta dei governi degli Stati membri. Il
loro mandato è di 4 anni e sono rieleggibili.
.
Comunicazione
esterna
Il Comitato economico e sociale prepara comunicati
stampa che informano i mezzi di comunicazione delle attività in corso o in
progetto (riunioni, pareri adottati in seduta plenaria, conferenze, ecc.).
La stampa specializzata (organi di comunicazione
delle parti sociali degli Stati membri) opera attivamente nella diffusione delle
informazioni sul CES.
Il Comitato economico e sociale riceve ogni anno
circa 6.000 visitatori, risponde alle domande più disparate e li informa sul
ruolo che esercita nell'ambito del processo decisionale.
Il Comitato delle regioni è stato istituito per garantire che le autorità politiche più
vicine ai cittadini (sindaci, consiglieri comunali e regionali, presidenti delle
regioni e dei consigli regionali) vengano consultati sulle proposte dell'Unione
europea che li riguardano direttamente. Per la prima volta nella storia
dell'Unione europea esiste l'obbligo giuridico di chiedere il parere dei
rappresentanti delle collettività locali e regionali sulle questioni di loro
diretto interesse. Si tratta, in altri termini, di un'applicazione del principio
di sussidiarietà.
I membri del CDR hanno il compito di trasmettere alle
istituzioni europee il punto di vista locale e regionale sulle proposte da esse
presentate e quello di informare i loro concittadini sul processo di
integrazione europea.
A capo dell'amministrazione del Comitato delle
regioni è il Segretario generale. I suoi membri partecipano ai lavori di 8
commissioni specializzate e di 4 sottocommissioni, che hanno l'incarico di
preparare i pareri del Comitato stesso. I componenti del CDR sono scelti dagli
Stati membri e ufficialmente nominati dal Consiglio dell'Unione europea. Restano
in carica per 4 anni e sono rieleggibili.
L'ufficio di presidenza organizza i lavori del
Comitato delle regioni e delle sue commissioni. Esso è costituito da 36
funzionari, tra i quali il presidente, il primo vicepresidente ed un
vicepresidente per ciascuno dei 15 Stati membri, tutti eletti per due anni dai
componenti dell'assemblea.
A norma dei trattati, il Comitato delle regioni deve
essere consultato dalla Commissione europea o dal Consiglio dell'Unione europea
in 5 settori che si ricollegano direttamente alle competenze riconosciute a
tutte le collettività locali e regionali:
·
coesione
economica e sociale, compresi i fondi strutturali
·
reti
transeuropee (infrastrutture di trasporto, telecomunicazioni e trasporto di
energia)
·
settore
sanitario
·
politica
dell'istruzione e politica per i giovani
·
cultura
La Commissione europea ed il Consiglio dell'Unione
europea possono consultare il CDR in altri settori che interessano le
collettività territoriali, come il diritto di voto dei cittadini dell'Unione
europea alle elezioni comunali dello Stato membro in cui risiedono. Il CDR può
anche, di propria iniziativa, adottare pareri su temi quali l'agricoltura, la
difesa dell'ambiente e la politica del territorio. Questi pareri sono trasmessi
alla Commissione europea, al Consiglio dell'Unione europea e al Parlamento
europeo.
Il Comitato prende posizione su argomenti che
riguardano direttamente i cittadini. Ad esempio, ha adottato alcuni pareri sulla
lotta contro l'Aids, sulla lotta contro il cancro, sullo sviluppo delle reti di
telecomunicazione e di energia e sul diritto all'istruzione permanente.
Recentemente, il Comitato delle regioni ha preso
posizione anche sull'uso illecito di Internet per la diffusione di informazioni
di carattere pedofilo, sui problemi della successione per i giovani agricoltori
e sulla tutela dei parchi naturali regionali.
Comunicazione esterna
Il CDR dà un contributo particolare alle iniziative
prioritarie di informazione dei cittadini europei varate dalla Commissione
europea grazie soprattutto alla sua posizione privilegiata di nucleo centrale di
una grande rete di diffusori di opinione che si allarga alle collettività
locali e regionali e ai mezzi di comunicazione locale e regionale.
La Direzione della comunicazione e della stampa del
Comitato delle regioni edita una grande quantità di pubblicazioni che sono
disponibili su semplice richiesta e partecipa attivamente alle sue iniziative
politiche: seminari sulla politica del territorio, forum sui patti regionali e
locali per l'occupazione, conferenze con il Parlamento europeo sull'avvenire
delle collettività locali e regionali.
La Corte dei Conti europea rappresenta il
contribuente ed esercita una funzione di controllo delle spese dell’Unione
Europea, per verificare che esse siano effettuate secondo le norme di bilancio e
i regolamenti finanziari vigenti, per gli scopi a cui sono destinate. Alcuni
politici di spicco nell’arena internazionale considerano la Corte dei Conti
come la “coscienza finanziaria” dell’Unione Europea, altri come un “cane
da guardia” delle sue casse. In ogni caso, essa garantisce il rispetto di
principi morali, amministrativi e contabili. Le relazioni della Corte sono una
ricca fonte di informazioni sulla gestione delle finanze dell’Unione Europea e
un elemento di pressione sulle istituzioni e su quanti hanno, a livello
amministrativo, la responsabilità di una loro gestione occulta. Essa è
composta di quindici membri nominati dal Parlamento con carica quinquennale.
Altre due istituzioni, oltre a quelle appena citate,
svolgono un ruolo importante per la vita dell’Unione Europea. Esse non sono
definibili come organi essenziali, ma rivestono una carica determinante perché
l’organizzazione dell’Unione raggiunga il pieno sviluppo e possa operare in
completa libertà e autonomia istituzionale. Esse sono:
La Banca
Europea per gli Investimenti
La BEI è l’istituzione finanziaria e lo strumento
della politica creditizia europea. Accorda finanziamenti a lungo termine per
investimenti volti a promuovere lo sviluppo economico equilibrato e
l’integrazione dell’Unione Europea. Essa è una fonte di finanziamento
flessibile ed efficiente che, con un volume di finanziamenti dell’ordine di 20
miliardi di euro l’anno, è la più grande istituzione finanziaria
internazionale del mondo.
Il Mediatore
Europeo
Ogni cittadino di uno stato membro è allo stesso
tempo cittadino nazionale e cittadino europeo. Uno dei suoi diritti in quanto
cittadino europeo è rivolgersi al Mediatore Europeo qualora fosse vittima di un
atto di cattiva amministrazione da parte delle istituzioni od organi comunitari.
Il Mediatore detiene ampi poteri di indagine: le istituzioni e gli organi
comunitari sono tenuti, a certe condizioni, a fornirgli tutti i documenti e le
prove richiesti; egli può inoltre ottenere informazioni sulle autorità
nazionali. Il Mediatore è abilitato a fungere da conciliatore fra i cittadini e
l’amministrazione comunitaria; può inoltre formulare raccomandazioni alle
istituzioni UE e deferire il caso al Parlamento Europeo affinché quest’ultimo
possa eventualmente trarre conclusioni politiche dalla posizione assunta
dall’amministrazione.
Schemi che riassumono brevemente la composizione e la
struttura delle istituzioni dell’Unione Europea:
Le istituzioni dell’Unione Europea
Parlamento Europeo 626 |
|
Commissione |
Consiglio
dell’Unione Europea |
Corte di Giustizia Tribunale
di primo grado |
|
Comitato
Economico e Sociale |
|
IL
NUOVO TRATTATO DI AMSTERDAM
L’ultimo atto del processo di unificazione è il
trattato di Amsterdam, (entrato in vigore il 1° Maggio 1999) recante revisione
dei trattati sui quali si fonda l'Unione europea (in particolare il Trattato di
Maastricht, entrato in vigore nel 1993). Questo nuovo trattato è il risultato
dei lavori svolti dalla Conferenza Intergovernativa (CIG) dal marzo 1996 al
giugno 1997. La CIG è il meccanismo formale per la revisione dei trattati, cioè
dei testi costituzionali dell'Unione Europea, comportante negoziati fra i
quindici governi degli Stati membri dell'Unione.
La Conferenza ha iniziato formalmente i lavori in
occasione della riunione del Consiglio europeo di Torino del 29 marzo 1996 e li
ha conclusi in occasione del Consiglio europeo di Amsterdam del 18 giugno 1997.
Alla soglia del XXI secolo, l'Unione europea si trova
confrontata ad una serie immane di sfide: situazione internazionale in rapida
evoluzione; globalizzazione dell'economia mondiale e relativo impatto su
occupazione, competitività e creazione di posti di lavoro; terrorismo,
criminalità e traffico illecito di stupefacenti; pressioni migratorie;
squilibri ecologici; minacce per la sanità pubblica. Sono questi i problemi che
l'Unione ha dovuto affrontare in un momento in cui le istituzioni politiche sono
ovunque messe in questione da un'opinione pubblica sempre meglio informata.
Inoltre il futuro allargamento dell'Unione
costituisce al tempo stesso un'occasione unica e una sfida considerevole.
La Presidenza, i Governi degli Stati membri, il
Parlamento europeo e la Commissione si sono adoperati, durante tutta la
Conferenza, per rendere consapevole l'opinione pubblica dell'importanza della
posta in gioco.
Libertà, sicurezza e giustizia
I cittadini desiderano vivere in un'Unione in cui i
loro diritti fondamentali siano pienamente rispettati. Desiderano anche poter
vivere e circolare liberamente all'interno dell'Unione, senza timore di minacce
per la loro sicurezza personale.
Le modifiche del trattato relative alla libertà,
alla sicurezza e alla giustizia riaffermano i principi fondamentali su cui
l'Unione si basa e rafforzano l'impegno di quest’ultima nei confronti dei
diritti fondamentali. Per la prima volta si può intervenire quando in uno Stato
membro siano commesse gravi e persistenti violazioni dei diritti fondamentali.
In questo contesto, e considerato il livello di tutela dei diritti fondamentali
esistente negli Stati membri dell'Unione europea, il trattato affronta la
questione dell'asilo per i cittadini di questi Stati. Si sono già prese
iniziative per rafforzare l'impegno dell'Unione a favore della non
discriminazione e della parità tra uomini e donne, come pure per garantire ai
singoli un'adeguata protezione dei dati di carattere personale laddove siano
implicate le Istituzioni dell'Unione.
I cittadini dell'Unione insistono per poter
beneficiare pienamente della libertà di circolazione che lo sviluppo
dell'Unione europea rende possibile e, nello stesso tempo, essere protetti da
quanto può minacciare la loro sicurezza personale.
Poiché gli obiettivi dell'accordo di Schengen, il
quale ha già istituito una zona di libera circolazione delle persone tra
tredici Stati membri, coincidono con quelli contenuti nel nuovo trattato, il
patto di Schengen sarà incorporato nel contesto dell'Unione.
Tuttavia, la possibilità di circolare liberamente da
uno Stato membro all'altro senza frontiere interne non deve in alcun modo
pregiudicare la sicurezza delle persone che vivono nell'Unione. La criminalità
e le attività criminose, quali terrorismo, reati contro i bambini, traffico
illecito di stupefacenti e frode, come pure il razzismo e la xenofobia, valicano
le frontiere nazionali. L'Unione deve quindi poter garantire, se necessario,
anche al di là di tali frontiere la protezione dei suoi cittadini da tali
rischi e fornire loro un ambiente sicuro. Le modifiche del Trattato proposte in
questo campo, che comprendono gli aspetti specifici della cooperazione in tali
settori all'esterno della Comunità, renderanno l'Unione maggiormente atta a
intraprendere azioni più efficaci per prevenire e combattere la criminalità e
a migliorare la cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale. La
cooperazione tra forze di polizia, servizi doganali e altri organi specializzati
per l'applicazione della legge negli Stati membri sarà accresciuta nell'intento
di prevenire, individuare e indagare su atti criminosi. L'impatto operativo
dell'Ufficio europeo di polizia (Europol) sarà esso pure notevolmente
accresciuto. Non solo saranno potenziate la gamma e l'efficacia degli strumenti
giuridici di cui l'Unione può disporre, rafforzando il ruolo del Parlamento
europeo e della Corte di giustizia, ma l'azione dell'Unione in tali settori
subirà un mutamento qualitativo.
Politiche dell'Unione a vantaggio dei cittadini
Se rendere l'Unione più vicina e comprensibile per i
suoi cittadini è un importante obiettivo che ha permeato tutti i lavori della
Conferenza e si riflette in tutto il nuovo trattato, alcune questioni che
interessano più direttamente i cittadini nella loro vita quotidiana e il modo
in cui percepiscono l'Unione sono state trattate espressamente:
I cittadini
aspirano a trovare un posto di
lavoro. La disoccupazione ha un impatto diretto sui cittadini. I vari
Consigli europei hanno ravvisato nella salvaguardia e creazione di posti di
lavoro la più importante sfida per l'Unione europea. Se è vero che la
competenza in materia di occupazione deve restare essenzialmente al livello del
singolo Stato membro, è anche vero che il problema dell'occupazione sarà
parimenti affrontato a livello europeo, a sostegno dell'azione intrapresa a
livello nazionale. Il nuovo trattato considera come obiettivo la promozione d'un
alto livello di occupazione.
I cittadini
desiderano vivere in un ambiente
pulito. Le attuali disposizioni del trattato rispecchiano la natura
transfrontaliera dei problemi ambientali e la misura in cui il pubblico appoggia
un'azione a livello europeo. Il trattato ravvisa nel conseguimento di uno
sviluppo sostenibile un espresso obiettivo dell'Unione. Esso sottolinea la
necessità di integrare le esigenze della protezione dell'ambiente nella
definizione e attuazione di tutte le politiche comunitarie. Esso inoltre
rafforza, chiarisce e rende più rigorose le disposizioni sul mercato interno
correlate all'ambiente.
I cittadini
chiedono un alto livello di
protezione sanitaria. Il trattato sottolinea che nel definire e attuare
tutte le politiche e attività della Comunità si garantirà un alto livello di
protezione della salute umana. L'azione comunitaria mirerà a migliorare la
sanità pubblica, a prevenire malattie e affezioni dell'uomo e a eliminare le
fonti di pericolo per la salute umana. Inoltre la Comunità integrerà l'azione
che gli Stati membri svolgono per ridurre gli inconvenienti per la salute
risultanti dall'uso di stupefacenti, anche in materia di informazione e
prevenzione. La Comunità può anche adottare provvedimenti per fissare elevati
livelli di qualità e sicurezza per organi e sostanze di origine umana, sangue e
emoderivati, senza impedire agli Stati membri di mantenere o introdurre misure
di protezione più rigorose.
I cittadini
chiedono un'adeguata protezione in
quanto consumatori che vivono nel più grande mercato del mondo. Il
trattato stabilisce più chiaramente l'obiettivo della promozione degli
interessi dei consumatori e del loro diritto all'informazione e all'educazione
nonché ad organizzarsi per salvaguardare i propri interessi. Si terrà
maggiormente conto della tutela degli interessi dei consumatori nella
definizione e attuazione di altre politiche comunitarie.
I cittadini
chiedono che l'Unione svolga un ruolo appropriato nei campi in cui è attiva,
lasciando agli Stati membri le questioni che possono essere meglio affrontate al
loro livello. Questo principio, detto di sussidiarietà,
è già sancito nell'articolo 3 B del trattato CE, insieme al principio di
proporzionalità. Questi principi sono destinati a far sì che l'azione volta a
conseguire un obiettivo sia intrapresa al livello più appropriato e sia
proporzionata all'obiettivo da raggiungere. Questi principi stabiliscono ciò
che può e deve esser fatto a livello della Comunità e ciò che non può e non
deve esser fatto a tale livello. Un nuovo protocollo del trattato stabilisce
orientamenti particolareggiati giuridicamente vincolanti per l'applicazione di
questi principi.
I cittadini
chiedono che le istituzioni
dell'Unione siano comprensibili e trasparenti, il che è essenziale se si
vuole che l'Unione sia da essi meglio compresa e accettata. Il trattato
stabilisce chiaramente il diritto di tutti i cittadini di accedere ai documenti
del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione, fatti salvi i
principi generali e i limiti che la Comunità deve porre per ragioni di
interesse pubblico o privato.
Una politica esterna efficace e coerente
Benché occupi il primo posto negli scambi mondiali,
l'Unione europea potrebbe sfruttare in modo più efficace la sua influenza
diplomatica e il suo peso economico nelle relazioni con
paesi esterni e nella promozione della stabilità nel mondo. Una delle
principali priorità della Conferenza è quindi consistita nel rendere le
politiche esterne dell'Unione più coerenti, efficaci e visibili.
La politica estera e di sicurezza comune (PESC) è
stata molto rafforzata. Si miglioreranno considerevolmente le procedure
decisionali, in due diversi modi:
in primo luogo,
anche se l'unanimità continuerà a essere richiesta per tutte le decisioni
politiche fondamentali, si ridurrà il rischio di situazioni di stallo
permettendo una procedura di "astensione costruttiva" in virtù della
quale lo Stato membro che faccia una dichiarazione formale in tal senso non sarà
obbligato ad applicare una specifica decisione, pur accettando che essa impegna
l'Unione;
in secondo
luogo, sarà previsto un "dispositivo d'emergenza" che permetterà a
uno Stato membro di opporsi all'adozione di una decisione per motivi di politica
nazionale importanti e manifesti. In tali casi gli Stati membri che ritengano
importante che l'Unione agisca potranno, se costituiscono una maggioranza
qualificata, sottoporre la questione al Consiglio europeo, affinché decida in
merito all'unanimità.
L'Unione avrà inoltre
la capacità di negoziare e concludere accordi internazionali per attuare la sua
politica estera e di sicurezza comune.
Le istituzioni dell'Unione
Nel nuovo trattato sono state apportate alcune
significative modifiche istituzionali:
Ï
È stato
riconosciuto il ruolo del Parlamento europeo quale autentico colegislatore con
il Consiglio, modificando la cosiddetta procedura legislativa di codecisione (al
fine di garantire condizioni di parità al Consiglio e al Parlamento europeo),
ed estendendo considerevolmente il numero dei settori legislativi in cui questa
procedura si applicherà. Si è inoltre effettuata un'ulteriore semplificazione
riducendo a tre il numero delle procedure legislative, ossia codecisione, parere
conforme e consultazione. È stato limitato a un massimo di 700 il numero dei
membri del Parlamento europeo, tenendo nel contempo conto della necessità che
il numero di rappresentanti di ciascuno Stato membro garantisca un'adeguata
rappresentanza. Il Parlamento europeo avrà anche la facoltà di presentare
proposte circa la procedura da seguire per la sua elezione, basandosi su
principi comuni a tutti gli Stati membri.
Ï
La
Commissione, che svolge un ruolo centrale nella struttura istituzionale come
iniziatrice, amministratrice, mediatrice, negoziatrice e custode dei trattati
sarà resa più efficiente ed efficace conferendo al suo Presidente poteri più
ampi, migliorando la sua organizzazione interna e provvedendo ad un'evoluzione
della sua composizione.
Ï
Le
competenze della Corte di giustizia sono state estese e chiarite in ordine alla
salvaguardia dei diritti fondamentali, all'azione dell'Unione in materia di
asilo e immigrazione, e alla cooperazione tra forza di polizia e in materia
giudiziaria.
Ï
Le
competenze della Corte dei conti sono state considerevolmente ampliate; il
Comitato delle regioni ha ottenuto una maggior autonomia amministrativa; il
campo della consultazione del Comitato delle regioni e del Comitato economico e
sociale è stato esteso.
Semplificazione dei trattati
I trattati che istituiscono l'Unione europea e le
Comunità europee sono divenuti col tempo sempre più complessi e, di
conseguenza, meno facilmente comprensibili. Esistono ora circa dodici trattati e
atti fondamentali, per non menzionare i protocolli, contenenti un totale di
circa ottocento articoli.
La Conferenza ha intrapreso il lavoro della
semplificazione dei trattati, come attività separata dalle trattative di merito
per la revisione degli stessi. I risultati di tali lavori costituiscono parte
integrante dell'esito della Conferenza.
L’eUrO,
LA SVOLTA
Come era stato stabilito nel Trattato di Maastricht,
il 1° Gennaio del 1999 ha avuto inizio la terza e conclusiva fase dell’Unione
economica e monetaria in base alla quale i Paesi firmatari dell’accordo hanno
voluto la realizzazione di una politica monetaria comune e di una moneta unica,
con la conseguente eliminazione delle attuali valute circolanti.
Non tutti i Paesi del Trattato, però, fanno parte
dell’UEM e hanno adottato la moneta comunitaria (l’€uro). Come è noto,
sono stati infatti previsti dei “vincoli” ai quali i Paesi dovranno
sottostare. Tali vincoli, definiti tecnicamente “criteri di convergenza”,
mirano ad armonizzare per quanto possibile le economie dei diversi paesi e
soprattutto a evitare condizioni di eccessiva passività dei bilanci pubblici.
In sostanza, per poter aderire all’UEM i paesi dell’area comunitaria hanno
dovuto risanare i conti pubblici riducendo drasticamente i disavanzi annuali di
bilancio e favorendo il riassorbimento del debito pubblico fino al limite
concordato a Maastricht.
La verifica del rispetto dei criteri di convergenza
è avvenuto il 2 Maggio 1998. A quella data i capi di Stato e di Governo
dell’Unione Europea decisero che soltanto 11 Paesi su 15 avrebbero fatto parte
dell’UEM e adottato la moneta unica a partire dal 1999 (in ordine alfabetico:
Austria, Belgio, Germania, Finlandia, Francia, Irlanda, Italia, Lussemburgo,
Paesi Bassi, Portogallo e Spagna) . Sono invece, per il momento, rimasti fuori
la Svezia (perché non ha aderito agli accordi di cambio stipulati tra gli altri
Paesi) e la Grecia (a causa del mancato rispetto di alcuni criteri: deficit,
debito, tasso d’inflazione). Inoltre hanno spontaneamente deciso di non
aderire all’UEM la Danimarca e il Regno Unito (pur avendo conseguito risultati
positivi e in armonia con i parametri di Maastricht) a causa di forti perplessità
circa l’utilità della moneta unica.
Si parla tanto di “criteri di convergenza”, ma
quali sono questi criteri? Ecco i cinque temutissimi parametri:
1. L’inflazione di un Paese, calcolata come media della variazione annua dei prezzi al consumo negli ultimi dodici mesi, non deve superare di 1,5 punti percentuali la media aritmetica semplice dell’inflazione dei tre Paesi con l’inflazione più bassa. Agli esami del 2 Maggio scorso, l’Italia si è presentata con un’inflazione del 2%, mentre la soglia massima era al 2,5% (1% di inflazione media nei tre Paesi più virtuosi più 1,5%);
2. Il deficit pubblico deve essere contenuto entro il 3% del Pil, o superarlo eccezionalmente rimanendovi vicino. E l’Italia, guardando ai dati del ’97, aveva un deficit pari al 2,7% del Pil:
3. Il debito pubblico non deve oltrepassare il 60% del Pil, a meno che non si stia riducendo e non si stia avvicinando a quella soglia a ritmo adeguato. L’Italia nel ’97 aveva un debito/Pil al 121,6% e in riduzione graduale dal picco di 124,9% toccato nel 1994; nelle carte, però, c’era già una rapida riduzione del debito/Pil negli anni a venire e il Paese si è impegnato con i partner UE a portarlo sotto il 100% entro il 2003;
4. I tassi di interesse a lungo termine, misurati dal rendimento dei titoli di Stato a dieci anni, non devono superare di più di 2 punti la media dei tre Paesi suddetti (quelli con prestazioni migliori in termini di inflazione). L’Italia ha dimostrato di rispettare abbondantemente questo limite;
5. La moneta nazionale sarebbe dovuta rimanere, per almeno due anni senza svalutare, nel Sistema Monetario Europeo. Quest’ultimo prevedeva una fluttuazione dei cambi tra le monete partecipanti limitata al 2.25% (in su o in giù); questa banda di oscillazione venne modificata nel luglio 1993 e portata al 15%. Nel Maggio 1998 l’Italia era nello SME da 16 mesi, anziché 24. Inoltre molti contestarono questo parametro perché la banda di oscillazione era stata molto allargata.
Queste regole di ammissione, ora che l’esame è
passato e i Paesi sono stati selezionati, non servono più? No, servono ancora.
Tutte quante per valutare l’ammissione delle nazioni che lo chiederanno (per
esempio Grecia, Danimarca, Svezia e Gran Bretagna). Alcune, invece, perché
restano valide norme di comportamento per vivere bene nell’UEM.
Con l’avvio della terza fase dell’UEM hanno preso
vita anche il Sistema Europeo delle Banche Centrali (denominato SEBC) e la Banca
Centrale Europea (BCE), organismi che hanno iniziato a operare dal momento che
il progetto di moneta unica e di politica monetaria comune è andato “a
regime”.
Il SEBC è un sistema coordinato di tutte le Banche
centrali dei Paesi che hanno aderito alla moneta unica e della Banca Centrale
Europea. Il suo obiettivo primario è il mantenimento della stabilità dei
prezzi. Ciò significa che il SEBC deve innanzitutto assicurare che non si
creino tensioni inflazionistiche nei Paesi aderenti all’UEM.
La BCE, dotata di personalità giuridica, ha il
diritto esclusivo di autorizzare l’emissione di banconote all’interno
dell’Unione e la possibilità di procedere concretamente a tale emissione
(prerogativa che è assegnata anche alle banche centrali nazionali). La BCE, in
particolare, assume un ruolo fondamentale nella gestione della politica
economica dell’Unione, in armonia con l’obiettivo prioritario e ineludibile
della stabilità monetaria in tutti i Paesi dell’UEM.
L’€uro
e i suoi momenti più significativi
E’ stato già detto che siamo entrati nella terza
fase dell’euro. Ma cosa è successo prima? Quali sono le tappe che hanno
portato l’avvento della moneta unica? Eccole sinteticamente:
1 LUGLIO 1990
Prende avvio l'Unione politica, economica e monetaria
europea (UEM). Viene permesso il libero movimento di
capitali in Europa. Vengono aboliti i controlli e restrizioni nei cambi
tra le monete europee. Viene sancito il diritto di tutti i cittadini europei di
poter investire i propri risparmi in qualsiasi Paese della comunità.
GENNAIO 1993
Entra in vigore il Mercato unico con l'abolizione
delle frontiere doganali. In questo modo viene permessa la libera circolazione
di persone, capitali, merci e servizi in Europa.
1 NOVEMBRE 1993
Entra in vigore il Trattato di Maastricht che
stabilisce le condizioni per la partecipazione all'UEM.
1 GENNAIO 1994
A Francoforte in Germania nasce l'Istituto Monetario
Europeo (IME) che ha il compito di preparare il terreno per la costituzione
della BCE e del SEBC, organi Europei indispensabili per il governo della nuova
moneta.
Nel 1994 nasce e prende avvio lo Spazio Economico
Europeo (SEE), il più grande mercato comune del mondo, con 370 milioni di
consumatori.
15 DICEMBRE 1995
Il Consiglio europeo di Madrid sancisce la nascita
dell'euro.
DICEMBRE 1996
Viene approvato il regolamento della nuova moneta
unica e sono stabiliti i parametri indispensabili al funzionamento dello SME-2.
SETTEMBRE 1997
Durante un consiglio europeo ECOFIN si stabilisce la
data in cui verranno determinati i tassi fissi tra le valute partecipanti
all'euro.
DAL 1995 AL 1997
I Paesi europei adottano i parametri contenuti nel
Trattato di Maastricht per essere ammessi alla fase finale dell'Unione Monetaria
Europea. É stato un periodo di grandi sacrifici economici per tutti i Paesi.
3 MAGGIO 1998
Il Consiglio Europeo
conferma quali Paesi possono partecipare alla fase finale della UEM con
l'adozione dell'euro. Undici Paesi sono stati ammessi all'euro fra cui anche
l'Italia. La Gran Bretagna, la Danimarca e la Svezia hanno deciso autonomamente
di non aderire all'euro. La Grecia non è riuscita a rispettare le regole e i
parametri necessari per essere ammessi al nuovo sistema monetario. Lo stesso
giorno è stato ufficializzato l'organo di guida e di controllo della Banca
Centrale Europea. Fra i suoi componenti anche un italiano: Tommaso Padoa
Schioppa. In questa sede prende avvio anche il SEBC.
DICEMBRE 1998
Vengono fissate dalla BCE i cambi definitivi tra le
monete europee e l'euro. Prende avvio l'ultima fase dell'introduzione della
moneta unica.
1 GENNAIO 1999
Nasce l'Euro virtuale. Le banche, le istituzioni
europee, le amministrazioni degli Stati europei opereranno in euro. Tutti i
cambi tra le monete e gli scambi in borsa saranno in euro. Per cambiare le lire
in marchi tedeschi sarà necessario convertire le lire in euro e poi in gli euro
in marchi. Per le aziende comincia un periodo transitorio dove non vi saranno
imposizioni né regole. Tuttavia, proprio per una maggiore competitività sul
mercato europeo molte di loro cominceranno da subito a redigere i propri listini
in euro. Anche i bilanci aziendali potranno essere redatti in euro. Buste paga,
bollette telefoniche, estratti conto bancari, e prezzi nei negozi saranno nelle
due valute. Tuttavia l'euro come moneta non esisterà ancora ed, escludendo
qualche esperimento locale, il vero euro non sarà in circolazione.
|
Marco tedesco |
Peseta spagnola |
Franco francese |
Sterlina irlandese |
Lira Italiana |
Franco belga |
Fiorino olandese |
Scellino austriaco |
Scudo portoghese |
Marco finlandese |
|||
1 euro = |
1,95583 |
166,386 |
6,55957 |
0,787564 |
1936,27 |
40,3399 |
2,20371 |
13,7603 |
200,482 |
5,94573 |
I tassi di cambio bilaterali (valori indicativi, da non usare nelle conversioni)
|
Marco tedesco |
Peseta spagnola |
Franco francese |
Sterlina irlandese |
Franco belga |
Fiorino olandese |
Scellino austriaco |
Scudo portoghese |
Marco finlandese |
Lire |
989,999 |
11,6372 |
295,182 |
2.458,55 |
47,9988 |
878,641 |
140,714 |
9,65807 |
325,657 |
1 GENNAIO 2002
Finalmente l'euro tangibile. Dopo tanto parlarne
potremo realmente vedere e usare la nuova moneta. Le lire come tutte le altre
valute europee non spariranno ancora ma saranno gradualmente ritirate dal
mercato per lasciare spazio al nuovo sistema monetario.
1 LUGLIO 2002
Le valute degli stati
europei aderenti all'euro cessano di avere valore legale. Potranno essere ancora
cambiate in euro solo presso le Banche centrali. Il sogno di un'Europa unita si
concretizza con la nuova moneta europea. Da questo momento gli stati europei
opereranno tutti insieme per un miglioramento dell'economia e un miglioramento
della vita in tutta l'Europa.
L’avvento dell’Unione economica e monetaria
rappresenta sicuramente un evento di portata storica, con effetti notevoli dal
punto di vista economico, senza trascurare le sue implicazioni nella sfera
giuridica e politica. La sua realizzazione consentirà di risparmiare i costi di
transizione legati alle operazioni in cambi tra le valute partecipanti: si
potranno scambiare merci, servizi e attività finanziarie all’interno
dell’Unione monetaria senza dover cambiare valuta per ogni operazione. Questo
guadagno, tuttavia, non sembra essere particolarmente elevato. Inoltre, esso
sembra essere un vantaggio per la collettività nel suo complesso, ma anche una
perdita per il settore bancario: evidentemente vi sono una serie di profitti
sull’attività in cambi destinati a scomparire. Un altro beneficio connesso
all’Ume (Unione monetaria europea) risiede nell’eliminazione dell’attuale
eccessiva variabilità dei cambi (naturalmente, sempre per i Paesi
partecipanti). Questo potrebbe avere conseguenze positive in termini di un
aumento dei flussi commerciali internazionali: si ritiene infatti che le
decisioni di scambio con l’estero (e conseguentemente di produzione al fine di
scambiare con l’estero) siano facilitate dalla certezza sui tassi di cambio.
Tuttavia, il beneficio principale della
partecipazione all’Ume, soprattutto per un Paese come l’Italia, consiste
nella sensibile riduzione dei tassi d’interesse. Questi, infatti, sono legati,
a livello internazionale, da una relazione nota come “parità scoperta”: ad
esempio, i tassi italiani devono essere uguali a quelli tedeschi, più la
svalutazione attesa del cambio lira-marco tra oggi e la scadenza delle attività
finanziarie considerate; l’Ume azzererebbe la svalutazione attesa, consentendo
una convergenza dei tassi verso quelli tedeschi, con un duplice vantaggio:
-
una riduzione sostanziale dell’onere di interessi per il settore
pubblico, rendendo assai meno costoso per la collettività l’aggiustamento dei
conti pubblici;
-
uno stimolo agli investimenti privati e quindi una maggiore crescita
della produzione dell’occupazione.
L’altro lato della medaglia è rappresentato dai
costi dell’Ume. È opportuno distinguere tra i costi legati alla transizione e
quelli che rimarranno per sempre. Dei primi si dirà oltre, quando si descriverà
lo scenario di transizione. Quanto ai costi permanenti, essi sono riassumibili
nella perdita della flessibilità del cambio quale meccanismo di aggiustamento
degli squilibri tra i diversi Paesi. Quando un Paese registra per un lungo
periodo un tasso d’inflazione più elevato che nei Paesi concorrenti, o
comunque la sua economia è caratterizzata da un deficit della bilancia
commerciale, un modo per riguadagnare competitività e per ristabilire
l’equilibrio è quello di fare una svalutazione della propria moneta. La
mancanza di questa “valvola di sfogo”, in mancanza di altri meccanismi di
aggiustamento (quali la flessibilità dei prezzi e dei salari o la mobilità del
lavoro) può comportare il protrarsi della situazione di squilibrio, generando
problemi di indebitamento con l’estero, di riduzione delle riserve ufficiali e
di disoccupazione dovuta a perdita di competitività.
Come noto, il Trattato di Maastricht prevede che i
Paesi partecipanti all’Ume soddisfino i criteri di convergenza descritti a
pag. 41. La giustificazione di questi criteri consiste nel fatto che essi
rappresentano una garanzia di stabilità monetaria per tutti i Paesi
partecipanti all’Ume, favorendo il perseguimento della finalità istituzionale
della Banca Centrale Europea, cioè la stabilità del livello dei prezzi.
Inoltre, la stabilità monetaria garantisce che non si creino squilibri tra le
economie dei Paesi partecipanti, tali da minare la coesione tra i Paesi stessi e
da generare tensioni tra di essi (quali una perdita di competitività di uno
Stato rispetto a un altro a causa di un significativo differenziale
d’inflazione; oppure la difficoltà di finanziare un debito pubblico elevato
di un Paese, con il conseguente effetto di condizionamento sulla politica
monetaria).
I criteri riguardanti la finanza pubblica sono quelli
più delicati: essi impongono infatti notevoli sforzi agli Stati membri; inoltre
alcuni Paesi, una volta entrati a far parte dell’Ume, potrebbero essere
tentati di attuare una politica fiscale deviante rispetto a tali parametri. La
procedura prevista dal Trattato in relazione ai disavanzi eccessivi, infatti,
non sembra particolarmente vincolante. Per questo motivo, il Consiglio Europeo
tenuto a Dublino nel dicembre del 1996 ha raggiunto un accordo sul Patto di
stabilità proposto dal Governo tedesco. Secondo questo accordo, in caso di
sfondamento del limite del 3% relativo al disavanzo tra deficit e Pil, e qualora
non venissero rispettate le raccomandazioni del Consiglio relative al
risanamento del bilancio pubblico, un Paese verrebbe sanzionato mediante un
deposito infruttifero pari allo 0,2% del Pil, più un ulteriore 0,1% per ogni
ulteriore punto di sfondamento, fino a un massimo pari allo 0,5% del Pil; se
dopo due anni il Paese non si fosse ancora rimesso in regola, il deposito
verrebbe definitivamente requisito dall’UE, a favore del bilancio comunitario.
Sono previste delle esenzioni a queste sanzioni, ma solo in caso di recessione.
La finalità del Patto di stabilità è molto chiara:
poiché il Trattato non prevede interventi automatici e con tempi prefissati in
caso di disavanzi eccessivi di qualche Paese membro, il Patto è volto proprio a
colmare questa lacuna. Lo spirito sottostante all’accordo è condivisibile:
occorre infatti evitare che il comportamento deviante di un Paese possa minare
la stabilità finanziaria nell’intera area dell’euro, portando ad un aumento
dei tassi di interesse. D’altra parte, bisogna ammettere che la sua
applicazione potrà creare qualche problema: in particolare, la penalizzazione
degli Stati che già si trovano in gravi difficoltà di bilancio potrebbe essere
una soluzione inefficiente, rendendo ancora più difficile per quei Paesi il
ripristino di una situazione di equilibrio finanziario.
All’inizio del periodo di transizione, i tassi di
cambio tra le valute dei Paesi partecipanti sono stati fissati irrevocabilmente:
da questo punto di vista si può dire che l’Ume ha già cominciato dal 1°
gennaio 1999, poiché avere tassi di cambio completamente fissi equivale ad
avere la moneta unica, non potendosi verificare svalutazioni o rivalutazioni di
una valuta rispetto alle altre. Tuttavia è già stato visto come le nuove
banconote e monete non saranno in circolazione per tutto il triennio. Il ruolo
dell’euro è comunque importante in tutto questo periodo, poiché esso viene
utilizzato in un notevole numero di transazioni, denominate “massa critica”
(secondo la terminologia della Commissione).
Anzitutto l’euro è divenuto subito la moneta
bancaria: i rapporti con le banche e le rispettive banche centrali sono in euro,
ovverosia le operazioni di politica monetaria vengono effettuate in moneta
unica: rifinanziamento (anticipazioni), operazioni di mercato aperto, interventi
sul mercato dei cambi (valute di Paesi esterni). Inoltre, il sistema dei
pagamenti interbancari sta passando passare all’euro, così come il mercato
interbancario e quello dei cambi.
In secondo luogo, le nuove emissioni di titoli
pubblici sono in euro. E i titoli già esistenti? Questo è un aspetto che non
era ancora stato completamente definito fino a pochissimo tempo fa. Comunque ora
è definitivo che anche i titoli già emessi siano oggetto di conversione nel
periodo di transizione.
Infine, in tutte le altre operazioni finanziarie i
privati sono liberi di utilizzare l’euro al posto delle valute nazionali, ove
possibile, ma non sono obbligati a farlo (ad esempio: alcune banche offrono ai
clienti interessati di avere dei conti correnti in euro; le imprese possono
emettere titoli di debito in euro). Chiunque abbia un debito monetario in lire
può già, infine, scegliere di effettuare l’addebito su un proprio conto in
euro, invece che in lire, la tasso ufficiale di conversione. Da parte sua, il
creditore può optare indifferentemente per un accredito in lire o in euro
(sempre che disponga di un conto corrente in euro, oltreché in lire). Soltanto
nel primo semestre del 2002 le valute nazionali scompariranno completamente per
lasciare posto all’euro in tutte le operazioni: dal 1° luglio 2002, perciò,
tutti i titoli e i debiti, nonché i prezzi di tutte le merci e servizi, saranno
denominati in euro.
E’ già stato visto come l’Ume (o UEM) abbia
portato alla creazione del SEBC e della BCE, istituzioni che detengono dei
validi strumenti operativi da utilizzare nella realizzazione della politica
monetaria unica.
Il Sistema Europeo di Banche Centrali è costituito
dalla Banca Centrale Europa e dalle banche centrali degli Stati membri
dell’Unione. Il SEBC è retto dagli organi direttivi della BCE, la quale,
oltre a essere titolare del diritto esclusivo di autorizzare l’emissione di
banconote, stabilisce i principi per le operazioni di credito e di mercato
aperto, può obbligare gli enti creditizi a detenere riserve minime e, in
particolare, prende decisioni relative agli obiettivi monetari intermedi, ai
tassi di interesse guida e agli strumenti di politica monetaria. La stessa BCE
può anche svolgere compiti specifici in merito alle politiche che riguardano la
vigilanza prudenziale degli enti creditizi. Le banche centrali nazionali,
quindi, diventeranno le braccia operative del Sistema.
Il supremo organo di politica monetaria è il
Consiglio direttivo, che prende le decisioni relative agli obiettivi monetari
intermedi, ai tassi di interesse guida e all’offerta di base monetaria. Tali
decisioni vengono attuate dal Comitato esecutivo, che provvede a impartire le
necessarie istruzioni alle banche centrali nazionali. Il comitato esecutivo si
compone di un presidente, un vicepresidente e quattro membri, tutti nominati dai
Governi degli Stati partecipanti all’Ume. I componenti del Comitato esecutivo
rimangono in carica per otto anni. Il Presidente presiede anche il Consiglio
direttivo, e rappresenta la BCE all’esterno. Il Consiglio direttivo si compone
dei membri del Comitato esecutivo e dei Governatori delle banche centrali
nazionali. Esiste inoltre un terzo organo decisionale, il Consiglio generale
svolge ruoli prevalentemente consultivi e informativi, fra i quali spicca la
responsabilità di valutare il grado di convergenza degli Stati inizialmente
esclusi dalla terza fase dell’Unione, in vista di una successiva ammissione.
L’ORGANIZZAZIONE DEL SEBC
Il Trattato garantisce l’indipendenza del SEBC. In
particolare, esso prevede le seguenti garanzie di autonomia della politica
monetaria:
Ï
i membri
degli organi decisionali rimangono in carica per otto anni e possono essere
rimossi dall’incarico solo se commettono gravi mancanze o non soddisfano più
le condizioni richieste per l’espletamento del mandato;
Ï
è
espressamente vietata la concessione di scoperti di conto o qualsiasi altra
forma di facilitazione creditizia da parte della BCE o da parte delle banche
centrali nazionali a istituzioni o agli organi della Comunità, alle
amministrazioni statali, agli enti regionali, locali o altri enti pubblici;
Ï
la BCE ha
piena responsabilità in merito alla scelta degli obiettivi intermedi, alle
decisioni relative ai tassi di interesse guida e all’offerta di base
monetaria. L’obiettivo finale (la stabilità dei prezzi) è invece fissato
dallo Statuto.
Per quanto attiene alla vigilanza prudenziale sul
sistema bancario, il Trattato di Maastricht e di Amsterdam non assegnano un
ruolo estensivo al SEBC in questo campo, ma lasciano al Consiglio europeo il
compito di affidare alla BCE eventuali compiti specifici in materia, e
attribuisce al SEBC una funzione di supporto e consultiva a favore delle
competenti autorità nazionali e comunitarie. Si è quindi optato per una
separazione tra le due responsabilità: quella sulla politica monetaria e quella
sulla stabilità del sistema bancario, isolando così la prima da qualsiasi
interferenza che possa eventualmente derivare dalla seconda.
Prevarrà quindi un assetto diverso da quello
attualmente in vigore in numerosi Paesi europei (tra cui l’Italia) nei quali
le due responsabilità sono accentrate presso la banca centrale. Le banche
centrali dell’UE che attualmente ricoprono un ruolo di supervisione
prudenziale potranno continuare a farlo, ma sotto la loro responsabilità (cioè
non come membri del SEBC) e soprattutto senza effettuare alcuna operazione che
la BCE giudichi in contrasto con gli obiettivi
della politica monetaria unica. Coerentemente con quest’impostazione, né il
Trattato né lo Statuto affidano esplicitamente al SEBC quale prestatore
d’ultima istanza, se non per quanto riguarda le esigenza di liquidità a
brevissimo termine del sistema bancario, al fine di assicurare il buon
funzionamento del sistema dei pagamenti.
In base agli orientamenti dell’Ime, è possibile
delineare i caratteri fondamentali che ispireranno l’attività operativa del
SEBC. Lo strumento principale di regolazione della liquidità e dei tassi
d’interesse sarà costituito dalle operazioni di mercato aperto: all’interno
di queste, il ruolo principale sarà affidato alle operazioni temporanee
(pronti/termine) in titoli, ma vi saranno anche operazioni definitive. Il tasso
p/t sarà quello da cui trarre immediate informazioni sugli indirizzi della
politica monetaria. Questo tasso, così come gli altri del mercato monetario, si
muoverà all’interno di un corridoio, delimitato superiormente e inferiormente
dai tassi sulle standing facilities, cioè rispettivamente:
a
anticipazioni,
concesse a tassi superiori a quelli di mercato: queste costituiranno il
rifinanziamento marginale, a cui potranno fare ricorso le banche per fare fronte
a carenze di liquidità;
a
depositi,
remunerati a tassi inferiori a quelli di mercato: poiché le banche potranno
impiegarvi le eccedenze di liquidità, il tasso su questi depositi fornirà un
“pavimento” ai tassi del mercato monetario.
Tutti gli interventi del SEBC sui mercati e presso
gli intermediari avvengono in euro dal 1° gennaio 1999. Questo implica che, fin
dall’inizio del periodo di transizione, vengono effettuate in euro tutte le
operazioni di politica monetaria, comprese quelle sui cambi: sono scomparse
quindi le operazioni sulle singole valute dei Paesi membri contro quelle dei
Paesi terzi. La gestione della politica dei cambi sarà anch’essa improntata
al principio dell’unicità, per il quale al responsabilità ultima delle
decisioni in materia di interventi sul mercato dei cambi spetterà alla BCE.
La BCE ha anche il potere di definire i requisiti di
riserva obbligatoria imposti dalle banche degli Stati membri. È presumibile,
nonché auspicabile, che tali requisiti vengano posti ad un livello minimo,
ovverosia quello giudicato sufficiente per il buon funzionamento del sistema dei
pagamenti: la possibilità di mobilizzare la riserva obbligatoria costituisce
una fonte di liquidità infragiornaliera, che riduce la necessità di
rifinanziamento da parte del SEBC. Questa dovrebbe essere l’unica rilevante
funzione dello strumento, dato che le più tradizionali finalità di controllo
monetario e prudenziali erano precedentemente perseguite attraverso altri
strumenti. Inoltre, l’esistenza di coefficienti di riserva differenti da Paese
a Paese introduce notoriamente distorsioni competitive, creando l’evidente
necessità di un’armonizzazione in questo campo.
COSA
CAMBIA IN AZIENDA
Le imprese non finanziarie, contrariamente alle
banche e agli altri intermediari finanziari, non hanno subito un mutamento così
drastico già a partire dal 1° gennaio 1999, per quanto riguarda gli aspetti
tecnico-pratici della transizione alla moneta unica. Tuttavia, esse saranno
interessate subito dai rilevanti effetti economici dell’Ume e saranno
gradualmente coinvolte nel processo di realizzazione della stessa.
Dal punto di vista economico, l’eliminazione del
rischio di cambio (verso i Paesi dell’area dell’euro) rappresenta infatti un
cambiamento fondamentale: il rischio insito nella variabilità del cambio può
essere visto come un costo per le imprese, destinato a scomparire all’interno
dell’Ume. Tuttavia, non bisogna dimenticare i vincoli derivanti da questo
stesso passaggio: il fatto di non poter più ricorrere a svalutazioni della
propria valuta impone a ciascun Stato di non accumulare divari di competitività
con altri Paesi membri; occorrerà quindi uno stretto controllo dei costi e
della produttività, al fine di evitare significative e prolungate differenze di
inflazione rispetto agli altri Paesi.
Per quanto attiene ai problemi tecnici della
transizione, è chiaro che il mondo delle imprese deve cominciare fin d’ora a
predisporre gli adattamenti necessari. Anzitutto, nei loro rapporti con le
banche esse dovranno decidere in quale misura avvalersi di servizi (depositi,
finanziamenti, pagamenti) denominati in euro fin dall’inizio del periodo di
transizione. Analogamente, nei rapporti con la clientela, ciascuna impresa dovrà
valutare in quale misura “giocare d’anticipo”, passando all’euro
nell’indicazione dei prezzi e nella fatturazione; ciò che di fatto accade è
una doppia indicazione di prezzo (sia in valuta nazionale sia in euro).
Nell’accesso ai mercati finanziari, la possibilità
di emettere titoli di debito in euro e il passaggio del mercato monetario e
finanziario alla moneta unica hanno imposto l’adozione di scelte strategiche
importanti nell’area finanza delle imprese: soprattutto le tesorerie delle
imprese medio-grandi, attive sui mercati dei capitali nazionali e
internazionali, sono coinvolte in misura notevole.
Infine, un passaggio cruciale per ciascuna impresa
risiederà nell’introduzione della contabilità in euro: a questo fine,
occorre che la pubblica amministrazione definisca per tempo un quadro
regolamentare preciso, con particolare riguardo alla possibilità di versare le
imposte in euro e alle modalità per cambiare la denominazione del capitale
sociale.
L’utilizzo dell’euro come moneta avente corso
legale negli Stati che partecipano all’Ume darà luogo al cambiamento della
moneta di conto con cui sono redatti i bilanci, determinando problemi sul piano
contabile. Tra questi si segnalano in particolare il problema del
trattamento contabile delle differenze di cambio e il
problema dei costi derivanti dalla conversione
dell’euro.
La Commissione congiunta per i principi contabili di dottori commercialisti e ragionieri ha approvato nell’aprile del 1998 il Documento di lavoro sull’introduzione dell’euro che:
Ï
nella
prima parte riepiloga le fasi e i principi generali dell’introduzione
dell’euro nonché le conseguenze per le imprese;
Ï
nella
seconda parte fornisce i primi chiarimenti in materia di trattamento contabile e
rappresentazione in bilancio degli effetti dell’introduzione dell’euro.
Con l’applicazione del tasso fisso di conversione
(lira/euro) a partire dal 1° gennaio 1999 tutti i crediti e i debiti espressi
in una moneta a tasso fisso di conversione non sono più soggetti a rischio di
cambio: se un credito o un debito sono sorti dopo il 31 dicembre 1998 si riceverà
(o si pagherà) un ammontare predeterminato di lire o euro in quanto e
predeterminato e invariabile il tasso di cambio. Con riferimento ai crediti e
debiti sorti prima del 31 dicembre 1998 l’introduzione dell’euro e ancor
prima la determinazione dei tassi di cambio fissi e irreversibili tra i Paesi
aderenti all’UEM fanno sorgere problemi in ordine al trattamento contabile
delle differenze di cambio, in relazione sia alle poste di Conto Economico sia a
quelle di Stato Patrimoniale.
Il trattamento contabile di queste differenze è
diverso se riferito a partite monetarie o a partite non monetarie.
Il Documento fornisce indicazioni con riferimento al
trattamento contabile dei costi sostenuti per l’introduzione dell’euro.
In primo luogo vengono richiamati i principi generali
in base ai quali:
i costi
sostenuti per mantenere in efficienza un sistema, un programma o un singolo
strumento e adattarlo alle nuove esigenze, sorte a causa di modifiche
legislative e regolamenti, rappresentano costi d’esercizio e come tali devono
essere imputati a Conto economico;
i costi che non
esauriscono la loro utilità nell’esercizio di sostenimento ma manifestano la
capacità di produrre benefici economici futuri devono essere patrimonializzati,
cioè in quanto di utilità pluriennale, devono essere considerati come elementi
attivi del patrimonio e devono partecipare alla formazione del risultato
economico di più esercizi mediante la procedura di ammortamento.
Sulla base di tali premesse il Documento ha stabilito
che:
i costi di
adattamento all’introduzione dell’euro hanno la stessa natura dei costi
ordinari; essi vanno imputati per natura nel Conto economico tra i costi della
produzione;
se i costi di
conversione sono rilevanti è necessario che la Nota integrativa indichi il loro
ammontare e la loro collocazione nelle voci dei costi della produzione, così da
evidenziare che si tratta di costi di natura non ricorrente;
i costi di
adattamento all’introduzione dell’euro sono patrimonializzabili soltanto se
questo è consentito dalla loro natura e destinazione. In questo caso si seguono
le regole applicabili nella redazione del bilancio d’esercizio, nel rispetto
delle norme del codice civile;
qualora a causa
dell’introduzione dell’euro venga a ridursi la residua possibilità di
utilizzazione di alcune immobilizzazioni immateriali e materiali, si deve
procedere all’applicazione di un nuovo piano di ammortamento.
Con riferimento alla possibilità che le imprese
prevedano accantonamenti per i costi da sostenere in vista della transizione
all’euro, il Documento stabilisce che fino a quando non sia sorta
un’obbligazione certa o possibile, indeterminata solo per quanto concerne
l’ammontare o la data del pagamento nei confronti di uno o più fornitori
identificati o identificabili, non è possibile imputare al Conto economico un
accantonamento per costi di conversione e accreditare nello Stato patrimoniale
un corrispondente fondo oneri.
Qui di seguito viene presentato un schema che
riassume, per ogni settore aziendale, qualsiasi tipo di problema che si può
verificare e la logica per affrontarlo. È composto in modo da presentare la
situazione di una qualsiasi azienda già avviata che deve passare alla moneta
unica:
Settore e problema
|
Logica aziendale |
Commerciale |
|
L’azienda commercializza i propri prodotti nei Paesi UEM? |
Saranno i primi Paesi ad essere toccati dal tema dell’euro |
L’euro potrà creare nuove opportunità di mercato per l’azienda? |
Occorre imparare a riflettere sull’euro come opportunità, non solo come evento cui adattarsi |
La moneta unica potrebbe avere rimosso delle barriere (es. rischio di cambio) che ostacolavano l’export dell’azienda |
|
Si è valutato l’impatto generale dell’euro sul mercato dell'azienda? |
Occorre considerare le caratteristiche generali del mercato e ipotizzare le possibili conseguenze dell’euro |
Si sa come l’euro influenzerà i propri clienti? |
E' opportuno guardare ai mercati dei propri clienti: se saranno impattati dall’euro, la capacità di presentarsi come "euro partner" ai propri clienti potrà essere un forte elemento competitivo |
Si conosce che strategia adotteranno rispetto all’euro i clienti principali? |
Nel caso in cui ritengano di passare immediatamente all’euro, potrebbe essere opportuno compiere la stessa scelta nell’azienda |
I potenziali concorrenti sono in Paesi UEM? |
Se fanno parte dell’UEM potranno maggiormente beneficiare dei vantaggi dell’euro |
I concorrenti principali hanno già espresso indicazioni circa la loro politica verso l’euro? |
Il comportamento dei concorrenti influenza quello dell'azienda: hanno definito nuove politiche di prezzo? Guardano ad altri mercati? Come gestiranno la comunicazione verso i clienti? |
Si sono individuati i fattori che li hanno per ora tenuti fuori dal mercato dell'azienda? |
Se un fattore fosse proprio quello delle oscillazioni dei cambi - tanto più vero quanto più i nostri concorrenti appartengono a Paesi tradizionalmente a valuta forte - è necessario stare attenti! |
Organizzazione
commerciale |
|
Nel caso in cui l’azienda esporti nell’UEM, la sua organizzazione commerciale cambierà con l’euro? |
Le vendite nell’UEM potrebbero iniziare a essere considerate "domestiche" |
Nel caso in cui l’azienda esporti nell’UEM, viene effettuata una segmentazione del mercato (stesso prodotto, prezzi diversi in mercati diversi)? |
E’ una pratica molto diffusa e sensata: con l’euro non si creerà affatto un unico mercato standard, ma occorre comunque tenere conto di alcuni effetti |
Si è valutata l’importanza di questa segmentazione e le soluzioni alternative? |
Con l’euro queste segmentazioni restano comunque possibili, ma sono maggiormente a rischio in quanto immediatamente verificabili |
Si è considerata una politica di prezzo unico su tutti i mercati euro? |
Ridurrebbe i costi di marketing (es.: tutta la documentazione commerciale in una sola valuta) dando un’immagine "europea" all’azienda |
L’euro consentirebbe lo sviluppo di modalità di vendita alternative (es. commercio elettronico)? |
Con prezzi chiari per tutti i Paesi UEM ed esenti dall’incertezza del cambio, si può raggiungere un pubblico molto maggiore di potenziali consumatori senza far crescere la propria struttura commerciale |
Anche se l'azienda ha un mercato esclusivamente locale e non intende esportare ci sono clienti provenienti da altri Paesi dell’UEM (es. turisti)? |
Anche se non si vende all’estero, degli stranieri possono venire a comprare dalle aziende italiane, specie in un Paese a forte presenza turistica come l’Italia. |
Si sono valutati i benefici che una politica dei prezzi in euro potrebbe portare su questa fascia di clienti? |
Il cliente straniero avrebbe un’immediata comprensione del costo del bene/servizio. Se questo è un fattore di competitività rispetto al Paese di provenienza del cliente, conviene evidenziarlo. Potrebbe beneficiarne anche l’immagine aziendale. |
Si è pensato a un sistema pratico e conveniente di doppia prezzatura? |
Sarà obbligatoria nel 2002; qualcuno ha già iniziato a usarla "per immagine" già dal 1° gennaio 1999. Dal punto di vista normativo si attendono decisioni definitive, ma conta di più il comportamento del mercato |
Che strumenti di pagamento dal pubblico accetta l’azienda? |
Dal
1999 alla fine del 2001, l’euro è solo scritturale e può essere
utilizzato per pagamenti che non richiedono contante. Se accetta carte di
credito occorre contattare le società emittenti per sapere quale politica
hanno verso la moneta unica; se utilizza dei POS occorre contattare la
banca titolare. Ci potrebbero essere degli adattamenti anche a livello di
hardware con conseguenti costi |
Se non accetta altro che contante, non ritiene opportuno verificare l’utilizzo di sistemi alternativi (carte di credito, POS)? |
Può essere l’occasione per modernizzare i sistemi di pagamento. Resta sempre aperta la possibilità degli assegni in euro |
Per i contanti, si è analizzato come gestire il problema della doppia valuta? |
Dal
1° gennaio 2002 si dovranno accettare banconote in due valute diverse |
Nel caso in cui non ci si intenda attrezzare per un pagamento in euro, si è valutato come reagire quando questo ci verrà proposto? |
Finché non ci saranno le banconote euro, è tecnicamente possibile non accettare un pagamento in euro: ma è commercialmente sensato? |
Nell’impresa ci sono macchine automatiche (per i clienti o il personale)? |
Occorre contattare il fornitore per prevederne la conversione in euro al più presto quando sarà disponibile il contante in euro |
Politiche
di prezzo |
|
I prezzi al consumatore finale vengono stabiliti direttamente dall’azienda? |
In
tal caso l’azienda deve riadattare le proprie politiche alla nuova
moneta ed al nuovo mercato |
La fissazione dei prezzi dei prodotti dell’azienda tiene conto della loro dimensione "psicologica"? |
Esistono categorie psicologiche di prezzo (ecco perché tanti 1.990, 9.900, 16.900. ecc.). Con la conversione il meccanismo salta |
Si sono valutate che conseguenze potranno avere le conversioni in euro? |
Occorre vedere "come si presentano" i nuovi listini in euro |
Occorre ridefinire una nuova politica dei prezzi? |
E’ tanto più probabile quanto più l’azienda si rivolge direttamente al pubblico |
Occorrerà intervenire sul confezionamento dei prodotti per non modificare la struttura dei prezzi? |
Se è rilevante la dimensione psicologica, potrebbe essere necessario cambiare quantità, packaging o altro per ripristinare i "prezzi psicologici" dopo la conversione in euro |
Se i prezzi al consumatore finale non vengono stabiliti dall’azienda, occorrerà prendere accordi con chi effettivamente li fissa. |
Se il prezzo finale viene stabilito da grossista o dettagliante potrebbe essere necessario accordarsi con lui circa la gestione della conversione. Prestare attenzione ai suoi problemi nella fase di conversione potrebbe essere un elemento di aumento della competitività. |
Si è valutato da quando avviare la prezzatura in euro sui mercati esteri (sia UEM che extra UEM)? |
Dal 2002 sarà indispensabile: occorre valutare se partire in anticipo |
Si è valutato quando avviare la doppia prezzatura lire/euro? |
In mancanza di obblighi, un maggiore anticipo ha sostanzialmente effetti di immagine, ma per il 2002 sarà indispensabile prepararsi in anticipo |
Si sono valutati i costi collegati alla doppia prezzatura, specie in termini di gestione contabile? |
In caso di doppia prezzatura occorre comunque identificare quale è la valuta nella quale verrà effettuato il conteggio finale. |
Quali strumenti si intendono utilizzare per la doppia prezzatura? |
I fornitori di etichette e strumenti per etichettare hanno messo a punto qualche soluzione? |
Comunicazione
esterna |
|
Si è identificato tutta la documentazione (cartacea e non) che riporta i prezzi in lire per valutarne l’eventuale aggiornamento? |
Coerentemente con le altre scelte aziendali in materia di euro, è necessario censire tutta la documentazione che dovrebbe essere aggiornata per garantirne l’omogeneità e valutare il costo di aggiornamento |
Si è tenuto conto delle modifiche comportate dall’euro nella pianificazione degli acquisti di documentazione che dovrà essere modificata (depliant, modulistica, ecc.)? |
Occorre non trovarsi con scorte eccessive di documentazione che con il passaggio all'euro diverrà obsoleta |
L’euro può diventare uno strumento di marketing per l’azienda? |
Può dare all’azienda un’immagine di avanguardia, capacità di rapido adattamento alle nuove condizioni, proattività, dimensione europea |
Si ritiene di dover sviluppare una politica di comunicazione verso i propri clienti relativamente alla politica aziendale sull’euro? |
Ad esempio per informarli della disponibilità ad utilizzare l’euro se lo ritengono opportuno, o per garantire informazione e trasparenza nella transizione dei prezzi da una valuta a un’altra |
Tra i clienti ci sono le cosiddette "fasce deboli" della popolazione (es. anziani)? |
Le fasce deboli sono quelle che richiederanno maggior assistenza: una politica mirata a questo può elevarne il grado di fidelizzazione |
Sono stati previsti degli strumenti di comunicazione e assistenza ai clienti? |
Una comunicazione chiara può rassicurare il cliente in una fase di confusione |
Si è verificata l’opportunità di promuovere e/o aderire a iniziative di comunicazione sul tema della moneta unica? |
Soprattutto attività di piccole dimensioni possono beneficiare di iniziative di maggiore respiro promosse, ad esempio, dalle Associazioni di categoria o di zona (es. esercizi commerciali) |
Legale |
|
Si hanno contratti la cui scadenza è oltre il 1° Gennaio 2002? |
Già dal 1999 alcune cose cambieranno (es.: sparirà il Tasso Ufficiale di Sconto, ma è dal 2002 che si manifestano gli effetti maggiori con l’uscita di corso della lira |
All’interno di questi contratti, quanti sono legati a valute della futura area dell’UME, quanti all’andamento dei tassi di interesse? |
I contratti potrebbero essere legati a valute che non esisteranno più (quelle assorbite dall’euro), o prevedere tassi di interesse influenzati dalla moneta unica (che ne provocherà una tendenziale omogeneizzazione verso i livelli più bassi) |
Si è verificato l’effetto dell’euro su questi contratti? |
Sulla base delle informazioni disponibili, può essere utile effettuare delle simulazioni per vedere le conseguenze pratiche |
Si ritiene di dover contattare la controparte per ridiscuterne il contenuto o le condizioni? |
L’euro non è una causa per rescindere contratti anche se ne modifica gli oneri per le parti; alle parti è comunque garantito il diritto di modificare il contratto |
Si prevede di firmare contratti la cui scadenza sarà oltre il 1° Gennaio 2002? |
Ci si può premunire con opportune clausole se si prevedono contratti che saranno influenzati dall’arrivo dell’euro |
Se sì, si pensa di dover introdurre delle clausole legate alla moneta? |
Può essere utile prevedere una possibilità di revisione del contratto con la definizione definitiva. |
Si tiene sotto controllo la legislazione nazionale per verificare quali obblighi bisogna ottemperare? |
Per esempio, il nuovo rispetto dei minimi di capitale sociale per le società di capitale, o l'indicazione di nuovi parametri finanziari. |
Si ritiene di dover intervenire sul capitale sociale una volta che questo verrà convertito in euro |
Questa manovra, semplificata, richiede un intervento sulle riserve. |
Formazione
del personale |
|
Tutto il personale è stato informato della politica aziendale in fatto di moneta unica? |
L’euro tocca tutte le dimensioni aziendali e tutti i cittadini: sotto queste due vesti tutti i lavoratori devono avere l’informazione di base su come intendersi muoversi l’azienda in questo passaggio |
E’ stata prevista della formazione ad hoc per il personale più direttamente coinvolto nella transizione (es. contabilità, commerciale, sistemi informativi)? |
Certe funzioni devono essere in grado da subito di dialogare di euro con clienti, fornitori, pubblica amministrazione: devono a questo scopo essere formati |
E’ stata definito un calendario di formazione (per differenti figure professionali, livelli di approfondimento, ecc.) e le risorse necessarie per la sua realizzazione? |
L’azienda
deve pianificare a priori le attività di formazione del personlae per non
trovarsi impreparata all’ultimo momento |
Quando l’azienda prevede di utilizzare l’euro nei propri rapporti coi dipendenti? |
Obbligatoriamente dal 1° Gennaio 2002, ma potrebbe essere utile una fase di "avviamento" (es. indicando nei cedolini paga il controvalore in euro dal 1999) |
Il personale a contatto con i clienti è in grado di presentare la politica aziendale in fatto di euro? |
Se l’euro è vissuto dall’azienda come opportunità, chi è a contatto con i clienti deve saperla presentare come tale |
Vi
è del personale (ad es. di vendita) in diretto contatto con il pubblico? |
Soprattutto nella fase di doppia circolazione il pubblico dovrà essere informato, assistito e tranquillizzato; servono opportuni strumenti di comunicazione e il personale formato ad utilizzarli per massimizzare il ritorno in termini di fidelizzazione |
Contabilità |
|
La contabilità è in grado di gestire un sistema multivaluta? |
Anche in caso di risposta affermativa occorre verificare se gli algoritmi di conversione sono compatibili con quelli previsti per l'euro. |
Si è deciso da quando l’azienda sarà in grado di fatturare in euro? |
La scelta è strategica: il sistema contabile deve seguire altre considerazioni e supportare l’attività aziendale |
Nel caso di doppia contabilità, si sono previsti sistemi per minimizzare gli errori, ad es. nell’identificazione dei documenti? |
La probabilità di errore nel periodo di transizione è molto elevata: occorre predisporre opportuni sistemi di sicurezza (es. documenti contabili di colori diversi per lire ed euro) |
Si sono verificate le norme nazionali sugli arrotondamenti e il loro trattamento contabile? |
Occorre tenere costantemente sotto controllo la legislazione nazionale. |
Si sono verificate le conseguenze contabili del passaggio all’euro? |
Occorre
controllare le pubblicazioni e le variazioni del Documento |
L’azienda ha a bilancio attività o passività in valute che faranno parte dell’UEM? |
Guadagni o perdite su queste voci saranno determinati al momento della fissazione del cambio dell’euro è potranno avere conseguenze fiscali |
Si hanno sotto controllo le eventuali conseguenze fiscali della conversione in euro sui bilanci? |
Occorre attendere la legge italiana che chiarisca la conversione dei costi storici e dei valori monetari e le loro conseguenze fiscali |
Si sono verificati i costi e benefici di una doppia contabilità? |
Tutti i tecnici sostengono che la doppia contabilità è nettamente la scelta più costosa |
Si è verificata la capacità della Pubblica Amministrazione con cui interagisce l’azienda di gestire rapporti in euro? |
Ai sensi della direttiva del Presidente del Consiglio del Giugno ’97, tutti dovrebbero essere pronti dal 1° Gennaio 1999 sia per quanto riguarda i pagamenti che per le comunicazioni |
Sistemi
informativi |
|
Si è provveduto a definire una strategia complessiva prima di porsi il problema dell'adeguamento dei sistemi informativi? |
I sistemi informativi devono seguire la strategia euro dell'azienda: non bisogna commettere l'errore di credere che l'euro si ad un adeguamento solo tecnico. |
Quali programmi contenenti indicazioni di valuta vengono utilizzati dall’azienda (paghe e personale, contabilità, tesoreria, reporting, controllo gestionale e dei costi, acquisti, sistemi produttivi, fatturazione, spedizione, magazzino, archivi clienti, altro)? |
Occorre verificare tutti i programmi aziendali, dalle applicazioni centrali a quelle sui personal computer (es. fogli elettronici su cui vengono elaborati dati raccolti dal sistema centrale). |
Sono programmi standard o sono stati realizzati appositamente per l’azienda? |
Le due possibilità richiedono interventi diversi. |
Nel caso siano standard, occorre verificare dal fornitore se e come ne è previsto l’adattamento all’euro |
Attenzione che non esiste un software "euro-compatibile" per definizione: ognuno deve valutare questa compatibilità rispetto alle propri esigenze. |
Nel caso siano stati realizzati appositamente, occorre verificare l’opportunità e la possibilità di modificarlo |
Il programma potrebbe essere obsoleto, il fornitore non più disponibile, il linguaggio di programmazione non più diffuso, il costo della modifica non giustificato rispetto alla sostituzione |
Le necessarie modifiche al software rese necessarie dall’euro, possono giustificare una sua sostituzione? |
Occorre una valutazione economica complessiva delle esigenze di adattamento del software |
Si pensa di utilizzare dei convertitori? |
Sono programmi che consentono di memorizzare un unico dato, provvedendo successivamente alla sua visualizzazione in una delle valute prescelte |
Si ritiene necessario convertire in euro anche dati storici (es. per realizzare confronti)? |
Benché nel passato l’euro non esistesse, spesso può essere utile aver un confronto con i dati passati e, dal 2002, sarà indispensabile effettuare questa conversione |
Nel caso si preveda di acquisire prima del 2002 del nuovo software, se ne deve valutare la compatibilità con la strategia euro dell'azienda |
Occorre farsi fornire precise garanzie, quantomeno della disponibilità futura dell’upgrade; dal 1999 i software devono essere perfettamente euro compatibili |
L’azienda ha iniziato a valutare l’esigenza di adattamento dei programmi all’anno 2000? |
A che punto del lavoro di adattamento si è arrivati: analisi, valutazione degli interventi, ecc. |
E’ conveniente associare la transizione all’euro all’adattamento al 2000? |
Benché anno 2000 ed euro siano sostanzialmente differenti, presentano alcuni passaggi in comune (es. mappatura dei sistemi) |
Se la gestione dei sistemi informativi è interna, l’azienda ha identificato come ottenere per i propri tecnici tutte le specifiche necessarie per la transizione? |
|
Quali sistemi da qui al 2002 devono comunque essere sostituiti? |
E’ opportuno integrare gli adattamenti all’interno della normale strategia di manutenzione e ammodernamento dei sistemi |
Utilizziamo l’EDI (Electronic Data Interchange)? Se sì, se ne è verificata l’euro compatibilità? |
Se l’azienda utilizza lo scambio elettronico di documenti deve verificare anche la compatibilità di questi sistemi con l’euro |
Si è valutato il costo di questi interventi e stanziato le risorse (finanziarie, di personale interno, di fornitori esterni) per realizzarli? |
In realtà buona parte dei costi rientrano nel normale budget di manutenzione e aggiornamento dei sistemi. |
Finanza |
|
Si sono verificati i servizi per la transizione all’euro offerti dalle banche con cui lavora abitualmente l'azienda? |
Una volta identificati i servizi necessari occorre verificarne la disponibilità; si può anche verificare in anticipo cosa le banche intendono offrire |
Si ritiene di aver bisogno di servizi che queste banche attualmente non offrono? |
È possibile sfruttare a proprio vantaggio l’accresciuta concorrenza tra le banche verificando quali istituti di credito possono offrire le miglior condizioni |
Si hanno dei conti in valuta estera? |
Se sono valute appartenenti all’UEM potrebbe essere sensato concentrarle in un conto solo in euro, ottimizzando ad es. la gestione dei saldi |
Si ritiene che grazie all’euro si potrà lavorare con meno banche? |
A volte si utilizzano certi istituti di credito per lavorare con una particolare valuta. |
Si è stimato quale potrà essere il risparmio dovuto all’eliminazione dei rischi di cambio tra le valute UEM? |
Questo costo potrà riflettersi sui prezzi ridefinendo la nostra posizione competitiva e così potrà essere per i nostri concorrenti |
Nel caso in cui non si passi immediatamente all’euro, quali dati si ritiene opportuno convertire comunque in euro per informazione all’esterno dell’azienda? |
Può rientrare nella più complessiva attività di comunicazione verso l'esterno dell'azienda pubblicizzare ad es. i dati di sintesi del bilancio, consuntivo o previsionale, in euro |
Con l’euro il mercato finanziario sarà più ampio e offrirà maggiori opportunità di finanziamento: l’azienda è interessata e pronta a cogliere queste opportunità? |
Occorre iniziare a riflettere su possibilità alternative di accesso al credito per sostenere lo sviluppo dell'azienda. |
Si sono verificate le attività e passività finanziarie dell’azienda in funzione delle eventuali conseguenze dell’euro? |
Con la moneta unica i mercati finanziari si modificano sostanzialmente: se ne possono trarre dei vantaggi. |
Se si hanno contratti di assicurazione, occorre contattare la società assicuratrice per conoscere le conseguenze del passaggio all’euro |
|
INDICE DELLE
ABBREVIAZIONI E SIGLE
AUE Atto unico europeo
BCE
Banca centrale europea
BEI
Banca europea per gli investimenti
CECA
Comunità europea del carbone e dell’acciaio
CEE
Comunità economica europea
CEEA
Comunità europea per l’energia atomica
CES
Comitato economico e sociale
CDR
Comitato delle regioni
CG
Corte di giustizia europea
CIG
Conferenza intergovernativa
ECOFIN
Consiglio dei ministri economici e finanziari dell’UE
ECU
European Currency Unit
EURATOM
vedi CEEA
EFTA
European Free Trade Association
FEOGA
Fondo Europeo di orientamento e garanzia agricola
IME
Istituto monetario europeo
OCSE
Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico
OECE
Organizzazione europea per la cooperazione economica
PAC
Politica agricola comunitaria
PESC
Politica europea di sicurezza comune
SEBC
Sistema europeo delle banche centrali
SME
Sistema monetario europeo
TUE
Trattato sull’Unione Europea (Trattato di Maastricht)
UE
Unione Europea
UEM
Unione economica e monetaria
UME
Unione monetaria europea (sinonimo di UEM)
AA.VV.
(1998/99), Rivista n.1,4,5, Edibook,
Milano
AA.VV.
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Atlantide, Roma
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Butticè,
A. – Raponi, D. (1998), Arriva l’euro,
Carmenta Editore, Bologna
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dell’integrazione monetaria, IL Mulino, Bologna
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R. (1998), Consumatori d’Europa,
Marsilio
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Mondadori, Milano
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politica dell’Unione Europea, Laterza, Bari
Mammarella,
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Mulino, Bologna
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ci attende?, Sagittari Laterza, Bari
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Angeli, Milano
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F. (1997), L’euro – aspetti giuridici
ed economici, Edibank, Milano
Secchi,
C. (1998), Verso l’euro, Marsilio
Tremonti
G. (1997), Lo stato criminogeno,
Laterza, Bari
A
tutti quelli che sono riusciti a leggere tutto.
A
Dario Roncadin, per il materiale software fornito.
A
Federico Cattin, per il materiale vario fornito.
Alla
prof.ssa Paola Pagotto, che ha dovuto leggere la prima stesura.
Ai
miei amici, per il sostegno che non è mai mancato.