ArtePhoros  pagine azzurre

PAGINE AZZURRE

 

"Ci interroghiamo sul nostro tempo.

Questa interrogazione

non si esercita in momenti privilegiati, ma precede senza soste,

e fa essa stessa parte del tempo... Un ronzio di domande.

Quanto valgono? Che dicono? Anche queste sono domande...

Quando Javeh domanda ad Adamo: "dove sei?", la sua

domanda significa che ormai l'uomo può essere trovato o situato

soltanto nel luogo della domanda"

M. Blanchot

       L'immagine: splendore della creazione.

                               di  Francesco Chinnici 

L'arte nella sua autenticità è un riflesso dell'eterno splendore divino, di cui l'artista è un segmento. Ogni essere umano è un artista ogni volta che con le sue opere esprime le proprie emozioni, per amare qualcuno o qualcosa.
 
"In principio Dio creò il ciello e la terra. Ora la terra era informe e deserta e le le tenebre ricoprivano l'abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque. Dio disse: «Sia la luce!» E la luce fu. Dio vide che la luce era cosa buona e separò la luce dalle tenebre..."(Gn1,1-4).
La luce è l'elemento con cui l'artista divino, nel gesto primordiale della creazione, rende visibile ogni cosa creata, imprimendo alla materia un'energia dinamica attraverso cui essa può essere modificata, per cui nulla di ciò che esiste è definitivo o immutabile. Il Dio creatore lascia, dunque, che la sua opera venga completata e persino migliorata. Questo compito lo affida proprio ad una sua creatura: l'uomo, che egli ama al punto tale da costituirlo a sua immagine e somiglianza. Quest'immagine rappresenta il nodo fondamentale su cui la teologia, la scienza ed il mondo laico in genere, hanno fatto le loro riflessioni. 

Lungi dal volere esprimere un pensiero puramente teologico, diciamo che un punto di convergenza che accomuna tutti gli ambiti di riferimento speculativo, rispetto all'idea di uomo fatto ad immagine di Dio, è che se esiste una tale possibilità essa è da riferire senz'altro al concetto di libertà, in cui il divino e l'umano si compenetrano. Questo concetto di libertà racchiude in sé una miriade di significati e di valori che aprono orizzonti inimmaginabili, dal punto di vista del pensiero umano, nell'atto in cui esso formula rappresentazioni mentali capaci di usare simboli e costruire un linguaggio. In questo l'uomo si distingue dall'animale e si eleva per poter esprimere la propria similitudine al Dio creatore. L'attività che deriva dall'uso di questa facoltà della mente, permette di esprimere attraverso linguaggi, di cui l'arte è fortemente rappresentativa, le emozioni, le intuizioni e l'universo spirituale che vive in noi e che sarebbe impossibile esprimere con la semplice parola. Questo linguaggio trova pertanto nell'arte una sua forma espressiva che viene comunicata come forza creativa. 

Tale forma di linguaggio rappresenta uno sbocco congeniale all'animo umano, desideroso di comunicare il bene e il bello che vivono dentro di sè come luce che non può essere nascosta. La realtà interiore dell'artista, dunque, diventa non solo opera di rappresentazione, ma soprattutto opera di mediazione, nell'atto in cui egli manifesta l'universo sensibile che è in lui e la maestà sublime ispiratrice e propulsiva di Dio che, donando la propria immagine, lo illumina, lo abbellisce, lo modella, lo trasforma continuamente e attraverso lui fa giungere un raggio dello splendore della propria luce infinita.

 

 Ritorno in Egitto 

di  Francesco Chinnici 

“Sorse sull’Egitto un nuovo re, che non aveva conosciuto Giuseppe. E disse al suo popolo: «Ecco che il popolo dei figli d’Israele è più numeroso e più forte di noi. Prendiamo provvedimento nei suoi riguardi per impedire che aumenti, altrimenti, in caso di guerra, si unirà ai nostri avversari, combatterà contro di noi e poi partirà dal paese». Allora vennero imposti loro dei sovrintendenti ai lavori forzati per opprimerli con i loro gravami, e così costruirono per il faraone le città-deposito, cioè Pitom e Ramses. Ma quanto più opprimevano il popolo, tanto più si moltiplicava e cresceva oltre misura; si cominciò a sentire come un incubo la presenza dei figli d’Israele. Per questo gli Egiziani fecero lavorare i figli d’Israele trattandoli duramente. Resero loro amara la vita costringendoli a fabbricare mattoni e con ogni sorta di lavoro nei campi: e a tutti questi lavori li obbligarono con durezza.

Il tempo durante il quale gli Egiziani abitarono in Egitto fu di quattrocentotrent’anni. Al termine dei quattrocentotren’anni, proprio in quel giorno, tutte le schiere del Signore uscirono dal paese d’Egitto, ordinati secondo le loro schiere” (Es 1,8-14; 12,40-42.51).

                                                                                                

Questa storia che ben conosciamo è la storia di un’oppressione, sopportata dagli israeliti in terra d’Egitto, per mano di un potente faraone che adoperava ogni mezzo per assicurare benessere a se stesso e al regno da lui governato, costringendo quelli che ormai erano divenuti suoi schiavi, a subire pesanti vessazioni sul piano morale, economico e fisico. Questo popolo incapace di uscire dai confini della tirannia soggiogante del faraone, aveva però incontrato l’amore paterno di Dio, che gli rimase sempre accanto e al tempo opportuno, seppe suscitare in lui la forza di reagire a quell’umiliante oppressione.

Dopo quattrocentotrent’anni vissuti in Egitto, molti dei quali trascorsi in schiavitù, gli israeliti finalmente coronano un sogno: ritrovare la libertà e la dignità per ricostruire la propria identità di persone e di popolo, affermando così il diritto ad una storia non più calpestata e mortificata.

 Il Dio di ogni libertà, il Signore della storia, il difensore degli indifesi, custode della dignità di coloro che ne vengono privati, si coinvolge totalmente con loro, intrecciando incredibili e straordinari eventi che riescono a riscattare e a far uscire questo popolo da quella condizione servile, alla ricerca della propria liberazione, sempre più concreta e inarrestabile.

L’emblematica storia d’Israele riguarda tutti noi, perché oltre a ricondurci alle radici di una fede, ci orienta verso un dinamismo di liberazione, e rappresenta un monito, quando in una qualsiasi parte del mondo riappaiono faraoni dispotici e insopportabili o si ripropongono fatti e situazioni simili a quelli descritti.

Se è vero che questa storia nel tempo si ripete, è anche vero che esiste “un faraone di turno” che si adopera per poterla rendere più efficace possibile, e allora bisogna chiedersi: chi è il faraone oggi e come possiamo riconoscerlo?

Il faraone è un personaggio che si connota come “uomo della provvidenza”, un leader generalmente, che attribuisce a sé la capacità di pensare e di provvedere al bene di tutti, anche quando tutti non ne sono convinti. È un uomo di potere, ma mistificatore, che sfrutta ogni occasione per ottenere il massimo per sé, per quelli del proprio “rango”, e per coloro che condividono le medesime finalità.

 Il faraone può anche essere un sistema oppressivo che s’instaura in una società. In una visione più estesa e introspettiva, è anche un modo di vivere al quale ci si conforma quando, spesso assorbiti e immersi in una vita, come è la nostra, dai ritmi sempre più frenetici, non troviamo il tempo di fermarci a pensare. Storditi, frastornati e confusi da un consumismo sempre più dilagante, pensare diventa un privilegio per pochi, se pensare vuol dire non solo aver delle idee, ma impegnarsi per difenderle, se ne vale la pena, e opporsi, opporsi e ancora opporsi alle crudeltà della vita, fatta di un quotidiano troppo frettoloso in cui rischiamo di non vedere ciò che la avvelena e dove l’indifferenza si annida nelle opulenze di cui siamo circondati.      

Quanti faraoni del passato, ma anche del presente, hanno determinato lo scempio delle coscienze, tutte le volte che esse sono state manipolate con ogni sorta di sistemi coercitivi o propagandistici e quando personaggi grigi e oscuri, ci illudono con i loro stupefacenti programmi di benessere per tutti.

La storia e l’esperienza c’insegnano che lì dove viene meno la pluralità e il rispetto per le idee e le opinioni altrui, si riducono gli spazi di libertà ed emergono con recrudescenza fenomeni d’intolleranza. Quando manca la relazione e il confronto nei rapporti umani e sociali e ci si chiude nelle proprie certezze, a soffrirne è la crescita umana, la creatività, la fantasia ed emergono ostilità, esclusione e ogni forma d’integralismo. 

Se la fuga dall’Egitto ha segnato un doloroso, ma necessario cammino verso una meta di libertà dal faraone e da tutto il mondo che egli incarna, il “ritorno in Egitto” rappresenta il cammino inverso, quello del ritorno a una situazione di sofferenza, il mettersi nuovamente nelle mani del faraone, l’affidare a lui la propria vita e il destino dell’intera società, perché egli possa “provvedere” a sanare ogni ingiustizia e a trasformare la speranza in un futuro migliore, in certezza da vivere.

La storia vissuta negli anni più bui del novecento e le esperienze acquisite attraverso i suoi eventi più tristi, evidentemente non sono state maestre di vita, perché a me pare che la nostra storia nazionale ed europea stia ripercorrendo delle pericolose tappe faraoniche.

 Rispetto alle vicende nazionali, stiamo vivendo un doloroso affanno alla ricerca di garanzie di libertà che giorno dopo giorno ci vengono sottratte. Perfino i valori umani e le prospettive di democrazia appaiono sfocati e tenebrosi, eppure grandi masse di persone hanno scelto di “ritornare in Egitto”. Perché?

 In questo preoccupante scenario che ci si prospetta dinanzi, mi chiedo cosa pensa l’uomo di fede, il cristiano. Mi chiedo se non si lascia catturare dai facili conformismi; se si accorge che stiamo assistendo allo scempio della giustizia e che le libertà e i diritti fondamentali vengono messi in crisi; se avverte come urgente la difesa delle categorie più deboli: i bambini che subiscono ogni tipo di abusi, i giovani e gli anziani che stentano a trovare certezze per il futuro, gli immigrati, sempre più ai margini di un’integrazione, considerati merce di scambio, gente da utilizzare secondo le convenienze del momento, ma alla quale non concedere tanti diritti; se riflette sul fatto che anche il faraone ebbe paura degli israeliti, come oggi noi ne abbiamo degli stranieri, dimenticando che proprio noi siamo i discendenti di quella gente maltrattata in Egitto, fosse solo per una tradizione di fede.

 Mi chiedo dunque: che posizione prende questo cristiano, rispetto a tutto ciò, dove si pone? Gesù non ha forse indicato di passare per la porta stretta, che significa prendere posizioni ben chiare in difesa dei più deboli, superando tutti i conformismi e rimanendo vigili sui valori dell’accoglienza e della libertà come beni supremi e fondamentali di ogni giustizia e fede, anche quando ciò significa esporsi e pagare di persona?

E dove sono i profeti di Dio? Dove sono queste sue bocche che parlano per ricondurre il popolo alla riflessione, alla considerazione che egli è immagine di Dio, non del faraone, che si lacerano le vesti e celebrano il lutto per la morte della giustizia nel paese, che alzano la loro voce in difesa del debole, del povero e dello straniero, che aprono gli occhi e le orecchie dei potenti perché si pentano e ritornino a Dio?

Se è grave il “ritorno in Egitto”, è altrettanto grave che “i sacerdoti del tempio”, non colgano i segni dei tempi per affermare l’anno del Giubileo: «nel giorno dell’espiazione farete squillare la tromba per tutto il paese. Dichiarerete santo il cinquantesimo anno e proclamerete la liberazione di tutti i suoi abitanti. Sarà per voi un giubileo» (Lv 25,9b-10a). 

1 maggio 2002

                                                                                                                                                         

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oppure a Franco Chinnici, teologo: f.chinnici@tiscalinet.it

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Stefano Volpe, Albero in Croce, 1999 - terracotta patinata e acciaio