Linee
metodologiche
Mettere al
centro della programmazione pastorale la famiglia sembra essere diventato oggi
per molte parrocchie un dato d'assoluta e indiscutibile priorità.
La crisi
sempre crescente della società e della morale è attribuita generalmente alla
crisi della famiglia, cellula centrale del struttura sociale, la cui stabilità
e il cui ruolo educativo sono troppo spesso incerti o addirittura inesistenti.
Chi,
allora, meglio della parrocchia può svolgere nei suoi confronti una funzione di
sostegno e di recupero, per consolidarne i valori e l’identità?
Su questo
punto esiste una convergenza più o meno unanime di consensi. Ciò che appare più
problematico e di non sempre facile soluzione è il come. Come arrivare alle
famiglie che s'allontanano inesorabilmente dalla Chiesa? Come ricostruire le
basi umane e cristiane?
Siamo
spesso capaci d'analizzare i problemi e individuare gli obiettivi pastorali da
raggiungere, ma quando si tratta di passare al come e d'inventare vie nuove da
percorrere e strumenti più adeguati da adottare, misuriamo tutta la fragilità
e la debolezza della nostra pastorale.
Come si può
pensare, per esempio, di farsi carico della pastorale famigliare invitando tutte
le famiglie della parrocchia a mettere al centro della loro vita la preghiera,
quando la maggior parte d'esse non conosce ancora Dio o non lo l’ha ancora
incontrato? Come si può pensare di coltivare la coscienza morale delle famiglie
invitando tutti ad una conferenza o alla proiezione di una videocassetta, quando
la maggior parte delle famiglie scinde nettamente la fede dalla vita, il credo
dai principi etici e dai comportamenti sociali?
Non basta
allora organizzare conferenze su temi inerenti alla vita famigliare, o
all’educazione dei figli, o alla paternità-maternità responsabile, né
proporre incontri di preghiera in parrocchia.
Sono tutte
esperienze senz’altro preziose ma che rischiano d'essere sciupate e di non
lasciare nessuna traccia di sé, se non sono programmate all’interno di un
cammino permanente di formazione e soprattutto se non nascono dalla
testimonianza viva di una comunità che annuncia, che va incontro e che accoglie
i lontani.
Si tratta
allora di reimpostare tutta la pastorale in una prospettiva nuova, che tenga
conto innanzitutto di un cammino di preevangelizzazione e di prima
evangelizzazione, in cui coinvolgere la famiglia in tutte le sue componenti.
Ciò sarà
possibile solo se esiste all’interno della parrocchia una comunità viva che
diventa il vero soggetto di questa nuova evangelizzazione.
Il
problema della pastorale famigliare è allora il problema della Chiesa.
Raggiungere le famiglie vuol dire ricostruire il tessuto delle nostre comunità
ecclesiali.
Ci può
sorprendere, a riguardo, la perplessità di molti parroci di fronte alla
proposta di avviare in parrocchia l’esperienza delle piccole comunità
ecclesiali, dal momento che uno degli obiettivi pastorali della Chiesa è la
pastorale famigliare.
La loro
difficoltà forse nasce dal fatto di non riuscire a mettere in relazione la
pastorale famigliare con la vita della comunità ecclesiale, come se potesse
esistere l’una senza l’altra.
Come fare,
allora? Ecco alcuni suggerimenti:
·
Fare del
territorio parrocchiale il luogo dove rendere visibile la Chiesa come comunità
attraverso le comunità ecclesiali, dislocate nelle diverse zone pastorali.
·
Coinvolgere in
questo cammino comunitario tutte le persone che operano in parrocchia, perché
non può esserci servizio senza comunità e senza comunione:
·
Affidare alle
comunità il ruolo di conoscere le famiglie della propria zona e sensibilizzarle
coinvolgendole in iniziative di vario genere culturali, sociali, di
volontariato, ecc.
·
Indirizzare le
coppie che chiedono di prepararsi al Sacramento del Matrimonio a frequentare la
comunità della loro zona, pur seguendole anche con incontri mirati che possano
aiutarle a prepararsi adeguatamente
alla loro consacrazione.
·
Suggerire alle
coppie di tutte le comunità di fare degli incontri comuni per approfondire
insieme problematiche inerenti alla vita coniugale,
·
Avviare
iniziative concrete di servizio e solidarietà nei confronti delle famiglie in
difficoltà, abitanti nel territorio parrocchiale, da avvicinare con delicatezza
e rispetto.
·
Preparare degli
animatori per la pastorale famigliare, che siano coltivati alla scuola e allo
stile della comunità e che possano trasmettere anche nell’esercizio del loro
ruolo la matrice comunitaria da cui sono stati forgiati.
Tante
altre possono essere le proposte concrete da realizzare con creatività e
fantasia pastorale all’interno di queste indicazioni generali.
Occorre in
ogni caso innanzitutto creare in parrocchia dei luoghi (quale per esempio il
consiglio pastorale parrocchiale) dove pensare la pastorale prima di farla, per
non rimanere ancorati a schemi statici del passato.
Occorre
quindi chiedersi se è sufficiente considerare pastorale famigliare quella che
si rivolge solo alla coppia, quando la realtà della famiglia è molto più
variegata e complessa.Occorre chiedersi ancora quale posto occupano nella nostra
programmazione pastorale le famiglie cosiddette irregolari, come per esempio i
separati, i conviventi, oppure situazioni come quelle dei vedovi o vedove, gli
anziani soli, le ragazze madri, gli extracomunitari, ecc.
La parrocchia che pensa alla pastorale non può non tenere conto di questi dati per allargare i suoi orizzonti e affrettare il suo passo là dove la sua presenza è più necessaria e attesa.