Una piccola preghiera
nel clamore del mondo


di DAVID GROSSMAN


PER UN ATTIMO, il mondo trattiene il respiro: un uomo anziano e malato si inginocchia, raccolto in preghiera con il suo Dio. Nel bel mezzo della tempesta mediatica, nel cuore di un'euforia da Woodstock, l'uomo chiude gli occhi e resta completamente solo col Signore. Ieri mattina a Nazareth, non per la prima volta, Giovanni Paolo II ci ha rivelato il segreto della sua universale popolarità. Forse è per via dell'aspetto: la schiena ricurva, le mani tremolanti, il passo lento, trasmettono un tormento fisico con cui ognuno può immediatamente identificarsi. Forse è per via del suo atteggiamento così anti-televisivo, per lo sguardo rimosso con cui osserva tutto il clamore che lo circonda come se guardasse da un altro luogo, da un'altra dimensione. Forse è per la sua capacità di conservare una privacy, persino un'intimità, nonostante l'enorme clamore attorno a lui. Come che sia, il papa costringe i media ad abbandonare le convenzioni con cui trattano abitualmente, e crudelmente, i loro bersagli. Quando appare in tv, egli è simultaneamente il grande personaggio ufficiale, simbolico, ma pure l'uomo comune, un uomo su cui è possibile proiettare i propri sentimenti e desideri, anzi è probabilmente più facile che nei confronti del personaggio ufficiale.
Ecco qualcosa su cui riflettere. Le qualità che rendono Karol Woytila così poco televisivo sono le stesse che lo rendono profondamente umano, popolare; e paradossalmente ne fanno una stella mondiale dei media.
L'uomo in ginocchio, raccolto in preghiera al suo Dio, ci fa dimenticare molte cose. Per cominciare, dimentichiamo la sua tenace opposizione all'uso dei contraccettivi e all'aborto, il suo fiero conservatorismo in materia di sesso, famiglia, coppia. Poi, fissando il suo intimo fervore spirituale nella Basilica dell'Annunciazione, dimentichiamo quello che ha intorno: l'enorme chiesa di Nazareth, impressionante, grandiosa, pretenziosa, costata una fortuna, una chiesa che all'occhio di un laico sembra la metafora dell'elefantiasi della fede, assolutamente aliena allo spirito di semplicità, modestia e parsimonia di Gesù. Inginocchiandosi in preghiera, il papa fa scomparire tutta quella esagerata, pomposa architettura, e con essa anche il parterre sfarzoso e burocratico della nomenklatura religiosa. Sulla scena c'è solo un vecchio uomo, dal corpo tremante, consapevole che lo sfarzo e la gloria attorno a lui non lo proteggeranno dal dolore e dalle più profonde paure umane.
Chi lo guarda, può sentirsi di nuovo in sintonia con l'era in cui la fede (non necessariamente cristiana) era un dialogo privato tra l'uomo e il suo Creatore, non c'entrava nulla col potere, non cercava di rovesciare sangue su altri credo e popoli. Persino lo spettatore più secolare, che non vuole e non può trovare conforto in qualunque fede, resta colpito dalla forza di questo sentimento religioso, rammaricandosi per come è andato perduto nel corso dei secoli.  

da "repubblica"