DIALOGO SEGRETO CON LE PIETRE DELLA CROCE

Giuseppe Anzani


Non ha voluto andar via senza essere tornato, da solo e fuori programma, nella basilica del Santo Sepolcro, e salito per i gradoni sullo spuntone di pietra in cima al Calvario. A star lì ancora un poco col suo Cristo in croce, nel luogo della croce e della morte. E chissà che cosa si sono detti, in quei venti minuti di silenzio immobile, impenetrabile.

C'era già stato al mattino, in quella chiesa che si chiama anche, gioiosamente, "della Risurrezione"; si era inginocchiato a pregare, dentro la grotta, poggiando le due mani sulla pietra che accolse il corpo di Gesù morto, baciandola. La pietra tombale, quella che parve un giorno annientare la speranza; ma anche la pietra che il terzo giorno rotolò via, e la speranza prese il fulgore della gloria.

Poi il Papa era andato via, ma aveva guardato lassù, al luogo della croce, come se avesse un pensiero segreto. Ed è tornato. Quell'immagine che chiude il viaggio del Papa in Terra Santa provoca in noi l'improvviso silenzio del "mistero della fede". La fede poggia sulla risurrezione, sì, la fede non è la celebrazione della memoria di un morto, ma l'adorazione del Vivente. Però quella morte. Mio Dio, mio Dio morto, com'è incomprensibile la croce, com'è remoto il pensiero della gloria a chi ricorda la croce come supplizio della vergogna, come patibolo degli schiavi, come attrezzo di tortura totale. Il calvario è il luogo della morte infame, dello strazio del "Figlio dell'uomo", emblema di tutto lo straziato morire degli uomini, di questo stesso enigma che è la morte e il dolore.O crux, ave spes unica: che cosa vuol dire? Che cosa si saranno detti, il Papa e il Crocifisso?

Quel che pende dal legno non è più neanche un uomo, sembra un verme. Dirgli "Dio" non è forse una bestemmia? Si può escogitare un pensiero più scandaloso, per chi piega le ginocchia davanti all'Onnipotente? Si può pensare a qualcosa di più insensato, che a un Dio che si lascia uccidere così? È vero, per quel che gli uomini sanno e capiscono in termini di potenza e di saggezza, non c'è maggior scandalo del crocifisso, non c'è maggior stoltezza della croce. Eppure è lì che la fede s'inchioda, dentro il mistero incomprensibile, se è vero che la potenza e la sapienza di Dio non sono la potenza e la sapienza degli uomini. È lì il luogo della gloria del Figlio, mistero della fede. A volte, come attoniti, ci riesce di intravvedere l'incandescenza di una parola, di cui noi conosciamo qualche pallido senso e pur ci fa capaci di dono, capaci di gesti di stupenda "follia". È l'amore. Per noi è una parola, per Dio è la sua stessa essenza. Ci ha amato così tanto che non si è sottratto alla croce, dove non l'hanno confitto in pochi ma l'ha confitto il mondo, il mondo intero della storia umana, il mondo delle infinite malvagità, dell'infinito strazio d'innocenti, il mondo atroce delle ingiustizie e delle crudeltà che fanno impazzire la terra, e che possiamo a ragione chiamare il mondo del nostro infinito peccato.

A volte nel mistero del male e della morte, padrone del mondo, avvertiamo un enigma che ci spinge a una disperata imprecazione, come di fronte all'assurdo di un cosmo guasto, sconciato. Dov'è la salvezza, se non in un impossibile miracolo? Forse è proprio l'immagine di un Dio, che può creare tutto dal nulla e per amore si annulla nella nostra stessa carne, che si fa uomo come noi, che prende su di sé tutto il nostro male, il nostro stesso peccato, la sofferenza e la morte, ciò che scampa la nostra mente in rivolta contro la sofferenza e la morte, da una ragionata disperazione. Ma quel Dio c'è, Gesù è quel Dio. Gesù in croce, dico: il Risorto, certo, ma il "Crocifisso" risorto. Non per nulla, nel "mistero della fede", prima che erompa la gioia visibile della Pasqua dal sepolcro spalancato, il luogo della gloria è già là, dove è il luogo dell'incredibile amore, su quel legno insanguinato.

da "Avvenire"  

Il miracolo del Sepolcro
che incanta anche gli atei

di GIANFRANCO RAVASI*

Un antico detto rabbinico affermava: «Il mondo è come l’occhio: il mare è il bianco, la terra è l’iride, Gerusalemme è la pupilla e l’immagine in essa riflessa è il tempio». È curioso notare che tutte e tre le grandi religioni monoteistiche convergono a Gerusalemme trovando il loro fondamento su altrettante pietre. Per gli Ebrei, come diceva l’aforisma appena citato, sono le pietre del muro del tempio di Salomone (in realtà il cosiddetto «Muro del Pianto» appartiene al tempio del re Erode). Per l’Islam è la rupe dell’ascensione di Maometto al cielo, posta sotto la cupola dorata della moschea di Omar che sfavilla su tutta Gerusalemme.
Per i cristiani, invece, è la pietra ribaltata del sepolcro di Cristo, segno della sua resurrezione. Ebbene, quest’ultima pietra — o almeno il banco di roccia sul quale era adagiata la salma di Gesù — ora è custodita sotto un tempietto ottocentesco (1810) collocato al centro di una rotonda architettonica la cui fondazione risale a Elena, la madre dell’imperatore Costantino che la eresse nel 325. Ad essa i Crociati, tra il 1099 e il 1149, aggiunsero una monumentale basilica a cinque navate che riuscì a inglobare anche il vicino colle della crocifissione di Gesù: si trattava, in realtà, di uno sperone roccioso alto cinque metri, chiamato in aramaico Golgota, cioè «cranio», donde il latino Calvario.
Ma ritorniamo alla rotonda e al suo tempietto a due vani. Una porta minuscola (1,33 m) ci introduce nella seconda delle due camere: là una lastra di marmo copre la pietra sulla quale era deposto il corpo di Gesù. Sopra è stato posto un altare con tre quadri che raffigurano la resurrezione: anche qui appare in tutta la sua contraddizione la divisione tra le Chiese cristiane perché ciascuno di questi dipinti appartiene alle principali comunità che si spartiscono spazi e orari della basilica, cioè i Greci ortodossi, i cattolici (francescani), gli Armeni.
È comunque significativo che — a differenza di noi occidentali che abbiamo imposto a questa basilica il nome di S. Sepolcro — i cristiani d’Oriente l’hanno da sempre definita come chiesa dell’Anastasis, cioè della Resurrezione. É questo, infatti, come ha dichiarato Giovanni Paolo II nella messa domenicale celebrata ieri nella basilica, il cuore dell’annunzio cristiano. Ma la figura di Cristo è per tutti un segno. Lo diceva molto bene lo scrittore «laico» Alfredo Oriani (1852-1909): «Credenti o increduli, nessuno sa sottrarsi all’incanto di quella figura, nessun dolore ha rinunciato sinceramente al fascino della sua promessa».
*monsignore, prefetto
della Biblioteca Ambrosiana



corriere della sera 27 marzo 2000