La società debole dai post-materialismi ai valori neo-borghesi
di Paolo Dell'Aquila
Relazione presentata al congresso su Dove va la società italiana - Dipartimento di Sociologia - Università di Bologna (30 novembre - 1 dicembre 1995)

1. «Quarto uomo» e valori post-materialisti

Il cambiamento valoriale che inaugura l'avvento della società debole avviene negli anni Ottanta con la comparsa del «quarto uomo» [Morra 1984; 1992]. Questo homo ludens sperimenta la caduta delle utopie moderne, la routinizzazione del progresso e l'espressività edonistica. Per la prima volta si diffonde una quotidianizzazione dell'estetico che induce un atteggiamento morbido e scanzonato nel rapporto con gli oggetti, dei quali si esaltano le virtù immateriali. Ne nasce quindi una de-differenziazione all'interno del sistema culturale, grazie alla quale la sfera estetica colonizza quella della scienza-tecnica e quella del diritto e della morale [Lyotard 1988; Lash 1990; Featherstone 1991; Koslowski 1991].

La personalità dominante si caratterizza per un narcisismo edonistico ed espressivo. La cultura stessa non è più impregnata del «regime di significazione» discorsivo, basato sulla stampa, sui testi, sulla distanziazione dello spettatore. Assumono invece una centralità il figurale, l'alterità non verbale, le qualità formali, l'estetica della sensazione. Il consumo è il nuovo mezzo per produrre identità personale e solidarietà sociale, in quanto inaugura delle distinzioni non più basate sugli status sociali, ma sugli stili di vita. Diviene importante giocare con dei segni, delle immagini, dei significanti culturali, rappresentati sempre più dalle merci. I prodotti vengono semantizzati, per permettere al nuovo consumatore di marcare delle differenze simboliche che costruiscono l'io. La segmentazione dei mercati, la crescente personalizzazione di servizi e prodotti, allargano il mercato dell'identità, permettendo ad ognuno di costruirsi un'immagine.

Negli anni Ottanta (che potremmo definire la prima fase del post-moderno) lo stesso sistema dei media grazie agli investimenti in comunicazione, conduce ad una diffusa perdita di referenzialità. Il quarto uomo, con la sua società della istantaneità, produce una cultura altamente instabile e fluttuante, ove i messaggi si accavallano, si disperdono, vengono spettacolarizzati e perdono sempre più di senso [Pilati 1987; Abruzzese 1988; Baudrillard 1990].

Il flusso comunicativo si caratterizza per la frammentazione, la superficialità, l'irrilevanza di ciò che viene rappresentato. Per Postman «l'intrattenimento è la superideologia di ogni discorso in televisione. Non importa che cosa sia trasmesso o da quale punto di vista; il presupposto dominante è che lo è per il nostro divertimento e per il nostro piacere» [Postman 1985: 88-89].

In questo contesto il quarto uomo vive alla ricerca indiscriminata del look, della «politica dello stile», all'inseguimento di un'identità fittizia da reinventare continuamente. Pronta a frammentarsi in diversi stili di vita, questa personalità ad N dimensioni considera il mondo un dato labile, manipolabile. Il suo imperativo è l'autorealizzazione personale, ma il suo cammino si prospetta instabile, fondato come è su scelte pragmatiche, edonistiche e relative.

Questo moderno homo psicologicus ha una visione psicomorfica del reale, che diviene prolungamento del sé, mondo da dominare tramite il mascheramento e lo sfruttamento degli altri [Lasch 1981; 1985; Sennett 1982; Lipovetsky 1983; Aa.Vv. 1983; Sciolla 1983].

L'evoluzione dall'etica protestante a stili di vita più tipicamente edonistici, che Bell ha analizzato [Bell 1976], implica quindi una svolta verso valori espressivi, meno legati al dato utilitaristico e più centrati sui bisogni di autorealizzazione. L'avanzata delle classi medie, la terziarizzazione della popolazione attiva, l'aumento del potere d'acquisto e la maggiore dispersione dei redditi nelle categorie socio-professionali (che le rende delle variabili esplicative poco rilevanti) comportano un'evoluzione sociale verso una società in cui sono gli stili di vita a contare sempre più.

Nella società psico-matriciale «l'appartenenza ad una fra le caselle della matrice, ad una tribù o a una rete sociale, avviene secondo un criterio psicologico, un desiderio o uno stato d'animo, ad un dato momento, e non secondo un criterio sociologico come il profilo degli individui della tribù» [Weil 1990: 67].

Non sono più gli status tradizionali a determinare l'appartenenza sociale, ma solo l'inserirsi in alcune delle numerose reti di socialità, connotate per lo più in termini estetici. In una sua opera più recente, la Weil [1993] ha ripreso questo schema, definendo la fase del narcisismo come momento di passaggio fra gli anni Ottanta e quelli Novanta. Secondo questa Autrice dal 1975 al 1985 sarebbe prevalso un consumismo sfrenato, basato su un immaginario della Fusione e dell'amalgama, animato da una logica sincretistica che unisce i contrari, dalla caduta delle gerarchie, dall'equivalenza generalizzata, da una sorta di neo-tribalismo tattile, dominato dalla comunicazione.

Il «métissage désordonné» che ne risulta conduce alla fuga verso l'indeterminato, verso la confusione e la perdita dell'identità.

Una delle conseguenze più importanti della prevalenza di questo immaginario è la diffusione di valori espressivi, che privilegiano il contatto interpersonale, l'identità. R. Inglehart ha condotto della ricerche storiche sul mutamento valoriale, che ha appellato la «rivoluzione silenziosa».

Per Inglehart [1983] lo sviluppo economico e tecnologico, la terziarizzazione, l'espansione dell'istruzione, lo sviluppo dei mass media, l'assenza di una guerra totale e soprattutto la soddisfazione dei bisogni di sostentamento per una parte crescente della popolazione hanno fatto emergere valori basati sull'appartenenza, sulla stima, e sull'autorealizzazione. I valori post materialistici dovrebbero quindi produrre cambiamenti nelle questioni politiche prevalenti, dando importanza agli stili di vita, provocando il declino della legittimità dello stato nazionale, unito ad una partecipazione politica diversa da quella tradizionale.

In una serie di sondaggi somministrati in diversi paesi negli anni Settanta, Inglehart ha testato i valori post materialistici utilizzando diversi item. Seguendo la scala dei bisogni di Maslow [1977], egli ha diviso i bisogni fisiologici (materialisti) da quelli sociali e di autorealizzazione (post-materialisti) ed ha misurato, all'interno del primo gruppo i bisogni di sostentamento (economia stabile, crescita economica, lotta all'aumento dei prezzi) e quelli di sicurezza (necessità di potenti forze di difesa, lotta alla criminalità e mantenimento dell'ordine).

Nei bisogni post-materialisti ha invece incluso quelli di appartenenza e di stima (società meno impersonale, maggior potere decisionale sul lavoro e nella comunità, maggior potere decisionale nel governo), quelli intellettuali ed estetici (città belle, rispetto per la campagna, preminenza delle idee e della libertà di parola). In seguito ha aggiunto vari altri item, tra cui quelli sul lavoro (prevalenza della retribuzione o di un lavoro sicuro/lavoro con persone gradite o che dia un senso di autorealizzazione) e quelli relativi all'appartenenza territoriale (provinciale/cosmopolita).

Da allora i bisogni post-materialisti sono divenuti caratterizzanti dell'evoluzione socio-culturale della prima post modernità, malgrado ulteriori ricerche abbiano dimostrato come su certi punti si incontrino con quelli tradizionali [Stoetzel 1984; Calvaruso, Abruzzese 1985].

Un ritratto abbastanza fedele di questo mutamento valoriale è stato elaborato, in anni recenti, dal CENSIS, nella ricerca su I valori guida degli italiani [1989]. Malgrado la terminologia usata sia diversa dalla nostra ed i valori post-materialisti non siano espressamente trattati, da questo lavoro emerge un ritratto del sé narcisista che ha dominato il decennio.

I ricercatori si sono proposti innanzi tutto di analizzare come l'io viva la dimensione che noi definiamo post-moderna (per loro è semplicemente la modernità).

I risultati hanno indicato che esiste un «io radicale» che tende a porre se stesso prima della società. Egli non partecipa ad un tessuto di relazioni sociali, non ha «padri né maestri», ovvero non ha modelli di identificazione. Condivide poche e difficili relazioni interpersonali, è sostanzialmente rigido rispetto al mutamento. La sua cultura è l'erede delle sperimentazioni degli anni '60 e '70 (aborto, divorzio, coppia aperta, omosessualità, movimenti di liberazione). Il suo punto debole sta nell'essersi fissato in una dinamica di distruzione della tradizione, che non ha dato luogo a nuovi valori e posizioni. Il mondo è quindi un deserto da attraversare, dominato troppo dall'individualità.

Viceversa, il nuovo «io sociale» (che domina gli anni Ottanta) ritrova un senso nuovo di appartenenza alla società. Se l'io radicale era l'erede della fase di trapasso dal moderno al post-moderno, l'io sociale ne è il successore, quello che ha realizzato al meglio il potenziale post materialista. Esso riscopre il corpo come strumento di comunicazione, valorizza il gioco e ritrova un gusto per la vita, che è un altro segno della rivalutazione dell'immaterialità. C'è un ritorno al non-razionale, al fantastico ed all'espressivo nella scrittura, nella parola, nei gesti. L'incontro con l'altro è sempre considerato imprevedibile e da sviluppare dedicando ad esso grande importanza nei contenuti e nella forma. I ruoli possono venire rielaborati in senso dinamico, sia nella vita di coppia, sia anche nel lavoro.

V'è inoltre un forte senso della relatività dell'esperienza individuale che induce a non assumere criteri di giudizio legati ad un quadro di valori stabilito, ma a prendere decisioni situazione per situazione.

Anche qui si riscontra, quindi, l'emergere di un io ancora fortemente narcisista, rivoluzionario e con grandi doti di espressività, che dominerà fino alla fine del decennio.

2. Il neo-materialismo

Negli anni Novanta (la seconda fase del post-moderno) l'iper-comunicazione si attenua e sorgono nuove esigenze di senso. Dopo la sparizione del culto del dovere borghese e dopo la sovraesposizione alla simulacrizzazione del reale, si ha una ripresa dei temi etici, ma in tono minore. Lipovetsky ha parlato di una società post-moralista, che può ritrovare i problemi dell'etica e della misura nella comunicazione sociale, ma solo in maniera spettacolare, in un modo che resta oscillante.

«L'âge postmoraliste ne signifie pas expulsion du référentiel éthique mais surexposition médiatique des valeurs, recyclage de celles-ci dans les lois du spectacle de la communication de masse... Une nouvelle ère se dessine, qui brouille les couples d'opposition traditionelles en combinant générosité et marketing, éthique et séduction, idéal et personnalisation» [Lipovetsky 1992: 138; 1988].

L'età post moralista riesce a combinare seduzione e razionalità, effimero ed ideale, per presentare una nuova alleanza, un nuovo immaginario sociale. Il dominio della tecnica si può così riconciliare con il gioco, la strumentalità con il fattore soft, l'autonomia con l'apparenza.

E' il trionfo, quindi, di un nuovo immaginario dell'Alleanza, del legame, della conciliazione, che si contraddistingue perché non tende al sincretismo, al mix di codici diversi, ma ad articolare dialetticamente le contrapposizioni [Weil 1993]. La nostra società diventa sempre più una società della regolazione, in grado di mitigare gli eccessi precedenti. La cultura destrutturata, barocca, dalla velocità vertiginosa del primo post-moderno oggi lascia il passo ad una esigenza etica di riabilitazione della lentezza e della linearità, pur se espressa in forme ancora di ipercomunicazione.

Sembra giunto il momento per intervenire diminuendo l'entropia dell'ambiente semiotico (con la sua proliferazione di messaggi e codici). La proposta di un'ecologia semiotica o di un'ecologia dell'ambiente artificiale [Volli 1988; 1994; Manzini 1990] si può interpretare nel senso di conferire maggiore qualità e maggiori limiti alle comunicazioni, pur rischiando di aumentare ulteriormente la comunicazione totale. Se il sistema culturale tende verso una maggiore ecologia dei segni, ritrovando una nuova carica etica e diminuendo la «spazzatura» prodotta da ipercomunicazione, anche il nuovo consumatore cambia.

La complessità estensiva che ha dominato l'io narcisista e post-materialista degli anni Ottanta, viene oggi a ridursi. La look generation, l'attenzione superficiale per l'immagine, il visibile, tendono ad attenuarsi. Il bricoleur narcisista è costretto a riconvertirsi ed a diventare più stabile, autocentrato, più capace di fare selezioni di complessità.

Alla logica della frammentazione si sostituisce una logica dell'autogoverno, tale da assicurare maggiore razionalità, ma anche maggiore qualità. L'individuo riesce a gestirsi in modo più olistico, come sistema in interscambio con un'ambiente (naturale, sociale) ed ad integrarsi meglio nei vari ambiti. Aumenta la capacità di governare in modo manageriale i vari ruoli, di essere imprenditore di se stesso, coniugando meglio il pubblico ed il privato, il tempo libero ed i ruoli istituzionali.

Nella seconda fase del post-moderno i bisogni post materialistici non svaniscono, ma si integrano in un progetto di vita e di consumo più razionale. Il vagare da una provincia di significato all'altra, fra il formale e l'informale, denota questa capacità di autogestione che è superiore a quella del narcisista post-industriale.

La capacità di alleare corpo e spirito, essere ed apparire, gusto e piacere si trasforma in un nuovo modello basato sull'autoregolazione.

Anche la dimensione del consumo viene quindi più razionalizzata: la sensibilità comune porta a formulare un «progetto di consumo» in cui ci si dà una maggiore autodisciplina e ci si impone un maggior equilibrio fra principio del piacere e valori etici e sociali. Per questo anche il consumo, pur divenendo di qualità più alta, può rallentare ed essere più austero [Cutolo 1989; Siri 1995]. Fenomeni di de consumo come quelli attuali non testimoniano altro che una nuova etica basata sulla selezione e non più sul dispendio. Riemergono quindi i valori dell'essenzialità, dell'intelligenza e dell'equilibrio.

E' la testimonianza di «un'ecologia del consumo» [Morace 1990; Ceserani 1994] che, lungi dal ritornare alle significazioni pre-moderne, rivaluta la comunicazione e l'apparenza in modo molto più selettivo e razionale, alla ricerca di uno «stile etico soft», che ispira una ritrovata solidarietà sociale [Balbo (a cura di) 1994].

Emergono tendenze volte alla ricerca di nuovi codici di convivenza sociale, fondati sul rispetto reciproco, sull'autogoverno all'interno di un mondo vitale più piccolo ma anche più coinvolgente emotivamente [Lasch 1992; 1995; Laurent 1994].

Da ricerche effettuate negli ultimi anni sembra emergere questa tendenza a ritornare ad un'etica borghese, baata sulle tradizionali virtù del rischio, dell'impegno, della solidarietà collettiva [Gubert (a cura di) 1992; Livolsi 1993]. Recentemente anche il CENSIS [1993] ha ravvisato il ritorno del senso della responsabilità, il superamento di una cultura «egologica» e l'uscita verso l'altro da sè, la diffusione di una cultura socio politica neo competitiva, la richiesta di un nuovo patto fiscale e di una solidarietà sociale più esigente e conforme al maggior senso della misura nei consumi.

In una rilevazione condotta su un campione di famiglie, le virtù indispensabili per la crescita collettiva sono state giudicate: la responsabilità (49,9%), la laboriosità (39,5%), la solidarietà collettiva (28,3%) e l'onestà (78,1%).

La segmentazione dell'elettorato attraverso la tecnica della «cluster analysis» ha permesso di individuare un 26,0% di elettori neo borghesi che hanno espresso preferenze per una maggiore partecipazione politica; per una più accentuata attenzione ai programmi; per l'essenzialità del rinnovamento dei partiti; per la disponibilità ad avere meno tasse e meno servizi pubblici; per un risanamento che costi anche disoccupazione.

Un'indagine sui comportamenti ambientali degli italiani ha messo in luce come il 60% circa degli intervistati sia disposto a partecipare a un progetto nazionale di risanamento ambientale, o modificando i comportamenti di consumo (52,1% delle risposte) o pagando di più i prodotti e i servizi acquistati (9,8%).

Il 36,1% delle famiglie si dichiara inoltre favorevole ad una riforma del sistema fiscale che colpisca le rendite finanziarie (Bot e Cct in particolare), premiando invece i profitti di impresa reinvestiti ed incoraggiando l'impegno lavorativo.

Calano infine gli acquisti di beni di consumo, durevoli e voluttuari, esclusi quelli di cittadinanza (salute e istruzione) che il 25% dei nuclei intende anzi aumentare. Il 18% delle famiglie ritiene irrinunciabili le spese per la cultura e l'informazione.

Il 23% del campione condivide almeno il 61% di tutti gli atteggiamenti sopra descritti, tipici della neo borghesia. Sebbene questi dati siano metodologicamente discutibili, hanno il valore di indicazione di un trend che ha avuto conferme anche da altre fonti.

Le ultime rilevazioni della GPF & Associati [Fabris 1995] dimostrano la diffusione negli ultimi conque anni di correnti come il Comunitarismo, la Chiusura nel Particolare, la Partecipazione, il Volontariato, l'Etnocentrismo. Globalmente retrocedono le correnti più correlate con la propensione al consumo (Piacere di Spendere, Consumismo, Ostentazione e Prestigio), mentre si affermano valori legati ad una connotazione di altruismo/solidarietà. Sono tutti segni dell'emergere di una cultura dell'individualità, volta alla ricerca dell'autenticità, dell'autorealizzazione, pur nel dialogo continuo con l'altro (si pensi al volontarismo).

Significativa è la nuova ricerca di armonia nel rapporto uomo-mondo, che si concreta nella ricerca di tecnologia ecocompatibile e nella concezione olistica della salute. All'high tech si coniuga il soft touch, alla tecnica avanzata si chiede anche che sia ecocompatibile ed amichevole, in un mix costante tra emozione e ragione.

Allo stesso modo si prospetta una compresenza di cosmopolitismo e nuovo bisogno di radicazione. Qui agiscono da un lato la mobilità geografica, l'apertura all'estero e dall'altro l'esigenza di ritrovare le proprie radici. Lo stesso eclettismo si ritrova nella cultura del think globally and act locally, che integra la propensione verso l'esterno e la capacità di muoversi nel quotidiano, nel vicino.

Tutte queste tendenze appaiono delle conferme che, dopo la prima fase del post-moderno, si va profilando un nuovo bilanciamento tra post- e neo-materialismo. E' il sorgere dell'immaginario dell'Alleanza, che riesce a integrare esigenze contrapposte, riscoprendo una sorta di egobuilding che pone l'uomo in equilibrio dinamico con l'ambiente sociale (l'apertura verso l'altro) e naturale (la salute, il rispetto per l'ecosfera in senso ampio). La società debole degli anni Novanta diviene quindi società dell'autoregolazione e dell'ambivalenza.

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