Sul nascondimento dellessere nella filosofia di Heidegger
Il problema fondamentale di Essere e tempo, comè noto, è quello di chiarificare il "senso dellessere". Questo problema nasce da una duplice constatazione. 1) Cè innanzitutto il fatto fondamentale che noi comprendiamo necessariamente il senso dellespressione essere. Senza questa comprensione preliminare non potremmo in alcun modo rapportarci allente, ed "ente è tutto ciò di cui parliamo, ciò a cui pensiamo, ciò nei cui riguardi ci comportiamo in un modo o nellaltro; ente è anche ciò che noi siamo e come noi siamo"1. Questa comprensione dellessere (Seinsverständnis) non è una facoltà tra le altre, ma "appartiene alla costituzione essenziale del Dasein"2. Se non comprendessimo ciò che significa essere non sapremmo distinguere lessente dal non essente, non avremmo alcuna esperienza né di ciò che è né di ciò che non è. Non potremmo nemmeno dire che non si manifesta nulla perché, per fare unasserzione di questo tipo, dovrebbe esserci già svelato il senso di "essere". "Noi possiamo cogliere gli enti in quanto tali, gli enti in quanto enti, solo se comprendiamo qualcosa come lessere"3. La comprensione dellessere consente ad Heidegger di circoscrivere il problema dellessere nella sua differenza dallente. Non si tratta più, come nellontologia tradizionale, di stabilire ciò che veramente è e di coglierne lessenza, ma di interrogarsi, fenomenologicamente, sul significato di ciò che noi intendiamo con la parola essere. 2) Se la comprensione dellessere è ciò su cui si regge il nostro rapporto con lente, è evidente anche come questa comprensione sia avvolta da oscurità e indeterminatezza, per cui, ogni volta che tentiamo di spiegarci intorno allessere stesso ( Sein selbst ), non riusciamo ad afferrare nulla. Il fatto è "che già da sempre viviamo in una comprensione dellessere" ma, nel contempo, "il senso dellessere continua a restare avvolto nelloscurità"4. "Il concetto di essere è anzi il più oscuro di tutti"5. Tutti comprendiamo il significato di enunciazioni come "sono contento", oppure "il cielo è azzurro" ma, se ci interroghiamo sul significato dellè contenuto in queste enunciazioni, la cosa sembra sfuggirci di mano "e quando ci studiamo di afferrarla si dissolve come un brandello di nuvola al sole"6.
Il problema è dunque questo: il senso dellessere è manifesto e nascosto allo stesso tempo. Se da un lato la Seinsverständnis è il presupposto ultimo del nostro sapere, dallaltro il senso dellessere è qualcosa di "fluttuante ed evanescente"7 che sembra sottrarsi a ogni indagine chiarificatrice. Noi comprendiamo il senso "ma non sappiamo che cosa significa essere", "non siamo in grado di stabilire concettualmente il significato di questo è "8 . In Essere e tempo Heidegger parla di una "comprensione media e vaga dellessere"9 che, più che rivelare, occulta il fenomeno dellessere. Il fine dichiarato è perciò quello di risalire, al di là di questa comprensione media dominante (che però contamina anche la scienza e lontologia tradizionale), a una determinazione più genuina del senso dellessere: "il problema dellessere deve essere posto e portato a soluzione nella piena trasparenza di se stesso"10 .Se dopo la svolta verrà abbandonato, e a ragione, qualsiasi proposito di fare piena trasparenza, sarà perché il tema del "nascondimento" (Verborgenheit) avrà acquisito, nel frattempo, unimportanza sempre più grande. Lidea che lessere abbia unessenziale inclinazione al nascondimento, o che si manifesti nascondendosi, diventerà anzi il filo conduttore per uninterpretazione unitaria dellintera storia della metafisica.
Innanzitutto, la metafisica non presterebbe attenzione "allavvenimento più degno di essere discusso, ossia al fatto che lessere si schiude necessariamente al nostro comprendere"11. Così ci si dimentica dellessere perché il suo concetto è ritenuto qualcosa di ovvio e di scontato. Sicuramente lessenza dellessere "si è già illuminata" ma "rimane ancora non problematizzata"12. La metafisica non riesce a pensare l"essenza svelante" dellessere: essa si rappresenta sempre e soltanto lessente e non si rende conto che ciò è possibile solo perché "già traluce lessere"13. Secondo questa interpretazione, ciò che dellessere si nasconde non è tanto la sua verità, quanto il fatto che questa verità è manifesta. Ciò che la metafisica non vede è che lessere è manifesto e apre il nostro rapporto con lente. Tantè che Heidegger, in molti passi, parla di un senso "altamente determinato" dellessere, di così determinato da essere "quanto vi è di più unico" e di autenticamente compreso14. Ciò che la metafisica dimentica di pensare è la differenza tra lessere e lente. Lessere non è un ente, perché è ciò che "lascia essere" lente. Lessere, daltra parte, non è neanche nulla, perché, se così fosse, non solo non ci sarebbe lente, ma non potremmo nemmeno avere notiziao nozione del nulla. Dellessere stesso non possiamo dire né che è né che non è e tuttavia, se non ne comprendessimo il senso, non potremmo né affermare né negare nulla. La Seinsfrage è un nodo (logico?) sul quale Heidegger ha fatto inciampare il pensiero del nostro tempo, mostrando quanto concreta e determinante sia una questione così apparentemente scolastica. Che questa questione sia stata dimenticata dipende anche - così almeno talvolta lascia supporre Heidegger - da un progressivo indebolimento che il senso dellessere avrebbe patito nel corso della storia occidentale. Se oggi la parola essere è un semplice flatus vocis, con un significato tanto vago quanto apparentemente superfluo, è "perché siamo caduti fuori dal suo significato e non riusciamo a ritrovarne laccesso"15 .
Ma il fatto di ritirarsi nel non appariscente e di rendersi quasi invisibile al pensiero è solo un aspetto della Verborgenheit dellessere. Rimane sempre da spiegare perché, una volta individuatane limportanza fondatrice, sia così difficile afferrare e chiarire il senso dellessere. Per quale motivo, ogni volta che tentiamo di rappresentarci lessere, non riusciamo ad afferrare nulla? Questa impasse, per Heidegger, non dipende da uninsufficienza del nostro pensiero ma è da ascriversi interamente alla struttura dellessere. Lessere "inclina di per sé allautonascondimento"16, ama ritirarsi in una dimensione di oscurità e di mistero in cui il pensiero non lo può seguire. In questo caso ciò che si nasconde non è più la forza svelante dellessere ma la sua stessa verità. A nascondersi, cioè, non è più il fatto che lessere è manifesto; a nascondersi è proprio lessenza dellessere: " questo illuminante mantenersi in sé con la verità della propria essenza possiamo chiamarlo lepoché dellessere"17. Heidegger evidentemente suppone che lessere abbia una verità propria che non coincide solo col suo esser differente dallente. Lidea che lessere sia concepibile solamente come Differenza, sulla quale hanno insistito tanti interpreti, non esaurisce certamente il problema della Seinsfrage. Bisogna che lessere abbia unessenza propria affinché questa possa nascondersi. Sono famose le pagine dellIntroduzione alla metafisica in cui Heidegger, partendo dallambiguità del verbo scheinen (presente anche nellitaliano apparire), sostiene che lessere appare - nel senso che si mostra e risplende - solo in quanto è costantemente esposto al rischio di trasformarsi in semplice parvenza. Lessere propende a nascondersi "sia nel grande occultamento e silenzio, sia nella più superficiale finzione e dissimulazione"18.
La tesi che la "verità dellessere" si nasconda, o che si dia in modo velato o parziale, implica che essa venga sostanzialmente fraintesa dal pensiero. Dire infatti che lessere si nasconde, significa dire che il pensiero non può coglierlo se non in modo inadeguato. Lessenza dellessere rimarrebbe sempre al di là del modo in cui viene intesa. Si introduce qui una frattura tra il modo in cui lessere appare, e cioè viene compreso, e il modo in cui esso è. Che altro significa parlare di un enigma dllessere19 se non suggerire lipotesi che, dietro a ciò che si mostra e che noi comprendiamo, si celi dellaltro? Lessere, perciò, non sarebbe solo dimenticato ma anche essenzialmente frainteso. O perlomeno colto in maniera parziale, dato che parte della sua verità sarebbe sepolta in "tesori non ancora scoperti"20 che attendono solo di essere ritrovati. La velatezza dellessere può avere vari significati: può voler dire che lessere si manifesti solo in parte, oppure addirittura che si mostri per quello che non è. In ogni caso, abbiamo visto, essa presuppone una differenza tra il modo in cui lessere è e il modo in cui esso appare. Questa idea è del tutto inaccettabile, proprio perché la differenza tra essere e apparire si fonda sul senso dellessere così come appare, e quindi non è applicabile allessere stesso. Lessere non può apparire che così comè e non può essere altro da come appare, perché lidea stessa di apparenza, cioè la possibilità che qualcosa possa manifestarsi altrimenti da comè, è interamente contenuta e prescritta dallessere così come ci appare. Per questo stesso motivo la verità dellessere è necessariamente così come noi la intendiamo, perché lipotesi che una parte di essa sia nascosta, proviene dalla comprensione dellessere che noi di fatto abbiamo. La verità dellessere non può nascondersi né totalmente né parzialmente, perché lopposizione manifesto/nascosto riposa interamente su quella parte di verità dellessere che si manifesta e che, proprio per questo motivo, non potrà che essere tutta.
Parlare di uninclinazione dellessere al nascondimento equivale ad applicare allessere quella concezione della verità come adeguazione che Heidegger, si badi, non critica, ma fonda sullo svelamento (alétheia) dellessere stesso. La verità come adeguazione, proprio come lopposizione tra essere e apparire, deriva dal modo in cui lessere è di fatto compreso, cioè dal suo senso. Per quanto riguarda lessere stesso, cè una corrispondenza perfetta tra ciò che noi comprendiamo - il senso21- e ciò che è compreso, tra il pensiero e la cosa. Se lidea di verità proviene dal senso dellessere, se "lessere della verità" riposa sulla "verità dellessere"22, non sussiste evidentemente alcuna differenza tra senso e verità dellessere: "senso dellessere e verità dellessere dicono la stessa cosa"23. Qualunque sia il modo in cui noi intendiamo lespressione essere, è a partire da esso che noi ci forgiamo le idee del vero e del falso. La verità dellessere è interamente contenuta, senza residui, nella comprensione che ne abbiamo. Perciò non cè alcun velo da togliere, nessuna dimensione di nascondimento, in quanto lessere stesso - Sein Selbst - è quanto di più evidente e determinato si manifesti. Se ci fossero dei dubbi o delle ambiguità riguardo a ciò che significa essere, non avremmo alcuna possibilità di dubitare, vale a dire la possibilità di supporre un poter-essere, perché tale possibilità sussiste solo nella misura in cui noi comprendiamo lessere in modo assolutamente certo e univoco. Le opposizioni fondamentali tra essere e apparenza, tra verità ed errore, tra certezza e dubbio - ovvero le distinzioni tra ciò che è, ciò che solamente appare, ciò che appare ma non è, ciò che può essere, ciò che non è affatto, ecc. - si costituiscono a partire dal modo del tutto determinato con cui noi intendiamo lessere, senza che questa comprensione possa venir modificata o aprirsi su nuove prospettive o punti di vista. Heidegger ha sicuramente visto questa datità assoluta del senso dellessere, ma lha posta sullo stesso piano dellindeterminatezza e delloscurità con cui questo stesso senso sembra manifestarsi24.
Il motivo per cui Heidegger avanza lidea della Verborgenheit è dovuta al fatto, come abbiamo visto, che il pensiero non è in grado di cogliere e di fissare lessere in concetti e significati. Ma limpossibilità di dire e significare lessere - di saperlo - non implica affatto che il suo senso sia oscuro, ma solo che esso proviene dal di fuori del linguaggio. Se, in via del tutto essenziale, non ci sono parole capaci di definire il senso dellessere, è perché la definizione e il linguaggio presuppongono, come loro condizione di possibilità, la comprensione preliminare di questo senso, che allora sfugge alla presa di qualsiasi sapere proprio nella misura in cui lo rende possibile. Questa comprensione è assolutamente determinata e univoca in quanto è sottratta al gioco delle interpretazioni e dei rinvii semantici che sottende invece a qualsiasi forma di sapere concettuale. Non cè perciò un accesso più o meno autentico alla verità dellessere, e questo non nel senso che tutti i punti di vista siano ugualmente validi e giustificati - come sostiene la moderna scempiaggine relativista -, ma nel senso che la comprensione dellessere non può che essere una, univoca, e necessariamente vera. Se non ci intendessimo in modo assolutamente univoco quando usiamo la parola essere non ci intenderemmo su nulla, nemmeno sullipotesi che la comprensione e la comunicazione potrebbero anche non esistere. La Seinsverständnis, infatti, non si dà se non in quanto comprensione condivisa dagli altri: la necessità che laltro intenda lessere nello stesso modo in cui lo intendo io è costitutiva del senso dellessere stesso.
Husserl sostiene che lente sensibile e spaziale si dà solo attraverso "adombramenti" e prospettive25, per cui cè sempre la possibilità che, ad un certo punto, la cosa si riveli essere diversa da quella che pareva, o che addirittura si riveli non essere affatto (come nel caso dellallucinazione o del sogno). Gli enti sensibili si offrono solo per "facce", e fa parte essenziale del loro "modo di darsi" la possibilità che essi siano diversi da come appaiono. Si dà sempre il caso che un nuovo aspetto metta in crisi tutta la serie di adombramenti precedentemente percepita in base alla quale io avevo costruito lidentità della cosa. E questo, dice Husserl, in infinitum26. "Per quanto dunque possiamo procedere nellesperienza, per grandi che siano le continuità di percezioni attuali della medesima cosa da noi percorse, rimarrà sempre per principio un orizzonte di determinabile indeterminatezza"27. Non possiamo mai essere certi dellente sensibile, né riguardo la sua essenza né riguardo la sua esistenza. Esso si manifesta in modo necessariamente "inadeguato"28 e non cè scienza capace di venire a capo di questa inadeguatezza costitutiva. Cè sempre una zona dellente che rimane nascosta. La cosa non perviene mai a una datità assoluta, ed è questo che la mantiene in una posizione di "trascendenza" nei confronti dellio. Trascendenza che, peraltro, può sempre rivelarsi illusoria: non avremo mai la sicurezza che lente sensibile si dia veramente o non sia, piuttosto, unillusione creata da noi (bisogna anche aggiungere che, simmetricamente, nemmeno la non esistenza della cosa può manifestarsi in modo definitivo). E noto che Husserl contrappone al "modo di darsi" inadeguato e solo presuntivo dellente trascendente il "modo di darsi" assoluto degli atti di coscienza o Erlebnisse : solo questi ultimi sono così come appaiono e perché appaiono : del loro essere e del loro esser-così non si può dubitare. Se il "principio di tutti i principi" stabilisce formalmente che solo ciò che "si dà" o "si offre" originalmente allintuizione è fonte legittima di conoscenza, listanza del cogito prescrive che non le cose, ma solo gli atti con cui la coscienza le coglie si diano veramente. Le "cose stesse" a cui bisogna ritornare sono in realtà gli Erlebnisse. Ciò che allora originalmente si mostra alla coscienza non è altro che la coscienza stessa. Ma come potremmo parlare di inadeguatezza o di indeterminatezza nel modo di apparire dellente sensibile (in opposizione alla piena datità con cui si mostrano gli Erlebnisse) se non ci fosse già manifesto in modo assolutamente indubitabile ciò che significa apparizione inadeguata in opposizione a ciò che è il vero essere? Se non avessimo già , cioè, una comprensione dellessere come di un alcunché di distinto dallapparire? La distinzione husserliana tra l"essere assoluto dellimmanente" (la coscienza) e l"essere puramente fenomenico del trascendente" (la cosa)29, ovvero la distinzione tra essere e apparire, presuppone uno svelamento in piena datità del senso dellessere. Per cui, ciò che originalmente si offre allintuizione, ciò che si manifesta in piena evidenza e senza alcun adombramento, la "cosa stessa" del pensiero, che precede per questo anche levidenza apodittica del cogito, è ciò che va sotto il titolo di essere. Ma se è vero, come dice Heidegger, che il cogito presuppone lo svelamento dellessere, Husserl ha ragione quando sostiene che lente "trascendente" può manifestarsi solo in maniera parziale e presuntiva. E lente a nascondersi, non lessere. E lente che può avere aspetti nascosti e mostrarsi sotto nuove prospettive. La comprensione dellessere, che contiene in sé la comprensione della differenza tra essere e apparire, prescrive che ciò che è, vale a dire lessente (non lessere), non coincida necessariamente con la sua manifestazione e si trovi, per così dire, in uno stato di indecisione tra comè e come appare. La verità dellente si produce come lotta tra svelamento e nascondimento, senza che sia mai dato a sapere se ciò che si mostra è finalmente il vero essere o solamente unaltra apparenza. E per questo che, tra laltro, ogni verità ontica può essere falsificata.
Ciò che non può essere invece mai falsificato è lessere stesso. La nostra comprensione dellessere, ad esempio, non potrà mai venire modificata da una nuova scoperta empirica, perché la scoperta dellessere è, nello stesso tempo, più vecchia e più futura di qualsiasi scoperta empirica, ed è lo spazio già aperto senza il quale nessun avvenimento empirico potrebbe verificarsi. Il senso dellessere non può né arricchirsi né precisarsi - né tantomeno essere falsificato - per semplice accumulazione di dati: esso è già dato una volta per tutte e in modo definitivo, prima di ogni dato particolare. E per questo che lidea di una "storia dellessere" solleva non poche perplessità. In fondo, se ci fosse una storia del modo in cui lessere si dà o si manifesta, noi non ne sapremmo nulla. Come potremmo sapere ciò che lessere era o ciò che sarà se non partendo da ciò che esso è ? Se non, cioè, dando per scontato che rimanga immutabile ? Pensare che lessere possa avere avuto, o potrà avere, un senso diverso da quello che di fatto ha, è per noi del tutto impossibile. Anche perché lidea di storia, insieme a quelle di verità e di sapere, sparirebbe totalmente dal nostro orizzonte di pensiero.
Siamo ben lontani, come si vede, sia dalle tesi del pensiero ermeneutico (specialmente dalle sue varianti deboli) sia da quelle del cosiddetto decostruttivismo. Queste due tesi convergono nellidea che lessere non sia in alcun caso riducibile alla categoria della presenza (origine delle deprecabili nozioni forti di fondamento, arché, identità, centro, ecc.), essendo, nella sua dimensione più autentica, evento in différance, svelamento sempre di là da venire, ecc. Lessere non si presenterebbe mai in se stesso, e proprio questa sua celatezza essenziale costituirebbe la riserva a cui attingerebbe la storia nella sua inesauribile capacità di produrre il nuovo e linedito. Sempre altro dallente presente e dalle parole che lo dicono, lessere impedirebbe al discorso di chiudersi e di cogliere in qualche modo delle verità ad esso esterne, costringendo le parole a rilanciarsi in sempre nuove interpretazioni il cui unico fondamento è la tradizione linguistica da cui provengono e da cui sono sollecitate. Non cè niente di male ad essere hegeliani, tanto meglio se senza larmamentario della teleologia della fine della storia. Ma tutto ciò ha ben poco a che fare con la logica interna del pensiero heideggeriano che, pur tra molte divagazioni poco convincenti sul destino e sulla storia delloccidente, parte proprio dallidea, continuamente rimeditata, di una manifestazione dellessere in se stesso, che si dà in un husserliana "intuizione categoriale" paragonata alla fine nientemeno che allesti gar einai di Parmenide29. "Anwest nämlich anwesen", è presente infatti lessere presente: così Heidegger traduce il frammento parmenideo, facendo di queste parole la sigla testamentaria del suo pensiero. E presente lessere presente; ovvero: lessere è dato, svelato, manifesto, qui e ora e già da sempre. Nel 1969, nella sua unica intervista televisiva, Heidegger diceva che "il segno più caratteristico del destino in cui noi ci troviamo [ la dimenticanza della questione dellessere ] è -per quello che riesco a vedere - il fatto che la questione dellessere, che io pongo, non è stata ancora compresa "30. Non sembra che, nel frattempo, le cose siano cambiate di molto.
NOTE
1 M. Heidegger, Essere e tempo, Longanesi, Milano 1970, pp. 23-24.
2
Ibid., p. 25.3
M.Heidegger, I problemi fondamentali della fenomenologia, il melangolo, Genova 1988, p.9.4
M. Heidegger, Essere e tempo, cit., p.20.5
I bid..6
M. Heidegger, Introduzione alla metafisica, Mursia, Milano 1972, p. 50.7
M. Heidegger, Essere e tempo, cit., p.22.8
I bid.9
I bid., p. 24.10
I bid.11
M. Heidegger, Introduzione alla metafisica, cit., p.96.12
I bid., p. 95.13
M. Heidegger, Intrduzione a: "Che cosè la metafisica?", in Segnavia, Adelphi, Milano 1987, p. 318.14
M. Heidegger, Introduzione alla metafisica, cit., p. 88.15
I bid.., p. 50.16
I bid., p.123.17
M. Heidegger, Sentieri interrotti, La Nuova Italia, Firenze 1968, p.314.18
M. Heidegger, Introduzione alla metafisica, cit., p.123.19
M. Heidegger, Saggi e discorsi, Mursia, Milano 1985, p.157.20
M. Heidegger, La questione dellessere, in Segnavia, cit., p.364.21
"Lessere ha, nella misura in cui è compreso, un senso". M. Heidegger, Introduzione alla metafisica, cit., p. 93.22
M. Heidegger, Poscritto a "Che cosè la metafisica?", in Segnavia, cit., p.259.23
M.Heidegger, Introduzione a:"Che cosè la metafisica?", cit., p.329.24
Cfr. ad esempio tutta la prima parte del testo Concetti fondamentali, il melangolo, Genova 1989.25
E. Husserl, Idee I, Einaudi, Torino 1981, p. 88.26
I bid., p.94.27
I bid., p. 95.28
I bid., p. 94.29
I bid., .29
M.Heidegger, Seminario di Zhäringen, in Seminari, Adelphi, Milano 199230
M. Heidegger, Risposta, A colloquio con Martin Heidegger,Guida, Napoli 1992, p.55.