Dott. Poloni Levio

Medico-Chirurgo

Spec. in Medicina del Lavoro

Fattori di Rischio
D.P.R. 626/'94 e successive modifiche

 

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I fattori di rischio

 

 

Illuminazione

I luoghi di lavoro devono essere adeguatamente illuminati. A tal fine è opportuno che siano dotati di:

- una quantità di luce adeguata per una corretta visibilità nell’ambiente di lavoro e, in particolare, per lo specifico compito visivo da svolgere;

- una distribuzione e una collocazione adeguata delle fonti (naturali e/o artificiali) di illuminazione, atte a evidenziare eventuali situazioni di pericolo (ostacoli, spigoli vari ecc.) e a evitare fenomeni di abbagliamento;

- una qualità dell’illuminazione che consenta di distinguere convenientemente i colori.

La carenza di tali requisiti può produrre conseguenze sulla corretta regolazione dell’apparato visivo, con effetti:

a) per la nitidezza dell’immagine

più l’oggetto da osservare è vicino e di ridotte dimensioni, maggiore è lo sforzo che viene richiesto all’apparato visivo per vedere nitidamente; più l’illuminazione dell’oggetto è debole, più la nitidezza è ridotta e aumenta lo sforzo di accomodamento;

b) per l’adattamento alla quantità della luce

gli oggetti riflettono in modo diverso la luce a seconda del loro colore (chiaro o scuro) e della loro superficie (opaca o brillante); i cambiamenti rapidi di direzione dello sguardo e/o la presenza nel campo visivo di zone a luminosità molto differenziata impongono all’occhio una complessa attività di regolazione: per questa ragione occorre evitare tanto la visione diretta delle sorgenti luminose di notevole intensità, quanto i loro riflessi fastidiosi (dovuti a schermi, cristalli, vernici brillanti ecc.); i contrasti sono tuttavia utili: un oggetto sarà più o meno facilmente visibile a seconda del contrasto dello stesso al fondo.

 

Effetti sulla salute

La necessità di effettuare molteplici regolazioni della vista a causa di sfavorevoli condizioni di illuminazione, in rapporto con le operazioni da compiere, può affaticare sensibilmente l’apparato visivo; detto fenomeno, che si manifesta agli inizi con irritazione degli occhi, finisce per determinare veri e propri disturbi.

Inoltre, la postura, eventualmente assunta per compensare insufficienti o inidonee condizioni di illuminazione del posto di lavoro, può provocare disturbi a carico dell’apparato muscolo-scheletrico.

 

I principi della prevenzione

Al fine di prevenire i danni alla salute imputabili all’illuminazione, occorre adottare i correttivi che le norme di legge o di buona tecnica prescrivono in relazione alle possibili causali di rischio (tendaggi, corretto posizionamento della postazione di lavoro rispetto alle fonti di illuminazione, adeguamento della intensità ecc.).

Quanto, infine, alla intensità e alle caratteristiche della illuminazione, è opportuno che esse vengano adeguate in relazione alle esigenze connesse al tipo di lavorazione/attività espletata.

Contro l’incidenza diretta o riflessa del flusso luminoso, possono essere adottati schermature, tendaggi, veneziane preferibilmente a lamelle orizzontali.

Effetti positivi possono riscontrarsi, inoltre, prevedendo, ove possibile, il corretto posizionamento delle postazioni di lavoro rispetto alle fonti di illuminazione, di cui dovrà curarsi la costante manutenzione e pulizia, soprattutto per le superfici vetrate o illuminanti.

 

Normativa

- Dlgs n. 626 del 19/9/1994 art. 33 (che ha sostituito l’art. 10 del dpr 303 del 19/3/1956): «Attuazione di direttive Cee sul miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro»

art. 33 - [comma 8] Illuminazione naturale e artificiale dei luoghi di lavoro.

- Dpr n. 547 del 27/4/1955, artt. 28, 29, 30, 31, 32, 175, 225, 304, 307, 308, 332, 341: «Norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro»

art. 28 - Illuminazione generale

art. 29 - Illuminazione particolare

art. 30 - Deroghe per esigenze tecniche

art. 31 - Illuminazione sussidiaria

art. 175 - Dispositivi di segnalazione

art. 225 - Illuminazione dei segnali

artt. da 304 a 308 - Impianti di illuminazione elettrica

art. 332 - Illuminazione di luoghi pericolosi

art. 341 - Illuminazione sussidiaria nelle cabine elettriche

- Dpr n. 303 del 19/3/1956, art. 8: «Norme generali per l’igiene del lavoro»

art. 8 - Locali sotterranei

 

Rumore

Il rumore negli ambienti di lavoro è ormai diventato uno dei problemi più importanti tra quelli compresi nell’igiene del lavoro. La continua meccanizzazione della produzione con l’introduzione di processi tecnologici continui ha portato al moltiplicarsi delle fonti di rumore e a un aumento della percentuale di lavoratori esposti a questo fattore di rischio.

Lo sviluppo tecnologico, con il relativo aumento esponenziale del rischio da esposizione, non è stato seguito da adeguate misure preventive.

Come rumore può essere indicato qualsiasi suono indesiderabile. Tuttavia, è impossibile stabilire in via teorica se una vibrazione meccanica percettibile con l’udito sarà per l’ascoltatore un suono o un rumore, in quanto tale giudizio sarà soggettivo e pertanto variabile da persona a persona.

Il rumore come trasmissione di suoni è un fenomeno vibratorio. I parametri più importanti per la misurazione dell’onda sonora sono l’ampiezza (rappresenta il valore che assume la pressione) e la frequenza (numero di oscillazioni compiute dalla vibrazione in un secondo). Il suono viene misurato in decibel per quel che riguarda la pressione sonora e in hertz per quel che riguarda la frequenza.

L’orecchio umano trasmette i rumori al cervello che li elabora per estrarne informazioni utili al soggetto per la comunicazione tra gli individui.

Il tempo di esposizione e la pressione sonora sono fattori fondamentali per definire l’azione biologica del rumore stesso. Data la complessità dell’azione biologica del fenomeno rumore, altri parametri possono influenzare la sua azione, quali la distribuzione delle frequenze o le caratteristiche proprie degli individui.

 

Effetti sulla salute

Il rumore è causa di danno (ipoacusia, sordità) e comporta la malattia professionale statisticamente più significativa. Da qui la crescente attenzione al problema, prestato da tecnici e legislatori, volta alla prevenzione e alla bonifica degli ambienti di lavoro inquinati.

Gli effetti nocivi che i rumori possono causare sull’uomo dipendono da tre fattori: intensità del rumore, frequenza del rumore e durata nel tempo dell’esposizione al rumore.

Questi effetti possono essere distinti in:

a) effetti uditivi: vanno a incidere negativamente a carico dell’organo dell’udito provocando all’inizio fischi e ronzii alle orecchie con una iniziale transitoria riduzione della capacità uditiva e successiva sordità, che in genere è bilaterale e simmetrica.

Il rumore agisce sull’orecchio umano causando secondo la natura e l’intensità della stimolazione sonora:

• uno stato di sordità temporanea con recupero della sensibilità dopo riposo notturno in ambiente silenzioso;

• uno stato di fatica con persistenza della riduzione della sensibilità e disturbi nell’udibilità della voce di conversazione per circa dieci giorni;

• uno stato di sordità da trauma acustico cronico con riduzione dell’intelligibilità del 50%;

b) effetti extrauditivi: insonnia, facile irritabilità, diminuzione della capacità di concentrazione sino a giungere a una sindrome ansioso-depressiva, aumento della pressione arteriosa, difficoltà digestiva, gastriti od ulcere, alterazioni tiroidee, disturbi mestruali ecc.

 

I principi della prevenzione

La prima cosa da fare è ridurre i livelli di rumore.

È necessario ridurre il rumore alla fonte, cioè progettare e acquistare macchine con la più bassa emissione di rumore.

Limitare la propagazione delle onde sonore, isolando la sorgente sonora utilizzando per le pareti, i muri e i soffitti degli ambienti di lavoro dei materiali assorbenti.

Limitare il tempo di esposizione del lavoratore.

Protezione del lavoratore o con ambienti cabinati o mediante protezioni individuali quali cuffie (abbattono circa di 20 db l’intensità dello stimolo sonoro) o tappi alle orecchie.

I lavoratori esposti a un livello sonoro elevato devono essere sottoposti a sorveglianza sanitaria.

I lavoratori la cui esposizione quotidiana personale al rumore supera gli 85 decibel, indipendentemente dall’uso dei mezzi individuali di protezione, sono sottoposti a visita medica preventiva integrata dall’esame della funzione uditiva (per valutare l’idoneità del lavoratore alla mansione), da ripetere periodicamente.

I locali in cui le lavorazioni comportano un’esposizione personale superiore ai 90 decibel sono provvisti di apposita segnaletica ed eventualmente, qualora il rischio lo giustifichi, sono perimetrati per una limitazione d’accesso.

 

Normativa

- Legge n. 447 del 26 ottobre 1995: «Legge quadro sull’inquinamento acustico»

- Decreto legislativo n. 626/94, all. IV e V: «Attuazione delle direttive 89/391, 89/654, 89/655, 89/656, 90/270, 90/394 e 90/679 sul miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro» (S.O. n. 141 alla G.U. n. 265 del 12/11/94).

all. IV - Elenco attrezzature di protezione individuale

all. V - Elenco attività ove è necessario avere a disposizione attrezzature di protezione individuale.

- Dm n. 316 del 4 marzo 1994, artt. 1, 4, 8: «Regolamento recante norme in materia di limitazione del rumore prodotto dagli escavatori idraulici e a funi apripista e pale meccaniche»

- Dlgs n. 134 del 27 gennaio 1992: «Attuazione della direttiva 86/494/Cee relativa al rumore aereo emesso dagli apparecchi domestici».

- Dlgs n. 137 del 27 gennaio 1992: «Attuazione della direttiva 87/405/Cee relativa al livello di potenza acustica ammesso delle gru a torre».

- Dlgs n. 277 del 15 agosto 1991, artt. 38-49 e allegati VI e VII: «Attuazione delle direttive 80/1107, 82/605, 83/477, 86/188 e 88/642 in materia di protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da esposizione ad agenti chimici, fisici e biologici durante il lavoro» (G.U. n. 200 del 27/8/91).

- Dpcm del 1° marzo 1991, artt. 1, 2, 6 e allegati A e B: «Limiti massimi di esposizione al rumore negli ambienti abitativi e nell’ambiente esterno».

- Dlgs n. 135 del 27 gennaio 1991, art. 7 e allegati II e III: «Attuazione delle direttive 86/662/Cee e 89/514/Cee in materia di limitazione del rumore prodotto dagli escavatori idraulici e a funi apripista e pale meccaniche».

- Dm n. 588 del 26 novembre 1987, art. 6 e allegati da I a VII: «Metodo di misura del rumore di motocompressori, gru a torre, gruppi elettrogeni di saldatura, gruppi elettrogeni e martelli demolitori azionati a mano, utilizzati per compiere lavori nei cantieri edili e di ingegneria civile».

- Legge n. 862 del 19 novembre 1984: «Ratifica convenzione Oil n. 148».

- Legge n. 864 del 19 ottobre 1970: «Ratifica convenzione Oil n. 120».

- Dpr n. 303 del 19 marzo 1956, artt. 24 e 48, tabella allegata: «Norme generali per l’igiene del lavoro»

art. 24 - Rumori e scuotimenti

Norme tecniche armonizzate

- Uni 7545/22, segni grafici per segnali di pericolo: rumore.

- Uni 9432, determinazione del livello di esposizione personale al rumore negli ambienti di lavoro.

- Uni 10163, acustica: cabina per personale in ambiente di lavoro; misurazioni della perdita per trasmissione sonora; metodo di controllo.

- Uni En 24869/1, acustica, protettori auricolari, metodo soggettivo per la misura dell’attenuazione sonora.

 

Vibrazioni

I materiali hanno una elasticità variabile in funzione dello stato di aggregazione proprio di ogni sostanza che li compone. Una perturbazione esterna al materiale determina un moto oscillatorio, rispetto alla situazione di equilibrio, producendo le vibrazioni meccaniche.

Le vibrazioni possono essere differenziate, sotto il profilo fisico, in funzione della frequenza, della lunghezza d’onda, dell’ampiezza, della velocità e dell’accelerazione.

In relazione alle lavorazioni, è possibile distinguere due criteri di rischio: il primo interessa le vibrazioni con bassa frequenza (si riscontrano per esempio nei conducenti di veicoli), il secondo interessa quelle con alta frequenza (con riscontro nelle lavorazioni che utilizzano attrezzi manuali a percussione).

 

Effetti sulla salute

La nocività delle vibrazioni dipende dalle caratteristiche e dalle condizioni in cui vengono trasmesse: estensione della zona di contatto con l’oggetto che vibra (mani, piedi, glutei ecc.), frequenza della vibrazione, direzione di propagazione, tempo di esposizione. Gli effetti nocivi interessano nella maggior parte dei casi, sulla base di dati statistici, le ossa e le articolazioni della mano, del polso e del gomito; sono anche facilmente riscontrabili affaticamento psicofisico e problemi di circolazione.

 

I principi della prevenzione

La prevenzione deve essere fondata su provvedimenti di tipo tecnico, organizzativo e medico, distinta a seconda se si è in presenza di basse o alte frequenze di vibrazione.

Le misure di ordine tecnico devono tendere a diminuire la formazione di vibrazioni da parte di macchine e attrezzi (primariamente in sede di progettazione, con controlli periodici sul macchinario), e successivamente a limitarne la propagazione diretta e indiretta sull’individuo (utilizzando adeguati dispositivi di protezione individuali).

Il lavoro da strumenti vibranti è da considerarsi tra quelli comportanti un maggior affaticamento psicofisico: da un punto di vista organizzativo è opportuno introdurre turni di lavoro, avvicendamenti ecc.

Le misure di ordine medico, date la gravosità del lavoro e la possibilità che esso determini alterazioni vascolari, osteoarticolari e neuromuscolari, riguardano soprattutto le visite di assunzione, in quanto è indispensabile una selezione professionale.

 

Normativa

- Dpr n.547 del 27/4/1955, artt. 28, 29, 30, 31, 32, 175, 225, 304, 307, 308, 332, 341: «Norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro».

- Dpr n.303 del 19/3/1956, art.8: «Norme generali per l’igiene del lavoro».

- Dlgs n.626 del 19/9/1994: «Attuazione di direttive Cee sul miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro».

- Dlgs n.475 del 4/12/1992, in attuazione della direttiva 89/686 in materia di ravvicinamento delle legislazioni degli stati membri relative ai dispositivi di protezione individuale.

Norme tecniche armonizzate

- Uni Iso 5982 - vibrazioni ed urti, impedenza meccanica di ingresso del corpo umano.

- Iso 5349-86 - vibrazioni meccaniche, linee guida per la misurazione e la valutazione dell’esposizione a vibrazione.

- Iso 8041 - risposta degli individui alle vibrazioni, strumenti di misurazioni.

- Iso 2631 - guida per la valutazione dell’esposizione umana alle vibrazioni su tutto il corpo.

 

Ambiente termico

Il corpo umano tende a mantenere il più costante possibile (intorno ai 37°C) la propria temperatura interna: si dice pertanto che l’uomo è omeotermo.

L’uomo sviluppa calore per effetto dei fenomeni di ossidazione dei tessuti e dei muscoli (calore metabolico). Rispetto alla normale produzione di calore in condizioni di riposo, nello svolgimento delle attività lavorative l’uomo deve produrre una maggiore quantità di calore, di cui però solo una parte si trasforma in energia meccanica (lavoro): si dice che l’uomo è una macchina a basso rendimento. D’altra parte, l’organismo umano scambia calore con l’ambiente esterno con ulteriore apporto ovvero sottrazione di calore.

Affinché siano rispettate le condizioni di omeotermia, cioè le condizioni di stabilità dell’equilibrio termico del corpo umano, è necessario che il bilancio termico sia nullo, cioè la somma del calore metabolico e di quello che il corpo può ricevere dall’ambiente sia uguale alla quantità di calore che può essere ceduto all’ambiente stesso.

Assume pertanto rilevanza la valutazione dell’ambiente termico in cui l’uomo si trova a operare.

I fattori oggettivi ambientali da valutare sono:

a) temperatura dell’aria;

b) umidità relativa dell’aria;

c) velocità dell’aria;

d) irraggiamento da superfici calde.

L’insieme di questi parametri che caratterizzano un ambiente confinato rappresenta il cosiddetto «microclima».

È proprio dalla misurazione di questi parametri che si può stabilire se le condizioni microclimatiche di un determinato ambiente rientrano nella zona di benessere termico o possono rappresentare uno stress termico o costituiscono un disagio più o meno elevato per l’organismo umano.

 

Effetti sulla salute

Quando le condizioni microclimatiche di un ambiente diventano sfavorevoli e il bilancio termico diventa positivo o negativo, il sistema di termoregolazione del corpo umano mette in funzione opportuni meccanismi di difesa.

Dato che il calore scambiato dall’organismo viene trasportato con la circolazione sanguigna il sistema di termoregolazione in caso di freddo o di caldo tende rispettivamente a ridurre o ad aumentare il numero e le dimensioni dei vasi sanguigni funzionanti, con conseguente variazione del flusso sanguigno dalla parte centrale del corpo verso la periferia. In questo modo il sistema di termoregolazione riesce a mantenere l’equilibrio termico del corpo fino a quando la temperatura dell’aria ambiente raggiunge valori di 27-29°C.

Per valori superiori di temperatura, il sangue non riesce a smaltire completamente il calore per cui il sistema di termoregolazione fa entrare in funzione le ghiandole sudoripare smaltendo il calore in eccesso con l’evaporazione del sudore. Per questo motivo vi possono essere condizioni microclimatiche nelle quali l’uomo può vivere indefinitamente mediante l’ausilio del sistema di termoregolazione, altre nelle quali può resistere per tutto il turno di lavoro, altre ancora che permettono una permanenza limitata.

Si possono definire condizioni di «benessere termico» quelle in cui l’organismo riesce a mantenere l’equilibrio termico senza l’intervento di alcuni meccanismi di difesa del sistema di termoregolazione. In altre parole il benessere termico rappresenta uno stato fisiologico caratterizzato dall’assenza di sensazioni di caldo o di freddo o di correnti d’aria.

Si definisce invece «stress termico» quelle condizioni microclimatiche nelle quali entrano in funzione i meccanismi di termoregolazione per mantenere l’equilibrio termico del corpo.

Il sistema di termoregolazione permette all’uomo di adeguarsi alle variazioni diurne e stagionali del clima. Evidentemente, se le variazioni sono graduali, l’organismo umano tollera meglio gli sbalzi di temperatura.

Nelle nostre regioni si possono avere sbalzi di temperatura di 10-15°C nel giorno, di 20-30°C fra l’inverno e l’estate.

L’acclimatazione è il fenomeno per cui mediante l’aiuto del sistema di termoregolazione l’organismo umano raggiunge uno stato più stabile di resistenza alle condizioni microclimatiche esterne con il minimo di sforzo delle sue funzioni e di consumo di energia.

L’adattamento è invece il fenomeno di acclimatazione a condizioni microclimatiche più onerose e richiede un particolare atteggiamento psichico e comportamentale verso queste situazioni.

L’adattamento può portare all’abitudine ossia ad accettare senza disagio psichico condizioni inizialmente ritenute sfavorevoli o disagevoli.

Gli studi sugli effetti dell’ambiente termico sull’uomo sono stati diretti essenzialmente a determinare, da una parte, le condizioni che consentono il «benessere», e dall’altra i limiti massimi di tollerabilità per esposizioni a temperature elevate.

Dal punto di vista della patologia non risulta che siano state condotte ricerche approfondite sugli effetti a lungo termine provocati dall’esposizione al calore (effetti cronici).

Per quanto riguarda invece gli effetti acuti dell’esposizione a temperature elevate, è ben noto il quadro clinico del «colpo di calore» caratterizzato da un improvviso innalzamento della temperatura corporea, da confusione mentale, irascibilità, delirio, convulsioni e perdita di conoscenza.

Forme più leggere sono la sincope, il collasso e i crampi da calore. Più frequente, se pure non ben definita, è la «fatica da calore». Sintomi come spossatezza, irritabilità, facile affaticamento sono da tutti sperimentati nei giorni molto caldi. Disturbi simili accusano gli operai che lavorano in un ambiente con caratteristiche microclimatiche non confortevoli. Sottoposti a fatica da calore si sta male, ed è più elevata la possibilità di avere infortuni.

 

I principi della prevenzione

La prevenzione dei danni da calore si attua principalmente con una buona progettazione dei locali e della loro disposizione, con la messa a punto di sistemi tecnico-ingegneristici che evitino il propagarsi del calore dalle sorgenti.

Questi sistemi sono diversi per le diverse situazioni, ma si basano in generale sull’isolamento delle sorgenti di calore con materiali scarsamente conduttori (lana di roccia ecc.) oppure con l’impiego di materiali dotati di potere rifrangente (lamiere di alluminio).

Un mezzo di prevenzione diffuso è la ventilazione: l’ideale sarebbe il condizionamento generale dell’ambiente di lavoro, cosa non sempre praticabile quando si è in presenza di notevoli fonti di calore come nelle fonderie, nelle acciaierie, nelle vetrerie, nonché in alcuni lavori dell’agricoltura, dell’edilizia e stradali.

In casi eccezionali si può fare ricorso a una ventilazione localizzata («spot cooling»), dirigendo sull’operatore un flusso di aria fresca che dà una sensazione di refrigerio.

Nel caso di situazioni termiche elevate, misure di carattere preventivo vanno individuate anche nell’organizzazione del lavoro: si dovranno prevedere, oltre a un’adeguata preparazione tecnica, adeguati periodi di acclimatazione, pause e periodi di riposo.

Le pause durante la giornata lavorativa dovranno essere trascorse in locali climatizzati correttamente con a disposizione bevande fresche e sali.

L’adozione infine di abiti protettivi dovrebbe essere eccezionale. Il disegno di tali abiti deve permettere i movimenti necessari per il lavoro e anche che il corpo elimini il calore che produce.

 

Normativa

- Dlgs n. 626 del 19/9/94, art. 33, punto 7 (che ha sostituito l’art. 11 del dpr 19/3/1956, n. 303, recante «Norme di igiene del lavoro»).

 

Sostanze e preparati pericolosi

Numerosi prodotti chimici (sostanze, preparazioni, rifiuti) presentano un rischio per la salute e la sicurezza dei lavoratori. Tali pericoli si nascondono, talvolta, sotto nomi semplici come «varechina, antigelo, inchiostro, vernice, fertilizzanti». Sono d’uso corrente e quotidiano in tutti i settori di attività. Il rischio deriva dal contatto dei prodotti pericolosi con l’organismo umano, in particolare per le condizioni di uso di questi prodotti.

Un prodotto è pericoloso quando ha uno o più effetti nocivi sull’organismo vivente. È tanto più pericoloso se i suoi effetti tossici sull’organismo derivano da dosi o durate di esposizione brevi. Alcuni tipi di rischi sono connessi alle proprietà dei prodotti: rischi di incidente (incendio, esplosione, dispersione), rischi di malattia.

L’infiammabilità (vedere scheda incendio-esplosione) è legata al loro stato fisico: liquidi, gas, polveri, solidi polverosi.

La reattività è l’affinità di due o più prodotti mescolati, che reagiscono liberando delle sostanze. Per esempio la varechina, in presenza di acido, libera cloro gassoso molto tossico.

La corrosività è la facilità con la quale un prodotto chimico attacca uno o più metalli.

Durante il lavoro, i lavoratori possono essere esposti a sostanze, preparazioni o rifiuti pericolosi, sia in modo accidentale (esplosione, incendio, rottura di condutture, serbatoi o altri contenitori) sia in modo abituale (uso quotidiano sul posto di lavoro). Il livello di esposizione è legato alla dose assunta e al tempo durante il quale il lavoratore è stato in contatto con il prodotto o la preparazione pericolosa.

 

Effetti sulla salute

Il corpo umano è protetto verso l’esterno dalla pelle che è un materiale vivente che, come tutti i materiali, può svolgere la sua funzione di protezione solo entro certi limiti.

Vi sono tre vie principali di penetrazione dei tossici nell’organismo: la via cutanea (pelle), la respirazione (polmoni) e l’ingestione (bocca).

Gli organi interni sono anch’essi tessuti viventi che presentano affinità diverse ai prodotti chimici.

Nell’intossicazione acuta, gli effetti sono immediati a seguito di una esposizione di breve durata con assorbimento rapido del tossico. Nell’intossicazione cronica, gli effetti sono tardivi (da qualche giorno a diverse decine di anni) e sono conseguenti alla esposizione a dosi minime ma frequenti per lunghi periodi.

Tali effetti dipendono dalla natura dei prodotti in causa, dalle operazioni eseguite (durata dell’operazione, frequenza ecc.) e dalla sensibilità dell’organismo.

 

I principi della prevenzione

Ogni recipiente contenente un prodotto pericoloso deve essere etichettato da chi l’ha riempito.

Il fornitore deve predisporre una scheda con i dati sulla sicurezza e deve trasmetterla all’utilizzatore.

Una priorità assoluta è rappresentata dal censimento dei prodotti pericolosi per limitarne l’impiego e cercare prodotti sostitutivi meno pericolosi, soprattutto per quelli cancerogeni.

Far conoscere la composizione dei prodotti o delle preparazioni pericolose (etichettatura chiara, informazione verbale o scritta, se necessario).

Informare sistematicamente in anticipo ogni lavoratore sui rischi che presentano per la sua salute o la sua sicurezza, prima di utilizzarli e sulle modalità operative oltre che sulle condizioni e le precauzioni per l’uso.

Limitare il numero dei lavoratori esposti all’azione dei prodotti pericolosi, controllare e rispettare i livelli di esposizione regolamentari, tener conto dei valori raccomandati (i valori limite di esposizione e i valori medi sono stati definiti per un grande numero di sostanze).

Sviluppare i mezzi di protezione collettiva (captazione alla fonte, aerazione, purificazione dei locali, mezzi di rilevamento ecc.) o, quando ciò non sia possibile, utilizzare gli equipaggiamenti di protezione individuale.

Predisporre una nota informativa con le avvertenze per ogni posto di lavoro che espone i lavoratori a prodotti pericolosi, per informarli sui rischi e le precauzioni da prendere.

 

Normativa

- Dlgs n. 194 del 17/3/1995: «Attuazione della direttiva 91/414/Cee in materia di immissione in commercio di prodotti fitosanitari».

- Dlgs n. 626 del 19/9/1994; art. 33 [comma 11], artt. da 60 a 88, all. VIII, IX, X, XI: «Attuazione di direttive Cee sul miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro»:

art. 33 - [comma 11] Spogliatoi e armadi per vestiario

artt. 60/88 - Protezione da agenti cancerogeni e protezione da agenti biologici

all. VIII - Elenco sistemi preparati e procedimenti

all. IX - Elenco attività con presenza agenti biologici

all. X - Segnale di rischio biologico

all. XI - Elenco agenti biologici classificati

- Dlgs n. 475 del 4/12/1992; all. II punto 3.10: «Attuazione della direttiva 89/686/Cee in materia di dispositivi di protezione individuale».

- Dm del 28/1/1992: «Classificazione e disciplina dell’imballaggio e della etichettatura dei preparati pericolosi in attuazione di direttive comunitarie».

- Dpr n. 223 del 24/5/1988: «Attuazione di direttive comunitarie sulla classificazione, imballaggio e etichettatura di preparati pericolosi (antiparassitari)».

- Dm n. 84 del 23/2/1988: «Etichettatura speciale da applicare su sostanze e preparati pericolosi».

- Dm del 3/12/1985; Dm del 16/2/1993: «Classificazione e disciplina dell’imballaggio e dell’etichettatura delle sostanze pericolose».

- Dpr n. 904 del 10/9/1982 e successive modifiche: «Attuazione della direttiva 76/769/Cee relativa alla immissione sul mercato e all’uso di talune sostanze e preparati pericolosi».

- Legge n. 256 del 29/5/1974 e successive modifiche: «Classificazione e disciplina dell’imballaggio e dell’etichettatura delle sostanze e dei preparati pericolosi».

- Dpr n. 303 del 19/3/1956; art. 18 e tabella allegata: «Norme generali per l’igiene del lavoro»:

art. 18 - Difesa dalle sostanze nocive

- Dpr n. 547 del 27/4/1955; artt. 36, 351/373: «Norme per la prevenzione degli infortuni»:

art. 36 - Lavorazioni pericolose

artt. 351/373 - Materie e prodotti pericolosi e nocivi

 

Aerazione, purificazione dell’aria

La composizione dell’aria negli ambienti di lavoro deve essere compatibile con il fabbisogno respiratorio dei soggetti che vi soggiornano: a tal fine occorre che siano assicurati il ricambio e l’eliminazione dell’aria viziata nonché dell’anidride carbonica prodotte dalla respirazione.

Il ricambio può essere effettuato mediante gli appositi dispositivi di aerazione o di purificazione dell’aria, ovvero in modo naturale mediante l’apertura di finestre, porte o vetrate.

Nei locali con inquinamento «non specifico» (dovuto alla sola presenza umana), il ricambio dell’aria deve soddisfare due esigenze:

• essere adeguato, in termini quantitativi e qualitativi, a preservare lo stato di salute dei lavoratori;

• non comportare sbalzi di temperatura.

Nei locali con inquinamento «specifico» (provocato, cioè, dall’emissione di sostanze pericolose usate o prodotte durante la lavorazione), si deve provvedere anche a eliminare i fattori nocivi, ogni volta che ciò sia tecnicamente possibile:

• mediante sostituzione delle sostanze inquinanti con altri prodotti meno pericolosi;

• captando gli inquinanti alla fonte.

A ciò si provvede mediante gli impianti di ventilazione, che devono assicurare l’allontanamento degli inquinanti residui, nonché la immissione dell’aria di compensazione e supplementare per la eventuale evacuazione a seguito di incidenti.

Nell’impianto di aspirazione, viceversa, dovranno essere opportunamente curati il posizionamento degli aspiratori alla fonte, il loro ingombro, il livello sonoro e la eliminazione di correnti di aria indotte.

 

Effetti sulla salute

L’inquinamento «non specifico» dell’aria può concorrere all’insorgenza di modesti disturbi per la salute (manifestazioni irritative o allergiche a carico dell’apparato otorinolaringoiatrico), mentre l’inquinamento «specifico» può provocare rilevanti conseguenze per la salute (malessere, asma, intossicazione, vere e proprie malattie da agenti tossici inalati) che possono aggravarsi in relazione alla durata e alla intensità dell’esposizione.

 

Principi della prevenzione

In caso di eventuale utilizzazione negli ambienti di lavoro di prodotti inquinanti (come l’idrogeno arsenicato, il benzene, il bromuro di metile, il piombo) ovvero nel caso in cui vengano effettuati lavori quali la raschiatura, la sabbiatura a getto, la verniciatura o la pittura mediante polverizzazione, devono essere predisposti specifici, adeguati dispositivi di aerazione degli ambienti interessati o di aspirazione alla fonte.

Si devono, altresì, fornire, per l’occasione, attrezzature di protezione individuale idonee ad affrontare le suddette situazioni di rischio, e assicurare la manutenzione regolare degli impianti e dei dispositivi, per garantirne un costante livello di efficienza.

Identici criteri debbono adottarsi anche per gli impianti di climatizzazione.

 

Normativa

- Dlgs n. 626 del 19/9/94, art. 32, comma 1, lett. b) e c), art. 33, commi 6 e 7 (che ha sostituito gli artt. 9 e 11)

- Dpr n. 303 del 19/3/56

- Dpr n. 303 del 19/3/56, artt. 20 e 21

- Dpr n. 320 del 20/3/56, artt. 30/35, 61

- Dpr n. 321 del 20/3/56, artt. 21

- Dpr n. 164 del 17/1/56, art. 15

- Uni 5104

- Iso 7730/84

Attuazione direttive Cee sul miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro

- Luoghi di lavoro chiusi: comma 7

- Temperatura: art. 32, comma 1, lett. b)

- Manutenzione degli impianti: comma 1, lett. c)

- Pulizia degli impianti: art. 33, comma 6

- Aerazione dei locali

Norme generali per l’igiene del lavoro

- art. 20 - Difesa dell’aria dall’inquinamento con prodotti nocivi

- art. 21 - Difesa contro le polveri

Norme per la prevenzione degli infortuni e l’igiene del lavoro in sotterraneo

- artt. 30/35 - Ventilazione - Limitazione della temperatura interna

- art. 61 - Velocità dell’aria

Norme per la prevenzione degli infortuni e l’igiene del lavoro nei cassoni ad aria compressa

- art. 21 - Ricambio dell’aria

Norme per la prevenzione degli infortuni e l’igiene del lavoro nelle costruzioni

- art. 15 - Presenza di gas negli scavi

Impianti di condizionamento dell’aria. Norme per l’ordinazione, l’offerta e il collaudo

Comfort termoigrometrico negli ambienti

 

Macchine, macchine mobili, apparecchi
di sollevamento

Le macchine, le macchine mobili e gli apparecchi di sollevamento sono all’origine di più del 10% degli infortuni sul lavoro. Per quanto riguarda i rischi di natura meccanica, quelli tradizionalmente conosciuti sono attualmente ben controllati, ma stanno emergendo nuovi rischi e nuove problematiche con lo sviluppo di nuove tecnologie, come nelle macchine a controllo numerico e nella robotica.

La progettazione delle macchine deve tener conto dei vincoli connessi alla sicurezza dei lavoratori, vincoli che vengono imposti al fabbricante e al fornitore. Il responsabile dell’impresa deve, da parte sua, essere certo che il materiale che acquista e installa sia conforme alle norme vigenti e che quello già esistente nei reparti è da rendere conforme alle stesse; pur tuttavia, ciò non è sempre sufficiente ai fini del raggiungimento dei una adeguata sicurezza dei macchinari e del loro uso.

 

Effetti sulla salute

Gli effetti connessi all’uso dei macchinari in genere sono schematizzabili nelle grandi categorie degli infortuni e delle patologie a breve e lungo termine.

I fattori che sono implicati in questi eventi dannosi sono quelli meccanici (cadute dall’alto, intrappolamento in parti di macchine, parti sporgenti ecc.), quelli fisici (rumore, vibrazioni, radiazioni ionizzanti e non ionizzanti, elettricità, temperatura ecc.), quelli chimici (gas, vapori, fumi tossici a seconda delle lavorazioni, oli minerali per manutenzione, polveri, fibre ecc.) e quelli psicologici connessi all’organizzazione del lavoro e al rapporto uomo/macchina.

Per definire e caratterizzare correttamente gli infortuni, sia in modo quantitativo che qualitativo, ci si può avvalere delle statistiche che elabora l’Inail, come prodotto parallelo della propria attività assicurativa. In altre parole i casi d’infortunio, definiti e indennizzati dall’Istituto assicuratore, possono costituire la base di riferimento utile per la costruzione di immagini descrittive del fenomeno infortunistico, come elaborato dal Sistema informativo prevenzionale (Sipre) che può dare disaggregazioni fino a livello di Usl.

 

Macchine

Nell’ambito di tutte le aziende industriali e artigiane, gli infortuni da macchine costituiscono l’8,5% del totale degli eventi dannosi. La sede della lesione maggiormente interessata è la mano (oltre il 66%); seguono, con percentuali molto più basse, il polso (4%), il braccio e l’avambraccio (3%), il ginocchio (3%) e il cranio (2,5%).

Per quanto attiene alla natura della lesione, le ferite rappresentano circa il 50% degli eventi lesivi, le contusioni il 23%, le fratture, le lussazioni, le distorsioni complessivamente il 19%.

Riguardo alle conseguenze, il grado percentuale medio di inabilità per postumi permanenti è il 20,4, rispetto a una media nazionale del 19,6.

 

Mezzi di sollevamento, macchine mobili

Il 12% degli infortuni totali è causato da questi agenti.

In questi eventi, oltre alla mano (15%), come sede della lesione sono interessati la colonna vertebrale (14%), il ginocchio (11%) e il cranio (10%).

Le lesioni più frequenti sono le contusioni (44%) e le fratture, lussazioni e distorsioni (44%), con un grado percentuale medio di inabilità permanente di 20,2.

 

I principi della prevenzione

Ricevimento di una nuova attrezzatura

È al momento dell’ordine o della redazione dei capitolati che si può agire meglio sulla prevenzione dei rischi dovuti alle macchine. I capitolati contengono, in genere, le caratteristiche del prodotto e una formula che richiede il rispetto della normativa e delle regole dell’arte. Spesso è bene aggiungervi gli aspetti specifici dell’impresa che hanno una incidenza sulle condizioni di lavoro e sulla sicurezza del personale (condizioni ambientali, esperienza dei lavoratori, cambi di produzione, esigenze della clientela ecc.).

In ogni caso, il responsabile dell’impresa deve verificare che l’attrezzatura sia appropriata alla funzione a cui è dedicata, adatta alle situazioni particolari di utilizzazione e che sia correttamente installata, utilizzata e mantenuta. Infine, in caso di modifiche apportate alla macchina, queste non devono compromettere la sicurezza del personale.

 

L’installazione della macchina o del motore

I rischi non sono sempre attribuibili solo all’attrezzatura di lavoro, ma anche alle condizioni di installazione e alle condizioni ambientali. Le distanze tra le macchine, o tra le macchine e i fabbricati, i piani di circolazione delle macchine mobili nello stabilimento, la larghezza delle corsie di circolazione, in particolare, possono contribuire a provocare incidenti.

 

I rischi meccanici

Il livello di protezione delle parti in movimento dei macchinari (utensili da taglio, elementi mobili delle presse ecc.) durante le fasi della lavorazione dipende dal grado di esposizione al rischio degli operatori.

Si possono quindi considerare tre grandi gruppi di macchine:

Categoria 1

Macchine sulle quali l’operatore interviene in via continuativa nelle prossimità immediate delle parti in movimento della lavorazione.

Categoria 2

Macchine sulle quali l’operatore interviene all’inizio e/o alla fine di ogni ciclo.

Categoria 3

Macchine completamente automatiche durante il funzionamento. L’operatore sorveglia la macchina e interviene direttamente sugli organi di lavoro a intervalli relativamente lunghi (per esempio, all’inizio e alla fine della produzione, in saltuarie operazioni di settaggio o nelle operazioni di manutenzione). Casi tipici sono le macchine a comando numerico e impianti programmabili in relazione alle esigenze di produzione, generalmente in serie, che non obbligano a lavorare vicino agli elementi mobili pericolosi.

Per la prima categoria di macchine, la necessità di proteggere l’operatore è evidente, ma l’installazione di protezioni può essere presa in considerazione solo se non impediscono la buona esecuzione del lavoro; in questo caso spesso è necessario accettare il miglior compromesso possibile per limitare il rischio. La natura di questo compromesso varia a seconda del tipo di macchina. Si può agire, secondo il caso, sulla velocità, sulla forma e sulla dimensione dell’utensile, o anche sui modi di funzionamento e sulla movimentazione del pezzo da lavorare, per evitare ogni implicazione degli arti dell’operatore verso la zona pericolosa.

Per la seconda categoria, gli elementi mobili di lavoro devono essere resi inaccessibili, durante la fase pericolosa, con la messa in opera di mezzi o dispositivi di protezione come: schermo fisso o mobile, barriera immateriale o ogni altro dispositivo che assicuri equivalenti condizioni di sicurezza. Quando l’operatore interviene nella zona pericolosa, deve essere sicuro che gli organi mobili di lavoro siano completamente fermi e che sia impossibile ogni riavvio improvviso della macchina.

Per quanto riguarda la terza categoria, i mezzi o i dispositivi di protezione devono assicurare una protezione completa per tutta la fase di produzione; ma è necessario, come per le macchine delle altre due categorie, stare attenti alla sicurezza degli operatori che mettono in posizione i pezzi o gli attrezzi o che compiono operazioni di regolazione, di pulizia o di manutenzione. Questi, talvolta, sono obbligati, per la natura del loro lavoro, a intervenire su meccanismi in funzione; è opportuno in questo caso prevedere dei selettori che possono essere bloccati in ogni loro posizione, che permettono di assicurare una protezione totale nella posizione di produzione automatizzata e una limitazione massima del rischio nelle posizioni di manutenzione o regolazione (modo di funzionamento «colpo a colpo» o a velocità ridotta).

 

Adattamento dei dispositivi di protezione

Per far funzionare una macchina, gli operatori hanno bisogno di avere delle informazioni (di vedere, di sentire, di toccare) per regolare, sorvegliare, anticipare gli incidenti, per risolvere gli incidenti, per controllare ecc. Ma se i dispositivi di protezione sono stati concepiti senza tener conto delle esigenze della lavorazione, gli stessi possono risultare incompatibili con ciò che fa o che deve fare l’operatore per garantire la qualità della produzione (quantità, qualità, tempo).

Se si constata che un riparo non viene mai rimesso al suo posto, allora bisogna verificare se c’è una relazione con la frequenza degli interventi: ciò potrebbe essere stato sottovalutato e, probabilmente, non è stato tenuto conto dell’ingombro, del peso, dei mezzi di fissaggio del riparo.

Se ci si accorge che un dispositivo di sicurezza è neutralizzato, allora è necessario ricercare il collegamento con gli arresti-macchina: questi si moltiplicano, per esempio, quando la qualità della materia prima utilizzata è mediocre. Quando è necessario far fronte a un ordine urgente, altro esempio, il dispositivo diventa un vincolo e rischia di essere neutralizzato.

Può verificarsi che un intervento venga eseguito senza fermare la macchina. Probabilmente, i punti da cui è consentito regolare la macchina stessa e le fonti per le opportune informazioni sono lontani dal comando di arresto. Ciò porta l’operatore a non azionare il comando di arresto per perdere meno tempo e a intervenire senza fermare la macchina, anche a causa di difficoltà di riavviamento o di perdite di materiale.

I dispositivi e i mezzi di protezione sono certamente indispensabili per la sicurezza, ma la conoscenza degli incidenti o dei casi di cattiva utilizzazione deve permettere di migliorarli.

 

Rischi a cui sono esposti gli addetti alle regolazioni, alle manutenzioni
alla movimentazione ecc.

Le macchine sono pericolose anche nella fase di regolazione, di riavvio e di manutenzione. Sarà opportuno vigilare e, in particolare, tener lontani gli addetti dalla zona pericolosa ed evitare ogni intervento in questa zona in condizioni di rischio. Malgrado tutto, a causa della natura del lavoro, gli operai talvolta sono portati a intervenire su meccanismi in movimento o che possono riavviarsi. È necessario in questo caso prevedere dei selettori che consentano di assicurare una protezione totale durante la fase di produzione automatizzata e una riduzione massima del rischio durante le fasi di interventi con parti in movimento (modo di funzionamento colpo a colpo o a velocità ridotta) o con comandi a uomo presente.

 

Altri rischi di cui tener conto per un’attrezzatura di lavoro

La valutazione dei rischi presentati dalle attrezzature di lavoro comporta la necessità di prendere in considerazione anche i rischi di origine non meccanica, come i rischi dovuti alla circolazione di apparecchi mobili o alle operazioni di sollevamento che presentano una forte percentuale di incidenti, ma anche al rumore, alle vibrazioni, alle polveri, alle radiazioni, all’elettricità ecc.

 

La manutenzione preventiva

Le attrezzature con l’uso si deteriorano, aggravando alcuni rischi e creandone dei nuovi: dall’efficacia della manutenzione preventiva dipende quindi, in parte, il livello di sicurezza dei macchinari.

Per questo motivo, oltre ai casi in cui la regolamentazione ha previsto delle verifiche generali periodiche, è utile controllare le attrezzature laddove l’uso possa ridurre in modo sensibile il livello di sicurezza.

Fondamentale è la informazione sul corretto uso della macchina. Per macchine più complesse sarà necessario formare il lavoratore attraverso un apposito addestramento.

Tutte le macchine rispondenti al marchio Cee sono accompagnate da un apposito libretto di istruzione da cui si desumono le corrette modalità di installazione, l’uso proprio cui la macchina è destinata, le istruzioni da impartire all’operatore, la manutenzione da effettuare ecc.

 

Normativa

- Dlgs n. 626 del 19/9/1994, art. 6 e artt. da 34 a 39: «Attuazione di direttive Cee sul miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro»:

art. 6 - Obblighi di progettisti, fabbricanti, fornitori e installatori

artt. 34/39 - Uso delle attrezzature di lavoro.

- Legge n. 864 del 19/10/1970 - Ratifica convenzione Oil n. 119

- Dpr n. 164 del 7/1/1956, capi VI e VII: «Norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro nell’edilizia»:

capo VI - Ponteggi movibili

capo VII - Trasporto materiali

- Dpr n. 547 del 27/4/1955, artt. 7, 25, da 41 a 266: «Norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro»:

art. 7 - Obblighi dei costruttori e commercianti

art. 25 - Verifiche

artt. 41/83 - Norme generali di protezione delle macchine

artt. 84/167 - Norme particolari di protezione per determinate macchine

artt. 233/266 - Impianti e apparecchi vari.

Movimentazione manuale dei carichi

Per movimentazione manuale dei carichi (mvc) si intendono le operazioni di trasporto o di sostegno di un carico a opera di uno o più lavoratori, comprese le azioni del sollevare, deporre, tirare, portare o spostare un carico.

 

Effetti sulla salute

Lo sforzo muscolare richiesto dalla mvc determina aumento del ritmo cardiaco e di quello respiratorio e incide negativamente nel tempo sulle articolazioni, in particolare sulla colonna vertebrale, determinando cervicalgie, lombalgie e discopatie.

In relazione allo stato di salute del lavoratore e in relazione ad alcuni casi specifici correlati alle caratteristiche del carico e dell’organizzazione di lavoro, i lavoratori potranno essere soggetti a sorveglianza sanitaria, secondo la valutazione dei rischi.

 

 

 

I principi della prevenzione

Partendo dal presupposto che occorre evitare la movimentazione manuale dei carichi adottando a livello aziendale misure organizzative e mezzi appropriati, quali le attrezzature meccaniche, occorre tener presente che in alcuni casi non è possibile fare a meno della mvc. In quest’ultima situazione, oltre ad alcuni accorgimenti che il datore di lavoro adotterà dal punto di vista organizzativo (es. suddivisione del carico, riduzione della frequenza di sollevamento e movimentazione, miglioramento delle caratteristiche ergonomiche del posto di lavoro), è opportuno che il lavoratore sia a conoscenza che la mvc può costituire un rischio per la colonna vertebrale in relazione a:

 

1. Caratteristiche del carico:

• è troppo pesante:

- 30 Kg per gli uomini adulti:

- 20 Kg per le donne adulte;

- le donne in gravidanza non possono essere adibite al trasporto e al sollevamento di pesi, nonché ai lavori pericolosi, faticosi e insalubri durante la gestazione fino a sette mesi dopo il parto (legge 1204/71);

• è ingombrante o difficile da afferrare;

• non permette la visuale;

• è di difficile presa o poco maneggevole;

• è con spigoli acuti o taglienti;

• è troppo caldo o troppo freddo;

• contiene sostanze o materiali pericolosi;

• è di peso sconosciuto o frequentemente variabile;

• l’involucro è inadeguato al contenuto;

• è in equilibrio instabile o il suo contenuto rischia di spostarsi;

• è collocato in una posizione tale per cui deve essere tenuto o maneggiato a una certa distanza dal tronco o con una torsione o inclinazione del tronco;

• può, a motivo della struttura esterna e/o della consistenza, comportare lesioni per il lavoratore, in particolare in caso di urto.

 

2. Sforzo fisico richiesto:

• è eccessivo;

• può essere effettuato soltanto con un movimento di torsione del tronco;

• è compiuto con il corpo in posizione instabile;

• può comportare un movimento brusco del corpo.

 

3. Caratteristiche dell’ambiente di lavoro:

• lo spazio libero, in particolare verticale, è insufficiente per lo svolgimento dell’attività richiesta;

• il pavimento è ineguale, quindi presenta rischi di inciampo o di scivolamento per le scarpe calzate del lavoratore;

• il posto o l’ambiente di lavoro non consentono al lavoratore la movimentazione manuale dei carichi a un’altezza di sicurezza o in buona posizione;

• il pavimento o il piano di lavoro presenta dislivelli che implicano la manipolazione del carico a livelli diversi;

• il pavimento o il punto di appoggio sono instabili;

• la temperatura, l’umidità o la circolazione dell’aria sono inadeguate.

 

4. Esigenze connesse all’attività:

• sforzi fisici che sollecitano in particolare la colonna vertebrale, troppo frequenti o troppo prolungati;

• periodo di riposo fisiologico o di recupero insufficiente;

• distanze troppo grandi di sollevamento, di abbassamento o di trasporto;

• un ritmo imposto da un processo che non può essere modulato dal lavoratore.

Inoltre il lavoratore può correre un rischio nei seguenti casi:

• inidoneità fisica a svolgere il compito in questione;

• indumenti, calzature o altri effetti personali inadeguati portati dal lavoratore;

• insufficienza o inadeguatezza delle conoscenze o della formazione.

 

Normativa

- Dlgs 19 settembre 1994, n. 626, artt. 47, 48, 49 e all. VI: «Attuazione di direttive Cee sul miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro»

artt. 47 e 49 - Movimento manuale dei carichi

all. VI - Elementi di riferimento e fattori di rischio

- Legge 19 ottobre 1970, n. 864 «Ratifica convenzione Oil n. 127 sul peso massimo trasportabile da un solo uomo»

 

Attrezzature munite di schermo video (Vdt)

I problemi posti dalla utilizzazione «professionale» delle attrezzature dotate di schermo video (e cioè, secondo la definizione dell’art. 50 del dlgs n. 626/94, per almeno quattro ore consecutive giornaliere, per tutta la settimana lavorativa) sono collegati alle caratteristiche e al posizionamento di dette apparecchiature; alla presentazione dei programmi di software; al contenuto dei compiti con esse espletati e infine all’ambiente prossimo al posto di lavoro.

Infatti, il lavoro con le apparecchiature in questione non è caratterizzato di un impegno solo visivo, ma si integra in un sistema suscettibile di incidere sull’organizzazione, sul contenuto delle mansioni e sulla sistemazione del posto di lavoro.

Dal punto di vista prevenzionale, il loro impiego pone dei problemi particolari in relazione: agli eventuali riflessi fastidiosi; alla differenza di illuminazione fra schermo e ambiente circostante; al posizionanento delle apparecchiature; alla progettazione degli ambienti ecc., in relazione ai quali sono adottati specifici accorgimenti consistenti:

• nella corretta posizione rispetto alle fonti di illuminazione;

• nella eventuale adozione di schermature fisse o mobili, atte a consentire il controllo delle fonti luminose naturali;

• nella ergonomia dei posti e dei luoghi di lavoro;

• nella regolazione della luminosità e del contrasto dello schermo video da parte del lavoratore.

A ciò va aggiunto l’adeguamento dei programmi di software ai livelli medi di acquisizione degli addetti, per migliorare la facilità di accesso e di gestione delle procedure informatiche, e conseguire, insieme al consenso del lavoratore, una maggiore produttività ed efficienza del sistema.

 

Effetti sulla salute

Le conoscenze scientifiche più accreditate non consentono di stabilire rapporti diretti tra il carico dovuto al lavoro al Vdt e le più diffuse patologie dell’apparato visivo.

Sono stati registrati, peraltro, a fronte di un errato posizionamento e di una prolungata utilizzazione degli apparecchi, modici disturbi, sia a carico di tale apparato che di quello muscolo-scheletrico, normalmente risolvibili tanto con il riposo giornaliero quanto con un più corretto posizionamento degli apparecchi medesimi.

 

Norme prevenzionali

Il lavoro quotidiano al Vdt, svolto dai soggetti a esso «professionalmente» adibiti, quando viene esplicato per almeno quattro ore consecutive giornaliere deve essere interrotto, conformemente alle disposizioni di legge e di contrattazione collettiva, con pause ovvero cambiamenti di attività.

La sistemazione del posto di lavoro deve essere, inoltre, curata per evitare l’affaticamento visivo o posturale.

Anche l’ambiente di lavoro deve essere idoneo a una corretta utilizzazione dei Vdt, in particolare per quanto concerne l’illuminazione e il microclima.

All’addetto, come sopra definito, compete una visita medica preventiva, per evidenziare eventuali malformazioni dell’apparato osteo-articolare, a un esame degli occhi e della vista. I lavoratori classificati come idonei «con prescrizioni» e quelli che abbiano compiuto il quarantacinquesimo anno di età sono sottoposti a visita medica di controllo con periodicità almeno biennale.

In caso di necessità, deve essere anche assicurata, con onere a carico del datore di lavoro, la fornitura dei necessari dispositivi ottici di correzione, purché prescritti specificamente per la lettura dei dati sullo schermo video.

I lavoratori, infine, che utilizzano le apparecchiature munite di Vdt con modalità di impiego diverse, rispetto a quelle sopra illustrate, hanno comunque diritto che nella progettazione dei loro posti di lavoro e nella scelta dei nuovi apparati vengano rispettati i principi ergonomici.

 

 

 

Normativa

- Dlgs 19 settembre 1994 n. 626, artt. da 50 a 59, all. VII: «Attuazione di direttive Cee sul miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro»:

artt. da 50 a 59 - Uso di attrezzature munite di videoterminali

all. VII - Prescrizioni minime.

Ministero del lavoro

- Circolare 7 agosto 1995, n. 102: decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, prime direttive per l’applicazione.

- Lettera circolare 8 gennaio 1990: «Polverosità nei terminali e nei computer».

- Circolare 12 dicembre 1989, n. 113: «Criteri di valutazione dei filtri protettivi per videoterminali».

- Lettera circolare 9 maggio 1988: «Lavoro ai videoterminali e attività istituzionale delle Usl»

- Circolare 1° settembre 1987, n. 98: «Applicazione norme prevenzione infortuni e igiene del lavoro, visite mediche obbligatorie, videoterminali utilizzanti schermi a raggi catodici, controlli sanitari sulla produzione dell’energia termoelettrica».

- Lettera circolare 19 aprile 1987: «Controllo delle radiazioni emesse dai terminali, video, della sicurezza degli impianti elettrici e della rumorosità delle apparecchiature elettroniche».

- 11 dicembre 1986: visite oculistiche di idoneità per gli addetti ai videoterminali.

- Lettera circolare 5 giugno 1985: «Condizioni di lavoro per gli addetti alle apparecchiature videoterminali».

Ministero della funzione pubblica

- Lettera circolare 22 febbraio 1991, n. 71911: «Linee guida per l’uso dei videoterminali nelle pubbliche amministrazioni.

Ergonomia

- Uni-En 29211/1 - Requisiti ergonomici per il lavoro di ufficio con videoterminali - Introduzione generale.

- Uni-En 29241/2 - Videoterminali - Guida ai requisiti dei compiti.

- Uni-En 29241/3 - Requisiti ergonomici per il lavoro di ufficio con videoterminali, requisiti dell’unità video

 

Sistemazione di un posto di lavoro

«Il posto di lavoro o l’ufficio è ingombro perché non disponiamo di sistemazioni sufficienti. La fotocopiatrice è troppo lontana e spesso si aspetta il proprio turno. Nel periodo invernale dopo le 16 non c’è luce sufficiente per valutare correttamente i difetti o fare una buona rifinitura. Se si lascia la porta aperta per "avere un po’ di aria" c’è troppo rumore per concentrarsi. Non è stato previsto uno spazio per mettere le gambe e non è possibile sedersi. Mi curvo ed ho male alla schiena per poter raggiungere i pezzi. Se giro spesso la testa è per intervenire più rapidamente possibile per evitare gli scarti. Se lei fosse venuto la settimana scorsa, si facevano i pezzi W...: c’erano casse ovunque».

Questi esempi mostrano la diversità dei fattori di cui si deve tener conto nella disposizione di una postazione di lavoro.

Si presentano spesso nei luoghi di lavoro alcune situazioni che predispongono a infortuni e patologie derivanti dalle condizioni in cui si opera.

Gli uomini hanno, in genere, una corporatura più grande delle donne. Tra due individui della stessa taglia, la lunghezza delle membra e il peso possono non essere uguali. Con l’età, l’ampiezza dei movimenti e gli sforzi fatti si riducono e aumentano i disturbi legati alla circolazione del sangue. Nella sistemazione di una postazione di lavoro si deve tener conto delle differenze tra gli individui.

 

 

Effetti sulla salute

Le caratteristiche dimensionali del posto di lavoro possono obbligare l’operatore, per esempio, ad adottare posizioni poco confortevoli. Con il passare del tempo, gli effetti sulla loro salute possono prendere altre forme più durevoli: male alla schiena, dolori e problemi di circolazione del sangue alle gambe provocati dalla prolungata posizione in piedi.

 

I principi della prevenzione

Le norme sulla corretta organizzazione dei posti di lavoro (seduti, seduti e in piedi, in piedi) esistono ed è necessario conoscerle e utilizzarle per eliminare eventuali anomalie e determinare le migliori condizioni delle postazioni.

Tuttavia, l’utilizzazione di queste norme non dispensa da una riflessione preventiva sul modo in cui l’operatore deve procedere.

Esempio: l’altezza di un tavolo di lavoro sarà diversa a seconda:

- dell’altezza degli oggetti lavorati;

- dell’ambito dove devono agire le mani dell’operatore;

- del tipo di azione: gesti precisi, sollevare, spingere, direzione e consistenza delle forze esercitate;

- della necessità di vedere (posizione della testa) e nello stesso tempo di agire (luoghi e posizioni rispettive delle mani).

Inoltre, il posto di lavoro non deve essere percepito come un luogo limitato che si riduce al tavolo di lavoro e al compito principale, ma deve essere visto come una serie di azioni legate al compito principale, che si succedono nel tempo, con spostamenti che possono essere multipli e suddivisi su una vasta area. Per esempio l’operatore deve poter fermare il nastro di approvvigionamento per far fronte ai rischi, anticipare e/o risolvere gli inconvenienti, modificare la successione delle operazioni coordinandole con gli altri colleghi per rispettare una scadenza... La realizzazione dei compiti connessi alla funzione principale, quali l’approvvigionamento, la rimozione dei prodotti compresi i rifiuti, ha un ruolo preponderante nella realizzazione della produzione e va quindi anch’essa presa in considerazione quando si tratta di sistemare e coordinare le diverse fasi di lavoro.

La dimensione e l’ubicazione delle attrezzature, la concatenazione della situazione devono essere compatibili con il contenuto reale del lavoro.

 

Normativa

- Dlgs n. 626 del 19/9/1994, art. 33 comma 13: «Attuazione di direttive Cee sul miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro»:

art. 33, comma 13 - Posti e luoghi di lavoro

- Legge n. 864 del 19/1071970: «Ratifica di convenzione Oil n. 120 sull’igiene nelle aziende commerciali e negli uffici».

 

Locali di lavoro

Organizzazione e struttura

a) Gli edifici devono essere appropriati al tipo di utilizzo:

- struttura e solidità (pavimenti, travi, pareti)

- spazio disponibile.

b) L’organizzazione dei flussi delle persone, dei veicoli e dei materiali può essere all’origine di rischi considerevoli. È quindi importante assicurarsi:

- che vi siano le minime interferenze pericolose tra questi flussi (incroci nella circolazione dei pedoni con i veicoli, carichi che transitano al di sopra dei lavoratori...) e che la lunghezza di questi flussi sia limitata il più possibile;

- che le zone dove devono spostarsi i lavoratori nell’ambito della loro attività non siano pericolose (pavimento piano e non sdrucciolevole, senza buche ne ostacoli, nessun dislivello consistente senza parapetti, porte a vento formate da pannelli trasparenti, sicurezza delle porte e dei portelli scorrevoli, oscillanti o automatiche...);

- che siano state prese delle disposizioni particolari, se sussiste un pericolo (segnalazione e controllo d’accesso delle zone pericolose, segnalazione delle tubazioni con contenuto è pericoloso...).

c) Deve essere prevista la manutenzione delle attrezzature e dei luoghi di lavoro e deve poter essere eseguita senza rischio (accesso alle attrezzature, pulizia delle superfici vetrate, dispositivo per l’accesso, se esiste, sui tetti e misure specifiche in caso di tetti in materiale fragile...).

La disposizione di un locale di lavoro può essere fatta in tre diverse situazioni:

- in occasione della costruzione di nuovi edifici;

- in occasione di un nuovo impianto negli stabilimenti esistenti;

- in occasione di lavori negli edifici che accolgono lo stabilimento.

Sebbene il metodo per la sistemazione di un locale di lavoro rimanga lo stesso, le possibilità di azione sono più limitate quando si deve sistemare una costruzione esistente rispetto a una nuova costruzione.

Quindi le disposizioni di prevenzione sono più sviluppate per i locali nuovi o recenti, in particolare per quanto riguarda la stabilità al fuoco e le uscite di sicurezza regolamentari, di vista sull’esterno e di accessibilità per i portatori di handicap.

Per i locali esistenti alcune disposizioni sono obbligatorie (oculus per le porte a vento, dispositivi di allarme...) o in occasione della sistemazione comporterà le nuove disposizioni (ristrutturazione completa di un edificio, messa in conformità di una porta automatica).

In generale, nessuna sistemazione di ambiente di lavoro deve portare a un deterioramento delle condizioni di lavoro e di sicurezza.

In occasione della sistemazione di un locale di lavoro la prima fase riguarda lo studio di fattibilità.

Se si tratta di sistemazione degli edifici esistenti è necessario assicurarsi che possano consentire la sistemazione prefigurata (superfici e volumi disponibili, solidità delle strutture e dei pavimenti, possibilità di illuminazione, di riscaldamento, di ventilazione, dimensione delle uscite in funzione degli effettivi e delle attrezzature...).

La seconda fase è quella della progettazione. Essa implica la scelta della localizzazione dei posti di lavoro e delle attrezzature e richiede un’analisi del flusso delle persone, dei veicoli e dei materiali. Deve integrare la prevenzione con la considerazione dell’insieme delle condizioni di lavoro.

Per esempio, l’organizzazione dello spazio dovrà tener conto della relazione dei posti tra di loro. Sarà necessario pensare alle diverse persone che vi intervengono: il titolare del posto ma anche le persone incaricate della manutenzione, del controllo, della pulizia...

Ciascuno ha bisogno di accessori: quali e dove? L’organizzazione dello spazio dovrà comportare una riflessione preventiva sulle posture, gli spostamenti (per fare che? Passando dove?), degli sforzi fisici, delle comunicazioni tra i lavoratori (vedersi, sentirsi), dell’informazione di cui ha bisogno in ogni momento. Questo tipo di problemi, molto pratici, permette di individuare numerose indicazioni particolari che dovranno figurare nella guida alla realizzazione pratica, così come il riferimento alle norme e agli standard da applicare.

Quindi, in pratica, la sistemazione dei locali deve essere concepita in modo globale integrando elementi di valutazione fatta attraverso le 11 schede precedenti e in particolare:

- l’ambiente luminoso (illuminazione naturale, orientamento dei posti in rapporto alle finestre secondo i vincoli specifici di ciascun posto e secondo l’attività);

- l’aerazione, la purificazione dell’aria (tenendo conto in particolare delle regole in materia di flusso dell’aria, locali in depressione);

- l’ambiente acustico (insonorizzazione delle pareti, separazione dei reparti, isolamenti delle fonti);

- l’ambiente termico.

È importante integrare, al momento della progettazione di una sistemazione di un ambiente di lavoro, anche la possibilità ulteriore di mantenere in buone condizioni di sicurezza le attrezzature e i locali.

Infine, è sempre auspicabile considerare l’evoluzione delle attività. I lavoratori possono cambiare, i prodotti e le situazioni possono evolvere, è quindi molto importante che la configurazione prescelta, la migliore in un determinato momento, possa sopravvivere a queste evoluzioni. È opportuno, dunque, prevedere una certa flessibilità a livello dell’occupazione dello spazio (mobilità delle macchine o dei mobili, delle reti informatiche, impianto di prese di energia, volumi di sistemazione sufficienti, superfici dei piani di lavoro adatte ai tipi e dimensione dei documenti utilizzati ecc.), della concatenazione delle operazioni (evitare le concatenazioni rigide da un posto all’altro questo è possibile solo a condizione di aver previsto lo spazio necessario agli stock intermedi o allo stock-tampone).

 

Normativa

- Dlgs n. 626 del 19/9/1994, artt. 30, 31, 32, 33 (commi 1, 2, 3, 9, 10, 11, 12, 13): «Attuazione di direttive Cee sul miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro»:

artt. 30/32 - Luoghi di lavoro

art. 33:

commi 1, 2, 3 - Vie e uscite di emergenza

comma 9 - Pavimenti, muri e finestre

comma 10 - Locali di riposo

comma 11 - Spogliatoi e armadi

comma 12 - Docce e lavabi

comma 13 - Posti di lavoro e di passaggio

- Legge n. 864 del 19/1071970: «Ratifica di convenzione Oil n. 120 sull’igiene nelle aziende commerciali e negli uffici».

 

Incendio - Esplosione

L’incendio è una combustione che si sviluppa in modo incontrollato nel tempo e nello spazio. La combustione è una reazione chimica tra un corpo combustibile e un corpo comburente. I combustibili sono numerosi: legno, carbone, carta, petrolio, gas combustibile ecc. Il comburente che interviene in un incendio è l’aria o, più precisamente, l’ossigeno presente nell’aria (21% in volume). Il rischio di incendio, quindi, esiste in tutti i locali.

L’esplosione è una combustione a propagazione molto rapida con violenta liberazione di energia. Può avvenire solo in presenza di gas, vapori o polveri combustibili di alcune sostanze instabili e fortemente reattive o di materie esplosive.

Per prevenire il rischio di incendio o di esplosione è necessario conoscere i rischi propri dell’impresa.

Le cause che possono provocare un incendio sono:

• fiamme libere (per esempio operazioni di saldatura);

• particelle incandescenti (brace) provenienti da un focolaio preesistente (p. es: braciere);

• scintille di origine elettrica;

• scintille di origine elettrostatica;

• scintille provocate da un urto;

• superfici e punti caldi;

• innalzamento della temperatura dovuto alla compressione dei gas;

• reazioni chimiche.

 

I diversi aspetti della combustione sono:

• la combustione lenta: sprigiona un debolissimo calore e si produce senza emissione di luce (caso della ruggine di ferro, per esempio);

• la combustione viva: sprigiona calore e luce; il fuoco può trasformarsi in fiamme, in incandescenza o, più frequentemente, in entrambe.

 

Nel caso della esplosione, la propagazione può essere velocissima. La liberazione violenta di energia (in un tempo dell’ordine del millesimo di secondo) provoca pressioni molto forti che hanno effetti distruttivi enormi: deflagrazione con una velocità inferiore a quella del suono, detonazione con una velocità superiore a quella del suono. Le esplosioni si producono in alcune miscele aria-gas infiammabili o aria-materia polverulente (polvere di mina o grani, per esempio).

 

Classi di fuoco

Classe A: fuochi di solidi, detti fuochi secchi

La combustione può presentarsi in due forme:

• combustione viva con fiamme;

• combustione lenta senza fiamme, ma con formazione di brace incandescente.

L’agente di estinzione raccomandato è l’acqua.

Classe B: fuochi di idrocarburi solidificati o di liquidi infiammabili, detti fuochi grassi

È controindicato l’uso di acqua a getto pieno.

Classe C: fuochi di combustibili gassosi

Classe D: fuochi di metalli

 

Effetti sulla salute

- dovuti alla fiamma

Il contatto diretto con la fiamma e il calore da essa irradiato provocano ustioni;

- dovuti al calore

I gas caldi, di combustione e non, da soli possono provocare stress da calore, disidratazione ed edemi;

- conseguenti alla carenza di ossigeno

La concentrazione dell’ossigeno nell’aria, per effetto della combustione, può scendere sotto il 20% della normalità. Alla diminuzione si associano via via difficoltà di movimenti, abbassamento capacità valutativa, collasso e asfissia;

- tossicità

I gas prodotti in una combustione possono essere tossici sia in relazione ai materiali coinvolti sia in relazione alla quantità di ossigeno presente nel luogo dell’incendio. Al primo posto per numeo di vittime è il «famigerato» ossido di carbonio (CO). L’anidride carbonica (CO2) è un gas asfissiante a elevate concentrazioni. Tra gli altri gas più noti per la tossicità si rammentano l’idrogneo solforato, l’acido cianidrico, l’ossido di azoto, l’ammoniaca, l’anidride solforosa ecc.;

- dei fumi

Il termine fumo indica la fase nella quale i gas della combustione «trascinano» particelle solide o liquide che lo rendono opaco. Il fumo produce un effetto irritante degli occhi e delle vie respiratorie, riduce la visibilità con ostacolo per la evacuazione e per l’intervento dei soccorsi;

- traumatici

Quando all’incendio è associata una esplosione, le conseguenti onde di pressione possono provocare eventi traumatici nei soggetti esposti.

 

 

I principi della prevenzione

Ridurre i rischi

Assicurare la salvaguardia delle persone:

rispettando il numero e la dimensione delle uscite di sicurezza regolamentari e controllando che le uscite siano sempre completamente libere;

installando un sistema di allarme sonoro;

assicurandosi che la resistenza delle strutture al fuoco sia adeguata, permettendo l’evacuazione;

scegliere attrezzature che non possono provocare incendi;

limitare, per quanto possibile, la quantità di materiali e di prodotti infiammabili.

Inoltre, nel caso di rischio di esplosione:

isolare i locali a rischio dagli altri locali;

controllare l’atmosfera per restare sempre al di sotto del 25% dei limiti più bassi di esplosione (Lie);

evitare ogni fonte di ignizione (scelta di materiale adatto, misure contro la formazione di elettricità statica ecc.).

Limitare i danni:

facilitare l’intervento dei vigili del fuoco (accessi, prese d’acqua ecc.);

fornire i mezzi di prevenzione e antincendio (dispositivi di rilevamento, mezzi di estinzione ecc.);

organizzare la prevenzione incendio sul posto;

informare sistematicamente i lavoratori e i nuovi assunti sui dispositivi di estinzione e di primo soccorso (localizzazione, condizioni d’uso) e svolgere esercitazioni periodiche;

• in caso di rischio di esplosione, inoltre, prevedere mezzi per scaricare la pressione provocata dall’esplosione.

Primi soccorsi

È necessario prevedere degli estintori in numero sufficiente, di facile accesso e manovrabilità. Per esempio, per 200 mq di superficie (con almeno un apparecchio per livello), sono necessari almeno:

• un estintore portatile ad acqua polverizzata da 6 litri come minimo;

• in caso di rischi particolari, un numero di estintori di tipo appropriato ai rischi (per esempio: estintore a polvere in caso di rischi elettrici).

Se necessario, si potrà prevedere, dietro consiglio dei servizi competenti:

• l’installazione di Ria (Rubinetti di incendio armati); colonne secche o colonne umide;

• impianti fissi di estinzione automatica;

• impianti di rilevamento automatico di incendio;

• sabbia o terra mobile con mezzi di protezione.

Segnalazione per la prevenzione dei rischi legati all’incendio

Deve durare nel tempo, collocata in punti appropriati e conforme alle norme e ai regolamenti in vigore (segnali di direzione delle uscite, segnalazione delle attrezzature di primo soccorso e di lotta antincendio).

Allarme sonoro (applicabile sin d’ora alle nuove costruzioni e, a partire dall’1/6/1996, a tutte le costruzioni esistenti):

• è installato in tutti gli stabilimenti dove sono riunite o occupate più di 50 persone, come pure in quelli dove sono manipolate e lavorate delle materie infiammabili (esplosivi, comburenti, materie estremamente infiammabili, materie il cui stato fisico può generare un’esplosione o una fiamma improvvisa) quale che sia la grandezza dello stabilimento;

• deve essere udibile:

- in qualsiasi punto dello stabilimento;

- con un’autonomia minima di cinque minuti;

- non possa essere confuso con un altro segnale.

 

Normativa

- Dlgs n. 626 del 19/9/1994, artt. 12, 13 e all. II: «Attuazione direttive Cee riguardanti il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro»:

artt. 12 e 13 - Prevenzione incendi

all. II - Prescrizioni di sicurezza e di salute per i luoghi di lavoro

- Dm del 26/8/1992: «Norme di prevenzione incendi per l’edilizia scolastica».

- Dm del 30/11/1983: «Termini, definizioni e simboli grafici di prevenzione incendi».

- Dpr n. 524 dell’8/6/1982: «Attuazione direttiva Cee in materia di segnaletica di sicurezza sul posto di lavoro».

- Dm del 16/2/1982: «Modificazioni del dm 27/9/1965 in materia di attività soggette alle visite di prevenzione incendi».

- Circolare n. 27186/4101 del 17/12/79: «Servizi antincendio negli stabilimenti industriali. Chiarimenti».

- Legge n. 469 del 13/5/1959: «Ordinamento dei servizi antincendio e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco».

- Dpr n. 689 del 26/5/1959: «Determinazione delle aziende e lavorazioni soggette, ai fini della prevenzione incendi, al controllo del Comando dei vigili del fuoco».

- Circolare n. 538 del 4/3/1959: «Determinazione dei luoghi di lavoro dove esistono pericoli di esplosione e di incendio».

- Dpr n. 302 del 19/3/1956, art. 14: «Norme di prevenzione infortuni integrative di quelle previste dal dpr 547 del 27/4/1955 art. 14 - Misure antincendio».

- Dpr 547 del 27/4/1955, artt. 33-37, 329-336, 358-365: «Norme per la prevenzione degli infortuni»:

artt. 33-37 - Difesa contro gli incendi

artt. 329-336 - Installazioni elettriche in luoghi con pericolo di incendio

artt. 358-365 - Materie e prodotti infiammabili

- Legge n. 1540 del 27/12/1940: «Norme per l’organizzazione dei servizi antincendio».

Normativa specifica

Grandi Magazzini

- Circolare n. 75 del 3/7/1967: «Criteri di prevenzione incendi per grandi magazzini, empori ecc».

- Decreto 17/6/1988 n. 248 del ministero industria e commercio (G.U. n. 157 del 6/7/1988): «Caratteristiche dei centri commerciali all’ingrosso e di quelli al dettaglio».

Impianti antincendio

- Uni-Vvf 9485 aprile 1989: «Apparecchiature per estinzione incendi, idranti a colonna soprassuolo in ghisa».

- Uni-Vvf 9486 aprile 1989: «Apparecchiature per estinzione incendi, idranti a colonna soprassuolo in ghisa».

- Uni-Vvf 9487 aprile 1989: «Apparecchiature per estinzione incendi, tubazioni flessibili antincendio di DN 45 e 70 per pressioni di esercizio fino a 1,2 Mpa».

- Uni-Vvf 9488 aprile 1989: «Apparecchiature per estinzione incendi, tubazioni semirigide di DN 20 e 25 per naspi antincendio».

- Uni-Vvf 9489 aprile 1989: «Apparecchiature per estinzione incendi, impianti fissi di estinzione automatici a pioggia (sprinkler)».

- Uni-Vvf 9490 aprile 1989: «Apparecchiature per estinzione incendi, alimentazioni idriche per impianti automatici antincendio».

- Uni-Vvf 9491 aprile 1989: «Apparecchiature per estinzione incendi, impianti fissi di estinzione automatici a pioggia, erogatori (sprinkler)».

- Uni-Vvf 9494 aprile 1989: «Evacuatori di fumo e calore, caratteristiche, dimensionamento e prove».

- Uni-Vvf 9495 aprile 1989: «Sistemi fissi automatici di rilevazione e di segnalazione manuale d’incendio».

Impianti termici funzionanti a Gpl

- Circolare n. 78 del 14/7/1967: «Impianti di Gpl per uso domestico - Criteri di sicurezza».

- Decreto del 16/5/1987 n. 246 (G.U. n. 148 del 27/6/1987): «Norme di sicurezza antincendio per gli edifici di civile abitazione». (Nella tabella C dell’art. 4, le norme sull’ubicazione degli impianti di produzione di calore).

Impianti termici a gas di rete (densità inferiore a 0,8)

- Circolare n. 68 del 25/11/1969: «Norme di sicurezza per gli impianti termici a gas di rete».

- Circolare n. 42 del 20/5/1974: «Dispositivi e apparecchiature di sicurezza per impianti termici - Specifiche di prova».

 

Radiazioni ionizzanti

Tra i tipi di inquinamento a cui l’uomo può essere sottoposto, quello dovuto a radiazioni ionizzanti è sicuramente il più subdolo in quanto non abbiamo organi sensoriali che ci allertino della sua presenza. Al contrario invece il lavoratore dell’industria chimica, entrando in locali contaminati da sostanze inalabili, ha reazioni dell’apparato respiratorio e delle mucose in generale, che lo avvertono in tempo reale. Il lavoratore della industria nucleare e delle attività a essa collegate, se non fornito di particolare strumentazione (contatori geiger) atta a rivelare la presenza di sostanze radioattive (radionuclidi), non può sapere se è in presenza di una sorgente contaminante in tempo reale.

 

Effetti sulla salute

Per quanto concerne i danni da esposizione a radiazioni ionizzanti, la funzione più facilmente danneggiabile è quella riproduttiva (gonadi), in quanto il patrimonio genetico può essere danneggiato dalla esposizione a radiazioni. Le parti dell’organismo più aggredibili sono, invece, il midollo osseo, in quanto le cellule del sangue sono molto sensibili a questo tipo di radiazioni, e la pelle, che può essere danneggiata degenerando in malattie neoplastiche.

L’esposizione alle radiazioni ionizzanti comporta per il lavoratore un rischio rappresentato dalla probabilità del verificarsi del danno biologico.

Pertanto, tale considerazione ha comportato in campo mondiale una crescente attenzione verso i problemi della protezione dell’uomo e dell’ambiente, stimolando ricerche da parte di numerose commissioni internazionali e nazionali, con l’intento di chiarire i vari aspetti dei danni causati dalle radiazioni e di studiare le tecniche e i metodi per migliorare gli standard di protezione.

È nata così la radioprotezione, che è definibile come l’insieme di principi, tecniche e raccomandazioni volti alla salvaguardia dei singoli individui e della popolazione e a prevenire o ridurre, entro limiti accettabili, i rischi di danni causati dall’esposizione alle radiazioni ionizzanti.

Una corretta applicazione dei suddetti principi di radioprotezione determina un rischio (cioè una probabilità del verificarsi di eventi indesiderabili) più basso o quanto meno confrontabile con quelli derivanti da altre attività lavorative.

 

I principi della prevenzione

I fattori fisici che influenzano la riduzione della irradiazione esterna sono il tempo, la distanza e la schermatura.

Minore è il tempo di esposizione alle radiazioni ionizzanti e minore è la dose assorbita. L’esigenza di ridurre il tempo di esposizione non deve però determinare incidenti che potrebbero comportare, oltre a un allungamento del tempo di lavoro, un rischio più elevato.

La distanza che intercorre tra sorgente e operatore è molto importante nel computo della dose assorbita, in quanto l’intensità della esposizione e quindi della dose assorbita si riduce notevolmente con la distanza. Uno degli organi più a rischio da esposizione a radiazioni ionizzanti è l’occhio, in quanto non è un organo interno e inoltre viene istintivamente portato a breve distanza dalla sorgente irradiante. Per attenuare il rischio di danneggiamento, laddove non è modificabile con opportuni strumenti la distanza tra la sorgente e l’operatore, è consigliabile l’interposizione di schermi protettivi (occhiali ecc.)

Per minimizzare l’irradiazione interna del nostro organismo bisogna evitare di inalare o di assorbire attraverso la pelle la sorgente radioattiva. A tale scopo, l’inalazione si minimizza lavorando, laddove sia possibile, in presenza di cappe aspiranti ed evitando di fumare. Il meccanismo attraverso il quale la radioattività si introduce nel nostro organismo con il fumo è mediato dalla formazione di particelle carboniose durante la combustione del tabacco. In queste particelle l’elemento radioattivo in questione si assorbe concentrandosi, per poi venire introdotto nei polmoni attraverso l’aria inspirata. La contaminazione interna non è monitorabile attraverso il film badge, che è valido solo per sorgenti esterne all’organismo. Per rilevare l’entità della contaminazione interna è necessario sottoporre il lavoratore a indagini sofisticate. Per evitare l’assorbimento attraverso la pelle, sarà necessario adoperare sempre, durante le manipolazioni, guanti di materiale impermeabile, che andranno immediatamente e adeguatamente eliminati, onde evitare ulteriori contaminazioni toccando oggetti che vengono utilizzati anche per altri scopi e da personale non addetto alla manipolazione di sostanze radioattive. A questo scopo, è bene ricordare che gli indumenti utilizzati nelle zone a rischio non dovranno mai essere portati al di fuori delle stesse.

Al termine di una giornata lavorativa, va eseguito un accurato controllo, con opportuna strumentazione, sia delle superfici lavorative che del proprio corpo e laddove venga riscontrata una situazione anomala provvedere con lavaggi ripetuti. Nel caso la contaminazione persista dopo i lavaggi, è bene avvisare l’autorità competente.

 

Normativa

- Dlgs n. 230 del 17/3/1995: «Attuazione direttive Euratom in materia di radiazioni ionizzanti».

- Dpr n. 185 del 13/2/1964 e decreti applicativi ancora in vigore: «Sicurezza degli impianti e protezione sanitaria dei lavoratori e delle popolazioni contro i pericoli delle radiazioni ionizzanti derivanti dall’impiego pacifico dell’energia nucleare».

- Dm n. 449 del 13/7/1990: «Regolamento concernente le modalità di tenuta della documentazione relativa alla sorveglianza fisica e medica della protezione dalle radiazioni ionizzanti».

- Legge n. 864 del 19/10/1970: «Ratifica convenzione Oil n. 115 sulla protezione dei lavoratori contro le radiazioni ionizzanti».

- Dlgs n. 626 del 19/9/1994: «Attuazione direttive Cee riguardanti il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro».

- Dlgs n. 475 del 4/12/1992: «Attuazione direttiva comunitaria relativa a dispositivi di protezione individuale».

 

Elettricità

Gli effetti del passaggio della corrente elettrica nel corpo umano sono derivati da un ampio studio basato su osservazioni cliniche, ricerche bibliografiche ed esperimenti effettuati su animali, persone defunte e, in qualche caso, con correnti di breve durata, su persone vive consenzienti. In particolare sono stati studiati gli effetti sul corpo umano dell’intensità della corrente elettrica anche in funzione della sua durata, del suo percorso all’interno del corpo, delle caratteristiche elettriche dei tessuti interessati al passaggio della corrente e della forma dell’onda. In queste note si farà riferimento esclusivamente ai rischi che possono derivare dall’uso di macchine e impianti elettrici sui posti di lavoro tenuto conto delle caratteristiche dell’energia elettrica usata in Italia.

 

Effetti sulla salute

 

Il comportamento del corpo umano al passaggio della corrente elettrica

I movimenti muscolari del corpo sono originati da impulsi elettrici generati dal cervello. I muscoli, stimolati da questi impulsi, reagiscono contraendosi; al di là di una visione meccanicistica del corpo, tutta la possibilità di movimento dell’uomo è correlata con la capacità fine che hanno i muscoli di reagire agli stimoli provenienti dal cervello.

Le fasce muscolari, quando vengono interessate da correnti che hanno origine da sorgenti esterne al corpo, per esempio quando si prende la «scossa», si contraggono obbedendo anche a esse; se la corrente «esterna» è più intensa di quella «interna» possono ingenerarsi situazioni di pericolo e le conseguenze, sul corpo umano, possono essere le più varie. Di seguito si riportano solo i fenomeni più importanti.

 

La contrazione muscolare

È quel fenomeno per cui i muscoli, se attraversati dalla corrente, si irrigidiscono. In sintesi si può dire che quando le correnti sono di modesta intensità i muscoli maggiormente interessati alla contrazione sono quelli posti in prossimità del punto di ingresso della corrente. Se l’ingresso della corrente elettrica avviene attraverso una mano, come normalmente succede, la contrattura dei muscoli fa stringere la mano sull’elemento in tensione (tetanizzazione). L’infortunato, pur nella consapevolezza del rischio corso, non riesce a fare nulla per distaccarsi dalla parte in tensione. Quando si è investiti da correnti elevate, invece, tutti i muscoli, normalmente anche quelli più lontani, vengono interessati al fenomeno; fra questi anche quelli delle fasce lombari e delle cosce (eccitazione motoria). La contrazione dei muscoli degli arti inferiori comporta violenti movimenti involontari che possono causare salti dell’infortunato con caduta lontano dal punto di contatto.

 

L’arresto respiratorio

L’arresto viene provocato dall’entrata in contrazione dei muscoli respiratori (diaframmatici, intercostali, pettorali) con conseguente paralisi della gabbia toracica e impedimento dei normali movimenti respiratori. In questi casi si presentano fenomeni di asfissia con progressivo impoverimento dell’ossigeno presente nei polmoni e comparsa di cianosi. Le conseguenze possono arrivare fino alla perdita di coscienza e, nei casi più gravi, alla morte dell’infortunato.

 

L’arresto cardiaco

Per comprendere il fenomeno occorre ricordare che il muscolo cardiaco si contrae ritmicamente sostenendo, in tal maniera, la circolazione del sangue nel corpo; banalizzando il discorso, si può dire che il cuore si comporta come se fosse un motore. A differenza degli altri muscoli che vengono stimolati dalla attività elettrica del cervello, la contrazione dei muscoli cardiaci è provocata dal cuore stesso. Quando per un motivo qualsiasi si guasta e non è più in grado di elaborare gli stimoli elettrici necessari, il cuore si ferma e la circolazione del sangue nel corpo si arresta con tutte le gravi conseguenze che ne derivano. Si comprende facilmente come un passaggio di una corrente elettrica esterna, andando a sovrapporsi alla attività elettrica propria del cuore, getti le fasce muscolari cardiache in uno stato di confusione impedendo loro di svolgere la propria funzione.

 

 

Le ustioni

Alla stregua di qualsiasi circuito elettrico anche il corpo umano quando viene attraversato dalla corrente si riscalda; se la quantità di calore sviluppata è molto alta possono aversi bruciature nei tessuti attraversati dalla corrente. È il famoso effetto Joule. La quantità di calore sviluppato è direttamente proporzionale all’intensità di corrente che attraversa il corpo, alla sua resistenza e alla durata del fenomeno. La parte del corpo umano maggiormente interessata a questo fenomeno è la pelle. Ma quando le intensità di corrente sono molto alte si possono verificare ustioni profonde in molti tessuti e possono essere danneggiati interi arti (braccia, spalle, arti inferiori ecc.).

Le ustioni possono essere causate anche da archi provocati da scariche elettriche prodotte da apparecchiature sotto tensione. Particolarmente pericolosi sono gli archi provenienti da apparecchiature elettriche alimentate in alta tensione.

 

I principi della prevenzione

I rischi connessi con l’uso dell’energia elettrica sono essenzialmente:

• rischi dovuti a contatti elettrici diretti (sono quelli derivati da contatti con elementi normalmente in tensione: per esempio l’alveolo di una presa, un conduttore nudo ecc.);

• rischi dovuti a contatti elettrici indiretti (sono quelli derivati da contatti che avvengono con elementi finiti sotto tensione a causa del guasto: per esempio la scossa presa quando si apre un frigorifero o si tocca un tornio o una qualsiasi altra macchina);

• rischi di incendio dovuti a cortocircuiti o sovracorrenti;

• rischi di esplosione (sono quelli dovuti al funzionamento degli impianti elettrici installati in ambienti particolari nei quali è possibile la presenza di miscele esplosive come per esempio nelle raffinerie, industrie chimiche, in talune centrali termiche funzionanti a gas, nei mulini ecc.).

Tutti questi rischi sono stati studiati e la prevenzione degli infortuni in questi casi si basa sull’uso di macchine e impianti realizzati a regola d’arte, su una loro adeguata manutenzione e su un loro uso corretto.

 

Gli impianti e le macchine

Per legge le norme Cei forniscono una presunzione assoluta, anche se non esclusiva, di regola d’arte e quindi le apparecchiature e gli impianti realizzati e mantenuti secondo le indicazioni delle norme Cei sono da considerare sicuri. Gli impianti, inoltre, devono essere realizzati secondo i principi individuati dalla legge 46/90; in particolare devono essere:

• realizzati da ditte iscritte nell’apposito albo delle imprese artigiane o nel registro delle ditte presso le Camere di commercio;

• progettati a partire dai limiti previsti dalla legislazione vigente;

• realizzati secondo le norme Cei o normativa equivalente;

• realizzati con materiali anch’essi costruiti a regola d’arte;

• verificati ai fini della sicurezza e funzionalità;

• forniti di dichiarazione di conformità rilasciata dall’installatore completa di tutti gli allegati obbligatori.

Per quanto riguarda le macchine o i componenti elettrici non è ammesso l’uso di apparecchiature «anonime» per le quali non sia possibile risalire al costruttore. In particolare ogni componente elettrico deve essere fornito degli elementi che lo identificano compiutamente (targa del costruttore, contrassegni, marcature o marchi, libretti di manutenzione e uso ecc.).

 

La manutenzione

Al fine di evitare rischi connessi con l’uso di apparecchiature rotte o deteriorate occorre controllare periodicamente lo stato di conservazione delle attrezzature che si usano segnalando al servizio di manutenzione la loro sostituzione o riparazione. L’uso di componenti elettrici deteriorati (cavi spellati, custodie rotte, connessioni elettriche approssimate, prese a spina spaccate ecc.) fa aumentare considerevolmente il rischio di contatti elettrici.

 

Usi impropri

Particolare cura deve essere posta nell’uso proprio di apparecchiature elettriche. Un impianto o un apparecchio elettrico anche ben costruiti possono diventare pericolosi se utilizzati o conservati in maniera impropria. Valgono le seguenti avvertenze:

non effettuare mai riparazioni sugli impianti elettrici o sulle macchine se non si è in possesso delle caratteristiche di professionalità previste dalla legislazione vigente. Un impianto elettrico o una apparecchiatura nati sicuri possono, per errata riparazione, diventare pericolosi. Inoltre la manomissione di un impianto o di un componente fa perdere agli stessi la garanzia del costruttore;

non utilizzare componenti non conformi alle norme. Tutta la sicurezza di un impianto finisce quando si usano utilizzatori elettrici (per esempio spine, adattatori, prese multiple, prolunghe, lampade portatili ecc.) non rispondenti alle norme;

non utilizzare componenti elettrici o macchine per scopi non previsti dal costruttore. In questi casi l’uso improprio del componente può ingenerare situazioni di rischio, elettrico o meccanico, non previsti all’atto della sua costruzione;

non usare apparecchiature elettriche in condizioni di rischio elettrico accresciuto (per esempio con le mani bagnate, con i piedi immersi nell’acqua o in ambienti umidi). In questi casi possono diventare pericolose anche tensioni abitualmente non pericolose;

non lasciare apparecchiature elettriche (cavi, prolunghe, trapani ecc.) abbandonate sulle vie di transito. In questi casi, oltre a essere occasione di inciampo e di caduta di persone, i componenti sono soggetti a deterioramento meccanico non previsto dal costruttore con conseguenti situazioni di rischio.

Normativa

Le più importanti leggi da rispettare nella prevenzione degli infortuni di origine elettrica sono le seguenti:

• dpr 27 aprile 1955 n. 547: «Norme generali per la prevenzione degli infortuni sul lavoro»;

• legge 1° marzo 1968 n. 186: «Disposizioni concernenti la produzione di materiali, apparecchiature, macchinari, installazioni e impianti elettrici ed elettronici»;

• legge 18 ottobre 1977 n. 791: «Attuazione della direttiva del Consiglio delle Comunità europee (n. 73/23 Cee) relativa alle garanzie di sicurezza che deve possedere il materiale elettrico destinato a essere utilizzato entro alcuni limiti di tensione»;

• legge 5 marzo 1990 n. 46: «Norme per la sicurezza degli impianti»;

• decreto legislativo 4 dicembre 1992 n. 476: «Attuazione della direttiva 89/336 Cee del Consiglio del 3 maggio 1989, in materia di ravvicinamento delle legislazioni degli stati membri relative alla compatibilità elettromagnetica, modificata dalla direttiva 93/31 Cee del Consiglio del 29 aprile 1992».

 

Imprese esterne, lavoro provvisorio

Imprese esterne

Sono molteplici le ragioni per le quali il capo di una impresa può far ricorso a imprese esterne:

• per attività periferiche dell’impresa (manutenzione, pulizia, vigilanza, movimentazione, trasporto, conservazione ecc.);

• per far fronte a punte di attività;

• in occasione di operazioni di rinnovo o di sistemazione dei locali.

L’intervento di queste imprese presenta caratteristiche particolari in materia di rischi professionali, legati in particolare:

• alla non conoscenza dei locali, dell’ambiente, delle attività dell’impresa che le usa;

• all’interferenza di attività, materiali, impianti;

• alla mancanza di preparazione, a causa dei tempi di intervento molto ravvicinati.

Si impongono misure di prevenzione per ridurre questi rischi specifici, anche con una concertazione preventiva allo svolgimento dei lavori.

 

I principi della prevenzione

• Informare il datore di lavoro dell’impresa appaltatrice e i lavoratori impegnati nella prestazione sugli eventuali rischi legati alle attività presenti sul luogo di lavoro, sulle misure preventive da porre in atto e sulle attrezzature da utilizzare;

• cooperare nella valutazione dei rischi legati all’interferenza delle attività, degli impianti e dei materiali; questa valutazione viene fatta dopo una ispezione preventiva, alla quale prendono parte tutte le imprese interessate;

• coordinare le misure di prevenzione dei rischi connessi all’attività delle imprese, in particolare con la predisposizione del piano di prevenzione, con la realizzazione di ispezioni periodiche dei luoghi di lavoro e con le riunioni di coordinamento;

• di ciascuna delle imprese conoscere i modi operativi, e quindi i materiali e le attrezzature che usano;

• informare i lavoratori dei pericoli specifici dei lavori da eseguire.

 

Lavoratori precari

I lavoratori delle imprese esterne sono spesso più vulnerabili dei lavoratori permanenti. Essi cumulano i rischi legati:

• alla loro specifica professione;

• alla non conoscenza dei compiti del loro intervento;

• alla non conoscenza del luogo dove intervengono.

 

I principi della prevenzione

• Identificare esattamente, prima dell’assunzione, il posto da coprire;

• stabilire l’elenco dei posti soggetti a rischi particolari per la salute e la sicurezza dei lavoratori precari;

• fornire una formazione efficace sulla sicurezza, ancora più specifica per i posti a rischio;

• assicurarsi, quando ve ne sia la necessità, della disponibilità e dell’uso corretto dei dispositivi di sicurezza.

 

Normativa

- Dlgs n. 626 del 19/9/1994 : «Attuazione delle direttive Cee riguardanti il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro»:

art. 7 - Contratto d’appalto o contratto d’opera.

 

(da Italia Oggi)

 

 

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Aggiornato il: 13 gennaio 2002