Viaggio nel mondo dell'antropofagia

 

Per quanto possiamo non farci caso, il nostro corpo è composto da carne. Al giorno d'oggi sicuramente questo punto di vista non sarà stato preso in considerazione da molti di voi, ma sicuramente questo nostro aspetto non sarebbe passato inosservato qualche tempo fa.

Senza fare dei grossi sbalzi temporali già cinquanta anni fa il sacrificio umano e l'uso antropofago delle sue carni è stata una pratica piuttosto comune in alcune tribù nel sud del Sahara in Africa, nel sud-est asiatico, in Malesia, in Indonesia e in Oceania. Per quanto numerosi antropologi ritengano che attualmente la pratica del cannibalismo sia totalmente scomparsa in tutto il globo, c'è chi tutt'ora afferma che in alcune parti del pianeta è ancora praticata.

Tralasciando la questione e trasferendoci in epoche ben più lontane, la pratica, avvenuta spesso per motivi religiosi, era sicuramente molto diffusa, anche in Italia. Spesso la pratica del sacrificio umano non veniva accompagnata dal cannibalismo, ma in molti casi parti del corpo del nemico venivano utilizzati come trofei da mettere in bella mostra. Da citare sono i guerrieri celti che al termine delle loro battaglie caricavano sui loro carri le teste delle vittime per poi esibirle in bella mostra sulle travi dei loro tetti, o all'ingresso del villaggio. Inoltre i Druidi, appartenenti alla classe clericale celtica, consideravano il sacrificio umano parte integrante e fondamentale dei loro riti. I loro macabri rituali non finivano qui, era pratica spesso usata quella di bruciare vivi i propri nemici, oppure di pugnalarli alle spalle in modo non mortale e lasciarli lì a soffrire fino all'ultimo spasmo di vita; dal modo in cui essi rimanevano contorti una volta morti i Druidi interpretavano il futuro. Sempre in questa popolazione altra pratica macabra piuttosto diffusa era lo sbudellamento, ovvero l'estrazione delle viscere della malcapitata vittima. In entrambi i casi emerge il concetto di "utilizzo" del nemico: esso rappresenta un bene da non sprecare; le teste utilizzate per trofeo rappresentavano l'abilità del guerriero nel combattimento, in base al loro numero era possibile infatti stabilire il valore di un guerriero. Nel caso in cui la vittima veniva presa viva il discorso cambia. Da questo si evince come il cannibalismo assume un ruolo economico in una tribù, infatti e' un'usanza diffusa soprattutto in quelle organizzazioni sociali che non avevano ancora dato un ruolo attivo all'utilizzo dei prigionieri (vedi ad esempio gli schiavi); come stretta conseguenza nascono una serie di pratiche correlate come la tortura, che vanno ad anticipare il momento del "pasto" vero e proprio.

Una di queste tribù era quella degli Uroni, popolazione del Canada, a cui fino a due secoli fa, veniva insegnato fin da piccoli ad essere spietati e brutali con i nemici; per abituarsi a cio' i bambini erano costretti ad assistere alle terrificanti torture subite dai malcapitati avversari. Le torture inflitte erano qualcosa di incredibile, infatti alle vittime venivano bruciati gli occhi, venivano infilati nella gola e nel retto dei tizzoni ardenti, gli venivano spezzati i polsi e forate le orecchie utilizzando delle punte acuminate che gli venivano lasciate ficcate nella carne. Ognuna di queste pratiche era realizzata per poter dare il massimo del dolore lasciando la vittima in vita per il maggior tempo possibile; la sua uccisione dopo una notte di supplizi avveniva solamente all'alba con il taglio della testa. Una volta ammazzata la vittima, la tribù festeggiava per tutto il giorno con una serie di banchetti a base di carne del nemico.

Gli Uroni non erano i soli a praticare questo rito: all'inizio del XVII secolo, un marinaio tedesco di nome Hans Staden, naufragò sulla costa brasiliana e racconta di aver assistito a un rito piuttosto macabro eseguito dai Tapinamba. Un prigioniero di questa tribù fu preso e trascinato in una piazza piena di gente, dove fu circondato da una serie di donne che lo ricoprivano di insulti; nel frattempo le donne più anziane, con il volto ricoperto da una tintura nera, disponevano una serie di contenitori in cui sarebbe stato raccolto il sangue della vittima. Il boia, vestito con un lungo mantello fatto di piume e armato di una pesantissima clava si avvicinò alla povera vittima e gli spezzò la schiena e infine gli frantumò la testa. A questo punto le vecchie corsero a bere il sangue ancora caldo della vittima e ai ragazzini del villaggio fu concessa la possibilità di bagnarsi le mani e parte del corpo. Alle mamme del villaggio fu concessa la possibilità di bagnarsi i capezzoli affinchè anche i neonati potessero gustarne il sapore, e quando il sangue finì di sgorgare il corpo fu equamente sezionato e cotto, sotto gli occhi bramanti di carne umana degli abitanti del villaggio che già ne pregustavano il sapore.

Eventi come quello sopra riportato non dovevano essere per l'epoca un evento straordinario, erano molte le testimonianze a riguardo, e ai vari riti si susseguivano sempre una serie di regole da rispettare; c'è da dire però che spesso ai banchetti veri e propri partecipavano le classi sociali più privilegiate, mentre a quelle inferiori veniva concesso "l'onore" di assistere alla fase preparatoria. Il cannibalismo spesso si associava a riti religiosi: è il caso degli Aztechi cultori del Dio Cannibale. Nel giro di due secoli questa popolazione riuscì a creare un grande impero, sviluppando una grandiosa civiltà che fini' però distrutta dai "conquistadores". Fu proprio uno di questi gruppi di predatori, in particolare quello comandato da Cortez, a documentarci sugli usi e costumi della popolazione, che basava la propria vita su una religione catastrofista. Per gli Aztechi, tutto il mondo era periodicamente distrutto e rigenerato da un dio che ridava vita alle ossa dei defunti con il sangue, ed era questa il tipo di offerta che richiedeva, oltre alla carne umana naturalmente.

Molto simile ai precedenti è il mito di Huitzilopochtli, dio del sole, che ogni notte per poterci donare la luce il giorno dopo, ingaggia una vera e propria battaglia con le stelle e la luna. L'uomo per ringraziarlo di ciò gli offre l'unico nutrimento di cui ha bisogno per sopravvivere e riprendere le forze per un nuovo combattimento: il sangue. I sacrifici potevano avvenire solamente nei giorni in cui era permesso, i giorni in cui era vietato però erano così pochi che non limitavano il numero delle vittime: in un anno erano solamente cinque.

Aldilà delle motivazioni religiose spesso veniva realizzato il cannibalismo per motivazioni ben più terrene. Attraverso le ricostruzioni pervenuteci tramite le innumerevoli testimonianze, si è ricavato che gli Aztechi facevano un utilizzo delle varie parti del corpo delle vittime paragonabile al nostro consumo odierno degli animali domestici. Questo può portarci a credere che una delle motivazioni più valide sia da attribuire alla necessità di arricchire la propria dieta con preziose proteine appartenenti al mondo animale, nel modo sicuramente più facile e veloce. La difficoltà in quel periodo a procurarsi della cacciagione, anche in Europa, portava a lunghi periodi di carestie che favorivano in alcuni casi episodi più o meno ripetuti di antropofagia per prolungare la propria sopravvivenza. Insomma, quando si ha fame tutto andrebbe bene, e in particolare nel Messico dove si dice che tale pratica sia stata talmente diffusa da portare la coltivazione di ben 42 tipi diversi di peperoncini piccanti, condimenti particolarmente adatti per insaporire ed esaltare il gusto di un piatto allora particolarmente diffuso e prelibato: la carne umana.

 

H.W.




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