Giustizia e compassione



Domanda:

Come riconciliare giustizia e compassione?


Risposta:

Credo che la vera giustizia debba avere compassione in sé stessa. Quando qualcuno fa qualcosa di dannoso e distruttivo, il danno è inferto non solo alla persona che ne è la vittima, ma anche alla persona che ha commesso l’atto nocivo. Noi tutti sappiamo che quando diciamo qualcosa di sbagliato, ciò può danneggiare la nostra relazione con l’altra persona, facendola soffrire e sappiamo anche che in tal modo abbiamo fatto un danno anche a noi, creando sofferenza a noi stessi. Questo proviene dalla nostra mancanza di abilità, dalla nostra mancanza di consapevolezza, e dalla nostra mancanza di compassione. Anche noi soffriamo quando l’altra persona soffre. Forse non proprio subito, ma un po’ dopo soffriremo. La reale causa dell’azione errata è la nostra ignoranza, la nostra mancanza di abilità.

In ogni tipo di rapporto intimo c’è sempre la volontà di non far soffrire l’altra persona: “Cara, caro, non voglio farti soffrire”. Questo è vero, ma poiché non siamo abbastanza consapevoli e non abbiamo una corretta percezione di come stanno le cose, a causa dell’energia di abitudini negative che è in noi, potremmo fare cose che portano sofferenza un altra persona. Noi non vorremmo deliberatamente perché non è la nostra volontà. Forse abbiamo anche fatto un voto di creare felicità per gli altri, di diminuire la loro sofferenza. Per questo dovremmo cercare di guardare profondamente nella natura dell’Interessere per renderci conto che noi stessi potremmo essere le vittime di una coscienza collettiva, di una trasmissione di semi negativi da parte dei nostri antenati, dei nostri genitori. Se facciamo soffrire gli altri, è perché anche noi siamo vittime.

Così, se sappiamo come guardare ai cosiddetti criminali, avremo compassione. La società li ha formati così, non hanno avuto fortuna, sono nati in una situazione dove le condizioni sociali, i loro stessi genitori ed altre influenze esterne, hanno creato in loro l’abitudine a quel determinato comportamento. Quelle persone sono veramente delle vittime di una situazione sfavorevole. Se noi vediamo ciò, vediamo la natura dell’Interessere nei loro atti e saremo capaci di compassione. La punizione che proporremo, in quel caso, sarà più leggera, perché vogliamo veramente giustizia. Non è solo comprensione, non è solo compassione – anche se la comprensione porta sempre in sé la compassione – ma quella è anche giustizia.

Considerate un pirata che stupra una giovane donna dei “boat people” (rifugiati vietnamiti). Se aveste una pistola, forse potreste sparargli, ma non potreste aiutarlo. Forse lui è nato in una famiglia di pescatori poverissimi, lungo la costa. Suo padre e suo nonno hanno fatto una vita durissima. Per poter dimenticare quella vita e avere un po’ di sollievo, erano entrambi dediti al bere e si ubriacavano ogni sera tornando a casa ogni giorno tardissimo. Forse sua madre non sapeva né leggere né scrivere e non ha potuto dargli un’istruzione, così il giovane ha passato l’infanzia a giocare con dei delinquenti. Quando ha compiuto i quattordici o i quindici anni ha dovuto lui stesso cominciare a lavorare come pescatore per mandare avanti la famiglia. Quando poi suo padre è morto, ha continuato a pescare e la sua vita è diventata molto dura. E ad un certo punto qualcuno gli ha detto: “Lo facciamo solo una volta. I rifugiati potrebbero avere un po’ d’oro con loro, così se noi li catturiamo su una loro barca e prendiamo l’oro o qualche cosa di valore, possiamo migliorare un poco la nostra condizione di povertà cronica. Solo una volta!”. Il giovane pescatore si è detto d’accordo e là in mare aperto hanno catturato i rifugiati sulla loro barca. E mentre li rapinavano il giovane ha visto un’altra persona stuprare una ragazza. Si è guardato intorno e non ha visto polizia. Così si è detto: “Non ho mai provato questo. Voglio provare per una volta.” E così è diventato uno stupratore.

Se voi foste stati su quella barca con una pistola e gli aveste sparato per salvare la ragazza, lo avreste ucciso, ma non avreste potuto aiutarlo. Naturalmente avreste cercato di fare ogni cosa possibile per salvare la ragazza, ma se non vi foste riusciti, gli avreste sparato. Avreste certamente desiderato di salvare la giovane dallo stupro, evitando possibilmente di uccidere il giovane pirata, ma se non ci fosse stata alcuna alternativa, avreste forse deciso di ucciderlo. Ma lui era nato in quella vita ed era stato una vittima fin da quando era venuto al mondo. Nessuno lo ha mai aiutato. Educatori, legislatori, politici, imprenditori e uomini d’affari, umanisti, nessuno lo ha mai aiutato ed è perciò che è quello che è – una vittima. Se lo uccidete, potete chiamarla giustizia, ma io penso che quella sia meno che giustizia, perché il pirata non è mai stato aiutato da nessuno.

Quando udii notizia di questo evento, non riuscii a mangiare.
È difficile fare colazione quando si è appena appreso una notizia simile. Perciò andai a fare meditazione camminata nel bosco per poter sopportare tutta quella sofferenza. Durante la meditazione seduta, una notte, vidi che se io fossi nato nelle stesse condizioni di quel giovane, lungo la costa della Tailandia e se avessi avuto un padre simile, una madre simile, adesso sarei un pirata. Noi siamo, in grande misura, prodotti della nostra società e del nostro ambiente. Per questo il guardare in profondità ci aiuta a comprendere e ad avere compassione. Con la compassione, potete sempre offrire un tipo di giustizia che contiene più pazienza, comprensione e tolleranza.


Maestro Dhyana Thich Nhat Hanh

 



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