Tony Levin

DIARIO DI VIAGGIO

 

Questo è il tuo primo album solo dopo una carriera di moltissimi anni. Come mai ci hai messo tutto questo tempo per realizzarlo?
Beh, a dire il vero non è che io abbia sempre desiderato farne uno. Quando poi ho deciso di realizzarlo si è trattato di trovare un modo che funzionasse per me: il mio problema è che sono quasi sempre in tour, prima con Peter Gabriel e poi con i King Crimson, e che quando sono finalmente a casa non ho voglia di entrare in studio e realizzare un progetto da zero. Poi un amico mi ha suggerito l'idea di portare sempre con me un registratore digitale Adat durante i miei viaggi... e questo è esattamente ciò che ho fatto, registrando insieme ad alcuni musicisti incredibili in giro per il mondo. Abbiamo registrato semplicemente dove ci trovavamo: in albergo, in casa, qualche volta andando in studio nelle città in cui eravamo. E questo si è rivelato il metodo ideale per me.

Quindi, come dice il titolo stesso, un vero e proprio diario di viaggio...
Esattamente: è un diario sotto molti punti di vista. Prima di tutto perché mi ha seguito durante i tour e perché mi ha permesso di suo-nare con molti dei musicisti che ho potuto incontrare nei diversi posti; un altro aspetto è che ho potuto inserirci le mie foto, ne faccio moltissime e sono anche un fotografo, e le si possono trovare nel libretto che accompagna il cd (un libretto che Tony ha disegnato interamente da solo, come tutta la splendida confezione... ndT); infine, alcune pagine di diario scritte giorno per giorno sono anch'esse contenute nel libretto. Per queste ragioni l'album è davvero il diario di un musicista "on the road".

Le connotazioni di world music dell'album sono evidenti, al di là del titolo "World Diary": quanto ha influenzato questa scelta il fatto di essere legato a Peter Gabriel da molto tempo?
Ho fatto moltissimi tour con Peter e l'influenza principale viene dal fatto che durante questi tour, soprattutto negli ultimi anni, ho incontrato alcuni musicisti eccellenti che non avrei mai conosciuto stando solo con i King Crimson - siamo una band molto chiusa cui partecipano sempre le stesse persone - mentre in tour con Peter ci sono tutti questi musicisti diversi, e lo stesso quando suoniamo ai Womad. Perciò, in effetti, molti dei musicisti con cui ho suonato sul cd sono persone incontrate attraverso Womad, alcuni hanno suonato con Peter e altri no, ma in ogni caso li ho incontrati proprio grazie a questo giro di festival.

Dal disco di un bassista, e di un bassista come te in particolare, ci si aspetterebbe un disco molto ricercato tecnicamente, in cui l'aspetto tecnico è comunque dominante: come riesci a conciliare questa tecnica così brillante con l'enorme feeling che il lavoro riesce ugualmente a trasmettere?
In realtà non si tratta di un lavoro particolarmente tecnico, e anche come suonatore di basso non mi ritengo particolarmente "tecnico". So come usare la tecnica quando è necessario, ma penso a me stesso più come a un bassista che cerca di suonare ciò che è necessario alla musica stessa. Mi sta benissimo suonare il basso anche quando le note da suonare non sono particolarmente numerose o veloci, cosa raramente necessaria. Come in tutti i dischi cui ho partecipato, anche in questo ho semplicemente cercato di fare della buona musica, e se gli altri strumentisti suonavano in modo molto lento o molto semplice non serviva che io cercassi di "arricchire" i pezzi e non ado-peravo tecniche particolari. Ci sono alcune eccezioni, come in un pezzo con Bill Bruford, il batterista dei King Crimson, in cui entrambi suoniamo con una tecnica molto rapida (il pezzo in questione è Etude....). In generale, comunque, torno a dire che non sono un musicista particolarmente tecnico, e vorrei aggiungere che in alcuni dei brani di questo disco suono il basso mentre su altri uso quest'altro strumento chiamato Stick, che equivale a un basso e una chitarra messi insieme.

Molta della critica musicale indica in Jaco Pastorius un punto di riferimento fondamentale nell'evoluzione tanto dello strumento quanto di chi lo suona: sei d'accordo con questa affermazione? e quali altri bassisti potresti citare come influenze?
Penso che Jaco abbia avuto una grandissima influenza, anche se non ne ha avuta particolarmente su di me, ma che insieme a lui ci siano stati molti altri bassisti che nel corso degli anni hanno ciascuno a modo suo influenzato l'intera categoria dei bassisti. Questo non vuol dire che ciascun musicista abbia cambiato il suo stile e il suo modo di suonare a causa di qualcun'altro, ma Pastorius ad esempio ha avuto un enorme influenza soprattutto nel campo del jazz. Tornando ancora più indietro mi vengono comunque in mente altri bassisti influenti, come Paul McCartney al tempo in cui i Beatles avevano il maggior successo: aveva un suono molto più "bassy" (si potrebbe tradurre con "bassoso"), suonava, se non ricordo male, un Hoffner che aveva un suono più profondo di quello degli altri. Lui è stato uno di quelli che ha certamente cambiato un po' tutti i bassisti nel corso del tempo.

C'è stato qualcun'altro che ha avuto su di te un'influenza particolare?
Devo dire che quando suono sono influenzato da chiunque stia suonando con me in quel momento. Non che cambi il mio modo di suonare ogni volta, ma nel corso degli anni sono stato influenzato da moltissimi grandi musicisti, non necessariamente bassisti. Quando ero giovane, un ragazzo, ascoltavo moltissimo un bassista jazz come Oscar Peterford (?); poi sono cresciuto suonando con un batterista, un grande batterista, come Steve Gadd, che ha avuto un grande impatto sul modo in cui io tengo il tempo, non in termini di note o di tecnica ma per come io sento quel tempo... Poi, sempre quando ero ancora molto giovane, ho suonato con Chuck Mangione, un trombettista, che aveva un grandissimo senso melodico, geniale, e anche lui mi ha insegnato molto. Anche tutti i dischi altrui che ho ascoltato hanno avuto effetto, soprattutto da ragazzo. Ripeto che non si trattava sempre di bassisti, ma che qualunque cosa mi piacesse aveva un certo effetto - che non era però quello di andare a casa e cercare di risuonare le stesse note nello stesso modo...

Parliamo un'attimo dello stick, che sicuramente ha rappresentato un grande passo avanti nello strumento del basso e nel modo di suonare di molti bassisti. Quale pensi che possa essere l'evoluzione ulteriore di questo strumento?
Devo dire che non seguo molto tutto ciò che gli altri stanno facendo con lo stick, ascolto sì qualche cosa ma come bassista ho un viaggio e un percorso tutto mio. Sono sempre in cerca di qualcosa di diverso, un modo differente di suonare o uno strumento differente - sempre comunque per coprire la funzione del basso - e in questo senso lo stick per me è stato splendido proprio per il suo suono così diverso, anche quando si suonano le stesse note. In più, lo stick ha uno spettro che copre tanto le note del basso quanto quelle della chitarra, e questo significa che posso suonare entrambi i registri: su disco di solito non lo faccio, anche perché di solito c'è già un chitarrista e la mia sarebbe solo una sovrapposizione. Uno degli aspetti più interessanti di "World Diary" è che invece ho potuto raggiungere la cima dello stick, suonare le note di chitarra. Un altro esempio della mia ricerca di sonorità diverse, più che di una tecnica particolare, è in un pezzo come "Nyatiti", in cui adopero delle bacchette di legno attaccate alle mie dita - in realtà nient'altro che bacchette da batteria troncate a metà, cui ho dato il nome di "funk fingers" (dita funk) - che mi permettono di ottenere dal mio modo di suonare il basso un suono sottilmente più per-cussivo e inusuale. Ecco, sono costantemente alla ricerca di cose come queste.

Anche Robert Fripp nei suoi album, ad esempio nel box dei King Crimson, tende a scrivere con estrema minuziosità tutto ciò che riguarda la canzone e il come, quando e perché è stata scritta, il feeling del momento, e cose del genere. C'è qualche somiglianza con ciò che hai fatto anche tu per World Diary?
A dir la verità non sapevo che lo facesse... So che in alcuni dei cofanetti sono contenute anche delle mie foto, perché ne scatto in continuazione anche sul palco. Non ho letto ciò che ha scritto Robert, ma immagino che in ogni caso sia probabilmente abbastanza diverso da quanto ho scritto io, nel senso che solitamente le mie note sono fatte perlopiù di ciò che ho scritto quel giorno nel mio diario, spesso anche sulla carta intestata degli hotel in cui mi trovo, e comprendono cose come ciò che abbiamo mangiato, quando abbiamo preso il caffé durante le session e così via.

Rimanendo in tema di King Crimson, il concerto milanese è stato assolutamente perfetto e senza la minima sbavatura...
Grazie! Vuol dire che siamo stati molto fortunati quella sera...

...durante il vostro ultimo tour che tipo di problemi - e di emozioni - ha dato il fatto di suonare con una strumentazione raddoppiata, tu e Trey Gunn allo stick e due batteristi come Bill Bruford e Pat Mastellotto (senza dimenticare Robert Fripp e Adrian Belew alla chitarra)...
Molte emozioni e molti problemi. Un po' di tutto, davvero. E' stata una bella esperienza per il senso di sfida: i King Crimson sono una band che ama darsi dei traguardi particolarmente difficili da raggiungere, vere e proprie sfide con noi stessi sia come individui che come "insieme" (Tony lo dice in italiano... ndT). Il lato più difficile era rappresentato dalla doppia batteria, che rendeva il compito arduo tanto a loro quanto a noi: è stata però una grande soddisfazione, e credo che siamo riusciti a fare davvero un buon lavoro. Pat e Bill non suonavano mai esattamente le stesse partiture, sarebbe stato troppo facile e noi volevamo invece che ci fosse una differenza. Per quanto riguarda il doppio basso è stato invece più facile, anche perché sia io che Trey Gunn suoniamo lo stick che come strumento è dotato di un'estensione tonale molto ampia, dai suoni più bassi a quelli più acuti, e man mano che suonavamo ci siamo accorti che Trey tende a privilegiare i toni alti, quelli più simili alla chitarra, mentre io preferisco i registri più bassi. In effetti, negli ultimi concerti che abbiamo fatto, mi sono trovato a suonare più il basso dello stick, soprattutto il contrabbasso, molto contrabbasso.

Anche Trey Gunn ha di recente realizzato un album solo: c'è per caso qualche coincidenza? Cioè, vi siete forse parlati e avete discusso dei rispettivi progetti solisti? La ragione di questa domanda è che anche nel lavoro di Trey le connotazioni "world music" sono molto forti, nonostante il suo sia una sorta di concept album che ruota attorno al tema degli Indiani Americani...
No, non ci siamo confrontati su questo. Al contrario, lui mi ha dato il suo cd quando io ero più o meno a metà della lavorazione sul mio progetto, e per questa ragione non ho voluto ascoltarlo subito, proprio per non esserne influenzato. Il fatto è che lo stick è uno strumento davvero unico, e che ascoltare chiunque altro in quel momento mi avrebbe influenzato troppo. Perciò, in verità, non ho ancora neanche aperto il suo cd, ma sono certo sia ottimo. Tutto ciò vale anche al contrario: lui non aveva ascoltato il mio mentre lavorava al proprio.

In Italia tu godi di ottima fama non solo in quanto membro dei King Crimson e della band di Peter, ma anche per aver suonato con numerosi musicisti italiani, personaggi come Claudio Baglioni, Alice, Ron, ed altri ancora. Al di là delle ragioni strettamente "economiche" - perdona la brutalità della domanda - dell'essere un session man famoso e richiesto ovunque (non solo in Italia), quali sono le ragioni che ti portano a suonare in situazioni tutto sommato così diverse, e qual è il tuo atteggiamento in questo genere di progetti?
E' sicuramente diverso oggi rispetto a molti anni fa, quando suonavo ovunque e con chiunque perché quello di suonare il basso era il mio lavoro. Ora mi ritengo molto fortunato, ho avuto successo, faccio tour e dischi con King Crimson e Peter Gabriel e non sono "costretto" a partecipare a dischi e progetti individuali di altre persone. Ma personalmente mi piace molto alcuna della musica italiana, avete dell'ottima musica qui, e mi piace l'Italia, adoro venirci. Mi richiedono spesso di suonare su qualche disco, anche se non tanto quanto si potrebbe credere: quando succede il mio atteggiamento oggi è quello di ascoltare prima la musica che fa chi mi chiama, e se mi piace, da qualunque parte del mondo provenga la richiesta, se ho il tempo e la voglia di farlo lo faccio. Se non mi piace la musica non devo più farlo, e in questo senso sono molto fortunato perché una volta non potevo permettermi di scegliere.

Cosa ne pensi e come ti rapporti a due personalità così diverse come quelle di Robert Fripp e Peter Gabriel, quasi zen il primo, più interessato alle relazioni il secondo - relazioni fra uomini e donne ma anche fra uomo e natura...
E' una domanda interessante. Io mi trovo a mio agio con entrambi, sono tutti e due ottime persone con cui andare in tour anche se sono molto diversi uno dall'altro, non tanto in termini di musica, ovviamente, quanto di feeling e di spirito con cui si va on the road. Il fatto è che con Peter ci si diverte un sacco durante i tour, sul palco certo, ma anche fuori... Ci si diverte in mille modi pazzeschi, abbiamo avventure, facciamo gite in barca ed escursioni in bicicletta, una volta siamo andati in canoa giù per le rapide di un fiume, o ancora abbiamo fatto il tour del Grand Canyon con delle Harley Davidson. Cose meravigliose.

Nei King Crimson è tutto completamente diverso: si lavora seriamente e si lavora duro sulla musica, tutti passano il loro tempo a provare e riprovare - io forse un po' meno degli altri. Non voglio dare a tutto ciò un senso negativo, anzi: è bellissimo, ma non è quello che si definisce divertimento. Una descrizione migliore è come dicevo prima quella di sfida, di raggiungimento di uno scopo, del valore di ciò che si fa. E' una sensazione molto diversa. Personalmente mi trovo bene in ambedue le situazioni, e anzi credo che ciò che per me funziona maggiormente è proprio il passare continuamente da una situazione all'altra.

L'ultima e più ovvia delle domande: quali sono i progetti sia sul fronte King Crimson che su quello Gabriel per il 1996?
Per quanto riguarda Peter so che vi darò un dispiacere: non lo so, davvero. Da quel che so è stato in Africa e ha scritto un po' di nuovo materiale, ma non ho idea di quando comincerà a registrarlo, figuriamoci di quando finirà o di quando e come farà il suo prossimo disco.
Con i King Crimson, invece, siamo in questo momento impegnatissimi a scrivere il materiale per i nostri prossimi album, e ci piacerebbe farne uscire il più possibile, soprattutto del nuovo materiale live perché siamo convinti che questo aspetto sia fondamentale nel nostro modo di suonare e scrivere e fare musica oggi...


Tony Levin
"WORLD DIARY"
(Papa Bear Records)

La prima cosa che si nota del lavoro di World Diary è l'incredibile cura del packaging del cd, ideato e realizzato con un grande senso dell'estetica dallo stesso Tony, come ha premuto a raccontare con una punta di orgoglio nel corso della sua visita a Milano. L'immagine di un mappamondo, ripreso da diverse angolazioni, compare sulla copertina esterna dell'album e sulle tasche interne che contengono il vero e proprio cd e un interessantissimo booklet che comprende belle foto in bianco e nero e soprattutto alcune pagine del suo diario, spesso niente più che fogli di carta intestata degli alberghi in cui Tony soggiornava durante le registrazioni o durante i tour con Peter o con i King Crimson.

Le impressioni di luoghi, situazioni, stati d'animo e incontri seguono l'iter dei pezzi e ne sono in realtà parte integrante, spiegandone in alcuni casi la nascita e l'ispirazione, a supporto dei titoli che - nel caso di brani strumentali - pur se evocativi hanno un significato comprensibile solo da chi li ha composti. Tutto questo rappresenta un pregevole sforzo di rendere partecipe anche l'ascoltatore più distaccato o meno attento. Nell'album di Tony, le sonorità del basso costituiscono ovviamente uno strumento di base ritmica, ma sono contemporaneamente capaci di costruire la stessa struttura armonica dei pezzi: basso spesso in primo piano rispetto agli altri strumenti soprattutto quando si tratta dello stick, assolutamente affascinante per la varietà di suoni che riesce a ottenere oltre che per la tecnica, com-plicatissima, di esecuzione.

"World Diary" presenta tutti gli ingredienti per essere considerato davvero un bel lavoro; e lo è. E' il primo album da solista realizzato da uno dei migliori bassisti in circolazione, coadiuvato da altrettanti musicisti di grande professionalità e personalità, capaci di imprimere un'impronta riconoscibile a ciascuno dei pezzi dell'album.

Shankar è il primo artista che riconosciamo dal suono del suo doppio violino elettronico e dall'improvvisazione vocale che segue l'armonia del violino stesso, spesso fondendosi talmente che è difficile distinguere la fine dell'uno dall'inizio dell'altra. Il pezzo in questione è Chasms.

CHASMS

Amburgo - una giornata fredda e grigia - L'Atlantic Kempinsky, in centro vicino alla stazione, ha enormi corridoi vuoti e stanze ampie e semplici. Ho chiesto a Shankar di unirisi a me più tardi per registrare qualcosa, e poi ho camminato sotto la pioggia fino alla stazione - ho preso del caffé pessimo. Alle quattro è venuto nella mia stanza - gli ho suonato le mie idee - e abbiamo completato il pezzo in un'ora circa, con violino e stick, passando la maggior parte del tempo a smanettare l'ADAT. Abbiamo sovrainciso le sue parti vocali attraverso alcuni effetti del violino, poi ci siamo fatti portare del tè - sono contento che non ci siano state lamentele da parte degli altri ospiti dell'hotel. Potremmo chiamarla "Atlantic" - qualcosa che implichi umidità. Più tardi, una delle rare cene con tutta la band, in un ristorante che si chiama 'Levin'! Non avevano bustine di fiammiferi. Paula dice di aver sentito alcuni strani rumori quando è passata di fronte alla stanza 184!

Protagonisti del secondo brano, The Train, sono Ayub Ogada e la sua Nyatiti, l'affa-scinante strumento a corde con cui Ayub costruisce l'ossatura dei suoi pezzi. Qui, come dicevo prima, il basso non ha solo il compito di tenere il ritmo, ma costruisce l'armonia stessa della canzone insieme alle parti vocali di Ayub e al controcanto dello stesso Tony. Il risultato di questo melange è anche nella piacevolissima Nyatiti (brano totalmente improvvisato e inizialmente senza nome, come racconta Tony).

THE TRAIN; NYATITI

Sono rimasto a Bath dopo aver registrato con P.G. - ho chiesto ad Ayub di venire da Londra per vedere cosa riuscivamo a combinare. Studi al completo, ma Writers' Room disponibile e fortunatamente anche Bottrill è qui. Ci ha prestato un ADAT di Michel Brook.

Ayub aveva una Nyatiti nuova - l'ha tirata fuori dalla valigia e ha cominciato a suonare - io mi sono unito a lui con i funk fingers, ed ecco fatta la nostra canzone! Nessun nome.

Mi sono accorto che eravamo tutti e tre pelati! Non c'era abbastanza tempo per montare un set fotografico ma Steve Lowell Davis era in ufficio - gli piaceva un sacco il look - scattato qualche foto. Il secondo brano è venuto fuori da una mia idea - Ayub ha cantato, ma abbiamo messo i microfoni sui miei e sui suoi piedi. Un treno è passato fischiando proprio durante la prova generale - forte - la chiamerò "Train Coming". Cercherò di fare un DAT del treno

We Stand In A Sapphire Silence è forse il pezzo che più mi affascina. Lo trovo grandioso. Jerry Marotta suona li Taos Drums, Tony lo stick e Brian Yamakoshi il koto, un antico strumento giapponese dal suono straordinario, fatto in legno intarsiato, con corde di seta e ponti mobili di avorio. L'incedere del koto, inizialmente stentato, prende via via il sopravvento col velocizzarsi del ritmo in un magnifico gioco di incastri con lo stick.

Dalla stessa accoppiata di koto e stick nasce anche The Sound Of Goodbye, posizionato come ultimo brano della raccolta e rappresenta il segno più corretto della fine (temporanea) di un'esplorazione. Brano sofisticato e di grande atmosfera, dichiaratamente uno dei preferiti di Tony, è il risultato di un'improvvisazione su tempi lentissimi voluta da Yamakoshi in cui il senso di rilassatezza e di lasciarsi andare sono meravigliosi.

WE STAND IN SAPPHIRE SILENCE; THE SOUND OF GOODBYE

Ho volato a Parigi da Bristol, registrandomi al Copthan Commodore, vicino all'Operà, un albergo ok e tranquillo anche se serve una laurea in fisica molecolare per riuscire ad aprire le porte delle stanze. Ho incontrato Manu al Cafè des Flores per il più forte caffé espresso sulla faccia della terra! Sono andato allo studio al Palais des Congress e ho impiegato un'ora per tirar fuori e preparare l'equipaggiamento. Quello di Brian è un koto enorme - mi ha detto che è uno degli unici due al mondo ad avere 20 corde. I ponti di avorio somigliano alla Torre Eiffel! Il primo brano è andato bene, poi Brian ha suggerito "suoniamo molto lentamente" - ci sono volute solo due esecuzioni per quello che fino a questo momento è il mio pezzo preferito. Quelli non programmati sembrano essere i migliori.

Smoke e I Cried To the Dolphined Sea rappresentano i momenti forse più jazzati dell'intero lavoro, pervasi come sono dal sax di Bendik, per qualche tempo compagno di avventura di Tony negli Steps Ahead. In ambedue i casi si tratta di brani di puro respiro, fumoso (non a caso) e affannoso il primo, che dura in tutto 49 secondi, più dilatato ed elegante il secondo, uno di quelli che più restano in mente grazie alla struttura marcata e d'impatto.

SMOKE; I CRIED TO THE DOLPHINED SEA

Volato a Oslo ieri pomeriggio - mi sono registrato in quest'albergo scelto da Bendik - si trova sulla via principale. Gli ho chiesto se fosse possibile visitare i fiordi per una foto e per ritrovare una sensazione di antica freschezzatrei basare una canzone su questo - dal nome "The Tryth" con armonie aperte, poco movimento. La realtà è andata piuttosto diversamente; i fiordi erano troppo lontani - le olimpiadi inizieranno fra poco - la città pululla di turisti, giornalisti e sulla strada principale - ubriachi! Siamo andati in un jazz club fumoso - una band ok ma grandi bevitori (il pianista si è addormentato sul piano durante il set!) Perciò oggi abbiamo registrato "Smoke" basandoci su quella sensazione. E' venuta fuori molto schizzata - dovrò accorciarla. La seconda canzone è un sogno. Possibile titolo "Open Sea".

L'atmosfera cambia completamente in Etude In The Key Of Guildford, pezzo che lascia ampio spazio al puro virtuosismo ed è tutto un rincorrersi tra Bill Bruford, alle prese con i tamburi elettronici della Simmons, e lo stick di Tony. Stessa accoppiata anche per Jewels, altro brano registrato a casa di Bruford, in cui lo stick dimostra ulteriormente tutta la sua duttilità e originalità. I suoni, in questo caso, non sono più quelli del basso o della chitarra, ma si avvicinano quasi ai registri di una morbida tastiera, continua e ripetitiva ma mai monotona, che scivola via e procede tra l'improvvisazione di Bruford, quasi a distogliere proprio dall'ipnotico stick. Bellissimo.

ETUDE IN THE KEY OF GUILDFORD; JEWELS

Il tour europeo si è concluso a Parigi. Ho volato a Londra ieri insieme a Michele, con molti ritardi dovuti alla nebbia. Sono stato all'Hazlitts, a Soho, il mio hotel preferito di Londra (scale antiche, ogni stanza diversa dall'altra, con nomi anziché numeri). (Io ho dormito nella "Joseph Mynden", a Michele hanno dato "The Prussian Colonel"). Cena indiana e una bella dormita.

Oggi ho preso il treno da Waterloo. Bill ci è venuto incontro a Guildford, ci ha portati a casa sua. Ho sistemato il mio studio portatile nella sua stanza della musica e abbiamo registrato per tutto il pomeriggio. "Etude" è andata sorprendentemente bene - ero preoccupato perché pensavo potesse essere complicato senza click. Carolyn ha preparato un'ottima cena - il piccolo Jack non ne aveva mai abbastanza del mio computer portatile. Ha detto che voleva venire in America con me! "Anche "Jewels" è andata bene - devo dovrò rielaborare la melodia per non farci sembrare una band di mariachi! Titolo possibile: "Jewels in the Verdegris Moss".

Espresso & The Bed Of Nails e Heat sono i due brani scelti da Tony fra quanto registrato insieme all'ensamble percussionistico dei Nexus. La prima - e mai titolo fu più eloquente - si caratterizza per due suoni oltremodo particolari: l'inizio del brano è infatti segnato dal rumore che proviene dalla macchinetta per il caffè espresso Gaggia dello stesso Tony, chiudendosi invece con il suono di un letto di chiodi proveniente da una scultura di John Wyre's. Nel secondo brano le percussioni dei Nexus giocano su un'im-pressionante varietà di trovate intorno al tempo scandito monotonamente dallo stick. Per questo brano in particolare dispiace che il cd non sia accompagnato da un video: è davvero un peccato non poter vedere l'en-samble di percussioni all'opera, perché sono convinta che i percussionisti siano fra gli esecutori i più belli anche da guardare, oltre che da ascoltare.

ESPRESSO & THE BED OF NAILS; HEAT

10 ore di viaggio in treno per tornare a casa dopo una gran giornata con i Nexus a Toronto. Sono partito sabato organizzando tutto sul mio portatile finchè si sono scaricate le batterite. Cena con Bill Cahn - abbiamo parlato dei giorni di scuola - anche se molto noioso per Ray Dillard che era venuto apposta dal Texas per darci una mano. Un ottimo Amarone! Domenica - guardarli montare centinaia di strumenti a percussione è stato stupefacente. I pezzi sono filati lisci - avremmo potuto registrare due album pieni. Non avevano mai sentito uno stick prima. Una mentalità classica anche se musicalmente sono dei veri maniaci. Abbiamo suonato solo per un'ora o due - tirando fuori brani molto lunghi - e poi ore per rimettere tutto a posto! Un'altra cena con Bill Bob ed io - i tre laureati di Eastman! Durante il viaggio di oggi avevo i DAT con i pezzi da ascoltare, più alcune versioni pazzesche della "Naily" di John che potrei infilare come intro. Ancora una volta, però, nulla di vegetariano e solo dannati sandwich di tonno.

Mingled Roots ci riporta a sonorità già note: il riferimento a 14 Black Paintings e a "Pas-sion" è palese e salta immediatamente all'orecchio. Ospite del brano è infatti Levon Minassian (lo stesso che chiude il video di "Secret World Live", per intenderci), col suo particolarissimo e inconfondibile doudouk, un flauto armeno a doppia canna realizzato in legno di albicocco e capace di evocare con pochissime note paesaggi ed atmosfere assai distanti dall'occidente. La personale musicalità del doudok si misura con il doppio basso elettrico di Tony, e anche in questo caso il risultato è eccezionale. La Tristesse Amoureuse De La Nuit potrebbe quasi essere definito un pezzo jazz stando alle parti di basso e batteria, qui affidata a un grande Manu Katché, se non fosse ancora una volta per gli interventi del doudouk di Minassian: particolarssimi e pienamente azzeccati anche in questo caso, offrono una prova di adattamento notevole, anche in considerazione del fatto che solitamente spetta agli altri strumenti conformarsi ai percorsi sonori del doudouk.

MINGLED ROOTS; LA TRISTESSE AMOUREUSE DE LA NUIT

Parigi - Un altro giorno del Ringraziamento lontano da casa e dalla famiglia. Ieri sera ho chiesto a Levon di "joue" - suonare - oggi (non conosco il termine francese per "registrare"). Lui non parla inglese e il mio francese è minimo perciò contavo su una comunicazione esclusivamente musicale. Il Royal Monceau è un albergo elegante sull'Avenue Hoche, vicino all'Arc de Triomphe - Levon è arrivato nella mia stanza, la 509, ha tirato fuori il suo doudouk ed è andato direttamente al microfono a suonare. Mi sono perso dell'ottimo materiale mentre mettevo a punto i livelli - ho schiacciato il tasto registrazione e mi sono messo a suonare anch'io per un po'! Sistemerò le mie parti più avanti. Credevo che il SI fosse un'ottima chiave per il doudouk, ma il FA# era meglio. Abbiamo provato a improvvisare in MI - il RE era meglio ancora. Mi sono dimenticato di scattargli una foto nella stanza - ma gliene ho fatta una nel backstage dello Zenith. Levon mi ha dato una nuova ancia per il doudouk che mi aveva regalato la settimana scorsa.

A conclusione di tutto quanto ho scritto finora, non si può che consigliare "World Diary" a chiunque abbia voglia di viaggiare, esplorare e scoprire altre e nuove dimensioni musicali, a chi sa ascoltare con attenzione e apprezza la raffinatezza della ricerca sonora, quella che Tony, dopo anni, sintetizza in questi splendidi tredici brani.

Forse, se state leggendo queste pagine, tutto ciò è addirittura superfluo: ma in fin dei conti da Tony non è che ci aspettassimo niente di meno...

M.M.