Servizi: il day hospital

di Claudia Trevisan

Elena? Ciao sono mamma. Senti, lunedì papà deve andare in ospedale. Inizia la terapia in day hospital. Tu puoi portarcelo?" "Mamma... io non posso più chiedere permessi al lavoro; ho anche il piccolo con l'influenza e quindi è a casa dall'asilo. Sono costretta a chiamare la baby sitter. Inoltre anche potendo lunedì, lui andrà avanti per parecchi giorni ed io non posso più chiedere ferie. Hai già domandato a Gianfranco? Fino adesso ho potuto io ma anche lui può prendersi qualche giorno di ferie" "Sai in che situazione delicata è. Sta ancora pagando i debiti e ha paura con questo nuovo lavoro a chiedere permessi. Ma papà ha proprio bisogno di qualcuno che l'accompagni in macchina. Stramaledetta quella volta che non ho voluto prendere la patente. Posso accompagnarlo con i mezzi, ma la chemio mica ti permette di uscire e salire come se nulla fosse sul tram. Non voglio, e figurati lui, ricoverarlo. Non posso certo permettermi di pagare il tassì ogni sacrosanto giorno. Ormai le pensioni se ne stanno andando come neve al sole. Giuro non so' cosa fare!".

 

La situazione immaginaria presentata qui sopra, benché frutto di invenzione può essere una delle molte "discussioni" che si verificano tra familiari di un malato oncologico, i quali spesso si trovano davanti a bivi in cui viene chiesto loro di decidere tra due situazioni estremamente delicate ed estremamente importanti; come qui dove ad una figlia è fatta richiesta, anche se non esplicita, di scegliere tra la possibilità di mantenere il lavoro necessario per conservare e assicurare stabilità al suo nucleo familiare e, contemporaneamente, di fare concretamente qualcosa per alleviare il dolore del suo stesso padre. 

 

Abbiamo inoltre una moglie che di necessità deve fare appello, pur sapendo tutto ciò che comporta, ai figli, consapevole anch'essa della richieste che inoltra e forse altrettanto consapevole delle risposte che riceverà. Ci si chiede quindi quale tipo di dinamiche psicologiche proprie e collettive possono emergere da situazioni simili: sensi di colpa perché qualsiasi decisione presa risulta controproducente per una parte; sensi di impotenza per l'impossibilità non solo sanitaria di fornire le cure necessarie, ma anche morale e psicologia di fornire un aiuto; una rabbia profonda per una situazione che non ha vie di uscita immuni da ripercussioni gravi. Certo taluni possono affermare - chi non vive, non ha mai vissuto e ci si augura possa non vivere mai queste situazioni - che di fronte alla concreta possibilità di alleviare le sofferenze di un malato si debba fare tutto ciò che è nelle proprie forze tralasciando il resto. Ma se questo resto implica privare qualcuno di una cura altrettanto importante affinché non insorgano altri problemi in altri frangenti, non è per niente facile. E' come tentare di arginare una falla coprendola con una toppa strappata da un altro buco. In base questo tipo di coscienza l'Associazione cerca di venire incontro a tutte quelle persone che, impossibilitate, facciano richiesta di trasporto e accompagnamento qualora hanno malati oncologici che possono evitare l'ospedalizzazione e usufruire del day hospital, tentando quindi di sopperire all'assistenza istituzionalizzata che ha tempi di intervento troppo lunghi e quindi non compatibili con un malato oncologico. La maggior parte delle volte, infatti, l'aspettativa di vita è molto breve e quindi non ci si può permettere di sprecare tempo. Se consideriamo l'aspetto propriamente professionale, il servizio di accompagnamento e trasporto fornito dall'associazione ha molteplici pregi:

- anzitutto viene effettuato usando mezzi efficaci e adatti alle esigenze dell'oncologico. Mezzi di trasporto, per chi non lo sapesse - e non è una puntualizzazione da poco - che spesso sono controllati, nel loro aspetto meccanico, da persone che, quando chiudono "bottega" o quando vi è un'emergenza, si prestano gratuitamente a revisionare veicoli, in maniera tale da renderli sempre efficienti e pronti per l'uso, per evitare che un guasto meccanico faccia "saltare" una terapia ad un paziente. Quindi un servizio garantito sempre una volta che si contatta l'ammalato e che gli si promette l'assistenza;

- un autista che non solo opera il servizio trasporto casa-ospedale/ospedale-casa, ma che svolge anche il ruolo di accompagnatore e che quindi prende in "consegna" l'ammalato per tutto il percorso che questi ha da compire, aiutandolo in caso di difficoltà e facendogli costantemente sentire la sua presenza. Presenza che quindi attende anche il malato sino a che non ha termine la terapia ( anche se talvolta si tenta di offrire servizi di tipo cumulativo o anche di "incastrare" nella durata della terapia un altro paziente);

- qualora poi il paziente avesse invalidità tali da non permettergli l'autosufficienza, vi è la presenza, oltre all'autista, anche di un secondo volontario, permettendo così di agevolare gli spostamenti dell'oncologico;

-in ultimo la possibilità effettiva e comprovata di un risparmio notevole. Il day hospital consente infatti alle istituzioni un risparmio del 80- 75% di costo rispetto all'ospedalizzato, cifra da non sottovalutare.

 

E' quindi evidente che i benefici, contando (momentaneamente) solo l'aspetto professionale e ancor più quello economico, sono m

olteplici: si pensi quanto si potrebbe risparmiare in termini di sanità statale se funzionassero correttamente le strutture istituzionalizzate, poiché i servizi di assistenza privata come quelli forniti dall'associazione intervengono proprio per le carenze della sanità pubblica. Tutto questo, non certo perché si reputi uno spreco di denaro assistere un malato oncologico all'interno di una clinica, bensì perché il risparmio può garantire migliori condizioni di vita al malato/i, qualora quei soldi fossero investiti in strutture specifiche.

Se consideriamo poi l'aspetto che possiamo definire umano, non riesce difficile rintracciare i benefici che ne derivano sia per l'ammalato sia per la sua famiglia;  -chi ha provato, anche solo per una sciocchezza a mettere piede in ospedale, passando alcuni giorni e alcune notti nelle stanze asettiche di un reparto, può ben capire cosa rappresenti per un malato la possibilità di tornare, una volta finita la terapia, nella propria casa, con i propri familiari, alle prese con la dimensione domestica e quindi conosciuta. E' questo forse il beneficio maggiore di un ammalato oncologico che può sentirsi protetto e meglio curato da quelle persone che, benché prive delle conoscenze medico-sanitarie, garantiscono però al malato un alone di protezione e serenità che nessun dottore e nessun infermiere, per quanto bravi e per quanto attenti ai bisogni dei propri pazienti, possono dare.

L'amore di un familiare, soprattutto nel caso di un malato oncologico è l'unico rimedio efficace e forse più utile per garantire serenità (non certo la guarigione).

- altro fattore importante è quello che emerge chiaramente e palesemente dalla vicenda immaginaria sopra raccontata: la possibilità per i familiari di essere esonerati da tutte quelle incombenze ruotanti intorno a questo male oscuro e subdolo, che oltre a consumare la vita di chi lo "ospita", deteriora e logora la vita di chi cerca in qualche modo di combatterlo;

- un "risparmio" - anche se non è certo questo il termine appropriato - di tempo che i familiari possono investire in termini di qualità e energie da riversare sul malato. Spesso si è portati a pensare che sia giusto condividere ogni attimo con le persone che soffrono, perché si ha la speranza che questo possa servire al nostro caro e che solo in questo modo lo si riesca a capire e quindi a porgergli aiuto. Ma la situazione pur essendo meritosa e forse giusta sotto alcuni punti di vista, dimentica che una malattia come un tumore non annienta solo il corpo e lo spirito di chi la subisce (una malattia che spesso arriva a tali stadi di bruttura e devastazione fisica, tali da togliere quello che è l'aspetto più decoroso dell'essere umano: la dignità. Per quanto questa non derivi certo da un fattore estetico, viene notevolmente compromessa se il nostro corpo subisce un annientamento che non dipende dal progressivo avanzare dell'età, ma da un ospite indesiderato. Lo specchio in cui l'ammalato si riflette o il volto compassionevole di un parente rappresentano per il paziente situazioni che ancor più aggravano il suo stato, perché viene esibito un corpo che invece si vorrebbe nascondere non solo ai propri cari, ma anche a se stessi), ma atterra anche lo spirito di chi con Lei deve convivere quotidianamente: la famiglia. Quale beneficio può quindi arrivare ad un ammalato se la sfera dei suoi affetti è altrettanto distrutta dal cancro? Quale tipo di conforto può essere inoltrato ad un ammalato se questa tremenda malattia viene vissuta intensamente anche da chi dovrebbe invece assicurargli forza e sostegno morale? E' vero che la malattia è di chi la vive in prima persona, ma non bisogna dimenticare che vedere una persona amata soffrire si ripercuote su di noi quasi in maniera esponenziale. E' quindi corretto fare in modo che quantomeno a questo tipo di incombenze (trasporto e accompagnamento), qualora sopraggiungano impedimenti consistenti ed effettivi, possano far fronte persone "esterne", ai quali affidiamo con sicurezza la cura e la tutela del nostro caro.

Ecco come un semplice automezzo e una o due persone possano essere un oasi di (momentaneo) ristoro dopo un cammino che pareva essere senza tregua. L'associazione tenta quindi di venire incontro a questi molteplici aspetti perché solo così i può tentare di rendere più vivibile una situazione così difficile. Qualora, quindi, all'associazione vengano inoltrate richieste di accompagnamento, ecco che vi è un intervento (nei limiti delle possibilità) che cerca di alleviare i "dolori" del richiedente. Se questa domanda non è poi possibile soddisfarla con l'ausilio di mezzi e personale, l'associazione provvede, come più volte ha fatto, a stanziare un contributo di tipo economico, contributo che fortunatamente non ha i tempi di attesa estenuanti come quelli statali.

Dimenticavamo: tutto questo è gratis. 


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