Favolette per Pietro e Sara

Nonno Lucio

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Febbraio 1997

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Le alghe dondolavano lentamente cullate dai fremiti della brezza sull’acqua tranquilla vicino alla scogliera. Improvvisamente, un fremito le attraversa. Ecco una piccola ombrina, riga nera sul fianco, emergere dal verde delle alghe inseguita da tre piccole sarde in fila, tutte riflesse d’azzurro.

L’ombrina si nasconde dietro uno scoglio. Le sardine l’hanno persa di vista. Si fermano. Dove si sarà nascosta?  Nel buio dietro lo scoglio luccicano due occhi. "E’ là, è là. Prendiamola". Le tre sardine si infilano anche loro nel buio. Tutto torna calmo. Finalmente! Uno scorfano fermo ed invisibile contro la pietra dello scoglio, perché della pietra aveva lo stesso colore, ora batte gli occhi.Tre colpi di palpebra. Nel linguaggio dei pesci che non parlano col fiato, ma con il battito delle palpebre, tre colpi significa: "Finalmente un po’ di pace." Ora si vede anche il capo tondo e bianco di un polipo. Due occhi neri mezzi coperti da palpebre a punta. Anche lui tre colpi di palpebra: "Finalmente, pace."

Ma la pace dura poco. Ecco l’ombrina e le tre sardine che riescono in fila da dietro lo scoglio. Si fermano in circolo a mezz’acqua. Il polipo batte ora cinque colpi di palpebra,prima l’occhio destro e poi quello sinistro."Cosa avranno visto, da fermarsi in circolo?" "Buona domanda", risponde lo scorfano. Per dirlo ha chiuso quattro volte il solo occhio sinistro. Ma i pesci si intendono guardandosi, senza dover contare quante volte chiudono le palpebre. Si guardano, battono le palpebre e si capiscono. 

I quattro pesciolini, l’ombrina e le tre sardine, sono in circolo a guardare uno strano vermiciattolo.  E’ fermo a mezza acqua, curvo come una U con un pezzettino di coda che esce fuori dall’U e che si muove disperatamente. Solo la coda. Il resto del corpo è fermo. "Cosa ci farà qui questo vermiciattolo?" si chiedono i quattro amici. "E se ce lo mangiassimo?" Ma non fanno a tempo a dirlo che un grosso sarago con le pinne sul dorso dritte e con un bel colpo di coda si butta a bocca aperta sul poveretto. Un boccone e via dritto. Ma no, cosa succede? Il sarago viene tirato su, su, su fin dove si vede la superficie dell’acqua luccicare al sole. E.. ohp, fuori dall’acqua. Poi del povero sarago, più niente. 

Prima che i quattro amici possano riprendersi dalla meraviglia, ecco la mamma ombrina arrivare trafelata e spaventata. "Attenti, attenti!", urla. Ma come fanno i pesci ad urlare? Si danno dei colpi di coda, ecco come fanno. Così la mamma ombrina da dei colpi di coda al suo figliolo. "Il verme nascondeva un amo. C’è un pescatore là fuori. Venite via, via di qui." Ed i quattro seguono l’ombrina madre dietro un grosso sasso.

Dopo un poco, eccolo di nuovo. Un piccolo verme, fermo ad U con la coda libera che si muove disperatamente. Otto occhi lo guardano da dietro il sasso. Tutto sembra molto tranquillo. Il polipo si è addormentato, lo scorfano si è mimetizzato contro la pietra. Difficile distinguerlo. Le alghe si dondolano lentamente. Ma anche il piccolo verme si dondola. Gli otto occhi si aprono e chiudono. "Andiamo a vedere. A guardare mica ci può fare male". Ed ecco lo scintillio azzurro delle tre sardine e la strisciolina nera dell’ombrina uscire da dietro il sasso e mettersi a giocare  a giro tondo attorno al verme.

La mamma ombrina non è là a fare da guardia. Il polipo dorme. Lo scorfano è mimetizzato. Una stella marina se ne va di traverso per i fatti suoi. La piccola ombrina guarda affascinata il verme che dondola: "E se gli mangiassi solo la coda? Che bel bocconcino. Solo la coda non deve esserci pericolo. La coda si muove, quindi è fuori dall’amo." Guarda ancora. E’ affascinato. Si avvicina sempre di più. Apre la bocca per afferrare la coda, solo la coda. Ma in quel mentre il vermiciattolo si gira e nella bocca aperta entra tutto, non solo la coda. "Ahi, che dolore, che puntura". E l’ombrina scappa. Ma non ce la fa. Viene tirata su, come il sarago. Su su, fin fuori dell’acqua. "Povero piccolo amico", piangono le tre sardine. Le loro lagrime sono delle bollicine che salgono su, su fino alla superficie. 

La mamma ombrina, vede le bollicine da lontano. Si preoccupa, guizza lì. "Dove è il mio piccolo, dove è?" E vedendo i tre amici piangere, capisce e si dispera. "Glie lo avevo detto, di stare lontano, glielo avevo detto!". Grosse bolle le escono dagli occhi e salgono, salgono. Arriva ora anche il papà ombrina. Anche lui piange grosse bolle.

"Cosa sono tutte queste bolle? Perché piangete, cosa è successo?" E’ una tartaruga che lo chiede movendo le sue quattro zampe per arrivare sul posto. Anche il polipo si è svegliato, anche lo scorfano che ora si riesce a distinguere. Si è mosso dal sasso e cerca di consolare papà e mamma. "Tutto è finito, tutto è finito. Non c’è più il mio piccolo", piange mamma ombrina. 

Ma ecco improvvisamente si rompe la superficie dell’acqua su in alto. Si formano dei circoli, qualcosa scende giù. Sembra un sasso. No. E’ un pesce, un piccolo pesce. E’ lui, la piccola ombrina. Scende giù a peso morto e lascia dietro una piccola striscia rossa di sangue. Prima che arrivi sul fondo in mezzo alle alghe, la tartaruga si mette sotto di lui, se lo prende sul dorso e lo deposita sopra un sasso piatto. Il piccolo è lì fermo. E’ morto? Lo scorfano, un vecchio che sapeva tante cose, lo guarda da vicino. Gli mette la bocca vicino alle branchie e gli lancia contro dei getti d’acqua. Aspira l’acqua con la bocca e la risputa contro le branchie. Dopo un poco, il piccolo corpicino si scuote. "Non è morto, non è morto", urlano di gioia dandosi dei colpi di coda le piccole sardine, i suoi amici. Lo scorfano continua a fargli la respirazione artificiale gettando gli spruzzi d’acqua contro le branchie. Ora, ripresesi dallo spavento lo fanno anche papà e mamma ombrina. "Forza piccolo, dai". E a poco per volta il piccolo apre gli occhi. Li chiude li riapre. "Cosa è successo?" chiede. Ora si drizza, si muove. Perde ancora un filo di sangue dalla bocca. L’amo gli ha rotto un poco il labbro. Ma guarirà. "Ci vorrebbero le alghe azzurre" dice lo scorfano, il vecchio saggio.

            Con tutto quell’agitarsi di pesci, di tartarughe, di polipi attorno alla piccola ombrina, l’acqua è diventata torbida. Dal fondo, dal collo di una vecchia anfora nascosta dalle alghe, ecco due occhi grigi ed una bocca pieni di denti uscire. Dopo la testa, una striscia continua ad uscire, sinuosa. Ma come è lungo quel corpo. Non è ancora uscito tutto ed è già più di un metro. E’ la murena grigia. "Cos’è tutto questo baccano?Non si può stare un po’ in pace neanche qui sotto?" Una grossa spigola, detta anche branzino, passa di lì.

Lui ha visto tutto e tranquillizza la murena. "E’ stata quasi una disgrazia, ma per fortuna tutto ora è finito bene." La murena sbadiglia ancora: "Ma cosa è successo esattamente? Io stavo dormendo arrotolata nella mia vecchia anfora romana e non ho visto nulla."

"Io stavo nuotando a fior di superficie, come faccio sempre verso sera per mangiarmi qualche buon bocconcino. Ci sono sempre delle zanzare che si puliscono le zampette a galla sull’acqua. E così, ohp, mi faccio uno spuntino.  Ho visto seduto sulla scogliera un vecchio pescatore tirare su la lenza con uno strattone. Attaccato all’amo c’era un povero pesciolino piccolo, piccolo. Il pescatore lo stacca dall’amo, lo guarda. Vede che è troppo piccolo e lo ributta in acqua. Era quasi morto asfissiato. Ma poi il vecchio scorfano saggio gli ha fatto la respirazione artificiale. E lo ha salvato. Ora cercano delle alghe azzurre per fargli degli impacchi sulla bocca e guarire la ferita che gli ha lasciato l’amo strappato dal pescatore. Non ne hai viste la sotto dove stai tu?"

La murena, sembra stanca e sbadiglia. Si ritira dentro il collo dell’anfora. "Che rustica bisbetica", commenta tra se il branzino, detto anche spigola.  Ma dopo un poco, ecco ondeggiare di nuovo la bisbetica. Ma no, in fondo è buona. Ha in bocca un ciuffo di alghe azzurre e lo porta ai genitori del piccolo ferito.
Per quel giorno di trambusto ve ne stato anche troppo in quel piccolo pezzo tranquillo di fondo marino vicino alla scogliera. Tutti a cena e poi a nanna. Anche il pescatore deve essersene andato.
Il giorno dopo tutto tranquillo nel piccolo angolo di mare. L’ombrina e le tre piccole sarde hanno ripreso a rincorrersi. Ma nel pomeriggio le cose cambiano. Ecco di nuovo ondeggiare con il codino libero e tremolante il verme ad U. "Pericolo, pericolo! Via di qui bambini".
I genitori dell’ombrina e quelli delle piccole sarde fanno un consiglio di guerra. Sono tutti presenti: il polipo, lo scorfano tutto rosso dalla rabbia, la testa della murena uscita insieme a metà del suo lungo corpo dalla bocca dell’anfora romana. E’ arrivato anche il branzino, richiamato dalle correnti d’acqua formate dall’agitarsi di tanti pesci. "Dobbiamo fare qualcosa, perché il pescatore non venga più qui. Si stava così bene, era tutto così tranquillo prima. Ma ora, con quel richiamo del vermiciattolo appesa là a mezz’acqua..."
La tartaruga che svolazzava agitando le sue zampine sopra il gruppo dei convenuti, disse: "Ho un’idea. Bisogna fare spazientire il pescatore. State a vedere." La tartaruga zampetta volteggiando nell’acqua fino a mettersi un po’ sopra il verme. La luce filtrata del sole fa ogni tanto rilucere il sottile filo trasparente della lenza. La tartaruga con la sua zampina afferra il filo e gli dà uno strattone, come se un pesce avesse abboccato. Improvvisamente il verme sale su, esce fuori dall’acqua. "State a vedere, ora", dice sbattendo gli occhi la tartaruga. Dopo un poco riecco il verme scendere. E’ stato spinto giù con forza, con mala grazia e dondola forte prima di fermarsi. Subito la tartaruga afferra di nuovo il filo e tira. Di nuovo il filo, l’amo ed il verme vengono richiamati. Tutti i presenti guardano in su, attendono. Dopo un poco di nuovo il verme, gettato ancora con più forza, dondola parecchio prima di fermarsi. "Funziona, funziona!", sbattono le palpebre in coro. La tartaruga tira ancora una volta. Il filo sale. La tartaruga ora si sposta, verso le alghe sul fondo. "Adesso gli diamo il colpo di grazia". Dopo un poco riemerge con in bocca uno strano pesce. No ... 

è... una scarpa vecchia, rotta e sfilacciata. Chissà come era finita laggiù! La tartaruga con la scarpa in bocca si avvicina all’amo nascosto dal verme. Con le sue zampine afferra la scarpa e la aggancia all’amo. Poi dà uno strattone. Il filo è richiamato di forza. E  in su sale anche la scarpa. Con grande fracasso di acqua rotta alla superficie la scarpa esce fuori tutta grondante, al sole, all’aria aperta. Dopo un poco, un grande fracasso. Di nuovo la scarpa rirotola giù, scagliata con forza. Poi più niente. Silenzio. Il branzino, detto anche spigola, che era salito in superficie a vedere, torna giù tutto contento: "Se n’è andato, se n’è andato. Mi sà che il pescatore non torna più qui a lanciare la sua lenza."
Da allora, in quell’angolo di mare tranquillo, non si è più visto il vermiciattolo dondolare triste ed attraente.    

Fine