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 Problemi di Gestione e di Politica 
della R&S e dell'Innovazione Tecnologica 

Intervista a Ugo Lucio Businaro

1) Problematiche della gestione della funzione tecnica 
nell'azienda.

 

1.1 Metodologie di pianificazione della R&S.  
1.2 La previsione tecnologica.  

1.3 Strutture ed organizzazione per la R&S.  
1.4 Sviluppo dei ruoli e delle professionalità nella funzione tecnica.  
1.5 Il processo di trasferimento tecnologico.

2) Studi settoriali sull'impatto 
del cambiamento tecnologico.

2.1. L'impatto della crisi energetica.    
2.2. Scenari tecnologici per i veicoli.
 
2.3. I mutamenti nelle tecnologie produttive .

2.4. L'impatto dell'informatica.  
2.5 Scenari generali, ecologia, ambiente
.

3) Politica della ricerca e politica industriale.

 

3.1. Un modello generale per il sistema ricerca.  
3.2. La politica pubblica di ricerca.
  
3.3. L'impatto della ricerca universitaria sulla attività produttiva.
 
3.4. La politica di intervento regionale sulla ricerca.
 
3.5. La politica industriale di fronte al cambiamento tecnologico.

4) Dinamica del processo innovativo.

5) Lavori di sintesi.

 

PREMESSA

D. Lei è partito come ricercatore. Poi, abbastanza presto, ha assunto responsabilità gestionali di ricerca aziendale, prima nel settore nucleare, poi nel settore veicolistico. Immagino che abbia avuto modo, proprio per queste responsabilità operative, di sviluppare riflessionisulla gestione e sulla politica della R&S e dell'Innovazione Tecnologica.

R. In effetti ho cominciato assai presto con riflessioni in queste direzioni. Fui quasi costretto a farle e sopratutto a divulgarle. 
All'inizio della mia attività, ciò era dovuto alla novità del settore, quello nucleare, inserito in una azienda che produceva prodotti piuttosto "classici" come l'automobile. C'era quindi la necessità di un dialogo interno che mettesse in luce novità e prospettive del settore, oltre che la necessità di adottare novità gestionali e strategiche (ad es., più lunghi termini di pianificazione e di attesa di ritorni economici). 

Più tardi, il mio passaggio alla ricerca nel settore automobilistico, corrispose a un periodo di grandi dibattiti interni all'azienda sul ruolo della ricerca e dell'innovazione tecnologica, in un momento molto difficile anche, o sopratutto, per la crisi energetica degli anni '70. Ma c'era anche un dibattito esterno - da qualche anno sempre più vivo ed allargatosi ad una cerchia più generale rispetto agli addetti al lavoro – sull’innovazione tecnologica e sul suo impatto nella gestione aziendale oltre che per la sviluppo della società. Per queste ragioni, chi aveva responsabilità di dirigere forse il più grosso centro di ricerca privata del Paese, non poteva non contribuire al dibattito. 

D. Come ha esternato e diffuso queste sue riflessioni?

R. La parte più di interesse generale e di una qualche originalità è stata pubblicata su riviste o presentata a Conferenze, Seminari, Tavole Rotonde. Ho anche svolto attività pubblicistica su quotidiani economici, e sono state quasi sempre l'occasione di riferire, spesso per la prima volta, riflessioni derivanti da attività di studio e ricerca che mi augura abbiano contribuito con spunti originali al dibattito stesso. 

D. Lei ha un titolo di professore. Ha quindi svolto attività didattica sulle tematiche della gestione e della politica di R&S e di innovazione tecnologica?

R. Il mio titolo di professore deriva da una libera docenza nel settore dell'energia nucleare e lì si è fermato. Non ho mai svolto corsi estesi nel campo di cui qui parliamo, salvo una serie di lezioni sull'innovazione tecnologica in occasione di un Master per l'Innovazione tenutosi a Napoli.

D. Lei ha scritto e pubblicato anche dei saggi. Come è riuscito a inserire l'impegno relativo, che immagino non indifferente, nel mezzo di una attività che per le responsabilità relative non penso le abbia lasciato molto tempo libero?

R. In realtà questa sua osservazione vale forse solo per il primo dei saggi, R&SxP. La Ricerca per lo Sviluppo del Paese, pubblicato nel 1982. Vi si riprendono molti degli interventi occasionali, integrandoli e mettendoli in prospettiva, sui problemi di politica di R&S per un paese come il nostro. Ha richiesto quindi forse meno tempo extra di quanto lei può pensare. 
Per il secondo,Il Progetto e lo Sviluppo del Prodotto, prima edizione 1984 e riedito nel 1994, ho potuto avvalermi di una specie di anno sabbatico, diciamo così. In realtà la mia presenza, intensamente vissuta, a capo del Centro Ricerche Fiat è stata di breve durata, poco più di un lustro. Poi, si vede che le novità di cui mi sentivo portatore- per l'adeguato inserimento di un'attività di R&S che contribuisse anche agli sviluppi a lungo termine dell'azienda - entrarono in conflitto con visioni più a breve e più legate all'andamento congiunturale del settore. Prima di passare a compiti meno intensamente operativi - come quelli di essere distaccato come "lobbista" presso la Comunità Europea - ho potuto godere di tempo libero. Ne ho approfittato per pensare in modo sistematico ai problemi posti dalla messa in pratica, in termini di prodotti, delle proposte innovative.Problemi per i quali avevo anche avuto modo di scontrarmi con l'establishment aziendale.
Il terzo saggio, Il Gioco del Progresso, edito nel 1987, è stato scritto mentre a Bruxelles ero costretto a porre in una visuale più ampia - confrontandomi con i temi che si dibattevano in ambito comunitario (in quegli anni nascerà il primo sistematico intervento a favore della R&S mediante la formulazione di un piano quinquennale)- le mie riflessioni sulla ricerca, sull'innovazione. La tentazione di passare a meditazioni para-filosofiche non era poi così lontana dagli stimoli che ricevevo dal nuovo ambiente. La visuale si allarga a tutto il mondo dei prodotti e al futuro cui sembriamo condannati dall'inesorabile procedere del progresso tecnologico. 
Infine, passato ormai agli ozi della terza età, ho tempo per chiedermi se per caso la crescente complessità della scienza - di un sapere suddiviso in comparti separati, ciascuno comprensibile solo a scienziati specialisti - e la conseguente riduzione dell'uso pratico dei ritrovati scientifici in termini di protocolli formali (in cui si perde via via traccia del collegamento con la conoscenza che sta dietro a detti protocolli), non si finirà per arrivare ad un società governata da un riedizione del mito in termini moderni. Da queste riflessioni è nato Dalla Scienza al mito, pubblicato nel 1999.

 D. E adesso, sta forse passando a riflessioni ancora più trasgressive, magari sull'effetto della fantascienza, sul nostro modo di vivere?

R. Non proprio. Sono invece preso da riflessioni molto più personali. Cosa ne è stato di un trentennio di attività che ha attraversato, sia pur rapidamente, campi assai diversi della R&S (anzi, più propriamente, del trasferimento delle proposte della ricerca in innovazioni pratiche nei prodotti e nei processi produttivi)? Le cose dette e scritte hanno avuto qualche interesse al di là delle motivazioni contingenti che le hanno stimolate?
Ho quasi l'impressione - ma ciò può essere solo dovuta alla naturale distorsione che  ai vecchi fa vedere i loro tempi passati come assai più vivaci ed interessanti del presente - che i temi della R&S, dell'innovazione e del trasferimento tecnologico siano assai poco dibattuti al giorno d'oggi, e gli sviluppi che si sono avuto nella ricerca pubblica ed in quella privata non siano stati poi così rilevanti nel nostro paese. Anzi... 
Ma qui non vorrei che ha parlare fosse la nostalgia dei bei tempi passati.

D. E di queste più recenti riflessioni cosa ne ha fatto? 

R.. Ho guardato e riletto le tante cose scritte in tante diverse occasioni. E già che c'ero ho pensato di trasformare la carta in bits e di mettere i bits a disposizione di chi fosse interessato - anche solo per spirito antiquario - a leggere alcune di quelle vecchie carte.  Ne è risultato una lunga bibliografia. I singoli testi elencati nella bibliografia sono stati rieditati e resi disponibili (scaricabili singolarmente come testi in formato pdf). Non ho fatto una scelta tra scritti per far emergere quelli a mio giudizio più interessanti. Forse lo farò, ma occorre tempo. Ho messo quindi tutto nel calderone.

1) PROBLEMATICHE DELLA GESTIONE DELLA FUNZIONE TECNICA NELL'AZIENDA.

D. Vedo che la bibliografia è suddivisa per temi. Quindi, anche se non ha scartato niente, un certo lavoro di revisione l'ha pur fatto raggruppando i lavori per filoni omogenei, legati ad aspetti diversi dell'ampia disciplina della gestione aziendale e della più generale politica della R&S. Immagino sia quindi pronto ad aiutare gli interessati a percorrere la lunga lista proponendo una "lettura" sintetica dei titoli indicati in bibliografia. 

R. D'accordo. Possiamo cominciare dal tema delle problematiche della funzione tecnica nell'azienda.  
Cominciamo con l'affermare che un'esperienza professionale all'interno della funzione R&S aziendale non può non portare allo studio dei problemi gestionali relativi. E' un'osservazione ovvia per un buon dirigente di qualsiasi funzione aziendale. Tuttavia, nel caso della R&S assume una rilevanza particolare. Detta funzione, per l'intrinseca incertezza informativa, pone in primo piano i problemi delle "scelte decisionali" e più in generale delle metodologie di pianificazione
Per la generazione di idee, prima, e per la susseguente ripartizione di risorse tra progetti i cui obbiettivi si allontanano variamente nel tempo, ci si deve confrontare con i cambiamenti tecnologici in atto ed è quindi necessario fare esplicita previsione tecnologica.
L'orizzonte temporale più ampio in cui opera la funzione R&S, rispetto alle altre funzioni aziendali, richiede anche l'adozione di strutture organizzative più flessibili e più adatte alla gestione di una elevata incertezza nell'informazione.
Dette strutture spesso non sono in linea con la prevalente cultura aziendale e pongono quindi problemi particolari nello sviluppo del ruolo e della professionalità del ricercatore, del progettista, del dirigente di R&S e, più in generale, di tutti i quadri della funzione tecnica aziendale. Ciò può mettere in tensione l'intera organizzazione aziendale, in particolare in momenti di forte cambiamento tecnologico.
La funzione R&S rappresenta uno degli anelli fondamentali nel processo di innovazione tecnologica nell'azienda e pone quindi dei problemi di interdipendenza tra le varie funzioni aziendali e tra l'azienda ed il mondo esterno (le aziende fornitrici di materiali e componenti, il mondo della ricerca di base ed applicata, le aziende concorrenti). Questa complessa interazione pone in primo piano la necessità di comprendere il processo di trasferimento tecnologico, tanto più quanto la dimensione dell'azienda sia medio-piccola e dove, spesso, manchi al suo interno una funzione di R&S.
Le tematiche sopra sottolineate rappresentano altrettanti filoni della mia attività di ricerca e studio legata a meglio capire e gestire i problemi posti dalle mie responsabilità gestionali.

1.1) Metodologie di pianificazione della R&S

D. Da dove incominciamo?

R. Dal primo sottofilone della bibliografia, quello delle metodologie di pianificazione R&S.
Cercherò di fare riferimento nel seguito, sia pur rapidamente, ai singoli testi della bibliografia.

La ricerca ha bisogno di metodologie appropriate di pianificazione
[A 71,a]
I problemi delle scelte decisionali nell'ambito della R&S riguardano in varia misura l'intera azienda ed in primo luogo il vertice. Ne deriva la necessità di linee di comunicazione chiare, che non risolvano il problema dell'intervento decisionale del vertice con una semplice delega alla funzione R&S. E' possibile sviluppare dei modelli di comunicazione che facilitino e rendano congruenti gli interventi dei vari livelli e delle varie funzioni aziendali nel processo decisionale per la ricerca? Uno schema di detto tipo è sviluppato in
[C 71,b] e [A 71,c] e mette in evidenza i vari angoli da cui si può guardare la ricerca e la necessità di sviluppo di una metodologia di pianificazione della ricerca. E' uno schema piuttosto elementare - che può far sorride al giorno d'oggi - derivato dalla letteratura americana dell'epoca sull'argomento. D'altra parte io ero allora alle mie prime armi!
La funzione R&S ha anche responsabilità nel contribuire, da una parte, alla base informativa necessaria alla più generale pianificazione aziendale e, dall'altra, alle scelte strategiche di business dell'azienda. In particolare essa deve assicurare che l'azienda colga le opportunità che derivano dagli sviluppi tecnologici sia interni che esterni. La differenza di approccio, cultura, orizzonti temporali con gli altri enti aziendali, rende necessario un sforzo particolare di comunicazione
[A77,a].

Non esiste una ricetta semplice ed unitaria che faciliti il rapporto tra la funzione R&S e le altre funzioni aziendali. Un primo passo per chiarire le problematiche relative è quello di raggruppare le aziende in gruppi omogenei per il processo di produzione e/o per le loro dimensioni. In particolare nel caso della grande azienda è importante tener conto della necessaria formalizzazione organizzativa in livelli e funzioni molteplici. La piccola azienda, ai minori problemi di rapporti interfunzionali interni sostituisce quelli legati alla necessità di inserirsi ed integrarsi nel sistema tecnico esterno, eventualmente utilizzando la ricerca esterna come un intermediario nel flusso di comunicazione tecnologico. Un modello generale utile per ricondurre i vari casi ad uno schema di principio, che ha analogie con sistemi fisici, è quello del "sistema di regolazione e controllo" [C 77,f].

Un modo di formalizzare i rapporti informativi tra la R&S e le altre funzioni aziendali (o, nel caso di un ente di ricerca indipendente, tra questo ed il mondo esterno utilizzatore dei risultati della ricerca) è quello di formalizzare un piano per l'attività di R&S.
Ma è possibile, ed in che modo, pianificare una attività così soggetta ad incertezze (sia per la creatività legata all'origine delle idee di partenza sia per le incertezze sui risultati delle singole fasi di un progetto)?
La resistenza ad una pianificazione formale da parte dei responsabili della R&S, nonché dei ricercatori, è ben comprensibile. Uno schema di riferimento di carattere generale considera l'avvio di un processo esplicito di pianificazione, per un ente di R&S esistente, partendo anzitutto dalla "analisi dell’offerta" implicita od esplicita legata alle varie attività in corso e da una sua razionalizzazione ex-post per temi ed obbiettivi generali. Un’effettiva pianificazione ex-ante si sviluppa solo dopo un certo numero di cicli del processo di pianificazione. Naturalmente, il problema riguarda tutti gli enti di ricerca e non solo quelli all'interno di un'azienda. Così, mi sono, a quei tempi, divertito a pensare ad un'ipotesi di applicazione dello schema al CNR
[C81,f].

Il tentativo di esplicitare il processo decisionale nella R&S rientra in quello che viene definito "l'approccio scientifico alla gestione", che ha in economia le sue radici nel marginalismo e nel concetto di "operatore economico razionale". Recentemente si è sviluppato tutto un filone di pensiero (radical economists) che mostra i limiti di detto approccio.
L'attività di R&S, proprio per le caratteristiche intrinseche di incertezza irriducibile, mostra - prima delle altre attività del processo produttivo - i limiti legati all’assunzione che sia possibile, almeno in linea di principio, sviluppare una teoria della gestione che "riduce" la comprensione del complesso sistema tecnico all’analisi dell'interazione tra i suoi elementi componenti.
Nel caso della R&S, una gestione che si rifà a questa impostazione teorica, implica la possibilità di definire anzitutto detti elementi componenti (i progetti di R&S), per poi applicare su essi le metodologie di ottimazione per la ripartizione delle risorse.
Identificare i limiti, fortemente ristretti, dell'applicazione di detto approccio, non significa tuttavia rinunciare al fondamento stesso della attività di gestione cioè della possibilità di prendere decisioni in qualche modo razionali. 
In alternativa a quest'approccio, diciamo "riduzionistico", può valer la pena di proporre un approccio più globale ("olistico") basato sulla capacità di cogliere, ai vari livelli 'aziendali, i "patterns" caratteristici che emergono dal sistema tecnico
[A82,g].

1.2) Previsione Tecnologica

D. Se ho ben capito, lei, partendo da problemi tutti interni alla funzione ricerca - come, ad es., scegliere i progetti tra le tante idee che dovrebbero ribollire in un ente di ricerca degno del suo nome - si è spinto assai più in là, alla pianificazione aziendale tout-court.

R. La cosa finisce per essere inevitabile sopratutto se si pensa a guardare nel medio - lungo termine, il che dovrebbe vedere proprio la funzione ricerca in primo piano. Non vanno naturalmente nascoste le difficoltà di sviluppare piani significativi a lungo termine. 
Anzitutto va notato che vi è una contraddizione fondamentale tra la incertezza intrinseca nell’attività di ricerca e la necessità, in particolare per la ricerca applicata aziendale, di assicurare non solo la più alta probabilità di successo tecnico alla ricerca stessa, ma che i risultati siano "tempestivi" rispetto al progredire delle conoscenze scientifiche e tecnologiche durante lo svolgimento del progetto di ricerca.
Quali gli strumenti per un approccio razionale al problema? Benché la sua importanza sia stata ridimensionata negli ultimi anni (anche a causa della forte transizione tecnologica in atto) la Previsione Tecnologica (PT) rimane uno strumento importante per la gestione delle attività di R&S. 
Le metodologie specifiche sviluppate negli anni 60 e riassunte in [A 70,a] sono state oggetto di numerosi studi di applicazione in varie aziende e soggette di dibattiti e confronto di esperienze in Europa, in particolare in seno all'EIRMA (European Industrial Research Manager Association). 
Io ho cercato di contribuire al dibattito presentando una schema di riferimento generale che mette in evidenza la diversa importanza dei vari metodi della PT a seconda delle condizioni particolari dell'azienda riflesse nelle sue scelte strategiche di innovazione [A 72,a].
Ho quindi partecipato a studi in gruppi di lavoro per meglio definire in particolare il ruolo giocato dalla PT nella pianificazione aziendale a lungo termine [A 73,b], [A73,c]. Da questi studi è emersa un'importante valutazione dei vari metodi basata sul confronto delle attuali esperienze di applicazione, nonché indicazioni sulle strutture organizzative più adatte per l'utilizzazione dei metodi di PT. Un elemento importante emerso, riguarda la stretta interdipendenza tra l'attività di previsione e di pianificazione tecnologica a livello aziendale ed a livello pubblico sia nazionale che internazionale.

La Comunità Europea ha reagito al dibattito generale sull’importanza di sviluppare le previsioni del cambiamento tecnologico (ed in ogni caso di esercitare una funzione di vigilanza sulla direzione di detto cambiamento) varando un progetto denominato "Europa + 30". Ha dato mandato ad un gruppo di esperti, di cui ho fatto parte, di fare proposte specifiche sull'importanza di svolgere una sistematica attività di questo tipo a livello europeo, definendone modalità e contenuti [A 76,c].

In parallelo con la partecipazione a questi gruppi di studio internazionali, io presi l’iniziativa, assieme con qualche collega di altre aziende italiane, di lanciare un gruppo permanente di riflessione sulla PT. L'iniziativa sfociò nella realizzazione di un "Centro Previsioni Tecnologiche" affiliato all'AIRI (Associazione Italiana Ricerca Industriale), che ha promosso e realizzato numerosi studi sia di tipo metodologico sia di applicazione specifica. La prima fase di detta attività è culminata nella preparazione di uno "Scenario Tecnologico Industriale 1980-2000" [C81,g].

Le proposte presentate dal gruppo Europa + 30 alla Commissione delle Comunità Europee avevano nel frattempo trovato applicazioni, almeno in parte, con la realizzazione del progetto FAST (Forecasting and Assessment of Science and Technology). 
Al termine della prima fase (1978-83) del programma FAST, la Commissione domandò ad un gruppo di sette esperti di analizzare il lavoro di ricerca svolto e di farne una valutazione, con raccomandazioni per l'eventuale proseguimento. La mole degli studi eseguiti e la loro estensione richiese uno sforzo non indifferente agli esaminatori che, con una motivata analisi, raccomandarono di proseguire il progetto, suggerendo altresì alcune modifiche [A 83,d].

Naturalmente, negli anni '70-80 il tema della pianificazione era diventato un pò a la page dopo la pubblicazione del famoso saggio "I limiti dello Sviluppo" del Club di Roma diretto da Aurelio Peccei. Altri saggi fecero seguito da parte di chi aveva visioni più pessimiste od ottimiste sullo sviluppo futuro del nostro pianeta. Fu, tra l'altro, proprio in quei tempi che si cominciò a parlare di globalizzazione. Dalle diverse conclusioni tratte dai vari analisti circa il futuro del pianeta, mi pare se ne possa dedurre che l'arte di prevedere il futuro è molto soggettiva. Raccogliere dati ed estrapolarli è importante, ma alla fine la visione di dove va il mondo dipende molto dal nostro atteggiamento generale, pessimista od ottimista [84n]

Se, invece di pensare al futuro del Mondo in generale, ci si tiene più stretti alla previsione dei cambiamenti tecnologici, uno dei quesiti fondamentali nell'eseguire questi esercizi di previsione è chiedersi quale sia la base tecnologica (le tecnologie fondamentali da cui tutte le altre derivano) attuale e se per caso non si possa prevederne anzitutto un cambiamento. In tal caso ci sarebbe da attendersi un cambiamento rivoluzionario in tutta la tecnologia. Come esempio si può pensare a l'effetto della "rivoluzione" portata dall'ingresso della microelettronica nella nostra base tecnologica. 
E' pertanto importante, nello svolgere esercizi di previsione tecnologica, chiedersi se ci si trovi di fronte o meno ad una vera transizione dell'intero sistema tecnico in seguito al cambiamento della base stessa delle tecnologie su cui si fondano i prodotti e le tecnologie produttive correnti. Un esempio di riflessioni al riguardo la si può fare considerando i cambiamenti previsti nei materiali [A86,aim].

1.3) Strutture ed organizzazione per la R&S.

D. Mi pare che con queste riflessioni sull'importanza di prevedere dove si stia andando, lei quasi rifugga dai problemi - più banali forse, ma più pratici di cui parlava prima - su quali metodologie razionali esistano per pianificare l'attività di ricerca, in particolare in un ente che sia inserito in una complessa organizzazione produttiva.

R. In parte ha ragione. Forse dipende dal focalizzarsi su problemi pratici se oggi si parla meno di allora di problemi di previsione tecnologica. Naturalmente per me, allora - in particolare quando assunsi la responsabilità di dirigere un centro di ricerca aziendale - era molto importante cercare di capire e sviluppare tutti gli strumenti che permettessero di chiarire meglio il nostro modo di lavorare come ente di ricerca rispetto a quello di altre funzioni aziendali.
Lo sviluppo delle attività di R&S aziendale non solo presenta problemi peculiari gestionali, come sopra indicato, ma richiede anche soluzioni organizzative flessibili con il mutarsi del ruolo che la R&S viene ad avere nell’azienda in particolari condizioni e momenti storici. Non è da meravigliarsi quindi che molte delle mie riflessioni, per capire come affrontare al meglio le mie nuove responsabilità, fossero dedicate a quali strutture ed organizzazione per la R&S.

Una prima soluzione organizzativa adatta al caso di una R&S che punti a linee nuove e di diversificazione rispetto al business aziendale, è quella di realizzare strutture indipendenti, gestite con spirito imprenditoriale. In tal caso la struttura - in qualche modo "protetta" rispetto al "conformismo aziendale" - può svilupparsi con metodi gestionali che le sono propri. La prima fase della mia esperienza professionale si è svolta secondo dette linee nel settore nucleare e l'esperienza organizzativa derivatane è riassunta in [A 72,b]. La struttura in questi casi è abbastanza semplice e la flessibilità è assicurata sia dalla relativa indipendenza rispetto al resto dell'azienda, sia dalle dimensioni ancora modeste dell'ente.

Assai diversa invece e più complessa è la problematica strutturale ed organizzativa per la R&S legata alle linee principali del business aziendale. Vi è un momento, nel ciclo di vita dell'azienda, in cui il problema della ristrutturazione della R&S si pone in tutta la sua drammaticità. Questo momento l'ho vissuto in prima persona fin dall'inizio quando divenni responsabile, prima, della pianificazione e, poi, di tutto l'attività di R&S centrale in FIAT.
E’ il momento in cui la grande azienda - dopo essere cresciuta lungo gli anni in modo monolitico con una struttura funzionale fortemente centralizzata - ha raggiunto dimensioni tali con un business sufficientemente diversificato, da non poter più essere gestibile in modo efficiente ed efficace da una struttura fortemente centralizzata.
All’evoluzione della struttura aziendale verso forme più divisionalizzate e con maggiore decentramento, segue una evoluzione della struttura della R&S. Non esiste, tuttavia, uno schema elementare valido in tutti i casi. Inoltre la "cultura" aziendale prevalente, derivante dalla vecchia struttura, è poco sensibile in particolare ai problemi della attività più strategica e a lungo termine e delle esigenze relative di soluzioni organizzative.

D. Lei fa affermazioni di carattere generale, ma si riferisce ad un'esperienza particolare, quella del gruppo FIAT.

R. Ha ragione, ma il caso non è affatto isolato. Quella percorsa dal gruppo FIAT è una traiettoria  seguita da molte aziende che hanno visto nella loro storia una grande crescita. Tra l'altro io speravo di trovar molte idee e spunti per il mio caso particolare dalla letteratura sulla gestione aziendale. Purtroppo, non mi sembrò molto utile, perchè all'epoca la letteratura faceva riferimento per la R&S ad un modello aziendale "americano" adatto alla logica del processo innovativo per aziende a forte orientamento di mercato, con prodotti a breve ciclo di vita, con basso contenuto di innovazione tecnologica.

Fare entrare nel dibattito aziendale la problematica della R&S nella particolare cultura italiana tecnologica (in cui prevaleva allora e forse prevale ancora oggi il trasferimento innovativo per imitazione) richiede non solo di sviluppare elementi culturali nuovi nel resto dell'Azienda, ma un approccio al problema della R&S che si adatti a, e "storicizzi", la realtà particolare.
Sono stato quindi spinto a sviluppare anzitutto un modello di riferimento per l'intero processo innovativo, che permetta all'azienda di riconoscere la propria esperienza passata inquadrandola in una più ampia visione. Così, il processo innovativo può essere caratterizzato da motivazioni e da strategie innovative diverse prevalenti nelle diverse fasi di evoluzione dall'azienda.
Col crescere della dimensione aziendale e della sua attività di R&S, i problemi strutturali e gestionali di quest'ultima prendono una propria identità e richiedono soluzioni strutturali particolari. In funzione dello stadio di evoluzione dell'azienda esistono soluzioni per le strutture e l'organizzazione R&S più adatte a favorire la diffusione delle capacità innovative.
E' in ogni caso fondamentale guardare sotto varie angolature l'attività di R&S (motivazioni, strategia, stadio del processo innovativo, tipo di ricerca, ecc.) nel valutare varie soluzioni organizzative e strutturali
[A 73,a].

L'analisi delle "motivazioni" della attività di R&S si rivela un elemento importante per aumentare il collegamento della attività di ricerca, sia interna che esterna all'azienda, con l'attività produttiva. L'analisi può essere utilizzata anche per una migliore organizzazione della ricerca pubblica [A 77,b] e del suo collegamento con l'attività produttiva. Emergono qui i primi elementi per lo sviluppo del filone di studi sulla politica pubblica di ricerca di cui le parlerò più avanti.

Il cambiamento nella struttura organizzativa generale dell'azienda in cui operavo, avveniva in un momento di forte cambiamento esterno dell'atteggiamento della società nei riguardi della tecnologia in generale, dovuto agli effetti di "dis-economie esterne" e di danni ambientali prodotti dalla grande diffusione di prodotti di massa (legato al loro stesso successo nel soddisfare fabbisogni primari). Il processo innovativo motivato nel passato prevalentemente per cogliere le opportunità tecnologiche diventa ora una necessità per far raggiungere obbiettivi - in termini di specifiche di prodotto - in tempi definiti addirittura ex-lege (basta vedere gli interventi per le emissioni dei veicoli). La crisi energetica pone ulteriori termini e vincoli agli obbiettivi tecnologici. E’ quindi necessario interpretare la nuova situazione in termini di variazione dei concetti e metodi della pianificazione tecnologica, che assume ben diverso aspetto rispetto al problema di una più razionale ed esplicita gestione delle risorse. 
(Queste idee vennero utilizzate nel dibattito interno all'azienda durante il processo di divisionalizzazione del Gruppo quando venne creato il Centro Ricerche FIAT come ente centrale - "corporate" appunto - per giustificare l'opportunità di questa decisione organizzativa [C77,g] rispetto ad alternative che prevedevano la divisionalizzazione anche di tutta l'attività di R&S.)

L'attività di R&S allarga quindi il proprio ruolo estendendolo alla progettazione del "sistema prodotto - utilizzazione". Si può parlare quindi di una gerarchia della progettazione a tre livelli: breve-, medio-, lungo-termine che vede la R&S con ruoli diversi ai vari livelli: da un ruolo primario di vera e propria progettazione di sistemi al primo livello - lungo termine - a ruolo di fornitore di servizi specialistici al terzo livello - breve termine. 
L'interdipendenza crescente del processo produttivo con quanto è a monte e a valle nel sistema industriale e del prodotto con l'ambiente, potrebbe richiedere lo sviluppo di una nuova imprenditorialità. L'organizzazione aziendale da decentrata deve forse passare ad una fase di "gestione distribuita" (seguendo il "paradigma" delle "reti distribuite" dei calcolatori: decentramento, ma con possibilità del centro di sostituirsi alla periferia in caso di necessità) [A 80,b].

Il modello più semplice dello sviluppo tecnologico prevede che esso risponda ad un processo lineare, del primo ordine, di tipo, a seconda dei casi, o "technology-push" o "need’s pull". A questo modello occorrerà - per tener conto di come affrontare le sfide di cui sopra - aggiungere degli effetti di contro-reazione del secondo ordine: la "spinta dei bisogni" non si limita a far scegliere tra quello che è stato reso disponibile da una ricerca basata sulla "spinta tecnologica", ma interverrà sulla motivazione e l'orientamento della ricerca stessa a monte dell'applicazione e dello sviluppo [C 81,h].

Questo modello del sistema di ricerca aziendale alla base delle mie riflessioni di allora, ha influenzato la filosofia organizzativa del Centro di Ricerca FIAT. Per la novità del modello, si rese opportuno sintetizzarlo anche nell’opuscolo illustrativo del Centro stesso [C 80,i], per far partecipe la comunità esterna, oltre che quella aziendale, dei motivi delle soluzioni organizzative, strutturali e dei metodi gestionali.

1.4) Sviluppo ruoli e professionalità nella funzione tecnica.

D. Le sue idee sulle problematiche generali che riguardano l'efficienza di un sistema di ricerca aziendale sono state applicate al caso specifico dell'azienda di cui faceva parte. Visto che il gruppo FIAT aveva una certa rilevanza nel panorama produttivo italiano, quali effetti vi furono verso l'esterno dalla realizzazione di una struttura nuova come il CRF?

R. Va detto anzitutto che un centro di ricerca aziendale, un centro "corporate", finisce per avere una naturale visibilità esterna. L' "apertura" verso l'esterno di un Centro di ricerca aziendale non è tuttavia tanto motivata - come forse nel passato - dallo sviluppo della immagine aziendale, quanto dalla crescente interdipendenza tra ricerca pubblica e privata e dal ruolo di "servizio per la comunità" che, indirettamente o direttamente, un grande centro di ricerca aziendale è tenuto a svolgere [B 82,h]. Finisce pertanto di contribuire anche al dibattito generale sulle tematiche che riguardano la gestione e la politica pubblica della ricerca. Ad esempio, uno dei problemi in cui si intrecciano responsabilità pubbliche ed aspettative private è quello dello sviluppo dei ruoli e delle professionalità nella funzione tecnica.

Cominciamo dal ruolo dei dirigenti. In generale, in periodo di forti tensioni e cambiamenti, quando l’interdipendenza tra le varie funzioni nell'azienda - e tra questa ed il mondo esterno - viene esaltata, il mestiere del dirigente diventa più complesso, dal profilo meno ben definito. Devono coesistere doti e capacità spesso in contrasto tra loro come: programmazione/libertà d'iniziativa; esperienza /creatività; analisi/sintesi; decentramento/accentramento; e cosi via.
Nessuna funzione aziendale è esclusa dallo stato di incertezza e dalla "inquietudine" del management che ne deriva.
Tuttavia la funzione R&S ha la caratteristica di porre chi la gestisce di fronte a queste antinomie anche in condizioni normali. Lo studio delle caratteristiche peculiari della professionalità del dirigente nella funzione R&S finisce per avere un significato di anticipazione per le altre funzioni aziendali, per i cambiamenti di professionalità necessari in periodi di transizione. 
Ad es., organizzazioni sostanzialmente ambigue, come quella a matrice, sono la norma nella organizzazione della R&S, mentre rispuntano solo in momenti particolarmente difficili in altre funzioni aziendali
[A 76,b], [A 77,e].

Da queste considerazioni possiamo trarre alcune domande di interesse per la politica pubblica. Ad esempio, è di particolare rilevanza nel profilo del responsabile di ricerca l'attitudine a guardare lontano, ma contemporaneamente a tener conto dei vincoli e delle esigenze del breve termine. Fino a che punto la nostra università prepara ad avere, contemporaneamente, capacità di analisi e di sintesi, fantasia creativa e determinazione applicativa? [A 76,e].

Se per la funzione R&S  un profilo di professionalità adatto a gestire il cambiamento è la norma, i cambiamenti in atto e l'interdipendenza crescente, possono produrre modifiche nel profilo professionale ottimale nelle varie funzioni aziendali. Anzitutto a partire dal progettista. Nuove categorie di prodotti appaiono, come il "prodotto-sistema" (ad esempio l'integrazione di prodotti e di servizi) ed il "prodotto-immateriale" (attività del terziario). Anche per i prodotti nel senso più convenzionale, la reazione della società alla loro diffusione richiede al progettista di ripensare le specifiche stesse del prodotto, che spesso si perdono nella "notte dei tempi". Il progetto passa così ad una fase più ampia che riguarda il "prodotto ed il sistema di utilizzazione" al solo scopo di progettare le nuove specifiche del prodotto stesso (ad es., disegnare il sistema di trasporto urbano per derivarne le specifiche dell'auto). E' come se il prodotto prendesse una "coscienza" di sé e, come l'uomo, avesse un problema ontologico (definire appunto le proprie "specifiche" caratteristiche). L'impatto sulla figura del progettista non è lieve [A 83,j], [B 83,k].

A questi caratteri generali del cambiamento che investono in diversa misura la figura del progettista in tutti i settori, si aggiungono, settore per settore, cambiamenti peculiari tecnologici. Così, nel caso dell'auto, una grande sfida al progettista, che richiede capacità di adattamento, è legata alla trasformazione da settore in cui il valore più alto nel progettista era la sua esperienza (prodotto prevalentemente sviluppato in seguito a conoscenze empiriche) a settore in cui assume importanza rilevante la capacità di sviluppare modelli matematici [B 84,f].

E' possibile, a questo punto, cercare di delineare il fondamentale cambiamento anche di approccio nella figura del progettista e dell'ingegnere. Da una parte diventa sempre più rilevante la capacità, servendosi degli ausili dell'informatica tecnica, di analizzare il prodotto nei suoi elementi fondamentali. D'altra parte, la necessità di inserire il prodotto nel suo sistema d'uso – e quindi trasferire, in una prima fase, la progettazione a questo livello più ampio - richiede un approccio più globale, una capacità di cogliere i "patterns" emergenti a livello di sistema. Ed è proprio l'informatica questa volta - con le tecniche di sistemi esperti e di base dati - che permetterà al progettista di cogliere aspetti al di fuori della propria specializzazione, ma rilevanti nel sistema globale "prodotto-sistema d'utilizzo", di cui egli deve affrontare la progettazione.
Da una analisi delle problematiche relative derivano alcune raccomandazioni per l'insegnamento nelle scuole di ingegneria
[A 84,h].

Accanto al progettista-ingegnere, si è sviluppata nell’ultimo mezzo secolo la figura del designer-industriale, a volte confinato ad un ruolo di progettazione della "forma", a volte con dei ruoli più globali di vero e proprio "architetto" del prodotto. La figura trans-disciplinare del designer ha delle affinità con la figura a sua volta, ma in modo diverso, trans-disciplinare del ricercatore. Quali le relazioni con l'ingegnere-progettista ? [B 84,i].

Nel contrastare fra loro le caratteristiche peculiari delle figure professionali dei vari protagonisti della funzione progettuale, viene tuttavia a mente che sono esistite persone straordinarie che hanno saputo assommare in loro le caratteristiche distinte. Il genio, in questo caso come in altri, non tende forse ad anticipare tendenze che possono emergere - almeno in particolari condizioni storiche come nei periodi di forte transizione tecnologica - anche in persone più comuni? E’ possibile sviluppare, come ha delineato Paul Valéry con il suo "modello Leonardo", un profilo dell'uomo "costruttore globale"? Quali le relazioni tra questo homo-faber con l'homo-sapiens e l'homo-ludens? [B 84,s].

1.5) Il processo di trasferimento tecnologico

D. Non vorrà con questo chiedere al sistema pubblico dell'istruzione di formare dei geni alla Leonardo! 

R. Certamente no. Tuttavia, l'esempio mi serve a mostrare come sia importante, accanto alla specializzazione, sviluppare capacità di cogliere le interazioni anche tra campi assai diversi. In ogni caso, la scuola deve preparare a saper affrontare e risolvere dei problemi che diventano sempre più complessi, sempre più interrelati. Una ricetta credo ci sia: affrontare la complessità crescente con una maggiore "intelligenza" [90petr] che appunto sappia comprendere le crescenti interazioni tra sistemi diversi. In fondo la complessità la si domina se si è capaci di ri-semplificarla attraverso un opportuno riesame di come sia fatto il sistema, suddividendolo in sottosistemi e parti componenti. Poiché parliamo del mestiere di saper affrontare e risolvere i problemi che si pongono a chi si occupa di ricerca industriale, è importante ad esempio comprendere meglio la complessità del processo di trasferimento tecnologico.

Cominciamo dall'esaminare i rapporti tra le grandi aziende e le aziende fornitrici, in particolare medie e piccole. In apparenza si tratta di rapporti semplici: cliente - fornitore. La complessità deriva dal fatto che da questi rapporti nasce anche un contributo importante al trasferimento tecnologico nei due sensi. Sono legami che, chi si occupa di sviluppare l'innovazione in un centro di ricerca aziendale, deve meglio comprendere, approfondendo i problemi della ricerca e dell’innovazione nella piccola e media azienda. Infatti le capacità di produrre innovazione a livello di prodotto finale dipende dalle capacità di introdurre innovazione nei componenti acquistati all'esterno. E se sono coinvolte delle piccole e medie aziende PMA - come spesso accade in queste forniture - poiché la loro capacità innovativa dipende, ancor più che per la grande azienda, dal tessuto di ricerca esterna - dalla ricerca del "sistema paese" - andrà individuato il ruolo particolare svolto dalla "ricerca applicata" all'esterno alla PMA [A 75,a]
Ma il Centro di ricerca della grande azienda cliente dei fornitori di componenti, finisce per essere esso stesso parte del sistema esterno di ricerca applicata. E' bene quindi che metta a disposizione le sue risorse come servizio tecnico anche nei riguardi delle PMA . Ma non basta. Dovrà anche cercare di trasferire a queste ultime quelle ipotesi di prodotti nuovi che spesso un grande Centro di Ricerca sviluppa, ma che poi risultano al di fuori dell'interesse interno all'azienda cui appartiene. E ciò mette in luce l'esistenza di un importante collo di bottiglia. Prima del trasferimento, è necessario portare molto in avanti le ricerche
, fino anche alla realizzazione di prototipi. E ciò perché sia possibile instaurare un dialogo tra il Centro di Ricerca e le PMA. Ma chi si fa carico dei costi, e quali strutture sono più adatte per svolgere questa costosa fase del trasferimento? [B 82,d]

Negli anni '70 -'80 di cui parlo - ma anche in questi ultimi anni a fronte della crescente disoccupazione e della apparente impossibilità della grande azienda in fase di ristrutturazione di ridurre i problemi relativi - è facile indicare le PMA come le uniche vere protagoniste del processo di innovazione tecnologica creatrice di posti di lavoro. Sulla base delle conoscenze ottenute attraverso i rapporti sopramenzionati, non mi è stato difficile sviluppare una visione più realistica del trasferimento innovativo in cui l'intreccio tra grandi e piccole e medie aziende vi risulta un elemento fondamentale [A 83,i], [B, 83,h]. Successivamente, un’analisi più dettagliata, ha permesso di individuare per diverse classi di settori i differenti aspetti di questi legami, e come essi possano divenire difficili in fasi di crisi economica e rapida transizione tecnologica [A 84,c].

2) STUDI SETTORIALI SULL'IMPATTO DEL CAMBIAMENTO TECNOLOGICO

D. Con questa ultima osservazione lei è tornato al discorso fatto prima di come si possa prevedere il cambiamento tecnologico in particolare in condizioni "rivoluzionarie", il caso in cui si prospetti un cambiamento nella stessa base tecnologica. Immagino che, occupandosi di ricerca nell'auto, sia stato il futuro tecnologico di questo prodotto che l'abbia interessata. 

R. Anche, ma non solo. Chi si occupa di ricerca in ambito aziendale deve chiedersi come si attui, in pratica, il ruolo importante della ricerca nello sviluppare la strategia tecnologica e di business dell'azienda. La funzione R&S ha una responsabilità diretta a questo riguardo: quella di trasferire all'azienda tutti i segnali che derivano dagli sviluppi della tecnologia. Questo trasferimento richiede una elaborazione che ponga detti segnali in prospettiva sia dal punto di vista generale che aziendale. Da qui l'importanza di svolgere studi settoriali sull'impatto del cambiamento tecnologico. Gli studi e le ricerche relative sono anche uno strumento indispensabile per la ricerca stessa, per definire orientamenti ed obbiettivi. Ne nascono degli "scenari tecnologici" che integrano e sviluppano i risultati di più specializzate analisi di Previsione Tecnologica.

Il problema si poneva in modo evidente quando mi occupavo di energia nucleare. Lo sviluppo dell'energia nucleare ha rappresentato un esempio di decisione strategica che ha saputo non solo anticipare, prima dello scoppiare della crisi petrolifera, una visione prospettica a lungo termine dei fabbisogni energetici dell’umanità, ma anche agire per mettere a frutto le potenzialità delle scoperte scientifiche. 

2.1) L'impatto della crisi energetica

D. Il problema dei consumi energetici è all'ordine del giorno anche per l'auto.

R. E' stato con la crisi del Kippur che il discorso sull'impatto della crisi energetica è saltato in primo piano anche nel caso dell'auto. Ma ne parliamo dopo.

Cominciando dal caso nucleare, c'è da chiedersi come abbia vissuto l'industria italiana e saputo trasferire in opportunità di sviluppo nazionale, questo eccezionale evento. Come "addetto ai lavori", ho cercato di contribuire anche ad acquisire questa visione prospettica del settore [A 65,a]. Poi ho esaminato più da vicino lo sviluppo della industria italiana del combustibile nucleare [A 67,a] ed il ruolo delI' Euratom [A67,b].

Passato successivamente al settore veicolistico, ho dovuto affrontare, già all'inizio di questa nuova attività, il problema dell'impatto della crisi petrolifera del 1973.

Fino a quel momento gli studi di previsione nel settore energetico erano prevalentemente di interesse degli specialisti del settore petrolifero e delle aziende elettriche. E' stato quindi necessario anzitutto approfondire, sia pure da non specialista, detti studi per ricavarne uno scenario tecnologico che mettesse in evidenza l'impatto per il settore in cui l'azienda operava [C 74,a]
La visione dal punto di vista settoriale del problema dell'impatto della crisi energetica, mi ha permesso di contribuire fin dall'inizio ai dibattiti ed ai lavori di gruppi di studio nazionali ed internazionali (ad esempio, partecipando ad un gruppo di lavoro NATO
[A 73,d])

L'impatto della crisi energetica in un settore come quello veicolistico non può essere visto in una ottica limitata al prodotto specifico, ad esempio all'importanza di migliorarne l’efficienza energetica. Quello dell'impatto dei problemi energetici, come della salvaguardia ambientale, è uno degli esempi di come il ricercatore ed il progettista siano spinti ad allargare la loro sfera di "progettazione" (come ho indicato sopra parlando dello sviluppo dei ruoli e della professionalità dei tecnici). Per occuparsi di veicoli, occorre anzitutto occuparsi di sistemi di trasporto. Ed il problema energetico va quindi visto in questa ottica più ampia.
Ma come affrontare il problema, tenendo conto della vastità e varietà dei dati da esaminare?
Abbiamo allora sviluppato un metodo che considera i singoli dati (ad esempio, sui trasporti urbani) ottenuti in condizioni diverse (in città diverse e a tempi diversi), come fossero le "fotografie" ad istanti diversi dello sviluppo di un ipotetico sistema di trasporto. L'analogia è con l'astronomo quando osserva le fotografie delle varie nebulose e le interpreta come diversi stadi dello sviluppo secondo un modello dinamico unitario. Nel caso del sistema di trasporto i dati così analizzati servono a sviluppare un macromodello della dinamica dei consumi energetici legato ad altri parametri macro-economici
[A 80,e], [A 80,f].

L’impatto degli eventi energetici nel contesto italiano - come il blocco dello sviluppo dell'energia nucleare e le incertezze della politica energetica generale - hanno poi reso necessarie delle valutazioni retrospettiche [A 80,d]. Vi è stato poi l'abbandono dell'energia nucleare con il famoso referendum. Penso sia stato un grande errore, anche perchè ha tolto all'Italia le competenze tecniche necessarie per partecipare al dibattito ed alle decisioni internazionali sul futuro dell'energia nucleare [87fn]. Che dire poi dell'illusione sulla possibilità di ricorrere rapidamente all'energia solare [87gn]?

2.2 Scenari tecnologici per i veicoli.

D. E per l'auto, la crisi energetica deve aver avuto un grande impatto.

R. Certo. Tuttavia, non dimentichiamoci che la crisi energetica è stato solo uno dei determinanti del rapido cambiamento tecnologico cui l’auto venne soggetta negli anni '70-80. Non vanno dimenticate le spinte al cambiamento legate agli sviluppi della tecnologia in vari settori. Da qui l'importanza di svolgere studi per definire degli scenari tecnologici per i veicoli.
Come sarà l'auto del futuro ? Ho provato subito a sviluppare in proposito uno scenario tecnologico secondo la modalità di descrizione qualitativa di ipotetici eventi futuri, per tracciare le linee di una evoluzione dell'auto fino al 2000
[A 77,d]. Ne è risultato una cosa divertente e "leggera". Il divertente tuttavia è constatare oggi, un quarto di secolo dopo quelle previsioni, che molte di esse non si sono avverate ancora, anche se sono sempre considerate tra le possibilità di sviluppo dell'auto. Basta pensare al gran parlare che si fa oggi dell'ITS (Intelligent Transport System).

Il problema energetico era allora e rimane ancor oggi una delle sfide principali poste al ricercatore ed al progettista di veicoli. In vena più seria, rispetto a scenari qualitativi, si può cercare di determinare il potenziale di riduzione dei consumi estrapolando il successo di sviluppi di ricerca in corso [A 77,c].
Non mancarono certo allora, nella comunità scientifica internazionale, occasioni di dibattere questi problemi
[A 78,a].

Non basta tuttavia esaminare le potenzialità degli sviluppi delle attività di ricerca. Occorre tener conto delle inerzie che si pongono, per vari motivi e vincoli, al trasferimento del successo di ricerca in successo di innovazione sul prodotto. Ma come valutare detta inerzia? Un metodo è quello di esaminare sistematicamente, scegliendo parametri opportuni, la velocità del cambiamento misurata sul mercato, esaminando le caratteristiche dei prodotti offerti nel passato. Si possono cosi identificare più realistici obbiettivi di innovazione [A 79,c], [A 79,d], [A80,h].

Se da una parte occorre essere in grado di considerare le inerzie del sistema tecnologico, dall'altra gli obbiettivi di innovazione imposti all'auto - anche, come già osservato, dalle normative e dalle leggi - richiedono di poter influire a monte sulla stessa comunità scientifica perché orienti le proprie scelte di ricerca su temi indicati dai fabbisogni di innovazione del settore. E' necessario che l'industria faccia uno sforzo per indicare detti temi e che sappia "catturare" l'interesse del mondo della ricerca esterna, in particolare dell'università. E' importante al riguardo identificare le aree di ricerca di interesse dell'auto. Ma non basta. Occorre favorire l'incontro tra università ed industria, magari sviluppando uno schema su come procedere [A80,g], [A 83,a], [85f].

Il dibattito tra fabbisogno di ricerca originato dalle necessità di sviluppo tecnologico di un settore ed il mondo della ricerca, va portato avanti anche in sedi specialistiche. Si veda ad esempio il caso della definizione dei requisiti per le batterie [A 80,c], il ruolo della microelettronica nella gestione del motore [A 81,d] e la definizione delle problematiche legate all'uso dei materiali nei veicoli [A 82,e].

I cambiamenti tecnologici che stavano allora avvenendo nell'auto era opportuno venissero percepiti - per le dimensioni del settore e per le interrelazioni con altri settori - anche dal grande pubblico. Per questo, come responsabile della ricerca nel settore di una grande casa automobilistica, dovevo saper direttamente contribuire a questa percezione, in particolare sottolineando l'intreccio di tecnologie diverse che caratterizza un prodotto cosi complesso [C 81,e]. Contro una "lettura" superficiale di settore in lenta innovazione - che l'osservatore esterno tende ad avere sulla base di una apparente stabilità delle caratteristiche di un prodotto come l'auto - era importante mostrare che invece era in corso una vera e propria "mutazione" nella tecnologia automobilistica [B 83,b].

D. E' un discorso ormai superato? Si può dire che l'auto oggi, nel terzo millennio, è ritornata ad essere un prodotto in lenta evoluzione?

R. Direi proprio di no. La densità stessa della diffusione dell'auto nel mondo ha accresciuto tutti i problemi denunciati negli anni '70 - '80 : i consumi, l'inquinamento atmosferico, il traffico urbano e no. L'auto continua a mutare oggi come allora. Questa "mutazione" è poco apparente se ci si limita ad osservare la "morfologia" dell'auto. Ha invece effetti radicali sulla struttura progettuale e produttiva. L'aveva allora e penso l'abbia anche oggi. Cosa stava avvenendo negli anni '70-'80 ? Da un prodotto prevalentemente a base empirica, l'auto stava passando ad un prodotto a base scientifica. Si potevano quindi prevedere importanti effetti sulla gestione aziendale che avrebbero richiesto grandi spostamenti nella distribuzione di risorse tra varie funzioni aziendali [A 84,j]
A mostrare la continuità del problema - su quali cambiamenti nel futuro dell'auto, anche dopo le importanti sfide poste dalla crisi energetica e dalle considerazione sull'impatto ambientale - posso citare interventi con riferimento alla definizione delle aree di ricerca da inserire nelle iniziative della Commissione CE
[89carp], [91carscen].

2.3 I mutamenti nelle tecnologie produttive

D. Mi pare che fino ad ora lei abbia insistito sui cambiamenti nel prodotto, quelli che percepiscono o dovrebbero percepire gli utilizzatori. Nel frattempo molti cambiamenti, forse anche più radicali, sono avvenuti nel modo di costruire l'auto. Mi sbaglio forse?

R. Non si sbaglia certo. Ma qual'è il ruolo della R&S per i mutamenti nelle tecnologie produttive? 
Se si considera il caso dell’industria meccanica, la R&S ha tendenzialmente avuto un ruolo limitato di fornitura di servizi specialistici per una sperimentazione che viene svolta essenzialmente nella fabbrica stessa. Tutto ciò tende tuttavia a caratterizzare l'innovazione produttiva come essenzialmente incrementale, almeno durante la vita utile di un impianto produttivo. Le sfide poste in quegli anni dalle nuove tecnologie, in particolare dalla microelettronica, richiesero di sapere avere una visione più globale e più radicale dei cambiamenti potenziali. In questo senso la Ricerca Centrale in una grande azienda era chiamata a svolgere un ruolo nuovo.
E proprio perchè si trattava di definire un ruolo nuovo divenne importante capire le linee di sviluppo futuro nelle tecnologie produttive. Da qui l'importanza di sviluppare una serie di scenari. 
Al riguardo, per cogliere i cambiamenti potenzialmente "rivoluzionari", era importante era introdurre il concetto di innovazione "di sistema" a livello della fabbrica, in contrapposizione dell'innovazione dei "componenti" (le singole macchine operatrici). 
E’, ad esempio, un'innovazione "di sistema" quanto sarebbe avvenuto in fabbrica grazie all'introduzione di nuove tecniche di controllo non distruttivo ed, in particolare, di nuovi sensori 

[A 76,d]
. La contro-reazione di informazione in tempo reale da valle a monte nella catena produttiva che essi permettono, avrebbero trasformato il sistema produttivo meccanico rendendolo più simile ad un sistema di processo negli impianti chimici, con tolleranze nel prodotto garantite proprio dalla contro-reazione su tutta la linea [A 81,a].

Anche a livello di singole tecnologie "componenti" del sistema produttivo era importante cogliere i segnali delle opportunità poste dall'introduzione di nuovi processi, come l'uso dei laser di potenza 
[A 78,b]. Un Centro di ricerca per cogliere dette opportunità deve spesso saper introdurre competenze del tutto nuove [A 79,a].

La grande rivoluzione in fabbrica a tutti i livelli - dall'automazione della singola macchina operatrice, all’automazione della linea produttiva, alla "computerizzazione" della gestione - era rappresentata allora dalla diffusione della microelettronica. Uno scenario dell'impatto per l'industria automobilistica venne presentato ad una conferenza di managers della ricerca europea nel 1980, contribuendo ad un dibattito che ha fatto emergere alcune delle linee di cambiamento attese [A 80,a].

Anche nel caso delle tecnologie produttive - del modo di produrre le auto - come nel caso del prodotto, era importante che non solo gli "addetti ai lavori" dibattessero tra loro questi cambiamenti, ma che un pubblico più ampio se ne rendesse conto. Occorreva che con la diffusione di parole nuove come, "robot" e "sistemi di fabbricazione sensibile", se ne percepisse la reale portata ed il senso del cambiamento in atto [A 81,b].

2.4) L'impatto dell’informatica.

D. Lei parla dell'impatto della microelettronica sul prodotto e sul processo produttivo. Mi pare che poi sia venuta in uso la parola informatica, tecnologie dell'informazione. 

R. Già allora venne introdotto il termine. La microelettronica rappresentava il substrato materiale - l'hardware - fondamentale per lo sviluppo delle applicazione informatiche. Capire le tendenze di cambiamento nell'auto anche allora richiese di porre attenzione all'impatto dell’informatica.

La diffusione dell'informatica in tutti i settori dell'attività produttiva e sociale è cosi coinvolgente, che è difficile per chi intenda approfondire il fenomeno limitarsi alla sfera puramente tecnologica. Si finisce rapidamente per fare riflessioni di politica, sia pure industriale e di R&S. E' questo il senso dei miei primi interventi in materia.

Anzitutto, come assicurare una politica che favorisca la diffusione nell'attività produttiva in un paese come il nostro con un "entroterra" scientifico e tecnico con minori tendenze "applicative" di altri paesi europei? [A 82,l]. Il dibattito si sposta poi sui programmi di R&S, ed in particolare sul grande programma europeo Esprit, e sui pericoli di una entusiastica ed acritica accettazione da parte italiana del programma cosi come formulato. L'industria italiana ha prospettive di cogliere le opportunità della microelettronica e dell'informatica diverse da quelle di altri paesi. E di ciò andava tenuto conto [B 83,l]. Su queste basi era opportuno un esame critico approfondito del programma stesso. Alcune linee di questa critica furono presentate al grande pubblico [B 84,d]. Ogni critica tuttavia deve realisticamente tener conto dei condizionámenti di quanto già fatto, e della lunga storia che il tentativo di varare una politica dell'innovazione nell'informatica aveva in seno alla Comunità Europea [C 84,b]

L'importanza della diffusione dell'informatica la si poteva rilevare già allora dalla importanza datagli dai quotidiani e periodici come fatto di cronaca. Oltre che divertente, può essere istruttivo mettere assieme e comparare la cronaca, per rilevare linee di tendenza [C 84, p]. Ma ancor più divertente può essere rileggere ora detta cronaca e vedere quanto cammino si sia fatto da allora e quanto ingenue fossero le previsioni sul futuro dell'informatica. 
Questo vale per il grosso delle applicazioni informatiche. Tuttavia rimangono ancor oggi aree speculative di applicazione dell'informatica di cui si parla da tempo, ma ancora lontane. E allora sono forse meno sorpassate osservazioni fatte allora da un non specialista, portato a speculare sul significato profondo che può avere lo sviluppo della informatica, anche di cambiamento del nostro modo più radicato di vedere i limiti dello sviluppo e delle conseguenze delle costruzioni umane. Quali, ad esempio, i limiti e le conseguenze della cosiddetta "intelligenza artificiale"
[C 84,q], [C 84 r]
O quelli della realtà virtuale
[92zd]?

2.5) Scenari generali, ecologia, ambiente.

D. Più recentemente lo sviluppo degli effetti globalizzanti della tecnologia, nel bene e nel male che essi rappresentino, hanno portato l'attenzione su problemi più generali dell'impatto del progresso tecnologico sull'avvenire dell'umanità. Hanno qualche riflesso sulla ricerca auto queste preoccupazioni?

R. Penso di sì, ma non posso darne testimonianza diretta, avendo da tempo lasciato le responsabilità del settore. Tuttavia, qualche preoccupazione deve avermela lasciata il tempo pasasto, se mi sono poi occupato di problemi più generali, più sistemici, che hanno richiesto di affrontare la costruzione di scenari generali, in particolare per ecologia ed ambiente. 

Sono problemi che finiscono per interessare tutti, anche i giovani. Ben vengano quindi le occasioni di far riflettere gli insegnanti su cosa possiamo dire e quali le incognite del futuro tecnologico [87en]

Le preoccupazioni sulla salvaguardia ambientale hanno portato ad avviare nuove aree di ricerca come quelle sul monitoraggio locale e globale del nostro pianeta. Alle attività di controllo e diagnosi si sovrappongono anche nuove opportunità di intervento per gli operatori economici con prodotti e tecnologie nuove, e su queste opportunità è bene che la ricerca rifletta [86o], [95r]. 

Le preoccupazioni per l'ambiente hanno visto anche l'intervento dei filosofi che parlano di un'etica ambientale. Forse vi sono opportunità di intervento anche per chi filosofo non è, per riflettere non solo su quali siano i nuovi problemi che emergono dalla complessità delle sfide ambientali, ma su come si faccia ad affrontarli per risolverli. [95sn].

3) POLITICA DELLA RICERCA E POLITICA INDUSTRIALE.

D. Con queste sue ultime battute mi pare siamo giunti a tempi più recenti della sua attività. Come si spiega questa sua deriva da problemi molto specifici settoriali a considerazioni più ampie, quasi filosofiche appunto? E' un cambio totale di interessi da quando lei ha lasciato la ricerca auto? 

R. Non direi. In fondo è proprio mentre portavo avanti la responsabilità di un centro di ricerca "corporate" centrale - in cui le ricerche di lungo termine, per sviluppare nuove strategie aziendali, erano altrettanto importanti degli interventi volti all'innovazione a breve del prodotto - che si rese necessario guardare in molte e diverse direzioni.
Difficile operare in un grande centro di ricerca aziendale, senza dovere estendere le proprie preoccupazioni a sfere più ampie di quella della sola ricerca e della tecnologia. Ciò è particolarmente vero per chi opera in Italia per la necessità - per l'inefficienza stessa con cui si sono sviluppati i pubblici servizi - di svolgere spesso anche ruoli vicari. Si finisce quindi per preoccuparsi di politica della ricerca e di politica industriale.
Non poche furono quindi le motivazione che emersero per estendere analisi e studi dal "sotto-sistema" della ricerca industriale al più ampio sistema della ricerca pubblica e privata e della interazione tra politica della ricerca e politica industriale.

Poiché mi ero dovuto occupare di analizzare le problematiche della pianificazione della ricerca aziendale, mi sono chiesto se quest'analisi potesse servire come paradigma per una analisi dei problemi della ricerca e dell'innovazione per il Paese.

3.1) Un modello generale per il sistema ricerca

D. Dalla ricerca aziendale a quella pubblica, quindi.

R. In senso speculativo, naturalmente. 
Un primo confronto permette di individuare strette analogie
[C 75,c].
L'esistenza di queste analogie ha una sua giustificazione profonda se ci si sposta dalla ricerca ad un livello più alto nel sistema economico. In particolare, la svolta fondamentale che era avvenuta negli ultimi decenni (necessità di porre vincoli ed obbiettivi al progresso tecnologico) finiva per investire sia la ricerca privata che pubblica, le cui rispettive politiche dovevano pertanto essere congruenti. D'altra parte, almeno come tentativo, la progettazione si spostava dal mero ambito tecnico ad uno più ampio. Emerse una nuova disciplina la "policy science" che tentava di sviluppare una base teorica per questa "ingegneria politica".

Un modello generale per il sistema ricerca deve quindi anzitutto riconoscere l'esistenza di una gerarchia di obbiettivi. Le varie classi di ricerca possono venire ri-orientate tenendo presente detta gerarchia di obbiettivi. Ma chi fissa gli obbiettivi? Come distinguere tra "domanda" di ricerca e "offerta" di ricerca? 
La confusione dei ruoli tra i vari attori nel sistema ricerca può essere una prima chiave di lettura delle carenze del sistema ricerca italiano
[C 77,k]. Il modello deve anzitutto permettere di mettere in prospettiva storica e di confrontare su un metro comune l'esperienza italiana e di altri paesi [A 79,e]. E, dato l'interesse generale sempre più esteso ai fatti della ricerca e della tecnologia, il modello è stato anche utilizzato per sensibilizzare alla R&S degli "operatori culturali" fornendo loro degli elementi per meglio comprendere il sistema ricerca [A 81,c].

3.2) La politica pubblica di ricerca

D. I poteri pubblici, i ministeri diciamo, erano sensibili alle sollecitazioni per lo sviluppo di una politica pubblica di ricerca?

R. La apparente crescente volontà - espressa dalla classe politica di allora - di occuparsi di politica pubblica di ricerca, doveva essere alimentata da idee e proposte. Il crescente intervento pubblico nell'economia può essere fattore di distorsione delle possibilità di concorrenza tra aziende, il cui centro di operazione sia in paesi diversi. Da qui la necessità per gli operatori economici di partecipare al dibatto ed allo sviluppo delle idee nel campo delle politiche pubbliche. Ciò è tanto più vero in Italia per la politica pubblica di ricerca. 

Un modo semplice per affrontare il problema del sistema ricerca è quello di chiedersi quale la domanda di ricerca e quale l'offerta. Nel definire il ruolo pubblico della ricerca, perché non cominciare quindi dalla "domanda" di ricerca che deriva dai settori di cui lo stato si occupa direttamente, come i servizi pubblici? [A 75,b].
Altri punti rilevanti di una politica pubblica di ricerca riguardano la gestione della "offerta" di ricerca pubblica, lo sviluppo di ruoli di intermediazione domanda/offerta, l'intervento pubblico a livello regionale. Importanti sono le responsabilità del settore pubblico per il ritardo culturale tecnico dell'entroterra in cui opera l’imprenditore italiano [C 78,c].
Le imprese italiane dotate di enti di ricerca propri si erano nel frattempo attrezzati per far sentire la loro voce dando vita
all'Associazione Italiana Ricerca Industriale (AIRI). Fu un'occasione per partecipare con proposte al dibattito sulla politica della ricerca italiana [C 77,h], [C 78,d], [C 80,k].

Di particolare interesse fu, ad esempio, rilevare la scarsità dei tipi di intervento pubblico in Italia rispetto agli altri paesi europei [A 82,f]. Inoltre andava rilevato la preoccupante bassa "densità" di ricerca del Paese, misurata in termini di addetti alla R&S rapportati alla popolazione attiva. 
Come accelerare la crescita di detta densità?
B 82[,i]
Non erano tuttavia da trascurare - e credo non lo siano tuttora - anche le responsabilità degli addetti alla ricerca, come la mancanza stessa di conoscenza dei fabbisogni del paese reale ed una certa tendenza a considerare come dovuto, senza contropartita, il finanziamento pubblico della ricerca 
[B 83,g], [C 83,s]. 

D. La Comunità europea in quegli anni - del resto lo ha già menzionato lei a proposito del Progetto ESPRIT - aveva avviato un processo di estensione dei propri interessi nella ricerca al di là dei primi due campi di intervento comunitario, il nucleare ed il carbone ed acciaio. Che influenza ebbe ciò sul dibattito per una politica della ricerca?

R. Notevole. L'integrazione italiana nella Comunità Europea e la crescente rilevanza del programma di ricerche finanziato dalla Commissione C.E. rese naturale estendere l'analisi alla politica C.E.E. di ricerca. Per quanto mi riguarda a partire dal 1983 venni distaccato a Bruxelles con l'incarico di collegamento tra l'Azienda e la Commissione. Fu questa un'ulteriore motivazione per me di occuparmene, anche utilizzando il modello generale del sistema ricerca di cui mi ero avvalso per le analisi fatte mentre avevo responsabilità operative di ricerca [C 83,r], [B 84,b].

In sede europea il crescente intervento pubblico con finanziamenti nella ricerca e nell'innovazione, non era esente da critiche, sia per ragioni di principio - in quanto in contrasto con una rinnovata tendenza alla deregulation - sia perché causa di distorsione di concorrenza tra aziende di paesi diversi. Era quindi importante stabilire le condizioni in cui l'intervento è auspicabile e quelle in cui lo è meno [B94,k], [C 84,n]
Un importante ruolo per la committenza pubblica è anche quello legato alla promozione per la concezione e lo sviluppo di prodotti nuovi rispondenti a nuovi fabbisogni. Perché non proporre al riguardo un premio europeo per nuovi prodotti, definendone le specifiche?
[C83,context] 

L'importanza di confrontarsi tra addetti ai lavori di ricerca industriale portò negli anni '70 alla creazione dell'EIRMA, European Industrial Manager Association. Ciò favorì il dibattito sia interno che esterno sulla ricerca. Ad esempio, come affrontare le sfide tecnologiche all'industria che pongono un ruolo importante per la ricerca aziendale, ma anche per la politica pubblica di ricerca sia a livello nazionale che europeo [C83, eirma]

Anche l'OCSE ha svolto negli anni un notevole lavoro per favorire lo sviluppo di una presa di coscienza, nei vari Paesi membri, dell'importanza di sviluppare una appropriata politica di R&S. Fu un'interessante esperienza per me far parte di un gruppo di esperti per esaminare la politica di ricerca del Portogallo. Fu una ulteriore occasione per "applicare" alcune delle idee alla base del modello del sistema ricerca di cui ho detto sopra [A 84,e].

Devo infine dire che in anni più recenti ho avuto modo di allargare la prospettiva con cui guardare alla politica di R&S occupandomi di globalizzazione e di come la percezione dei bisogni di R&S cambi da questo più ampio punto di vista [92u], [92v]. E se la globalizzazione porta nuovi spunti per guardare ai problemi di politica per la ricerca e la tecnologia, i problemi che sorgono dalla globalizzazione porranno nuove sfide alla ricerca per cercare di affrontare e risolvere detti problemi [92z].

3.3) Impatto della ricerca universitaria su attività produttiva

D. Non pensa che se spostiamo il discorso sui rapporti tra globalizzazione e ricerca rischiamo di fare una fuga in avanti rispetto ai temi più concreti di politica di R&S di cui ha trattato fino ad ora?

R. Sono d'accordo con lei, anche perchè ho ancora molte cose da ricordare circa le analisi da me svolte sui problemi di politica di R&S a livello del paese. Prendiamo ad esempio il ruolo dell'università. Quali sono gli effetti di una inefficiente gestione della ricerca e dell'insegnamento nell'università italiana? Qual'è l'impatto della ricerca universitaria sulla attività produttiva nel nostro paese? Ai tempi in cui avevo cominciato a preoccuparmi di questi problemi, l'effetto negativo dell'inefficienza universitaria era più rilevante che nel passato, per le esigenze nuove di innovazione sia in settori nuovi come quello nucleare che in settori come l'automobile, più maturi, ma sottoposti a grande sfide di cambiamento. Per un operatore della ricerca aziendale era questa una delle prime preoccupazioni nel trattare problemi di politica della ricerca [A 72,c].

Sembravano quindi emergere condizioni per modificare i rapporti tra Università ed Aziende [A 76,a]. Occorreva che la ricerca nelle università crescesse non solo di dimensione, ma anche di qualità. Non sarebbe stato possibile raggruppare e potenziare le attività di ricerca creando dei "Centri di Eccellenza" almeno nelle discipline o interdiscipline di maggiore interesse per lo sviluppo dell'innovazione tecnologica in aree di crescente importanza per lo sviluppo delle attività produttive nel paese? [C 77,i]
Perché il discorso non rimanesse vago, come responsabile del Centro Ricerca FIAT misi in atto una politica di collaborazione diretta attraverso contratti di ricerca con varie università e ho favorito lo sviluppo di due specifici centri interdisciplinari, il CSS (Centro di Studio sui Sistemi) a Torino e l'ATECNA (Scienza della formatura dei metalli) a Bologna.

Andavano anche criticati gli interventi recenti dello Stato sulla Università che, malgrado le buone intenzioni, riducevano ulteriormente la flessibilità gestionale sia per la ricerca che per l'insegnamento [A 82,a]. Andava sottolineato come fosse necessario un ripensamento radicale dei principi alla base della gestione dell'Università, a cominciare dal rapporto di lavoro degli insegnanti [B 83,o]
Molta acqua sotto i ponti è passata da allora. E' stata imponente l'opera del legislatore per cambiare l'Università. Veramente è diventata più autonoma nella gestione, con più mezzi propri, di dimensione cresciuta sia nel personale docente che in quello ausiliario. Ma si può veramente dire che sia cresciuta in qualità? In particolare si può affermare che il rapporto tra università ed industria sia oggi più adeguato di allora alle necessità? 

3.4) La politica di intervento regionale sulla ricerca

D. A proposito dei cambiamenti nella ricerca pubblica, vi è stato, secondo lei, una qualche influenza del processo di decentramento regionale che si è venuto via via sviluppando in vari settori, anche se è ancora a tutt'oggi incompleto?

R. L'importanza della ricerca come fattore di sviluppo economico ha richiamato da tempo l'attenzione degli operatori pubblici locali, che chiedono agli operatori della ricerca idee e proposte. Un primo criterio da rispettare è quello di valorizzare le risorse esistenti sul territorio, nelle università e nei laboratori pubblici di ricerca. 
Da qui le premesse per includere nell'analisi per lo sviluppo di una efficiente politica pubblica di ricerca il ruolo degli attori locali per sviluppare una politica di intervento regionale sulla ricerca.
Vi è il pericolo, tuttavia, che la "regionalizzazione" della politica della ricerca risponda a motivazioni acritiche e che si risolva in una dispersione di risorse. Anche in questo caso il modello del sistema ricerca poteva servire ad una prima analisi su basi razionali della problematica relativa
[A 79,b]
Per passare dalla teoria alla pratica, ho avuto successivamente occasione di contribuire con alcune analisi e proposte legate a situazioni locali specifiche. Posso citare una proposta per l'area di Porto Marghera
[A 83,m] e le considerazioni sui rischi ed opportunità legate al cambiamento tecnologico per lo sviluppo della vocazione automobilistica dell'area torinese [C 84,m].

3.5) Politica industriale e cambiamento tecnologico

D. Fino ad ora, parlando di politica di R&S mi sembra lei abbia puntato sopratutto sulla necessità di intervenire a livello pubblico, nazionale, europeo o regionale. Forse è il caso di dire qualcosa su come all'interno del mondo industriale ci si debba preoccupare di sviluppare una politica che favorisca la ricerca e l'innovazione. 

R. L'argomento era certamente all'ordine del giorno quando avevo responsabilità operative nella ricerca industriale. 
Con il proseguire della crisi economica, da più parti si puntava alla necessità di una politica industriale di fronte al cambiamento tecnologico che favorisse uno spostamento verso un'innovazione tecnologica più orientata allo sviluppo di prodotti nuovi, rispetto al prevalente orientamento sullo sviluppo della produttività. Ma quali prodotti nuovi? Perché non guardare alle nuove opportunità identificate da una analisi dei cambiamenti nei servizi e nelle infrastrutture relative?
[B 82,k] 
Tra l'altro, anche la stessa fornitura di servizi può avvantaggiarsi da una estensione del concetto di ricerca ed innovazione applicata a prodotti "immateriali".
[B 83,e], [B83,f]

L'ipotesi che il sistema economico stesse attraversando una profonda crisi di cambiamento strutturale, rendeva tuttavia necessario ripensare in modo più radicale la politica industriale. Andavano, ad esempio, riesaminati gli scenari di politica geo-economica, in particolare per mettere in una prospettiva che non fosse solo difensiva i rapporti tra Europa e Giappone [B 83,c]
La politica industriale andava ormai - allora come ora - vista e sviluppata a livello Comunitario. Quindi, le prospettive ed i rischi legati alla transizione tecnologica, al cambiamento della base tecnologica, non potevano non essere legate alla coerenza tra le politiche nazionali e quelle comunitarie
[B 84,a], [A84,1], [85e]
Andava anche osservato come un'acritica ideologia di liberismo a livello planetario avrebbe potuto rivelarsi poco adatta alla realizzazione di uno spazio socio- economico europeo omogeneo
[A 84,g], [92comp].

Un'area integrata europea offre grandi opportunità per lo sviluppo industriale che richiederà tuttavia di rivedere le politiche aziendali correnti. Ad esempio, vi sarà una spinta alla crescita aziendale attraverso l'acquisizione di altre aziende, ma anche a trovare forme di collaborazione tecnologica tra aziende che pur competono. Andranno riviste e rese coerenti le politiche industriale dei singoli paese, gli aiuti di stato alla R&S. Tutti temi su cui si aprì allora un notevole dibattito [86pn], [86q], [86r]. 
Aspetti particolari di queste problematiche emergono quando si considera il caso delle PMA
[87d]. Tutti problemi trattati più di un decennio fa, ma che mi sembrano sempre attuali.

4) DINAMICA DEL PROCESSO INNOVATIVO.

D. A sentire come si è sviluppato il suo discorso - partito da problemi molto interni alla gestione della ricerca, per poi passare a come sviluppare politiche pubbliche per favorire lo sviluppo della R&S - siamo adesso arrivati addirittura a parlare di politica industriale tout court.

R. La cosa non dovrebbe meravigliare. In fondo, la capacità di utilizzare lo sviluppo tecnologico diventa - se è vero che la base tecnologica sta cambiando - sempre più un elemento fondamentale di politica industriale. E per farlo con cognizione di causa mi sembra sia particolarmente rilevante capire bene la dinamica del processo innovativo.

Il modello del sistema ricerca di cui ho detto sopra, pur avendo mostrato la sua utilità come chiave di lettura di casi diversi - per la sua funzione euristica per la generazione di idee afferenti la politica della ricerca - rimane tuttavia nel campo di un approccio marginalistico che presuppone operatori razionali e sistema in quasi-equilibrio. Il modello non dà indicazioni per quanto riguarda la dinamica a lungo termine di un sistema cosi complesso come quello tecnologico. Nell'analisi del processo innovativo - prima della recente "riscoperta" dell'analisi di Schumpeter dei cicli macro-economici a lungo termine - si sono fronteggiati due scuole: quelli che vedevano nel tiro del mercato la motivazione principale dell'innovazione e quelli che la vedevano nella spinta della tecnologia.

Sulla base di un approccio "evoluzionistico" alla teoria economica ed una prima sua applicazione da parte di due economisti americani al processo di innovazione tecnologica, sono stato spinto in quegli stessi anni a sviluppare un modello della dinamica del processo innovativo che si basa anzitutto su un confronto analogico dettagliato con la evoluzione biologica. [B.82,b], [B 82,c], [C 82,m], [C 82,n].

La recente critica ad un approccio riduzionistico nello studio della dinamica di sistemi aperti e fortemente complessi, fa pensare che l'analogia la si possa far risalire ad un tipo di dinamica comune a sistemi aperti complessi: sviluppo logistico interpuntato da "catastrofi". Non pretendo che il modello abbia particolare valore. Tuttavia ho cercato di proporlo in varie occasioni per il suo valore euristico, dimostrato nell’esaminare altri "sistemi aperti" come lo sviluppo delle conoscenze scientifiche e la dinamica dei cambiamenti innovativi a lungo termine [A 83,n], [C83,t].

Queste riflessioni, presentate in sede internazionale hanno suscitato un certo interesse. L’EIRMA (European Industrial Research Management Association) mi chiamò allora ad organizzare una conferenza per dibattere il problema del cambiamento della base tecnologica [A 84,t] ed il Management Centre Europe ad una Conferenza sul Management per fare una presentazione del modello e delle sue implicazione per la gestione della ricerca  [A 84,u].

5) LAVORI DI SINTESI

D. Mi pare - del resto lei lo ha già accennato all'inizio di questa nostra conversazione - che oltre a presentare le sue idee sui vari problemi che attengono alla gestione ed alla politica della R&S le abbia anche messe assieme in lavori di sintesi pubblicati come saggi. 

R. Le ricerche sopra illustrate si sono via via sviluppate in contrappunto con i miei impegni professionali da cui erano derivate le motivazioni di base. Tuttavia, come ho cercato di illustrare, esse non furono episodiche, ma seguirono dei filoni persistenti. Non dovrebbe meravigliare quindi se poi ho sentito la necessità di ripensare in modo sistematico lo sviluppo delle proprie riflessioni sul management della ricerca e sul processo innovativo. Tra l'altro ha favorito in parte queste più sistematiche riflessioni l'aver passato poi la mano sulle responsabilità di gestione di un grande centro di ricerca. 

Il modello del sistema ricerche e le sue applicazioni alla politica della ricerca sono rielaborati nel volume "R & S x P - Ricerca e Sviluppo per il Paese" [A 82,j].

Le ricerche sulle "problematiche della gestione della tecnica nell'azienda" sono stato il punto di riferimento per il libro "Lo sviluppo dei prodotti" [A 83,p], che, pur scritto con intenti didattici in una collana destinata ai quadri intermedi, affronta il problema in un ottica nuova per questo tipo di testi. Infatti viene fatto riferimento, nel descrivere i problemi gestionali, a momenti di forte cambiamento tecnologico, il che mette in risalto le interdipendenze con le altre funzioni aziendali e con l'esterno.

Una prima riflessione di sintesi, fortemente speculativa, sugli studi sulla dinamica del processo innovativo, ha portato alla stesura di un altro saggio "Il gioco del progresso. Dall'ameba al nucleare" [A 83,q]. Nel sottotitolo metto in evidenza come di questo gioco faccia parte anche lo sviluppo dell'energia nucleare, sperando - purtroppo senza successo - di dare una mano a chi nel dibattito allora in corso in vista del referendum relativo, sosteneva l'importanza di non uscire dal settore.

Naturalmente, anche dopo la pubblicazione di questi saggio non ho smesso di intervenire, ogni volta che se ne presentasse l'occasione, al dibattito sui problemi dell'innovazione tecnologica e del progresso [85c].

Successivamente le mie riflessioni si sono ampliate cercando di riflettere che  il sistema R&S, se era un sistema fortemente complesso, andava inserito nel filone di studi che in quegli anni si sviluppò fortemente sulla dinamica dei sistemi complessi non lineari. E dal momento che mi ero personalmente scontrato con la complessità del sistema R&S affrontando giorno per giorno la necessità di decidere sui problemi che emergevano dalla sua complessità, era naturale che concentrassi la mia attenzione proprio sui problemi decisionali. Da qui anche i curiosi titoli di alcuni miei interventi, come: "è possibile sviluppare una saggezza per la complessità?" [93kn], [95tn], [95u].

D. E su questa ricerca della saggezza si è fermato?

R. Forse avrei dovuto, anche perchè invecchiando si diventa pessimisti. Il mio pessimismo in particolare nasce dalla complessità crescente della scienza che ha portato ad una estrema suddivisione in settori di conoscenza che solo pochi specialisti riescono a dominare e solo all'interno di ogni settore sotto-disciplinare. Poiché mi sono sempre preoccupato dell'applicazione delle nuove conoscenze scientifiche ho l'impressione che l'applicazione finisca per essere fatta attraverso delle procedure - protocolli - che si rifanno ad un sapere sottostante, ma che chi usa le procedure non conosce. Anche nell'antichità si operava attraverso delle procedure che magari si rifacevano, più che a conoscenze specifiche, a dei miti. 
Non finiremo per caso anche noi - via via che le procedure diventeranno sempre più user's friendly, sempre più ridotte a schiacciare dei pulsanti, a cliccare con il mouse - per non essere più interessati alle conoscenze scientifiche che hanno reso possibile tali procedure e a considerarle, appunto come una volta, dei miti? 
Se nel passato il cammino del progresso ha visto il passaggio dal mito alla scienza, non ci aspetterà per caso nel futuro di percorrere un cammino inverso, dalla scienza al mito?
[A99]

 

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