Lettera ad un professore di filosofia

Torino, 15 settembre 1986

Chiarissimo professore,

    mi permetto disturbarLa inviandole copia di un mio lavoro non pubblicato, dal titolo "Il gioco del progresso", nella speranza che possa in qualche modo interessarLa. Allego pure un mio breve curriculum.

Le ragioni che mi hanno spinto a sviluppare le riflessioni sul progresso tecnologico sono sufficientemente illustrate nel Prologo. Può essere tuttavia utile, per quanto Le dirò poi, che mi soffermi su come ho proceduto allo sviluppo del lavoro.
Ho steso "di getto" una prima bozza nell'estate del '83 sulla base di alcune letture non sistematiche e delle mie esperienze personali. Ho sentito poi il bisogno di verificare a fondo le idee così sviluppate ed ho quindi dedicato molte ore a cercare verifiche ed appoggi (procedimento in vero poco popperiano) alla "teoria" abbozzata. Testimonianze di queste letture e degli "appoggi" in esse trovati ve ne sono numerose nel testo completamente revisionato che ne è risultato.
Mi è sembrato così che, da una parte, la mia visione del mondo non sia solitaria, ma anche che, d'altra parte, vi sia una certa originalità di contributo nell'avere con insistenza esteso il modello della dinamica dei sistemi complessi al mondo dei prodotti.

A questo punto tuttavia una seconda "verifica" mi sembra si imponga. A furia di insistere sulla definizione del modello - anche se più volte sottolineo che esso ha intenti puramente euristici - finisco per invadere un campo che mi è meno proprio rispetto alle riflessioni sul mondo tecnologico: il campo delle speculazioni più propriamente "filosofiche".
Sono quindi ora sollecitato a fare delle verifiche, con letture di altra natura, sulle affermazioni più o meno esplicite in ordine a problemi che la mia poca cultura in materia mi fa ritenere siano di interesse per chi di professione fa il filosofo. E' chiaro, ad esempio, che parlando di una "condanna al progresso" si finisce per doversi preoccupare se ciò significhi determinismo oppure no e fino a che punto una lettura di Comte e Spenser non serva ha mettere le idee sviluppate in una prospettiva di "dejà vue".

Per il mio nuovo programma di letture ho iniziato con la Sua trilogia. Naturalmente mi si sono affacciati subito una serie di interrogativi.
Anzitutto la definizione del "problema filosofico" che mi preoccupa. (Ho infatti molto apprezzato l'insistenza da Lei data, nel presentare il pensiero di ogni filosofo, nel definire quale fosse la domanda di fondo da essi affrontata).

Tanto per farLe un esempio: se detto problema debba essere quello della contraddizione tra l'essere ed il divenire (contraddizione che magari penso di avere superato considerando che l'essere sia da ricercare nelle "regole del gioco" ed il divenire nello "sviluppo" del gioco stesso); oppure se il problema sia solo quello della compatibilità tra pluralità e libertà dell'avvenire con uno schema dinamico unitario (in proposito mi interesserebbe approfondire la soluzione data dall'Ardigò al problema).

Penso che Le risulti ora un pò più chiaro perché mi sono permesso di disturbarLa.

Voglia gradire i mie più cordiali saluti