CHIACCHERE - 
riflessioni filosofiche tra dilettanti

10 aprile 95 

Dialogo sull' ESSERE E DIVENIRE, SPAZIO E TEMPO

A. Cosa pensi di questo continuo altalenare del pensiero tra il problema dell'essere e quello del divenire? Possibile che dopo due mila e più anni ci si debba ancora preoccupare se sia più fondamentale lo spazio od il tempo?

B. Già. Forse perché nella stessa vita di ognuno di noi l'interesse passa da uno all'altro. Nell'infanzia e nell'adolescenza siamo tutti presi dal cambiamento puro. Il tempo diventa quindi la variabile fondamentale. Il nostro corpo cambia rapidamente. Nel nostro cervello è più importante immagazzinare il nuovo che elaborare quanto vi abbiamo inserito.

A. Hai ragione. Lo dimostra anche la fantasia dei bambini. Costruire dei mondi fantastici per corrervi dentro. E' forse un concetto di tempo più vissuto ed intuito che esplicito. Il gioco di cui la nostra fanciullezza è piena è un modo per attraversare il tempo. Viene troppo presto sera quando si gioca.

B. La vita dei ragazzi è scandita dal tempo più che dallo spazio, dalle attività più che dalle riflessioni. Il presente fugge via nel gioco, ed il futuro ce lo rappresentiamo come aspirazione a cambiare, anche se spesso è una visione ciclica del tempo. L'aspirazione alle vacanze per ritrovare le avventure dello scorso anno. La mattina a scuola per aspettare il pomeriggio dei giochi.

A. Anche i ragazzi tuttavia vivono ed usano lo spazio. Ma lo misurano correndo. Non sono mai fermi. Non per niente uno dei giochi preferiti è il calcio. Ma anche il gioco del nascondersi e del ricercarsi è tutto un muoversi da un posto all'altro.

B. Ritornando al problema del filosofare si potrebbe pensare che se chiedessimo ad un ragazzo se è più importante il problema dell'essere o quello del divenire si pronuncerebbe per il secondo. Il privilegiare il cambiamento non è però solo un fatto dell'adolescenza. Anche più in avanti negli anni.

A. Ma i giovani sono tendenzialmente rivoluzionari. Non è questo un segno del privilegiare il cambiamento e quindi l'importanza del tempo? Forse potremmo dire che i conservatori privilegiano l'essere, ciò che è statico invece che dinamico.

B. Tuttavia ci sono anche dei giovani che sono conservatori. Questo fatto - anche se i giovani che sono conservatori lo sono in un modo diverso dagli anziani - forse sta ad indicare che rispetto all'adolescenza cresce l'importanza dell'essere, in parallelo con la raggiunta conclusione dello sviluppo morfologico del corpo. Se poi si procede oltre, verso l'uomo più maturo, la miscela tra l'importanza dell'essere e del divenire diventa più evidente.

A. Vuoi dire che uno ci tiene contemporaneamente al suo status attuale, alla sua posizione sul lavoro e nella vita, mentre nel frattempo è tutto preso dal problema della carriera?

B. Certamente. La vita dell'uomo maturo è fatta di un fitto intreccio di relazioni che mette in risalto l'importanza delle variabili spaziali. Nel contempo, salvo rari casi, non è contento del suo stato e tende a migliorarlo. Forse per la prima volta lo spazio ed il tempo vengono percepiti come variabili intrinsecamente legate quando l'uomo nella maturità comincia a fare dei piani. Anzi, a fare il piano della sua vita, quando decide di costruirsi una famiglia. Il piano include il cambiamento e lo sviluppo rispetto allo stato presente, ma contemporaneamente deve essere realistico e tenere conto, quindi, sia dell' essere attuale - con tutta la spazialità delle sue relazioni - che degli stati futuri dell'essere visti o intravisti come ben definiti insieme di relazioni spaziali (ad es. i figli e la loro crescita e mantenimento).

A. Potremmo dire che con la maturità quindi abbiamo realizzato l'equilibrio tra spazio e tempo, tra l'importanza dell'essere e del divenire. Ma perché allora i filosofi puntualizzano l'attenzione o sull'una o sull'altra dimensione?

B. Forse perché la fase della pianificazione è la più felice nella vita dell'uomo e non pone quindi problemi. Non c'è perciò materia per filosofare. Ma se ci pensi bene, l'uomo in piena maturità ad un certo punto tende ad essere realizzato, a pensare più alla conservazione dello stato che ha raggiunto invece che a cambiarlo. Magari solo per necessità. Non perché sia contento di quello che ha, ma perché ha perso le speranze di poter cambiare.

A. Ognuno comunque ha potuto esercitare un qualche piano di cambiamento, se non altro nella sfera sociale e familiare, se non in quella economica. Anche se sono d'accordo che quando la prospettiva diventa il mantenimento dello stato attuale e non il cambiamento, l'essere diventa più importante del divenire.

B. Si, ma non senza rimpianti. La perdita della speranza di un cambiamento che migliori l'essere attuale pone dei problemi. Ci si interroga allora sull'essere e sul divenire, magari per dare in questa fase, come reazione, più importanza alla dimensione perduta, quella temporale e quindi al problema del divenire.

A. Forse solo in quelli che si sono fermati prima del tempo.

B. Per chi si sente soddisfatto può darsi che l'enfasi vada sull'essere. Ma anche questo stato dura poco. Invecchiando a poco a poco si sente il declino della spazialità. Il mondo attorno si restringe, i rimpianti del passato emergono, non essendo più possibile il futuro e lo stato presente è sentito come non soddisfacente. Ritorna l'importanza del fattore tempo anche se si premia il passato più che il futuro.

A. C'è però chi invecchia mantenendosi nel pieno delle attività, nel pieno di idee e progetti. Anche se devo riconoscere che anche lui non può non sentire che gli manca il tempo. Per altro, anche chi invecchia male, senza sapere più che fare, magari passando il tempo solo giocando a bocce o a scopa, aspettando che finisca l'oggi per ricominciare il domani, ha la sensazione che il tempo gli sfugga, che passi troppo in fretta, che gliene manchi.

B. Insomma, mi pare che abbiamo costruito una specie di teoria per cui nell'arco della vita di un individuo si comincia con enfatizzare il tempo ed il cambiamento, poi ci si rende conto che mentre si cambia si deve consolidare l'esistente, per poi alla fine riprivilegiare il tempo che finirà per dissolversi con il dissolvimento dell'essere. Ciò spiegherebbe la diversa attenzione alle due dimensioni dell'essere e del divenire e quindi perché alcuni filosofano insistendo sull'importanza del divenire ed altri dell'essere.

A. Interessante, ma forse abbiamo proceduto un pò troppo in fretta. E' vero che per il bambino è importante come egli si sta costruendo cambiando rapidamente per cui non può fare molta attenzione a quello che lui è in un dato momento. Tuttavia egli vive in uno spazio che non cambia o cambia poco. Spesso l'intera giovinezza è trascorsa sempre nello stesso ristretto spazio, la casa e un pò di spazio attorno. Almeno questa è la mia esperienza personale.

B. Anche la mia. I giochi erano sempre nella corte della casa dove abitavo, e il cambiamento di luoghi avveniva d'estate quando andavo in campagna dai nonni. Ma anche là lo spazio era sempre identico a se stesso.

A. Però adesso la situazione è piuttosto cambiata. I miei figli ed ancor più i miei nipoti attraversano di corsa spazi completamente diversi. Le gite in macchina di fine settimana, le vacanze invernali ed estive spesso in luoghi ogni anno diversi. Non sarà che per loro la nostra teoria sia un pò debole e che il senso dello spazio sia più importante di quanto lo era per noi?

B. Forse no. Se ci pensi bene, se pensi all'effetto della televisione anche per gli adulti, la molteplicità degli spazi che percepiamo ci rendono quasi indifferente lo spazio effettivo in cui viviamo. C'è chi parla di una dematerializzazione dello spazio. Quindi, tornando al bambino ed all'adolescente, dovrebbe rimanere valida l'idea - ed anzi, rafforzarla - che per lui l'attenzione maggiore sia sul cambiamento, sull'accumulare conoscenze ed esperienze. La varietà degli spazi vissuti rende solo più ampia la dimensione delle conoscenze da accumulare.

A. Mi viene in mente un'altra considerazione che supporta la nostra idea che lo spazio è assai indifferente per i bambini, poco percepito come variabile importante. Dato per scontato più che vissuto. Per un bambino il campo delle conoscenze cui attingere è disponibile senza problemi. Occorre solo tempo per accumularle. Più il tempo passa e più lui impara, più cresce.

B. E' così tuttavia anche per un adulto.

A. Solo in parte. In realtà l'adulto trova molte difficoltà ad acquisire quello di cui abbisogna. Ci sono delle resistenze di vario tipo da vincere senza di che il tempo passa invano. E' come se tu fossi in prigione. Niente cambia.

B. Vuoi dire che il futuro è meno liberamente appropriabile per un adulto di quanto lo sia per un ragazzo?

A. Sì. Inoltre è importante la particolare porzione di spazio in cui egli vive. Prendi il caso di un giovane in cerca di lavoro. E' ben diverso se lui vive a Milano o a Caltanisetta. In un posto con poche possibilità di lavoro il tempo passa e la situazione non cambia.

B. Quindi vi è un effetto dello spazio per costruire il proprio futuro decisamente più importante per un grande che per un fanciullo. In fondo, nel bene o nel male, le scuole elementari si assomigliano tutte sia in una regione a forte industrializzazione che in una povera e agricola. Quindi un bimbo ha sostanzialmente la stessa facilità di crescere ed istruirsi sia in un luogo che nell'altro.

A. Visto che abbiamo parlato di difficoltà e resistenze per costruire il futuro di un adulto, che pongono l'accento sull'importanza dello spazio - e quindi del chi sei, che relazioni hai e non tanto di quali piani fai per il futuro - forse dovremmo introdurre un altra variabile importante: la fortuna. La fortuna è un evento che può essere indipendente dallo spazio. Come la mettiamo con questa variabile e la nostra teoria che lo spazio diventa importante per lo sviluppo del nostro avvenire?

B. Non vedo problemi. L'evento fortuito, proprio perché è un evento non ha dimensioni temporali. Avviene qui ed ora. Dovrebbe far parte quindi dei problemi dell'essere più che del divenire. Inoltre la fortuna è spesso correlata con le possibilità: più sei in uno spazio che fornisce alternative e maggiore è la probabilità anche di afferrare un evento fortunato.

A. Questa nostra teoria che vi sia un ciclo che passa dal tempo allo spazio-tempo, e di nuovo al tempo, che si scandisce con le tappe della vita dell'individuo, non sarà una metafora anche per altre situazioni? Sai quanto sia usata la metafora del ciclo vitale per il caso della storia delle civiltà e dello sviluppo di particolari ambienti sociali.

B. Penso di sì. Comunque, possiamo esplorare quest'altro aspetto. Potremmo dire che per le civiltà giovani, in condizioni di forte cambiamento, il tempo sia più importante dello spazio. Successivamente, a civiltà consolidata, lo spazio e le relazioni interspaziali diventano essenziali. Quando una civiltà decade e passa la mano ad un'altra o semplicemente entra in crisi, la difesa dell'esistente diventa prevalente. E' una difesa che riguarda essenzialmente il tempo nel senso che si cerca, come nella vecchiaia, di sopravvivere più a lungo possibile.

A. Quest'ultima osservazione mi fa venire in mente che forse abbiamo troppo rapidamente concluso che quando si invecchia è il tempo che conta perché è quello che più ci sta scappando. Ma non è invece il senso del nostro corpo, con tutte le preoccupazioni sulla salute che è predominante? I vecchi parlano spesso o soprattutto dei loro acciacchi. Quindi sembra l'essere più che il divenire al centro delle preoccupazioni.

B. E' vero. Tuttavia, il caso della civiltà in crisi può aiutare a rispondere. E' vero che in una società in crisi emerge il parrocchialismo ed il localismo che prevalgono sul cosmopolitismo. Ma proprio questo mostra che in questa situazione si difende qualcosa che sentiamo non avere più molta importanza. La difesa del locale è una difesa senza speranza, di qualcosa che sappiamo valere poco, anche se è solo il poco che abbiamo. Questo vale anche per le preoccupazioni della salute quando si invecchia. Ci focalizziamo sul nostro corpo con le sue magagne, perché sentiamo che il tempo ci sta scappando di mano. Il corpo che decade è un segnale del tempo che sta per finire. L'importanza dello spazio, dell'essere, ha valore negativo perché vista in funzione del prossimo sparire nel nulla.

A. Tornando al discorso della metafora del ciclo vitale anche per le civiltà, se è vero che vi sono periodi di una civiltà in cui lo spazio è al centro dell'attenzione più del tempo o viceversa, si dovrebbe poter far corrispondere l'esistenza di filosofi che privilegiano un tema piuttosto che l'altro con le caratteristiche del loro tempo. Ma sarà poi così?

B. Dovremmo interpellare uno storico della filosofia. Attenzione però al fatto che spesso i filosofi e gli scienziati sono in anticipo con i tempi. Così come ad un dato istante vi sono individui giovani, adulti e vecchi - e quindi ciascuno con interesse diverso sull'importanza dell'essere o del divenire - così possiamo immaginare la società che esprime una data civiltà o cultura essere in realtà , ad un dato istante, una miscela di gruppi, alcuni che rappresentano il passato che sta declinando, altri il presente che si consolida ed altri ancora il futuro in arrivo.

A. Senza essere uno storico della filosofia mi pare che l'esistenzialismo sia prevalso all'inizio di questo secolo e dura forse ancora. Vorrà dire che la nostra civiltà è stata, in parallelo, interessata al problema dell'essere più che del divenire?

B. Dal punto di vista tecnologico non mi pare proprio. Il sentimento del progresso, filosofeggiato dal positivismo e dal romanticismo nel secolo scorso, ha dominato la realtà tecnologica in tutti i settori. Anche nell'architettura ha dominato il cosmopolitismo ed il funzionalismo. Tutti gli spazi sono uguali. Quello che conta è la funzione, non la forma. Qualcuno chiama tutto ciò modernismo.

A. Ma mentre procediamo con l'utilizzare in pieno il cambiamento tecnologico, ecco che emerge una nuova cultura che comincia proprio a dare maggiori segni in architettura con il post-modernismo. Domina il locale, il particolare, la forma anche fasulla e apparente purché diversifichi questo da quello. Questo localismo mi pare vicino all'esistenzialismo. Quindi avremmo ora gli effetti di una cultura filosofica che ha avuto il picco decenni fa.

B. E' vero. Si sente un cambiamento in atto. Il localismo sta emergendo in vari campi. Prendi l'economia. Da una parte si parla di villaggio globale, di un mondo unificato, standardizzato, - il mondo degli hamburger, della coca cola e degli hôtel alla Hilton - dall'altra ci si combatte fieramente città contro città per competere, per attirare gli operatori proprio da noi invece che da altre parti. Sembrerebbe che l'esistenzialismo stia passando dalla filosofia alla pratica e che si riscoprano i valori positivi del particolarismo, del gruppismo, del localismo, ma in modo orientato al futuro (e non al parrochialismo di difesa di un mondo in crisi che sta sparendo).

A. Forse stiamo dando dell'esistenzialismo una lettura troppo da profani. E' proprio vero che per l'esistenzialismo conta l'essere visto come spazialmente identificato? Esso in realtà rifugge da accettare un quadro dato del mondo (in cui l'uomo si muova senza doversi preoccupare di definire anche gli elementi di questo mondo). Possiamo fare un parallelo tra il centrare l'interesse sull'individuo, proprio dell'esistenzialismo, con l'idea del localismo in economia. L'esistenzialismo, centrando sull'uomo, lascia a questi di costruire il suo essere in un mondo di possibilità in cui lui è libero di scegliere. Tanti individui, tanti mondi, locali, frammentari.

B. Dall'esistenzialismo emerge tuttavia per l'individuo un'angoscia dovuta all'infinità delle probabilità ed all'indifferenza delle scelte. Se l'uomo è libero di inventare il suo futuro, allora il tempo e non solo lo spazio conta.

A. Tuttavia la estrema libertà e la difficoltà di fare scelte, può far rinunciare alle scelte stesse e quindi portare a subire il tempo ed il divenire, più che ad inventarlo.

B. Il tempo è molto più importante nel romanticismo dove sono dati come punti fermi dei riferimenti e dei valori e l'uomo ha una guida, delle regole di condotta per costruire il proprio futuro.

A. Paradossalmente, l'esistenzialismo che sembra liberare il tempo per l' essere, per un individuo dato, finisce per annullare l'importanza del tempo data la difficoltà delle scelte per creare un divenire. Il romanticismo, che parte da aver definito i fini e quindi lo stato finale del tempo, invece di portare a dare risalto alla costruzione spaziale, finisce per focalizzare l'interesse su una traiettoria temporale che, in fondo, è prefissata (in quanto siano prefissati gli stati finali da raggiungere).

B. Comunque sia, mi pare che vada riconosciuta una effettiva difficoltà a trattare insieme sia il tempo che lo spazio. Se ci si focalizza sull'essere è il divenire che ci sfugge e viceversa. Tentare di mettere assieme spazio e tempo fatalmente porta ad una visione frammentaria del mondo. Guarda cosa è successo in architettura, nell'urbanesimo. L'architettura funzionale ha cercato di non dare peso alle peculiarità spaziali: Brasilia è come New York. Ma cosa è successo? L'uomo nei grandi spazi uniformi urbani specializzati e funzionali si è sentito alieno. Vi è stata la reazione quindi del postmoderno che ricupera il senso del locale, sia sociale che spaziale. Ma il postmoderno è all'insegna del frammentario. Il ritrovamento dell'importanza della forma come segno di distinzione, di diversità è spesso banale o kitsch.

A. La tendenza ad uniformare lo spazio non è solo dell'architettura. Anche in economia si parla sempre più di globalizzazione. C'è chi parla del mondo come di un villaggio globale. Un mondo uniforme dove la tecnologia sarà disponibile allo stesso modo per tutti e dove ogni individuo potrà avere le stesse opportunità di accesso ai prodotti ed ai servizi resi possibili dalla tecnologia. In effetti, mentre una volta lo spazio era fisicamente evidente non solo per spostare oggetti, ma anche per comunicare (la posta viaggiava con i cavalli o con i treni) ora lo spazio non esiste più per la comunicazione e sempre più tende a sparire anche per le cose. Prendi il caso del movimento dei soldi. Una volta i soldi erano usati per comprare qualcosa, magari della 'carta' come i titoli di stato che tuttavia dovevi possedere fisicamente. Oggi si comprano titoli e proprietà anche tridimensionali a scopo di investimento senza mai vederle. Si muovono dei numeri, dei bits, che stabiliscono che ora sono io il proprietario di titoli di stato giapponesi o americani, o di azioni di una azienda argentina senza aver mai visto neppure un pezzo di carta.

B. Mentre una volta non solo lo spazio rappresentava qualcosa di fisicamente inerte, di resistente, ma anche il tempo lo era. La contemporaneità esisteva solo in funzione della vicinanza fisica. Un fatto avvenuto in Giappone magari ci metteva sei mesi per diventare noto e quindi contemporaneo in Europa. Non si poteva passare da un istante al successivo subito se vi era di mezzo una grande distanza spaziale. Le barriere spaziali e la materialità delle cose e degli oggetti si trascinava dietro una barriera dello spazio. Le spazio era omogeneo su piccola scala e così il tempo. Potremmo dire che lo spazio, come pure il tempo, era granulare. Cosa succede ora con la omogeneizzazione dello spazio e la continuità del tempo?

A. Stiamo andando nel difficile. Tuttavia se continuiamo con il caso della globalizzazione dell'economia occorre dire che essa ha distrutto l'idea di un mondo affidabile e stabile. Come l'esistenzialismo ha fatto per la visione del mondo rendendolo completamente libero per l'individuo, così in economia la globalizzazione, in linea di principio, rende gli operatori economici tutti liberi ed uguali di fronte alla liberalizzazione completa dei mercati e dei capitali.

B. Come per l'esistenzialismo ci dobbiamo allora aspettare un'angoscia dell'operatore economico per troppa libertà, per mancanza di riferimenti e schemi sicuri e con una certa inerzia (sulla non variazione dei quali si possa contare almeno per qualche tempo)? O non finiremo invece per riscoprire che la singolarità dello spazio conta, che non è vero che è tutto uniforme, tutto funzionale, che la forma conta e come. Di nuovo, vedi come il tentativo di semplificazione eliminando una delle variabili, lo spazio od il tempo, porta dei problemi.

A. A conquistare lo spazio ed il tempo assieme, in fondo ci sono riusciti forse solo gli artisti, nel senso che la loro opera d'arte deve essere immortale. Quindi hanno eliminato il tempo creando il massimo di individualità. All'altro estremo, il razionalismo e funzionalismo che omologa rendendo uniforme lo spazio.

B. Il riferimento all'opera d'arte eterna, mi fa venire in mente quello che fanno i matematici di fronte ad una difficile equazione spazio-temporale. Essi cominciano con ricercare se vi sia qualche soluzione particolare indipendente dal tempo rimandando ad un secondo tempo la ricerca della soluzione generale dell'equazione.

A. E' quello che fanno anche i fisici che, nel dare una descrizione spazio-temporale della realtà, puntano proprio sulla ricerca di invarianti temporali - come la conservazione dell'energia e della quantità di moto - proprio per avere alcuni punti di riferimento semplici nell'affrontare una descrizione troppo complessa della realtà.

B. Dovremmo forse fare un passo indietro e mettere un pò di ordine o dare una descrizione più approfondita. Stiamo toccando troppi punti apparentemente poco collegati tra loro.

A. Va bene. Abbiamo fino ad ora riconosciuto la difficoltà di mettere assieme sia lo spazio che il tempo, sia le preoccupazioni sull'essere che quelle sul divenire. Tuttavia sappiamo che il problema vero per l'individuo che vive la sua vita sono ambedue le variabili. Egli esiste qui ed ora. E' un qui ed ora che cambia con il tempo, ma è sempre un qui ed ora.

B. Potremmo allora immaginare l'individuo come un punto nello spazio-tempo?

A. Forse è meglio - come si fa quando si cerca in fisica di costruire un modello di un fenomeno spazio-temporale - considerare non un punto ma un cubetto a quattro dimensioni, tre spaziali ed una temporale. Per semplificare possiamo considerare le tre dimensioni spaziali come una sola che differisce qualitativamente da quella temporale. In questo caso la rappresentazione sarebbe un piccolo quadrato con una dimensione spaziale e l'altra temporale. Il quadratino si sposta nello spazio e nel tempo. La vita dell'individuo sarebbe rappresentata, nello schema dato da una curva, una traiettoria nello spazio-tempo.

B. Sono d'accordo nel non rappresentarlo come un punto. Così possiamo, ad esempio, dargli un colore a significare che il quadratino è in realtà un individuo con una grande complessità interna.

A. Si, purché il colore possa cambiare da istante ad istante a significare le mutate condizioni interne dell'individuo. Questo 'quadratino' ha un rapporto con il tempo passato e con quello futuro e con lo spazio che gli sta attorno. Forse sarebbe ancora meglio rappresentarlo con una forma tipo ameba variabile da istante ad istante. Infatti, ad ogni istante l'individuo ha una serie di relazioni con altri individui situati in luoghi diversi e con oggetti esterni.

B. Dovremmo magari rappresentare la sua spazialità come una specie di nube, più o meno densa nelle direzioni in cui lui ha in quel momento più rapporti.

A. Ma anche lungo la variabile tempo l'individuo è più o meno esteso a seconda di come in un dato momento egli vive con profondità i ricordi del passato o è preoccupato dell'avvenire.

B. Da questo punto di vista non c'è poi tanta differenza tra la variabile spazio e quella tempo. La memoria dell'individuo non solo rappresenta i suoi ricordi passati più o meno vividi con il passare del tempo, ma anche i suoi rapporti con il mondo esterno quelli di questo momento che sono tuttavia intrinsecamente coinvolti con quelli che erano poco fa e con quelli che saranno nel futuro.

A. Un altro modo per rappresentare l'individuo nello spazio- potrebbe essere quello di vederlo non come un ameba ma come una ragnatela di cui lui è al centro ed i cui raggi rappresentano i suoi collegamenti con gli altri e con se stesso nello spazio e nel tempo.

B. Tanti individui, tante ragnatele o tante piccole nubi amebiformi. Forse la rappresentazione della meccanica quantistica potrebbe servire da metafora. Si tratta di vedere se vale anche qui un principio di indeterminazione: più ci concentriamo sullo spazio cercando di definire l'esatta posizione del qui con tutti i suoi rapporti con gli altri qui ora, e più diffusa e meno definita è la delimitazione del tempo. Al contrario se ci concentriamo sulla traiettoria temporale, più vaga e diffusa è la delimitazione, la coscienza della posizione spaziale dell'essere.