La lettura a voce alta
Proposte per la lettura
a voce alta
La lettura a voce alta. Questo sito ha lo scopo di fornire materiali per una discussione rispetto al comportamento del lettore.
Parlo del lettore capace di passioni, non di chi legge solo per utilità.
Un libro, in cui si parli dell’umanità, dei suoi rapporti con la natura, con il reale e il metafisico, deve essere letto con tutto il corpo, aggredito intellettualmente e sensorialmente. E’ un amico cui si chiede, con cui si litiga o ci si confida. Ci possiamo innamorare di lui, riserbandogli ore esclusive, inquieti per l’ansia di tornare ad aprirlo. Niente lettura rapida, ma la calma emozionata con cui si pregusta un cibo, un vino, un incontro. E’ un comportamento che si impara e si raffina, dipende dal talento ma anche dall’arte, dall’esperienza. A scuola ci hanno detto che l’Orlando furioso, la Divina Commedia, i Canti leopardiani sono libri straordinari: molti di noi si sono accontentati dell’informazione, conservando un ricordo di fatica e di noia delle pagine che hanno “studiato”. Qualche volta, più maturi, si riprende un discorso troncato o mai iniziato; ma spesso gli strumenti di cui bene o male ci siamo impadroniti non sono sufficienti a farci provare il piacere di leggere, soprattutto i classici, i testi importanti. Possiamo imparare a provare quel piacere? Si. Con un po’ di fatica, soprattutto all’inizio. Ma ne vale la pena.
mailto:umbertotabarelli@iol.it
Umberto
Tabarelli de Fatis Ple G. Piola, 5 – 20131 Milano Tel & fax 02 70632986 E-mail: umbertotabarelli@iol.it http://users.iol.it/umbertotabarelli
Il piacere di leggere
Nel 1995 si svolse a Bolzano un convegno intitolato “La lettura come progetto”. In quell’occasione tenni un laboratorio sulla lettura a voce alta e consegnai questo scritto, che fu pubblicato nel 1997, assieme ad altri materiali del convegno, dalla Editrice Bibliografica, a cura di Massimo Belotti.
La lettura a voce alta come
atto critico.
Chi si occupa del linguaggio rileva l'importanza di
alcune regole (grammaticali e sintattiche) fissate in seguito all'uso, che
permettono a chi parla, ascolta, scrive o legge di comprendere e di essere
compreso e inoltre di essere creativo, originale grazie ai modi combinatori di
usare quelle regole. Un autore compone periodi lunghi, dotati di incisi e di
proposizioni secondarie, un altro autore si esprime con frasi brevi e secche,
cercando di usare solo il materiale linguistico essenziale: Tasso è diverso da
Ungaretti; come in arte figurativa l'essenzialità di Mondrian e di Morandi è
diversa dalla profusione di Mirò e di Klee. E le bellezze femminili di
Botticelli sono diverse da quelle di Rubens, che hanno la cellulite.
La parola detta è corporea, fisica, sensoriale: è
voce, vale a dire suono; come suono interessa un insieme di parti del corpo, in
altre parole l'apparato fonatorio che produce ed emette la voce, e l'udito, che
partecipa – regolandola- alla produzione della voce e in particolare la riceve.
Il pensiero prende forma attraverso le parole -
intese come fatto sonoro - anche quando si pensa in silenzio. Si può ipotizzare
che il pensiero e le parole si siano influenzati a vicenda, addirittura
crescendo di pari passo: più pensiero più parole. Più oggetti e fenomeni sono
conosciuti più s’inventano modi per determinarli, distinguerli, ricordarli.
Succede ancora oggi con i neologismi. L'aumento delle parole e la loro
articolazione hanno sicuramente aiutato l'evoluzione e la sistemazione del
pensiero. Se stiamo attenti il pensiero risuona, soprattutto se viviamo
un momento emotivamente forte. Ovvero esiste un rapporto reale fra la
parolasuono e il pensiero, espresso a voce alta o silenzioso.
La scrittura più antica finora conosciuta e
interpretata - quella dei Sumeri, risalente a circa il 3.500 a.C. - pare sia
stata inventata per ragioni funzionali, per conservare la memoria di certi
dati: i testi più antichi parlano di cereali e di ovini. Per molto tempo quella
che noi chiamiamo letteratura è stata tramandata oralmente; successivamente
all'invenzione della scrittura ci sono state redazioni scritte dei poemi
religiosi o di altro genere, come i poemi omerici.
Esistono due scritture storiche largamente diffuse:
una fatta di immagini simboliche (quella ideografica, come i geroglifici
egiziani, che probabilmente hanno origini dalla pittografia, attraverso la
quale, per esempio, comunicavano fino al secolo scorso gli indiani d'America),
l'altra fonetica (quella alfabetica, che pare nasca sempre in Medio Oriente
verso il 1500 a.C.). La scrittura alfabetica è composta di segni convenzionali,
assolutamente arbitrari, inventati allo scopo di ricordare una serie di suoni
prodotti dall'apparato fonatorio. Inizialmente i segni consideravano solo suoni
consonantici. Pare siano stati i greci – verso l’VIII secolo a.C. – a dare
sistemazione al proprio alfabeto, immettendovi segni che si riferivano anche ai
suoni vocalici. A quel periodo si assegna la scrittura dell’Iliade, e,
successivamente, dell'Odissea. E alcuni sostengono che la vocalizzazione
dell'alfabeto abbia permesso il periodo alto della produzione filosofica greca,
dando inizio, per esempio, alla logica formale, permettendo cioè di riflettere
sulle condizioni che rendono un ragionamento corretto.
Due sono le “occasioni” che mi hanno spinto ad
occuparmi di lettura a voce alta:
l'attività
teatrale;
l'animazione
nelle scuole.
Ovvero
l'influenza
degli elementi soprasegmentali – come dicono i linguisti -, cioè della
recitazione, nell'attività linguistica espressiva;
e
il ribaltamento dell’atteggiamento educativo tradizionale, che ha permesso di
mettere al centro dell'attenzione la persona del bambino e non più il concetto
di “educazione”. Di riflesso, come una conseguenza logica, mi pare che al
centro dell’attenzione ci sia sempre meno il testo e sempre più il suo
rapporto con il lettore.
Una terza “occasione” è stata la riflessione su
rapporto fra il potere e la comunicazione. Se il potere è totalitario
(ufficialmente o ufficiosamente) si tenderà all'omologazione della
comunicazione e a sottovalutare (a combattere) l'espressività individuale
creativa, originale. Se il potere è sinceramente democratico, si tenderà a dare
voce a più idee e comportamenti possibili, cercando contemporaneamente di
rendere leggibili e confrontabili le diversità: infatti, un altro modo di
togliere forza alle espressioni individuali è di non collegarle al contesto nel
quale sono nate, rendendole prive di senso.
Comunque la mia competenza riguarda l'attività
teatrale. Gli altri campi in cui mi avventuro sono solo camminate di un
lettore.
Non parlo di una lettura a voce alta casuale. A mio
parere la lettura a voce alta deve essere il risultato di una serie di scelte
critiche del lettore, deve essere interpretativa. Così si attrae e si mantiene
l’attenzione dell'ascoltatore, favorendone l'incontro con l'opera scritta,
perché:
a)
si offre una lettura critica, cioè in grado di dare risposte in tempo
reale sulla comprensione del testo. La lettura intelligente (anche se
discutibile), che non dà niente per scontato, neanche gli articoli, tende a
creare un colloquio, rispondendo alle domande mute, continue e non sempre
coscienti; quindi permette un atteggiamento disponibile da parte
dell'ascoltatore, l'atteggiamento di voler capire;
b)
si fa percepire il piacere della
lettura per mezzo della sensorialità.
La lettura a voce alta deve cercare di rendere
chiaro il testo, ma in modo vibrante, con una tensione di
partecipazione, con una specie di filo conduttore, che ha ragioni critiche ed
espressività sensoriali.
Chi
legge a voce alta deve evitare di mettersi fra il testo e l’ascoltatore,
facendo deviare l’attenzione sulla propria carica di fascino. Deve usare
discrezione, non deve prevaricare. Ma anche l’ascoltatore deve seguire delle
regole: soprattutto quella di seguire la lettura, non la persona del lettore.
Il suo obbiettivo è capire, non cullarsi sentendo “la bella voce”.
Osserviamo
che se noi abbiamo davanti un elenco di nomi di persone e li leggiamo a voce
alta, la nostra lettura risulterà neutra se non conosciamo le persone. Ma se le
conosciamo adopreremo inflessioni che – poco o tanto – caratterizzeranno il
nostro rapporto con quelle persone. Cioè saremo portati a pensare mentre
leggiamo e a dare valore a quello che leggiamo.
Questa è la ragione per cui chi legge i dati della
borsa valori non deve avere inflessioni particolari: si potrebbe pensare che,
mentre l’annunciatore legge, commenti la discesa di un titolo o si rallegri per
il successo di un altro.
Avvicinarsi ad un testo con lo scopo di capirlo
criticamente (e poi magari leggerlo a voce alta) implica un metodo di ricerca
che abbia capacità di analisi di sintesi e inoltre di “navigare” nel testo, che
a prima vista ci può apparire come frammentato, di cui scorgiamo solo alcune
sporgenze emergenti nella nebbia. La capacità di “navigare” nel testo ci
permetterà - con approssimazioni che dipendono dalla difficoltà del testo e
dalla nostra preparazione, ma anche dal nostro interesse - di collegare i
frammenti, di costituire degli insiemi, di conoscere il testo in modo
approfondito.
Insisto:
la lettura a voce alta, tendenzialmente, non deve
essere vista, ma ascoltata; allora è meglio ascoltare una registrazione? No, in
effetti, il lettore può suggerire qualcosa anche col resto del corpo, purché
non distragga dalla comprensione.
L’ascoltatore non deve sentirsi affascinato dal
suono della voce. Deve stare attento per capire.
Partendo da alcune considerazioni sui problemi della traduzione, ecco cosa dice Croce rispetto alla lettura a voce alta:
Le artistiche traduzioni,
e aspiranti all’infedeltà della bellezza, non sono solamente quelle, a cui
finora si è avuto l’occhio, di una in altra lingua, né quelle che procurano di
tradurre le opere di poesia in variazioni musicali, pittoriche e scultorie e
nelle illustrazioni grafiche che fregiano o sfregiano le edizioni
dei poeti; ma anche le altre che sembrano renderne più viva e concreta
l’espressione: le rappresentazioni teatrali dei drammi composti dai poeti. Di
queste, a parlare esattamente, autori non sono già Guglielmo Shakespeare, ma
Garrick e Salvini; non già l’Alfieri, ma Gustavo Modena; non il Dumas figlio o
il Sardou, ma Eleonora Duse. La poesia dei drammi non si gusta se non col
leggere da solo a solo il dramma, che potrà essere artisticamente superiore, o
anche inferiore, alla rappresentazione che se ne faccia, ma certamente è
diverso. La stessa declamazione o recitazione di una poesia non è quella
poesia, ma un'altra cosa, bella o brutta che si giudichi nella sua cerchia; e i
poeti mal sopportano i declamatori dei loro versi, ed essi stessi non li
recitano volentieri […] e quando si risolvono a darne lettura, non li
gesticolano, non li drammatizzano, non li tuonano né li cantano, ma
preferiscono dirli in tono basso, con certa monotonia, badando solamente a spiccarne
bene le parole e a batterne il ritmo, perché essi sanno che quella poesia è una
voce interiore, a cui nessuna voce umana è pari: è un cantar che nell’anima
si sente.
Benedetto Croce, La poesia, Roma-Bari, editori Laterza, 1980, pagina 95.
Può darsi che Croce avesse presente il modo di
recitare dell’epoca, del “grande attore” che tendeva a porre l’attore davanti
al testo, ad usare le parole per mostrare delle abilità un po’ da circo (come
nell'opera lirica, dove, ancora oggi, un certo pubblico aspetta il do di
petto per giudicare “l'interpretazione” del tenore). E’ convinto comunque
che l’opera d'arte, ma forse qualunque opera, visto che accanto al grande
Shakespeare cita il minore Sardou, sia “assoluta”, indeformabile, intoccabile.
Sembra che Croce pensi che l'arte abbia un senso calvinista: che esistano degli
eletti destinati a comprenderla; che non ci siano mediazioni fra gli eletti e
l’arte; che a dare una mano ai non eletti siano – fra gli eletti - i sacerdoti.
Io credo che un testo offra quasi sempre
difficoltà: dipendenti della sua complessità e dalle capacità del lettore. Ma
la scuola e l’ambiente letterario hanno offerto al lettore solo sistemi di
comprensione “indiretti”, aiutandolo di rado a fare una lettura propria, diretta,
proponendogli di confrontare il testo con lui stesso. Va considerato prima di
tutto che un lettore normale pratica di solito una lettura quasi globale, o
generica: le frasi scritte sono percepite spesso come blocchi, di cui non si
analizzano i componenti e le articolazioni. Questo capita soprattutto quando le
parole sono lette solo come veicoli di informazioni strumentali, quando si
legge un manuale o le pagine gialle. Ma anche la narrativa e la poesia sono
lette senza dare peso ad ogni segno.
Questo modo di leggere è comune anche agli autori,
quando si leggono a voce alta; spesso hanno il difetto di leggere dando per
scontato il senso, e quindi capita di essere più o meno attratti dal suono
della voce (Croce ci ha appena informati che i poeti “preferiscono dirli [i versi]
in tono basso, con certa monotonia”), ma di stentare a seguire il filo, il
pensiero. Io possiedo le registrazioni di alcune poesie di Bacchelli, Montale e
Ungaretti lette dagli autori (ho sentito anche Saba). A mio giudizio, l’unico a
dare una lettura critica di se stesso è Giuseppe Ungaretti. Che non era, come
potrebbe accadere, un buon lettore: l’ho sentito leggere Leopardi esattamente
come leggeva se stesso.
Se l’opera è stata scritta realizzando delle
intenzioni, non casualmente, l’autore, quando la legge a voce alta, deve
recuperarle tutte queste intenzioni: quindi dovrà leggere con grande
concentrazione, senza lasciarsi sfuggire mai il senso. Leggendo penserà, ovvero
lui stesso rifletterà, ponendosi di fronte al testo come a un fatto
nuovo, da interrogare.
Le indicazioni di Croce, di cui non si discute il
rigore del pensiero, il respiro europeo, hanno avuto forse una ricaduta sulla
scuola: le opere d’arte sono state circondate da un’aura di intangibilità, che
spesso ha provocato indifferenza e rigetto fra gli studenti. Certo, l’arte è
fuori della convenzionalità, che tende a rendere facile la comunicazione, è
molto spesso raffinata, sempre cólta (anche se di origini umili); occorre
uscire dagli schemi quotidiani, talvolta fare fatica per comprenderla; ma
quelle indicazioni hanno teso a cristallizzare l’arte, forse contro il volere
di Croce (e di Gentile, autore di un Programma scolastico rigorosamente
spiritualistico). O forse no.
Nella Giovinezza De Sanctis ricorda se
stesso, invasato, gridare la Gerusalemme liberata sul bordo di una
finestra; descrive scene alla scuola di Basilio Puoti (il purista!) dove si
leggeva a voce alta. Azzardo l’ipotesi che il modo di pensare di Croce abbia
contribuito a confinare la lettura a voce alta fra gli specialisti.
Su una posizione molto diversa si trovano Jorge
Luis Borges e Roland Barthes. Qualche frase da Oral di Borges:
Eraclito disse (l’ho
ripetuto tante e tante volte) che nessuno scende due volte lungo lo stesso
fiume. Nessuno scende due volte lungo lo stesso fiume perché le acque mutano,
ma la cosa più terribile è che noi non siamo meno fluidi del fiume. Ogni volta
che leggiamo un libro, il libro è mutato, la connotazione delle parole è
diversa. Inoltre, i libri sono carichi di passato [...] Amleto non è esattamente
l’Amleto che Shakespeare concepì agli inizi del secolo XVII, Amleto è l’Amleto
di Coleridge, di Goethe e di Bradley. Amleto è stato fatto rinascere. Lo stesso
succede col Chisciotte. E così con Lugones e Martìn Estrada: il Martìn
Fierro non è più lo stesso. I lettori hanno arricchito il libro.
J.L. Borges, Oral,
Roma, Editori Riuniti, 1981, p. 22-24.
Pare che Borges sia d'accordo con Croce: con la
differenza che Croce vuole che il testo sia indeformabile e Borges lo pensa in
trasformazione continua. Intendiamoci, il lettore non arricchisce il libro
arbitrariamente (nel senso di casualmente, senza ragioni). O almeno, Borges non
dice questo.
Borges affronta il tema del libro e del lettore da
un punto di vista letterario. Barthes da un punto di vista più complesso e
articolato: storico, antropologico e semiologico. Il saggio a cui mi riferisco
- affascinante per come tiene desta l'attenzione di chi legge - è contenuto
nella voce Lettura dell'Enciclopedia Einaudi; non ha
l'impostazione e l'andamento di un intervento scientifico, ma forse ne ha il
peso.
Una tecnica di
decodificazione: dati dei segni secondo un certo codice (scritture, musiche,
diagrammi), la lettura è l'operazione inversa che permette di decodificarli.
[...] Poiché la lettura è una tecnica, essa comporta un apprendimento, e
pertanto una pedagogia. Al primo livello [...] leggere significa saper
decifrare segni, in quanto essi significano qualcosa [...] Al secondo livello,
l'oggetto della lettura non è più la comprensione bruta dei segni, ma il senso
di ciò che si ritiene essi trasmettano [...] L'Occidente ha prodotto e
praticato per secoli un metodo di scrittura [...] che si è chiamato
retorica; fino al secolo scorso nell’insegnamento si poneva l'accento sulla composizione
e lo stile. All'avvento della democrazia borghese [...] attraverso
l'organizzazione dell'insegnamento laico, la parola d'ordine è mutata: non si è
trattato più di imparare a scrivere, ma di imparare a leggere. Leggere
vuol dire qui leggere bene, decifrare criticamente i testi; leggere con
attenzione, in modo informato, e non più meccanicamente o innocentemente: si
tratta di porre istituzionalmente, come fine dell'educazione, non più l'operazione
della lettura (oggetto principale dell'insegnamento primario), ma l'attività
della lettura, come sviluppo dell'intelligenza critica.
Sant'Agostino, in visita a Sant'Ambrogio, allora vescovo di Milano, si
stupiva di vederlo leggere sempre in silenzio [...] In realtà, dai tempi
antichi la lettura non si concepiva che ad alta voce, sia in pubblico sia in
privato, sia che si incaricasse di leggere uno schiavo, sia che si provvedesse
da soli. La lettura silenziosa si diffuse nei monasteri verso il VI secolo, al
fine di far regnare e di rispettare il riposo degli altri [...]Il nostro modo
corrente di lettura trova quindi origine nelle prime comunità monastiche, e la
norma si è ribaltata dall'antichità: ad alta voce allora, a bassa voce - o
senza voce? – oggi [...] Si è operata una sorta di disincarnazione della
lettura, una riduzione della parte del corpo [...] essa non ha più un’esistenza
carnale, è immediatamente spirituale. [...] Così è il modello cristiano di
lettura, senza godimento, una lettura che non passa per il corpo [...] Per
sbarazzarsi del mito cristiano della lettura, bisognerebbe cominciare a far
passare il testo dalla strozza come faceva Flaubert, farlo risuonare,
squillare nella testa, perseguire una lettura dei significante, quella del
godimento.
Roland Barthes –
A.Compagnon, Lettura in Enciclopedia Einaudi, v. 8°, Einaudi,
1979, pp. 176/187
La linguistica si è costituita ormai da
molto tempo in attività scientifica, adottando metodi rigorosi, basati
sull'esperimento e sulla logica formale. Questo atteggiamento ha portato i
linguisti ad occuparsi degli aspetti della lingua meglio osservabili, più
"certi": sono state privilegiate le regole della scrittura rispetto
a quelle del parlato, evanescenti e variabili da individuo a individuo (si
parla di idioletti, cioè di un linguaggio per ciascun parlante). Ma
alcuni elementi del parlato sono rientrati, se non nello studio, nelle
conoscenze dei linguisti, prendendo il nome di elementi soprasegmentali
(cioè immanenti ai morfemi, alle parole, alle frasi, ai segmenti che
compongono il linguaggio scritto), chiamati anche tratti prosodici (in
quanto connessi con la prosodia, cioè le intonazioni e i ritmi; I timbri e i
volumi, altrettanto importanti nell'attribuire senso al parlato, risultano
trascurati). Si aggiungono gli elementi paralinguistici, cioè l'insieme
delle gestualità - la lettura teatrante di Roland Barthes - che accompagnano,
rafforzano e talvolta rendono esplicito il senso del parlato.
Pur tenendo presente che il linguaggio
ha caratteristiche generali che non includono necessariamente il suono, è
evidente il rapporto che lega la parola scritta a quella parlata, come sostiene
Tullio De Mauro nella sua introduzione a La natura della comunicazione
(a cura di R.A. Hinde, Laterza, 1977, p. XVIII).
Alla prima
riflessione, il linguaggio verbale si presenta come vocalità e oralità, come
voce [...] a una riflessione più attenta, vediamo che [...] esistono realizzazioni
scritte [...} realizzazioni endofasiche (il linguaggio
interiore), mimico-gestuali (il linguaggio verbale dei sordomuti), tattili
(alfabeto dei ciechi) [...] Tuttavia, è fuori di dubbio che, statisticamente,
il linguaggio verbale ha una realizzazione soprattutto fonica e che il
linguaggio endofasico interiorizza comportamenti fonici e immagini acustiche...
Nella lettura a
voce alta noi non esprimiamo immediatamente il pensiero nostro con
parole nostre, come nella conversazione, ma riproduciamo la lingua
scritta. E siamo portati a decodificare i segni trascurando il senso, come
sottolineava Barthes. Questa è una delle ragioni per cui, quando leggiamo a
voce alta, stentiamo ad essere "naturali", avvertiamo che si parla in
modo deformato.
Un'altra
ragione - forse più importante - di questo senso di falsità nella lettura a
voce alta è che, anche se capiamo benissimo il senso, il parlato tende a non
coincidere col pensiero; si può non essere d'accordo con quello che si legge e
possiamo anche farlo capire, ma dobbiamo essere convincenti, pensando le
parole che leggiamo: se non accade questo, il senso di falsità persiste anche
se il lettore è l'autore.
Come fa il
lettore a capire il testo in modo approfondito? come fa il critico di
professione a dare ai poveri lettori mortali la chiave di lettura?
Se mi chiedo Perché
sento questo ticchettio, posso rispondere soltanto se dispongo della
conoscenza sta piovendo. Chiediamoci allora: come fa, chi legge un
brano, a disporre delle conoscenze che gli consentono di rispondere alle
domande sul perché delle varie conoscenze che estrae dal brano? [...] In primo
luogo [...] una conoscenza del brano viene spiegata da un'altra conoscenza che
il brano stesso, in un altro punto, fornisce. In secondo luogo la conoscenza
che spiega può essere già posseduta dal lettore prima di leggere il brano [...]
In terzo luogo, la conoscenza in questione può venir generata dal destinatario
seduta stante [...] La generazione di conoscenze avviene mediante
l'applicazione di regole di inferenza su conoscenze già possedute...
Per una educazione linguistica razionale, a cura di Domenico Parisi,
Bologna, II Mulino, 1979, p. 139-140.
Credo che questo ragionamento spieghi
come sia possibile leggere a prima vista. Il lettore a prima vista sbaglia se
si distrae, se non capisce, se, per qualche ragione, non c'è coincidenza fra
lettura e pensiero.
Per capire, occorre che il lettore
aggiunga il "contesto", ovvero la "situazione", come
precisa Monica Beretta:
Altro elemento
pertinente gli atti di comunicazione è la situazione. Sotto questo nome vanno
riuniti moltissimi fattori: il tempo e il luogo in cui avviene l'atto della
comunicazione, e gli elementi (oggetti, persone...) compresenti (il cosiddetto
contesto extralinguistico); i ruoli dell'emittente e del ricevente; il
sottinteso, cioè l'insieme delle conoscenze che l'uno presuppone nell'altro; le
norme sociali ed i valori condivisi nella cultura cui appartengono emittente e
ricevente...
M. berretta, Linguistica ed educazione
linguistica, Torino, Einaudi, 1977, p. 60-61.
I linguisti a cui
si devono le citazioni appena riportate, ponendo l'attenzione sul significato
della comunicazione, avanzano un'ipotesi interessante:
Un altro tentativo
teorico di cui ci pare valga la pena di far cenno è la cosiddetta scopistica
- o, meglio, teoria degli scopi - di D. Parisi ed altri collaboratori
dell'Istituto di psicologia del cnr di
Roma. Secondo questi autori, l'attività verbale è del tutto analoga al
comportamento non verbale; azioni linguistiche e azioni in genere sono
analizzabili in modo simile dal punto di vista degli scopi. Le singole azioni
di un individuo, che dall'esterno possono apparire del tutto indipendenti l'una
dall'altra, collocate in sequenze meramente temporali, se studiate nell'ottica
dei loro obiettivi o scopi appaiono talvolta collegate, appunto, da scopi
comuni, anzi, da intere gerarchie di scopi (obbiettivi immediati, e obbiettivi
più o meno lontani - sovrascopi -).
M. berretta, Op. cit., p. 127.
Limitando il campo alle opere creative (racconti, romanzi, poesie, testi teatrali), la lettura a voce alta, evidenziando gli elementi soprasegmentali, è in grado di dare continuamente chiavi di lettura che permettono al lettore di rispondere più frequentemente ai "perché" che il testo sollecita. La comprensione avviene soprattutto se la lettura è critica, se segue cioè il filo logico di una interpretazione.
Naturalmente, seguendo questa ipotesi,
non è possibile che un testo possa essere "oggettivo": il testo può
essere più o meno esplicito - chiarire più o meno i suoi sovrascopi -, ma il
senso lo può dare solo il lettore, il ricevente. Il testo di Amleto è stato
interpretato - correttamente - da molti attori, registi, scenografi, critici
(ricordate Borges?), con risultati diversi.
La scuola tende a privilegiare
l'aspetto formale nell'apprendimento della lettura. Per varie ragioni di
carattere sociale è frequente il caso di studenti della scuola superiore che
non sono bene alfabetizzati. Un libretto intitolato Lo stupidario della
maturità da esempi drammatici, estendendo le difficoltà al corpo docente. (M. vigliero lami, Lo stupidario della
maturità, Milano, Rizzoli, 1993).
Io ho la sensazione che la lettura a
voce alta possa avere un'influenza notevole sull'apprendimento secondario della
lettura, quello della comprensione. Uno dei motivi mi pare sia il ritrovare
nei codici della scrittura qualcosa del nostro corpo: credo molto -
contrariamente a Croce - nella lettura sensoriale. E non trovo strano che la
sensorialità mi faccia nascere dei pensieri. E che i pensieri possano farmi
sorridere o rabbrividire.
È ovvio che la lettura a voce alta non
è un'attività orale "pura", come quella degli antichi autori di fiabe
e miti, ma è strettamente collegata con la scrittura. Si leggono opere scritte
che seguono le regole della struttura formale, grammatica e sintassi (più o
meno, perché gli autori, attraverso lo stile, tendono a personalizzare il
linguaggio e le sue regole). Il lettore a voce alta analizza criticamente il
testo e quindi, servendosi della propria competenza soprasegmentale (o
prosodica), lo propone direttamente agli ascoltatori. Si dirà "non proprio
direttamente, perché è filtrato attraverso la personalità
interpretativa"? certamente, così come qualunque critico non può esimersi
dal fare, neppure Croce, che non aveva simpatia per Pascoli e Mallarmé. La
differenza è che il critico offre le sue parole, non quelle dell'autore (se non
per citazioni).
Questo discorso non deve essere inteso
in modo massimalistico: può avere significato in particolare nell'ambito delle
opere creative; in quelle di tipo manualistico, scientifico o di informazione
si può comunque aiutare la comprensione dipanando il filo ritmico delle frasi.
Comunque, in certi casi - la lettura dei dati della Borsa o l'enunciato di un
teorema - bisogna leggere col massimo sforzo di oggettività,
rinunciando, ovviamente, all'interpretazione.
Un altro punto di vista interessante per il nostro tema è quello degli
antropologi. In che modo è diversa la società che scrive rispetto a quella che
tramanda oralmente? La scrittura ha aiutato il pensiero a
compiere molte conquiste; ma forse riflettere sull'epoca dell'oralità può
ridarci qualche virtù perduta. Già Barthes ci ha detto qualcosa da questo punto
di vista. Sono famose le ricerche e le deduzioni di alcuni antropologi - da
Frazer a Lévi-Strauss - sui popoli che ancora oggi vivono all’interno di
culture orali. Secondo Ong
[...] in tutti i
mondi meravigliosi aperti dalla scrittura risiede ancora l'espressione orale:
tutti i testi scritti, per comunicare, devono essere collegati, direttamente o
indirettamente, al mondo del suono, l'habitat naturale della lingua.
Leggere un testo significa convertirlo in suono con l'immaginazione, sillaba
dopo sillaba in una lettura lenta, oppure sommariamente e per frammenti nella
lettura veloce tipica delle culture a tecnologia avanzata. La scrittura non può
mai fare a meno dell'oralità.
W.J. ong, Oralità e scrittura. Le
tecnologie della parola, Bologna, II Mulino, 1986.
La lettura a
voce alta non va intesa come qualcosa di alternativo alla lettura silenziosa,
magari proponendo un ritorno alla cultura orale. Si tratta solo di restaurare
un buon rapporto fra la parola detta e quella scritta, ascoltando la realtà
intera della parola mentre la si pensa, la si scrive e la si legge. Di
ascoltare il ritmo della sintassi, l'intonazione del periodo, il timbro del
brano. Pensando alla musica, quale compositore ha mai pensato di scrivere solo
per la lettura silenziosa? È vero che la tradizione della scrittura verbale ha
modi diversi da quella musicale; ed è vero che le riflessioni di letterati,
critici, filosofi, linguisti hanno ragionevolmente delineato gli spazi propri
di questa straordinaria invenzione e i suoi meriti nell'evoluzione del
pensiero; ma non si tratta di invocare il ritorno alla natura: solo di tenere
presente che i modi della civilizzazione hanno ridotto o annullato alcune delle
nostre capacità, ancora presenti, se non altro come eco, in pochissime società
chiuse, reperti archeologici viventi, ma anche in varie comunità che conservano
un filo esistenziale col loro passato. Un esempio sono i neri d'America, che
hanno abbandonato la cultura orale solo da qualche generazione, e memorie
importanti di tradizioni e di mentalità orali sussistono in molte aree agricole;
ricordo inoltre le ricerche sul campo di Milman Parry (il cui nome è legato
alla teoria sulla questione omerica), che registrò canti di bardi iugoslavi,
analizzati e sistemati da Bela Bartók durante l'esilio americano. Ricordiamoci
che viviamo da parecchie decine di migliaia di anni: abbiamo perso un bel po'
di olfatto, di vista, di udito e probabilmente di altre doti
"primitive". Non possiamo provare a recuperare qualcosa, senza perdere
nulla delle conquiste dei secoli recenti? Un rapporto nuovo tra voce e
scrittura, per esempio. La voce è un gesto, produce suoni significativi.
Questa non è una bibliografia ragionata, ma solo un
elenco di libri, che ho letto o consultato approfondendo il tema della lettura
a voce alta.
Comportamento
comunicativo (II), The open University Mondadori, Milano 1980
Hinde Robert (a cura di) - "La
natura della comunicazione", Universale Laterza Roma – Bari, 1977
Hinde Robert (a cura di) - "La
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McLuhan Marshall - "Gli strumenti
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Barthes Roland - voce Lettura per
l’Enciclopedia Einaudi.
Bichsel Peter - "Il lettore, il narrare", Marcos y
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Borges Jorge Luis - "Oral", Editori Riuniti Roma,
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Crowder Robert - "Psicologia della lettura", Il Mulino
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Hesse Hermann - "Una biblioteca
della letteratura universale", Adelphi Milano, 1992
Pennac Daniel - "Come un romanzo", Idee Feltrinelli
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Woolf Virginia - "Come si legge un libro?", La
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Nuova linguistica (La), Istituto geografico De Agostini Novara, 1977
Berretta Monica - "Linguistica ed educazione
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della Volpe Galvano - "Critica del
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Petronio Giuseppe (a cura di) -
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letteratura?" Oscar Mondadori, 1990
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Tecniche del piacere della
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Fortini Franco - "La poesia ad alta
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Giuliani Gianna - "La voce,
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respirazione", Pan Libri Milano, 1991
Tomatis Alfred - "L'orecchio e la
voce", Baldini e Castoldi Milano, 1993
Croce Benedetto - "La Poesia", Laterza. 1980
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Abbate Michele – “La filosofia di Benedetto Croce e la crisi
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Cassirer Ernst – “Simbolo, mito e cultura” cap. Linguaggio e arte 1°, Laterza
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Contini Gianfranco - "La parte di Benedetto Croce nella
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Geymonat Ludovico - "Storia del pensiero filosofico e
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"La filosofia italiana", Garzanti Milano, 1981
Lamanna Paolo (a cura di) "Letture
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La scuola e i testi
Bertoni Jovine Dina -
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Geymonat Ludovico - "Storia del pensiero
filosofico e scientifico" vol. VI cap. IX "Il dibattito sulla scuola
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La lettura e le culture orali
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– “La presenza della parola”, Il Mulino, 1970
Ong Walter
- "Oralità e scrittura", II Mulino, 1986
Zumthor Paul - "La presenza della
voce", Il Mulino, 1984
Sulla poesia
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poesia?", Zanichelli Bologna, 1986
Cucchi Maurizio - "Dizionario della poesia italiana",
Studio - Dizionari Arnoldo Mondadori, 1983
Di Girolamo Costanzo - "Teoria e prassi della
versificazione", Il Mulino, 1976
Elwert W. Th. - "Versificazione italiana dalle origini ai
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Friedrich Hugo - "La struttura della lirica moderna".
Garzanti, 1983
Jung Carl G. - "Psicologia e poesia", Boringhieri Torino, 1979
Lotman Jurij - "La struttura del testo poetico",
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Marchese Angelo - "L'officina della poesia". Studio
Mondadori, 1985
Ramous Mario - "La metrica". Garzanti, 1984
Ruwet Nicola - "Linguaggio, musica, poesia". Piccola Biblioteca
Einaudi, 1985
Santagostini Mario - "Il manuale del poeta". Oscar
Mondadori, 1988
Proposte per la lettura a voce alta.
Le proposte in oggetto
riguardano vari aspetti della lettura ad alta voce, intesa come strumento utile
per capire il testo in modo approfondito. In particolare, alcune proposte
privilegiano l’aspetto tecnico, del come si legge per capire meglio, altre l’aspetto
dell’intrattenimento, consistente nell’ascoltare letture di testi.
“Noi e la fiaba” può apparire
eccentrico rispetto al tema della lettura a voce alta; si rivolge, invece, agli
adulti che leggono fiabe ai bambini: ai genitori, a chi lavora nella scuola
dell’infanzia e nella scuola elementare. Ha lo scopo principale di suggerire un
rapporto buono col bambino, di rendere gli adulti consapevoli delle sue
aspettative, disponibili, contenti di giocare alla fiaba.
In generale, queste proposte
sulla lettura riflettono la necessità di trovare un antidoto alla
frammentarietà, caratteristica del tempo. Rispetto alle generazioni passate
siamo sovraccarichi di informazioni; non è possibile interiorizzarle tutte,
elaborarle perché diventino cultura, modo di essere; quindi accettiamo la
fretta, ci accontentiamo della superficialità, inseguiamo forse il mito della
“lettura rapida”. Sappiamo invece che per conoscere bisogna appassionarsi e
l’amore richiede pazienza e forza.
Corso di lettura a voce alta
La lettura ormai è solo
silenziosa, mentale, fatta senza riprodurre i suoni delle parole.
Di solito quando si legge a
voce alta si fa più attenzione alla decifrazione dei segni che alla
comprensione del senso.
Molti sono capaci di spiegare
un testo, usando parole diverse dal testo; addirittura usando parole di altri
scritte intorno a quel testo. E’ meglio ascoltare direttamente l’originale, se
chi lo legge offre, mentre legge, delle chiavi per capire. Sarebbe meglio se la
lettura cólta, consapevole di un critico di professione avvenisse con le parole
del testo, attraverso la fisicità della sua voce, piuttosto che attraverso un
saggio.
Non si propone di buttar via i
saggi, e nemmeno le note a fondo pagina, ci mancherebbe. Non si tratta nemmeno
di imparare a fare gli attori: in questo caso gli obbiettivi e le tecniche
sarebbero diversi. Lo scopo del corso è prendere coscienza che il linguaggio
verbale è un fenomeno che riguarda tutto il corpo. La narrativa e la poesia si
capiscono meglio se sono anche gustate; adoperando tutte le nostre facoltà,
intellettuali e sensoriali.
Il linguaggio verbale è fatto
di suoni, che dovremmo imparare a sentir risuonare mentre leggiamo in silenzio.
Non si propone un corso di
recitazione, ma un metodo per diventare lettori migliori.
Tempi:
5 incontri di 3 ore
Obbiettivo:
informare sull’argomento
coinvolgendo i partecipanti nelle letture.
Osservazioni:
il numero dei partecipanti è limitato. All'incirca si riferisce al numero di
allievi di una classe.
Lo spazio deve essere bene
illuminato, bene areato e dotato di buona acustica.
Corso di lettura a voce alta in
classe
Obbiettivi:
·
dimostrare che la lettura a voce alta, realizzata
seguendo alcuni criteri, favorisce la comprensione del testo;
·
iniziare un’attività di formazione dei ragazzi sulla
lettura.
L’intervento è rivolto ad un
gruppo classe (20 allievi) della scuola dell’obbligo, dal 2° ciclo elementari
alla 3a media. E’ preferibile che al gruppo classe si aggiungano tre
o quattro insegnanti.
La proposta è estesa alle
scuole superiori.
Tempi:
2 incontri introduttivi di
un’ora ognuno con gli insegnanti interessati.
5 incontri di un’ora e mezzo
ognuno con i ragazzi e la partecipazione degli insegnanti. Per le scuole
superiori gli ultimi 3 incontri con gli studenti sono di 3 ore ognuno. Un incontro
finale di un’ora con gli insegnanti.
Metodi:
il conduttore legge un testo
breve; lo commenta; conversando con i ragazzi offre chiavi di lettura, parlando
del testo e di come è stato letto. Servendosi di schede-gioco introduce i
concetti di ritmo, intonazione, timbro, volume. Leggono i ragazzi. Il
conduttore interviene, aiutando a capire il testo e ponendo l’accento sulla
sensorialità suggerita dal testo, sulle emozioni.
Strumenti:
libri usati in classe, portati
dai ragazzi, proposti dal conduttore e dagli insegnanti.
Verifiche:
registrazione degli eventuali
progressi di comprensione del testo durante i cinque incontri. Colloquio
successivo con gli insegnanti.
Racconti per le scuole
1. Scuola
dell’infanzia e 1° ciclo elementare: fiabe contemporanee e fiabe popolari.
Tempo: 1 ora.
2. 2°
ciclo e media inferiore: fiabe e racconti di classici. Testi del programma
scolastico. Tempo: 1 ora.
3. Scuole
superiori: racconti classici e poesie (scelti dal programma scolastico o
suggeriti dai partecipanti). Tempo: 2 ore.
Scaletta di esempio per la
scuola dell’infanzia ed elementari:
·
in cerchio, massimo 50 bambini. Si crea un piccolo
anfiteatro nella classe, addossando, mediante un gioco, i banchi contro i muri
e disponendo le sedie a semicerchio (o ci si siede in terra); la cattedra può
essere un elemento scenico.
·
Il lettore è fra i bambini. Si conversa: storie
conosciute, personaggi che piacciono, situazioni della vita quotidiana che
possono ricordare una storia.
·
Si inseriscono un paio di giochi, collegati con il
raccontare. Chiacchierata sulla fiaba e i sogni. Le storie nella TV e nei
libri.
·
Letture.
I suoni dell’autore
Rivolto in particolare alle
Biblioteche.
Contenuti:
presentazione di autori di
narrativa o di poesia; o di movimenti letterari. Lettura di testi e
discussione.
La scelta degli argomenti e dei
testi è fatta dai bibliotecari, dai partecipanti e dal conduttore.
Periodo:
ottobre-giugno
Scadenze:
quindicinali o mensili
Tempo:
2 ore per intervento
Noi e la fiaba
Rivolto a insegnanti, genitori,
bibliotecari.
Contenuti:
fiabe note e ignote. Necessità
di raccontare e reinventare le fiabe.
Riflessioni sulla fiaba
attraverso Propp, Bettelheim, Calvino, Rodari e… noi stessi.
Formiamo un cerchio: nel mezzo
c’è un bambino immaginario. Perché gli piacciono le fiabe? Quali sono gli
elementi della fiaba che lo attraggono?
Proviamo a giocare – impegnando
anche il corpo – e ci troveremo dentro la fiaba (o favola, o racconto fantastico,
mitico, leggendario).
Attraverso un laboratorio
ritroviamo emozioni che forse abbiamo dimenticato e oggi ci sembrano
“infantili”.
Tempi:
5 incontri di 3 ore ognuno.
Osservazioni:
il numero dei partecipanti è
limitato. All'incirca si riferisce al numero di allievi di una classe.
Occorre del materiale: fogli di
carta da pacco, cartoncini, sacchetti di carta (tipo panificio), pennarelli
grossi colorati, pastelli a cera, spago, forbici, pinzatrice, scotch, stoffe,
giornali.
Lo spazio deve essere bene illuminato
e dotato di buona acustica. Con sedie e un tavolo.
Fiabe per tutti
Contenuti:
letture animate rivolte a
bambini, genitori e nonni.
Per “animare una lettura” si
intende aiutare l’immaginazione dell’ascoltatore, far “vedere” i personaggi e
le situazioni, adoperando il proprio corpo e qualche accessorio (accenni di
costumi, scenografie, maschere). Ma è soprattutto la voce che “drammatizza” il
racconto.
Periodo:
fra ottobre e giugno.
Scadenze:
si può pensare a
“L’appuntamento” settimanale, quindicinale, mensile.
Tempi:
1 ora per incontro.
Osservazioni:
Il numero dei partecipanti può
arrivare a 60 persone, fra bambini e adulti.
Lo spazio deve essere adeguato
come capienza e dotato di buna visibilità e acustica. Sedie sul fondo e
intorno; pavimento di moquette o coperto da tappetini.
1959 Allievo di Dora Setti ed
Esperia Sperani, si diploma presso l'Accademia dei Filodrammatici di
Milano.
1959 – 1975 E' scritturato come attore da Teatri stabili e Compagnie di giro. Lavora,
fra gli altri, con Alessandro Brissoni, Gianfranco De Bosio, Franco Enriquez,
Giorgio Strehler, Fantasio Piccoli, di cui è stato anche aiuto per alcuni anni.
1974 – 1984 Lavora come animatore per conto di Istituzioni pubbliche (Scuole e Comuni
lombardi, Provincia di Milano, Regione Lombardia, Provveditorato di Milano)
tenendo corsi rivolti a insegnanti e genitori.
1981 - 1988 Si occupa di doppiaggio,
realizzando soprattutto gli adattamenti dei testi.
Dal 1989 è in pensione.
Ha lavorato per la Rai come regista
radiofonico.
Ha insegnato presso una scuola
teatrale, organizzata dal Comune di Lissone.
E' socio del Teatro del Buratto.
Collabora alle attività di Biblioteche.
Tiene corsi sulla lettura a voce alta e
realizza letture di epistolari e di poesia. In particolare ha realizzato,
assieme alla pianista Delia Pizzardi, due spettacoli da camera su W.A. Mozart e
B. Bartók.
*Come si può aiutare la comprensione di un
testo mediante la lettura a voce alta
http://italian.education.lronhubbard.org/page58.htm
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