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ADDIO ELIO DE CONCINI

ROMA 17 NOVEMBRE 2008

Da La Stampa.it

18/11/2008 (7:28)

De Concini l'anima del cinema

PAOLO FESTUCCIA

È scomparso ieri a Roma Ennio De Concini, uno dei maestri del cinema italiano. Aveva 85 anni e circa 150 film all’attivo.

Chissà quale finale avrà immaginato. E quante volte lo avrà scritto e riscritto prima di quest’ultima dissolvenza di vita. Ieri sera a Roma, nella sua casa di via Stoppani nel quartiere Parioli si è spento Ennio De Concini, il più prolifico sceneggiatore del cinema italiano. In silenzio.Adaccompagnarlo la moglie Ninni, il figlio Corrado e quel «rumore» del silenzio, così mistico, irreale, che sempre rimbomba nel sonoro delle colonne cinematografiche. Ennio lo metteva sempre, nei suoi lavori. Era il suo sigillo, il marchio inconfondibile di un grande scrittore, ma anche di un grande personaggio. Schivo, riservato, umile e generoso, che ai clamori della ribalta preferiva le passeggiate silenziose nel piccolo borgo di Albaneto.

E lì, in quel minuscolo centro di cinquanta famiglie, alla porte di Leonessa salivano tutti, personaggi noti e meno noti, amici, vip, grandi attori e registi. Tutti per un consiglio, una visita,masoprattutto alla ricerca di idee. E di idee Ennio ne aveva tantissime, e grazie alle idee aveva fatto la sua grande fortuna di autoremaanche quella di decine di produttori. Era «il maestro». Per tutti, indiscusso, riverito, osannato, talvolta addirittura inarrivabile. Gli amici, da Risi a Montaldo, lo definivano il «più grande architetto del cinema». Ma De Concini era anche altro e, soprattutto, uno straordinario cantore di emozioni. Uno scrittore di razza, colto e raffinato, che da oggi lascia un grande vuoto nel panorama cinematografico italiano, e che nella sua lunga carriera ha raccontato pagine straordinarie di cinema ma anche di televisione. Nei suoi lavori guardava l’Italia, un Paese diverso, in continua evoluzione.

Sua l’intuizione della Piovra televisiva, maanche di Storia d’amore e di amicizia, di Operazione San Gennaro, e di Divorzio all’italiana con il quale, insieme a Germi e Giannetti, ottenne nel ‘63 l’Oscar per la miglior sceneggiatura originale. Ennio lo chiamava «l’Oscaretto», lo teneva appoggiato nella sua libreria insieme a decine di altri premi e a migliaia di volumi, di ogni genere, che lo hanno sempre accompagnato nella sua lunga carriera. Ma per Ennio, in fondo, non contavano poi così tanto. A lui interessavano la vita, le emozioni. Ogni giorno, ora dopo ora.Amavariflettere, isolarsi nella scrittura, pensare e soprattutto sperare. Era enigmatico, curioso, alla continua ricerca di se stesso, dell’aldilà. E nei suoi lavori raccontava i suoi dubbi, le incertezze dell’uomo, la precarietà della vita. Avrebbe voluto fare solo lo scrittore e invece diceva di essersi ritrovato, grazie al cinema, come«un fallito di successo». Di grande successo, con oltre 200 film scritti. Aveva iniziato come aiuto regista in Sciuscià, poi la scrittura.

Arrivò il successo, i successi uno dopo l’altro come perle in fila di una lunga collana: Mambo, L’ombrellone, La lunga notte del ‘43, Il ferroviere, Italiani brava gente, Il grido. Ma anche film epici, storici, quelli che De Concini chiamava «i sandaloni», come Il Colosso di Rodi. E tanta televisione. Di tutti i generi: da Disperatamente Giulia a Little Italy, fino a Storia d’amore e d’amicizia.

 

Addio Ennio De Concini

 

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