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Carmelo Bene

Il 16 marzo 2002 Carmelo Bene ci ha lasciato....

Addio Carmelo Bene... Grazie per le grandi emozioni che ci hai regalato.

Il teatro piange Carmelo Bene genio e sregolatezza

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Attore, regista, autore: su di lui si dividono critica e pubblico

aveva 64 anni,  è morto a Roma

ROMA - Il dibattito, che lui non ha mai amato, è aperto: grande attore, genio assoluto o grande ingannatore, genio sì, ma solo della comunicazione. Su Carmelo Bene, morto questa sera (da ieri era in coma) nella sua casa romana all'età di 64 anni, critici e pubblico si dividono da sempre. E continueranno a farlo.

Nato a Lecce nel 1937, cominciò a manifestare la sua personalità già all'Accademia d'Arte Drammatica, dove non completò il triennio di studi. Disse poi d'essersene andato per ragioni ideologiche; in realtà lo cacciarono per indisciplina.

Nel 1959 debuttò con "Caligola" di Albert Camus; con ammirazione e un po' di sospetto pochi spettatori e alcuni critici illustri (Flaiano e Chiaromonte) battezzarono la carriera di un "enfant terrible" della cultura italiana, primo e più grande eroe delle "cantine teatrali" romane.

Nel 1960-61 l'attore-regista crea "Spettacolo Majakovskij" e "Pinocchio": due personaggi sui quali tornerà negli anni successivi. Nel 1963 accade un famoso episodio apocrifo: nel romano Teatro Laboratorio (26 posti) un attore orina su uno spettatore. In realtà si tratta di un argentino che ha riconosciuto in platea l'ambasciatore del suo Paese; ma da allora le biografie di Bene attribuiranno a lui la performance, perfettamente in stile con il personaggio.

Del 1966 è la scoperta di Antonin Artaud e del suo "Teatro della crudelta", seguendo la cui estetica (teatro antiborghese, antinarrativo, antipsicologico) nascono "Il monaco" e il più famoso "Nostra signora dei turchi". Comincia anche il lungo sodalizio artistico-sentimentale con l'attrice Lydia Mancinelli.

Mentre si proclama "la fantasia al potere", fra il 1968 e il 1974 Carmelo (molti lo chiamano già senza il cognome) esce definitivamente dalle "cantine" e raggiunge i grandi teatri con "Don Chisciotte" insieme a Leo De Berardinis, "La cena delle beffe" insieme a Gigi Proietti, e "S.A.D.E." in mezzo a molte belle ragazze nude. Si alimenta allora la leggenda di un Bene tiranno dei suoi compagni di scena e soprattutto delle sue partner (la Mancinelli si allontana già da lui).

I secondi anni Settanta sono dedicati ai suoi personalissimi "Amleto", "Romeo e Giulietta", "Riccardo III", "Otello", alcuni dei quali anche in versione tv: spettacoli, nei quali resta generalmente poco del testo originale, annegato in un mare di musica. Sono infatti dei "meta-spettacoli", rutilanti caleidoscopi di scene e costumi (come la foresta di bicchieri giganti di "Romeo e Giulietta"), di citazioni letterarie (soprattutto Laforgue) e di figuranti che lasciano spazio solo alla voce del protagonista-demiurgo, che diventa un virtuoso dell'amplificazione del play back.

Negli anni Ottanta Carmelo è oramai un mito e per i francesi anche un guru intellettuale, santificato dal filosofo Gilles Deleuze. I suoi spettacoli cominciano a diradarsi, si concentrano ulteriormente sulla sua persona, e sono sempre più a rischio di rinvii, di capricci contrattuali e intemperanze umorali dell'attore: fra questi il "Manfred" (il poema di Byron con orchestra dal vivo). Poi comincia l'era dei remake ("Amleto", "Macbeth"), delle autocitazioni ("Pinocchio", "Nostra signora dei turchi"), dei recital con amplificazioni da concerto rock (Dante, Leopardi, Campana, D'Annunzio).

Intanto affiorano segni di stanchezza artistica e personale: la sua direzione della Biennale viene giudicata costosa e inconcludente, mentre quattro by-pass cardiaci preoccupano i suoi fan; polemista accanito nei talk show tv (anche come tifoso della Roma), litiga spesso con i critici, i teatri e la moglie (l'ex miss Italia, Raffaella Baracchi), finendo ogni volta sui giornali o al commissariato, mentre Bompiani pubblica un monumentale volume di "Opere" di 1500 pagine.

E lui chiosa: "Io sono già un classico perchè vivo nell'eternità, sono eternamente vivo".

(16 marzo 2002)

Ghezzi: "Carmelo Bene non è mai nato. Dunque non è morto"
e Costanzo: "Limitativo chiamarlo attore"


Veltroni: "Un lutto enorme
per la cultura italiana"



 

ROMA - Forse sarebbe piaciuta a Carmelo Bene, artista della provocazione e del sentimento di sé, la rarefatta ironia con cui Enrico Ghezzi ha commentato la morte del grande attore, regista e autore teatrale: "Per uno che da tempo, orgogliosamente e umilmente, si proclamava 'non nato', non riesco a non dire che non sia neppure morto". Ghezzi, intellettuale e autore televisivo, in "Fuori orario" ha ospitato spesso filmati e brani di teatro di Bene. Con lui ha anche scritto per Bompiani un "Discorso su due piedi", dedicato al calcio. "Anche a leggere a caso dal suo volume di opere sui temi più diversi, dalla politica allo spettacolo - dice adesso - ci si accorge che quello di Carmelo è sempre davvero un discorso postumo, così postumo da scavare la fossa a chiunque cerchi di farne uno su di lui. Tra tutti mi sembra strepitoso, rileggendolo oggi, il discorso su Manzoni e la volgarità del politico, che risale al 1984".

La prima reazione dagli ambienti del governo è giunta da Vittorio Sgarbi, sottosegretario ai Beni culturali: "Ho avuto un momento di malinconia. I nostri rapporti erano particolarmente intensi. Dopo aver avuto polemiche molti anni fa, ci siamo poi ritrovati". Tra i motivi del ritrovarsi Sgarbi cita i "comportamenti beffardi" che in fondo li accomunavano.

"Proprio pochi giorni fa - spiega Sgarbi - Bene mi aveva fatto chiedere dove avrebbe potuto far destinare le numerose opere d'arte della sua collezione. Spero che abbia avuto il tempo di sapere che avevo indicato quattro o cinque centri che ritenevo adeguati ad ospitarli. Sarebbe triste che questo patrimonio venisse disperso". E' importante, secondo Sgarbi che "rimanga qualche cosa di suo oltre alla sua arte. Perdiamo una personalità anomala in un mondo di ipocrisia di falso perbenismo e di tapirismi, uno dei pochi che non avessero acceduto al pensiero unico. Un uomo che era simpatico nel suo essere antipatico".

Il sindaco di Roma, Walter Veltroni, parla di "un lutto gravissimo non solo per il teatro ma per tutta la cultura italiana". Bene è stato "uno dei protagonisti essenziali della cultura italiana del dopoguerra, uomo di teatro che ha saputo, come pochi altri, innovare, percorrere le strade di un'avanguardia spesso provocatoria, sempre animata da fortissimo spirito critico, riconosciuto universalmente. A Carmelo Bene il teatro e la cultura italiani debbono moltissimo: la sua assenza si farà purtroppo sentire".

Tra i primi a ospitare il controverso attore-regista facile alla polemica, è stato negli anni Settanta (in "Acquario") Maurizio Costanzo, che lo avrebbe rivoluto in una celebre puntata del "Costanzo Show" nella formula dell'uno contro tutti. La preferita da Carmelo Bene, in scena e nella vita.

"Sono veramente addolorato - dice dunque Costanzo - è
scomparsa una persona che era molto limitativo definire soltanto attore. I ricordi di Carmelo sono tanti: tra questi uno strepitoso Pinocchio a teatro. Genio è sempre una parola difficile da usare ma Bene era un ricercatore, uno studioso, un performer che aveva fatto un lavoro sulla voce davvero particolare".

A proposito del rapporto di Bene con la tv, Costanzo ha detto: "Quello che faceva lui poteva sembrare antitelevisivo per eccellenza, ma in realtà non si è mai rifiutato di venire a parlare in tv e, pur essendo di difficile gestione, tutto quello che diceva era così affascinante da riempire lo schermo di per sè, senza aver bisogno di commenti".

(16 marzo 2002)
IL COMMENTO

Romantico teppista
fiabesco dicitore



di ENZO SICILIANO
 

LA VITA di Carmelo Bene ha attraversato due fasi. La fase dell'azzardo e dell'avventura; e una seconda fase che potremmo chiamare della cerimonialità. Senza dimenticare però che tutto è stato vissuto da lui all'insegna della teatralità pura, di una teatralità che si nutriva in smorfia della tradizione italiana del "grande attore" e insieme del bisogno di trascinare quella tradizione ai suoi effetti residuali, grotteschi, comici, facendone ciarpame vocale e visivo in una cornice di splendori espressivi ispirati a uno stile che aveva Baudelaire al proprio ombelico.

Un suo primo Caligola di Camus, recitato fortunosamente al Teatro delle Arti di Roma, fece subito storia. Ma più storia fece una leggenda: quella di un giovanotto che in una villa romana, alba degli anni Sessanta, invitato a tenere uno spettacolo da salotto, avesse fatto pipì all'anilina in grembo a un illustre uomo di lettere come Paolo Milano - in quel gesto, la leggenda vuole fosse consistito l'intero spettacolo.

Seguirono le messe in scena in un teatrino, sempre a Roma, dalle parti di piazza Bologna, di personalissime escogitazioni su testi d'autore come la Salome di Oscar Wilde applauditi da spettatori esigenti che erano Flaiano o Sandro De Feo. De Feo ci andava, ci ritornava e applaudiva frenetico: trascinava con sé più amici che poteva, seguito sempre dall'ombra pacifica di Ercolino Patti.

Il sipario del Teatro delle Muse, questo il nome del locale, si apriva su una mareggiata di stracci da trovarobato, su un piazzato di luci che ne schiacciava le prospettive. Il regista, l'attore, aveva la sapienza di conquistarti con la beffa contro ogni illusione teatrale, iscrivendo il proprio gesto nelle cifre di un'arte manierista dai connotati ambiguissimi, in una parodia che abusava di se stessa e insieme si trasformava in lirismo altissimo, nell'alone di un inconsueto romanticismo per il boccascena italiano. La voluttà per una bellezza maculata e intorbidata, secondo il dettame di Baudelaire, trionfava.

Bene era pugliese: i pugliesi sono spesso dotati di un istinto farceur trascinante; ma in lui c'era anche un secondo istinto, quello del vorace affabulatore intellettuale. Faceva razzie nel melodramma, nel noir, nell'ormai cariato spettacolo di varietà; e ciò che sembrava voler distruggere era poi oggetto di una infiammata passione. Il suo amore forsennato per tutto quanto era assoluta deriva nel mondo teatrale si incendiava di odio apparente.

Metteva in scena Amleto recitando su casse da imballaggio che quasi arrivavano al soffitto, e lassù prendeva a schiaffi Ofelia ("Va in convento... va in convento!...") quasi facendola sanguinare. Oppure, quando aggrappato a una corda, dalla cavità del palcoscenico si lanciava in volo sulle teste del pubblico per immagarlo nei panni di un personalissimo Pinocchio, si aveva la certezza che il teatro potesse violare tutto il possibile tanto ricchi diventavano i suoi connotati, tanto trascinanti erano le invenzioni interne alla sua grammatica.

Il teatro era una certezza, in tutte le sue forme, in tutte le sue esperienze: e il languore lunare nel quale Carmelo si fasciava con il flusso nasale della sua voce, quelle certezze e quelle esperienze vestiva alla maniera di un miraggio alla cui seduzione era impossibile scampare.

Avvenne poi che l'esplosione vitale di tanta fantasia cercasse una personale e illustre codificazione. Carmelo cristallizzò la sua arte di maniacale e fiabesco dicitore in dispositivi sofisticatissimi sfruttando l'offerta d'una serie sempre rinnovata di protesi acustiche. Al romantico teppismo della prima ora seguì l'eletto virtuosismo della fase seconda.

Lo spettacolo si mutò in un trionfo di microfoni e diffusori dentro i quali il grande attore lasciava nuotare le sottigliezze della propria vocalità pensante. Majakovskij, Dante, Leopardi, sussurri e sgargianti vocalizzi furono materia di una nuova larghissima seduzione sul pubblico. Non più piccole sale, ma spazi aperti e, magari, un teatro d'opera con i suoi velluti rossi, i suoi stucchi dorati, violati però dal funebre cerimoniale delle intermediazioni tecnologiche della modernità.

Direi che Carmelo Bene fosse affascinato dallidea del "concerto" al modo di un cantante rock. Quel modello, un naufragio nella folla, desiderò con violenza disegnarselo sul proprio corpo. Ma quel corpo restò pur sempre quello di un menestrello di secoli lontani che, impossessatosi della strumentazione più sofisticata dell'ingegneria fonica, vi filtrava la propria incorrotta nostalgia per emozioni da sillabarsi comunque nell'intimità solitaria del cuore e della mente.

Il nostro teatro non è teatro di strutture funzionanti in continuità, anzi è un teatro devastato nelle proprie strutture: casomai è solcato da meteore che mandano scintille incantevoli in un buio pesto, in un buio dove si combattono faziosità incrociate e colpevoli. Carmelo Bene fu una di quelle meteore, la più luminosa di tutte, vittoriosa su qualsiasi faziosità. Senza di lui il buio si è fatto ancora più pesto.

(17 marzo 2002)

Il teatro piange Carmelo Bene genio e sregolatezza

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