Il Disegno di Legge sulla
"Parità scolastica":Venerdì 18 luglio 1997, il Governo dell’Ulivo ha finalmente presentato l’atteso Disegno di Legge sulla cosiddetta "parità", intitolato "Disposizioni per il diritto allo studio e per l’espansione, la diversificazione e l’integrazione dell’offerta formativa nel sistema pubblico dell’istruzione e della formazione". Prima di svolgere alcune considerazioni sulle reazioni del mondo politico ed ecclesiale, é opportuno esaminare il testo del DdL e le sue modalità di inserimento nel "mosaico complessivo" della Riforma (1), già descritte in linea generale su Il Secolo d’Italia dell’11-6 e dell'11-7 (2) scorsi, cui rimando per ciò che non viene qui esposto.
Il progetto educativo soggiacente al provvedimento é rilevabile dalla dichiarazione d’apertura: "
La Repubblica individua come obiettivi prioritari la generalizzazione della domanda di istruzione dalla prima infanzia lungo tutto l'arco della vita e la corrispondente espansione dell'offerta formativa". Questo principio - coniato dai pedagogisti di orientamento "laico e progressista" e condiviso da quelli marxisti -, é chiamato "educazione permanente" ed é stato definito come una pratica che orienta "i processi profondi della formazione degli individui [per] accompagnarli ai bivi attraverso i quali essi passano, nell’inquietudine e nel dubbio, nella speranza e nella gioia, nei conflitti drammatici"(3): insomma, il tipo di educazione più totalitaria e funzionale al socialismo tecnocratico dei nostri giorni. Del resto, nell’articolo 4 si attribuisce priorità "alle iniziative a forte contenuto specialistico nei settori trainanti dell'economia nazionale e nei settori di nuova espansione", riproponendo così il primato dell’"homo faber" sull’"homo sapiens", che era stato artatamente nascosto in occasione della presentazione del DdL inteso al Riordino dei cicli scolastici, del 3 giugno 1997.Il ruolo della famiglia é riconosciuto - solo apparentemente - con la promessa, fatta al secondo comma dell’art. 3, di "
alleggerire, anche mediante sgravi fiscali, gli oneri sostenuti dai genitori per il costo dei libri di testo, dei sussidi didattici di uso personale e delle rette e a sostenere gli alunni in condizioni economiche disagiate". Peccato però tali sgravi siano, di volta in volta, "determinati con la legge finanziaria" e, pertanto, subordinati agli "stanziamenti previsti negli attuali capitoli di bilancio per la scuola non statale", i quali - per giunta - riguardano esclusivamente la scuola materna e quella elementare (4): il tanto millantato "finanziamento" si rivela così un mero imbroglio che, oltre a precludere definitivamente il sostegno alle famiglie con figli che frequentano le medie e le superiori, darà luogo a un periodico ricatto del Governo alle famiglie e alle scuole libere!Anche in relazione alla funzione sussidiaria che lo Stato dovrebbe assumere in ambito educativo vi è di che rimanere delusi: al primo articolo del DdL, oltre ad insistere su un progetto educativo che non dovrebbe avere, lo Stato si attribuisce il compito di stabilire "
il valore e il carattere di servizio pubblico delle iniziative di istruzione e formazione, promosse da enti e privati" sulla base della corrispondenza "agli ordinamenti generali dell'istruzione". Il genere di controllo dello Stato sui vari progetti educativi viene precisato al comma 2 dell’art. 2 che impone - tra l’altro - "fini e ordinamenti didattici conformi a quelli delle corrispondenti istituzioni pubbliche statali". Come se non bastasse, il successivo comma 4, sancisce che la permanenza dei requisiti che hanno permesso il riconoscimento del "servizio pubblico prestato" verrà periodicamente verificata dallo Stato e dalle Regioni, "nell'ambito delle rispettive competenze", "con appositi regolamenti": si può immaginare come saranno "aperti e liberali" quelli emanati dalle regioni "rosse"!Per quanto riguarda i docenti il pensiero corre immediatamente ai tanti insegnanti, docenti e formatori che - pur lavorando da anni in istituzioni non statali - si troveranno privi della "
idonea qualificazione professionale", richiesta dal comma 2 dell’articolo 2. Il riferimento legislativo é all’acquisizione della berlingueriana nuova Laurea in Scienze della Formazione per la scuola Primaria e Secondaria, prevista dai DPR n. 470 e 471, del 31-7-1996. A questi insegnanti, che prima non avevano bisogno di alcuna abilitazione statale, si presenterà la possibilità di "scegliere" tra la perdita del posto di lavoro o il farsi "normalizzare" col nuovo corso di laurea, per ricominciare comunque la carriera daccapo. Da questo punto di vista, la "magnanima" concessione di "avvalersi di prestazioni volontarie di personale docente" [cioè dell’opera gratuita delle buone suorine dell’asilo sotto casa] "in misura non superiore ad un quarto delle prestazioni complessive", costituisce un’autentica beffa: quante di loro sono infatti fornite "di titoli scientifici o professionali adeguati ai compiti affidati"?
Ma, allora, cosa é stato fatto per la Scuola non statale?
Prima di rispondere é necessario rendere noto che, mentre il Ministro continuava a rilasciare interviste sul tema "parità", sviando di fatto l’attenzione degli osservatori, una piccola ed inosservata direttiva ministeriale - la n. 307 del 21-5-97 - istituiva un Comitato di Coordinamento,
necessario proprio "in relazione alla problematica della "parità" fra scuole statali e non statali", per "dare una coerenza complessiva alle suddette attività anche attraverso una progettazione ed una gestione intersettoriale delle medesime"(5). La stessa direttiva affidava al Centro Europeo dell’Educazione il Servizio Nazionale per la Qualità dell'Istruzione, volto ad "avviare attività di supporto e verifica della qualità del prodotto educativo", di cui ai DM 296/96 e 328/96: l’importanza di quest’ultimo servizio é stata efficacemente spiegata dall’On. Berlinguer: "Dove la qualità scende [...] lì affluiranno meno finanziamenti dallo Stato"(6). Per giunta, a presiedere tale servizio é stato designato il prof. Aldo Visalberghi, che é forse il massimo rappresentante di quella corrente pedagogica detta di "democrazia laica", fautrice di una sintesi tra la pedagogia marxista e quella laica e progressista.Ecco dunque
- per tornare al DdL sulla parità - inquadrato l’art. 2 secondo cui le scuole libere "sono soggette alla valutazione dei processi e degli esiti da parte del servizio nazionale per la qualità dell'istruzione, e delle apposite strutture per la certificazione e l'accreditamento degli enti di formazione professionale, secondo gli standard stabiliti dagli ordinamenti vigenti per le scuole statali". La scuola non statale, allora, ha solo "diritto" ad essere controllata: sui "livelli di qualità ed efficacia"; sugli "standard stabiliti per le corrispondenti istituzioni pubbliche statali e regionali"; sull’organizzazione interna che dovrà essere "improntata ai principi della democrazia e della partecipazione" (leggasi Decreti Delegati e Statuto degli Studenti); sulla ferrea "disponibilità a possibili collaborazioni a progetti per l'integrazione dell'offerta formativa sul territorio" (ossia con gli Istituti per lo Studio della Resistenza e similari).
Se, come la stampa ha ampiamente commentato
(7), con questo DdL lo Stato ha finalmente dato corso al dettato costituzionale, allora hanno avuto ragione gli esponenti del Polo per le Libertà a esprimere sdegno: l’On. Angela Napoli ha accusato il Governo di "prendere in giro le scuole non statali"; il sen. Riccardo Pedrizzi ha affermato "chissà quanto tempo ancora dovremo attendere per il riconoscimento della parità"; il sen. Maurizio Ronconi ha denunciato "un vero e proprio inganno nei confronti di tutto quel mondo che con fiducia attendeva un segnale da questi ministri"; l’On. Carlo Giovanardi ha dichiarato che "si introducono oneri e vincoli che mortificano la scuola non statale"; l’On. Valentina Aprea si é augurata che le "forze trasversali interessate a dare una piena attuazione alla libertà di scelta delle famiglie possano imporre quella scelta che il governo non é riuscito a fare".Difficile da spiegare, invece, l’atteggiamento di Rifondazione Comunista, dei Verdi e del Pri-Rinnovamento Italiano: siamo di fronte a un "gioco delle parti" o davvero questi partiti non si rendono conto che il DdL porta ad un totalitario controllo statale di tutte le scuole in cambio di poche lire?
Tuttavia, la reazione più stupefacente viene dagli ambienti cattolici vicini alla Conferenza Episcopale, che - paradossalmente e dopo le famiglie - erano forse i maggiori interessati al DdL. Forse ignari di venire ancora una volta gabbati dal PPI, i più importanti esponenti di alcune delle maggiori organizzazioni di scuole e di genitori sono riusciti a vedere nel DdL un
"riconoscimento del servizio pubblico" svolto, la riaffermazione del "ruolo dei genitori in campo educativo" e una "filosofia della legge che punta a privilegiare questo diritto della famiglia"(8). La palma per la somma miopia - lo scrivo con dolore - spetta purtroppo a un’agenzia vicina alla Conferenza Episcopale, secondo la quale il riconoscimento del carattere di "servizio pubblico", "dà attuazione ai grandi principi costituzionali, all’indirizzo che la Repubblica, cioè la cosa pubblica, non si esaurisce nello Stato".Ma forse tale agenzia sta parlando di un altro "disegno", non già del Disegno di Legge sulla parità: deve essere chiaro però che di qualsiasi altro disegno si tratti - e in qualunque modo esso venga motivato - non potrà mai venire condiviso da quanti credono nel diritto naturale. E questo perché il Disegno di Legge ulivista é radicalmente contrario al bene comune e al diritto primario e inalienabile della famiglia nell’educazione dei figli.
David Botti