La Riforma "Berlinguer": natura e metodologia
Elementi per un’opposizione consapevole e complessiva
(Articolo apparso - senza note - su Il Secolo d'Italia del 11-6-97, col titolo Spunta la scuola dell'avvenir)
Dalla nascita del Governo dell’Ulivo i media si occupano di problemi scolastici con un’intensità forse riscontrabile solo negli anni "caldi" della contestazione.
Il responsabile dei tre ministeri che regolano gran parte dell’attività educativa del nostro paese, On. Luigi Berlinguer, produce a ritmo incessante una grande quantità di documenti – in bozza o definitivi –, sui quali i commentatori emettono giudizi contrastanti: consenso per la maggiore sensibilità verso il mondo del lavoro e scandalo per la critica al liceo classico; favore per la semplificazione delle pagelle ma perplessità per l’importanza attribuita allo studio del Novecento, e così via.
Anche tra le fila dell’opposizione si ha forse l’impressione di un comunista sui generis: un tipo un po’ pasticcione, ma forse deciso a rinnovare, finalmente!, la fatiscente scuola italiana.
La maggiore difficoltà nell’inquadrare l’opera del Ministro, e della
ventina di funzionari di area PDS che lo coadiuvano, è data proprio dal fatto che non è ancora stata presentata - e forse non lo sarà mai (1) - una "grande" proposta di legge, ma soltanto dei provvedimenti settoriali, molti dei quali passano pressoché inosservati.Se è difficile dimostrare che - grazie a un’abile gestione di interviste e comunicati stampa -, si è attirata l’attenzione degli esperti su alcuni provvedimenti di facciata (come ad esempio la circolare relativa alle celebrazioni di Gramsci), mentre altri sono stati presentati come di natura meramente amministrativa, è però certo che pochissimi hanno tentato di capire la prospettiva di tutti gli interventi sinora disposti, nonostante il Ministro abbia apertamente affermato di aver "intenzione di tracciare un disegno complessivo per intervenire ed applicare una tessera per volta" (
2).La nostra intenzione consiste, perciò, nel tentare di dare una chiave univoca per la lettura di questo "disegno complessivo", classificando alcuni provvedimenti - più e meno noti - del Ministro all’interno di cinque tematiche principali (I fini dell’educazione, lo Stato, la famiglia, i docenti e le scuole libere) e, quando utile, "illuminandoli" con spiegazioni di fonte progressista.
Il fine del progetto educativo soggiacente la riforma è di
fare dell’uomo un "capitale produttivo" capace di adattarsi ai cambiamenti e, anzi, in quanto cittadino veramente democratico, velocizzare il progresso (3).Se è vero che il Disegno di Legge (DDL) presentato il 2-6-97 al Consiglio dei Ministri, non afferma più che la "centralità delle risorse umane" è data dall’essere "strumento per sostenere la crescita economica e la competizione a fronte di uguali livelli di investimento" - come invece si affermava nel documento Riordino dei cicli scolastici (d’ora in avanti abbreviato in Riordino), presentato dal Ministro al pubblico il 13-1-1997 (
4)-, è altrettanto vero che questa è l’unica variazione accolta dal Ministro: è cambiata l’etichetta ma non i provvedimenti proposti (5).Infatti, tutti i documenti sinora emanati - da quelli apparentemente "neutri", come l’Ordinanza Ministeriale (OM) n. 400, del 30-7-96, istitutiva di "Corsi per adulti finalizzati all’alfabetizzazione culturale e ad una prima formazione professionale", passando per il Decreto Ministeriale (DM) n. 26 del 10-1-97 che prevede di "assicurare l'unità di indirizzo dei programmi di sviluppo" concordandoli con "il Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, il Ministero del Bilancio e della Programmazione Economica, con l'Ispettorato Generale per il Fondo di Rotazione presso la Ragioneria Centrale del Ministero del Tesoro", per giungere alle più note D.M. n. 681 e 682 del 4-11-96 relative a "Modifiche delle disposizioni relative alla suddivisione annuale del programma di Storia" (
6) -, fanno riferimento a un progetto educativo apparentemente finalizzato a sostenere la crescita economica.Ma perché l’uomo sia un efficiente ingranaggio della "società che cambia", occorre che "il sistema dell’istruzione perda la sua caratteristica di struttura fortemente piramidale, dove ogni ciclo di studio ha funzione fondamentalmente propedeutica rispetto ai cicli successivi" (
9): la logica è la stessa della "media unificata" degli anni '60, obiettivo del fronte marxista almeno dai tempi di Antonio Gramsci: "occorre dunque non moltiplicare e graduare i tipi di scuola professionale, ma creare un tipo unico di scuola preparatoria (elementare media) che conduca il giovinetto fino alla soglia della scelta professionale, formandolo nel frattempo come persona capace di pensare, di studiare, di dirigere o di controllare chi dirige" (10).Perciò, la tanto enfatizzata attenzione al mondo del lavoro — presente anche in alcune sperimentazioni
antecedenti il Ministero Berlinguer, come per esempio la c.d sperimentazione "Brocca" (11) — sembra piuttosto funzionale a una sorta di socialismo tecnocratico (12), che abbisogna di personale forgiato — come spiega la Proposta per l’istituzione de "Il liceo delle scienze sociali" — in modo da "superare la distinzione tra teoria e pratica in una concezione poietica del sapere" (13); ovvero, per dirla con le parole dell’on. Berlinguer, da "superare la concezione in base alla quale certa cultura ha carattere "disinteressato"": anche "l’annegamento" del Liceo Classico (14) all’interno del citato Riordino dei cicli formativi, oltre ai giusti rimpianti per la "scuola che fu", favorirà la produzione di un tipo umano culturalmente indifferenziato che avrà come "abilità" principale la capacità di adattarsi al progressivo divenire.La definitiva conferma viene dalla lettura di buona parte degli interventi della "Commissione tecnico - scientifica per avviare, in modo coordinato a quella sugli ordinamenti, una discussione - la più ampia possibile - sulle conoscenze fondamentali su cui si baserà l’apprendimento dei giovani nella scuola italiana nei prossimi decenni", di cui al D.M. 50 del 21-1-97, particolarmente significativa perché ha raccolto i contributi di numerosi e importanti esponenti della "cultura" più in voga e in quanto preparatoria alla
revisione dei programmi di insegnamento di tutte le materie delle scuole di ogni ordine e grado. Tra i numerosi verbali di questa Commissione, facenti parte dell’Ipertesto emanato il 13-5-97 e pubblicato su Internet dal suo coordinatore prof. R. Maragliano, è da segnalare quello dell’8-4-97, relativo a un’intervento scritto della prof. suor Enrica Rosanna, Preside della Pontificia Facoltà di Scienze dell’Educazione "Auxilium", in cui, nel dissociarsi dal documento finale proposto, manifesta "alcune perplessità sul senso che si dà alla parola "democrazia" utilizzata nella premessa. Non le sembrano chiari l'obiettivo a cui si fa riferimento, il tipo di cittadino che si presuppone, le responsabilità che si invocano [...] Il criterio che guida la bozza sembra essere quello "efficientista" competitivo; la formazione sembra finalizzata allo sviluppo socio - economico, col rischio conseguente di favorire la "chiusura" regionalistica anziché un'autentica apertura agli altri, al mondo. Lo stesso richiamo alla "globalizzazione" non sembra esca dalla preoccupazione di carattere economico. Sono del tutto assenti la concezione dell'uomo come persona, un orizzonte di senso che comprenda la trascendenza e, di conseguenza, un vero concetto di paideia e di scuola" (15).Le perplessità della prof. Rosanna hanno sicuramente avuto origine - oltre che dalla bozza di documento collettivo, poi non approvata - anche dal complesso degli interventi uditi durante le varie sessioni, come ad esempio quello svolto il 18-3-97 dal prof. Tullio De Mauro, di area PDS, secondo cui "le nuove società devono imparare a guardare, dentro e oltre i labirinti della complessità, per estrarre dalle tendenze in atto una adeguata previsione di scenari del futuro in ogni parte del globo [...] queste società, questi popoli possono amministrare la loro sopravvivenza solo controllando la interdipendenza multinazionale e multietnica che si è creata tra loro: una interdipendenza che investe tutt'intera la loro vita, le basi produttive e l'intrattenimento, il costume e la ricerca fondamentale, le tecnologie e gli spettacoli, l'assetto politico e gli orientamenti etici. Forse è presto per dire che gli stati nazionali appartengono al passato, a una parentesi cruenta e gloriosa, fosca ed esaltante della storia delle culture umane tra XV e XX secolo. Certo è che si impone qualche forma di coordinamento stretto sovrastatuale".
L’intervento del prof. De Mauro convalida il potenziale e ulteriore scenario rispetto alla prospettiva "di mercato". Infatti, le tesi di "numerose correnti della pedagogia sociale americana", non contraddicono la visione pedagogica marxista, ma ne costituiscono un momento ed un completamento, perché "anche se si ammette - come nelle teorie americane - la cosiddetta mutevolezza della civiltà, ci si riferisce soltanto a una certa trasformazione del mercato del lavoro e dello stile di vita quotidiana, e non alla trasformazione radicale del regime sociale [...] il legame tra l'educazione degli uomini che si trasformano con l'attività degli uomini che trasformano le circostanze resta ancora [...] il principio direttivo fondamentale - e inesauribile nella sua ricchezza - dell'educazione" (
16): "la nostra opera educativa deve consistere nel trasferire il centro dell’universo pedagogico non dall’educatore al discente, bensì dal passato al futuro" (17).
Quanto sinora esposto in tema di finalità educative comporta la riduzione del diritto naturale e primario della famiglia nell’educazione: nella logica della riforma, la famiglia non deve ostacolare il progresso con il naturale esercizio della sua influenza sui "futuri cittadini", e deve possibilmente essere sussidiaria all’azione dello Stato. Il citato prof. De Mauro pone il problema nei seguenti termini: "non possiamo dare troppa fiducia ai genitori e agli insegnanti nel creare la riforma, perché sono delle realtà immature, dobbiamo quindi governare la riforma dal centro" (
18).La tesi esposta trova un’eclatante conferma nella Proposta del MPI di riforma della legge 148/1990 (relativa alle scuole materne ed elementari) che, mentre adombra l’ipotesi di una frequenza scolastica anche di
quaranta ore settimanali, afferma: "E' necessario confermare e consolidare le condizioni di qualità del tempo scolastico, rimuovendo le diverse difficoltà presenti (strutturali, inadempienze dell'ente locale, resistenze delle famiglie). Il tempo scolastico è un valore" (19). Il Ministro stesso ne ha dato conferma dichiarando che "La scuola dell’autonomia può far svolgere nella scuola alcune delle attività che oggi le mamme organizzano fuori" (20).L’uso della Scuola come "alternativa" alla famiglia, trova un’altra conferma nella direttiva ministeriale n. 133/96 (
21), inerenti il "Regolamento per apertura pomeridiana delle scuole", in cui si elenca la tipologia delle attività realizzabili: "teatro e animazione; ascolto ed esecuzione musica; giornali studenteschi; laboratori letterari; realizzazione libri, fumetti, video e audiocassette; concerti; conferenze; sport; tornei; gemellaggi; approfondimento di argomenti di attualità guidato da docenti; attività educative, culturali, ludiche, sportive anche aperte al territorio [...] possibilità di disporre anche di un locale attrezzato quale luogo di ritrovo anche pomeridiano, con servizio mensa o altro tipo di ristoro".Anche la proposta del MPI di uno "Statuto degli studenti e delle studentesse" esclude ogni e qualsiasi possibilità di intervento delle famiglie in ambito formativo e di contributo, limitandone il ruolo ad eccezionali ed occasionali momenti di coinvolgimento per cause disciplinari:
lungi dal toccare principalmente i docenti questo provvedimento acquista la sua vera e più profonda drammaticità se si considera la totale esclusione della famiglia e dei suoi diritti dall’ambito scolastico.Si comprende allora come anche "l'elevazione della durata della scolarità obbligatoria da otto a dieci anni" e "l'attuazione in tempi ravvicinati del diritto alla formazione fino al diciottesimo anno di età" se da un lato viene presentata come mezzo "per consentire a tutti i giovani di conseguire un diploma o una solida qualifica professionale" (
22), abbia come fine anche la creazione di una risorsa produttiva malleabile. Non bisogna dimenticare, infatti, le tesi enunciate dal PCI in occasione dell’approvazione dei c.d. "Decreti Delegati", nel 1974: "La crescita di una scolarità di massa é stata uno dei fattori che in questi anni più hanno modificato il volto della nostra società [...] ha infatti creato [...] anche a livelli di scuola secondaria e superiore, una situazione in cui i giovani e gli studenti sono divenuti - anche nei piccoli centri e nei villaggi - attivi portatori di un modo nuovo di intendere la famiglia e la società" (23).3 - IL RUOLO DELLO STATO
Lo Stato, per assicurare la riuscita del disegno sin qui descritto, non può tollerare ingerenze nello stabilire i fini dell’educazione: dovrà perciò perseguire maggiore efficienza attraverso un decentramento amministrativo, valutare quali scuole sono efficienti e certificare i risultati ottenuti da alunni, docenti e scuole.
E’ questo lo scopo del DL 59/97 (c.d. "Bassanini"), in qualche modo già "anticipato" col DL n. 323 del 20-6-96, relativo a una "Manovra di contenimento della spesa pubblica" che "introduce [...] iniziative volte a rafforzare l’autonomia (finanziaria) delle scuole [con la] distribuzione trimestrale degli impegni di bilancio". Il "federalismo" e la "autonomia" previsti dall’On. Bassanini sono esposti nell’art. 21 del testo approvato l’11-3-97 dal Parlamento, dedicato all’Autonomia Scolastica che prevede il trasferimento di funzioni a Regioni e Provincie e attribuisce agli istituti scolastici personalità giuridica. In tale documento, però, al comma 7, si chiarisce che l’autonomia è meramente "organizzativa e didattica, nel rispetto degli obiettivi del sistema nazionale di istruzione e degli standard di livello nazionale". A chi pensasse a una lettura eccessivamente "di parte", il disposto del comma 9 toglie ogni dubbio: "L’autonomia didattica è finalizzata al perseguimento degli obiettivi generali del sistema nazionale di istruzione [...] Essa si sostanzia nella scelta libera e programmata di metodologie, strumenti, organizzazione e tempi di insegnamento scolastico". Dunque, nulla dell’autonomia tanto ventilata ai giornalisti, ma mero
decentramento amministrativo senza mai mettere in discussione il progetto educativo statale e dare la possibilità di modificare i suoi obiettivi, contenuti e programmi d’insegnamento.Gli eventuali rischi di un eccesso di autonomia vengono definitivamente fugati dal D.M. n. 26 del 10-1-97, di istituzione di un "Comitato di Coordinamento e di Indirizzo" che "sulla base delle direttive del Ministro svolge nelle materie riguardanti la formazione professionale, l'educazione degli adulti, la realizzazione di corsi post-secondari e le iniziative cofinanziate dall'Unione Europea il compito di: a) assicurare l'unità di indirizzo dei programmi di sviluppo; b) specificare gli obiettivi stabiliti dalle direttive in ordine alle priorità, alle modalità e ai tempi di intervento ed alla collaborazione necessaria con le Regioni e gli Enti Locali; c) individuare i criteri omogenei di attuazione delle iniziative, nel rispetto delle responsabilità dirigenziali".
Quanto agli obiettivi educativi e agli standard appena citati, verranno definiti da un altro importantissimo provvedimento, le cui implicazioni sono passate pressoché inosservate: i D.M. 296/96 e D.M. 328/96, hanno disposto la costituzione di una "Commissione tecnico-scientifica Per un Sistema Nazionale di Valutazione", presieduta dal prof. Aldo Visalberghi, nella cui relazione conclusiva si può leggere che: "Scopo fondamentale di un Sistema di valutazione è dunque quello di valutare lo stato e l'efficienza del sistema formativo del Paese nelle sue articolazioni e a tutti i suoi livelli, al fine di suggerire i necessari miglioramenti anche a confronto con comparabili situazioni di altri paesi [...] istituire un ente autonomo che collabori con il Ministero della PI (eventualmente anche con il MURST), si avvalga di specifiche e articolate competenze e dell'apporto degli IRRSAE, del CEDE e della BDP, delI'ISTAT, delI'lsfol, dell'istituto di Psicologia del CNR, del Censis, di istituzioni universitarie, ma sia indipendente dal MPI. La soluzione ottimale, in analogia con la prassi seguita negli altri paesi avanzati, è quella di richiedere un'affidabile certificazione ad agenzie indipendenti. Il Servizio nazionale di valutazione avrebbe così anche la funzione di "agenzia di certificazione", come servizio "esterno"" (
24). Nonostante le rassicuranti dichiarazioni rilasciate dalla citata Commissione, l’uso del Sistema Nazionale di Valutazione, non lascia spazio a dubbi: "dove la qualità delle facoltà scende, e questo si vede dalla qualità delle pubblicazioni scientifiche, lì affluiranno meno finanziamenti dallo Stato. Lo Stato dà il massimo di autonomia, ma esercita il suo potere di controllo. [...] i finanziamenti dalle imprese, dagli enti di ricerca, dalla Comunità Europea, non arriveranno più nelle università che non funzionano, perché in tutte queste istituzioni ci sono dei valutatori" (25).
4 - IL COMPITO DEI DOCENTI
E’ questa la categoria che più occupa spazio nei media e, per non ripetere cose già dette in molte occasioni, si vuole qui segnalare un aspetto forse trascurato: anche
i docenti sono un potenziale ostacolo al progetto educativo tecnocratico-progressista. Perciò, nella nuova scuola che nascerà dalla riforma, i docenti dovranno essere formati solo dallo Stato, non dovranno "inventarsi" i fini e i metodi di educazione ma attenersi strettamente alle indicazioni ricevute e dovranno permettere alle "forze vive" della società di controllare il loro operato e partecipare al progetto educativo.Pochi giorni prima che il Ministro avvertisse che: "valuteremo l’impegno dei docenti. Questa scuola ha bisogno di un sistema di valutazione esterno" (
26), i DPR n. 470 e 471 del 31-7-96 istituivano il "Corso di laurea in Scienze della formazione primaria e delle scuole di specializzazione per i docenti delle scuole secondarie". La prima conseguenza, messa in atto pochi mesi dopo, comporta che "a seguito dell'introduzione dei suddetti corsi di laurea non possono più considerarsi validi, ai tini dell'accesso all'insegnamento nelle predette scuole, i titoli di Studio attualmente rilasciati dalle scuole e dagli istituti magistrali", cioè la soppressione dei "corsi di Studio ordinari triennali e quadriennali, rispettivamente della scuola magistrale e dell'istituto magistrale" (27).Il prof. Aldo Visalberghi spiega il perché dell’importanza dei provvedimenti adottati, in quanto, prima che divenissero legge: "la preparazione degli insegnanti di ogni grado di scuola rimaneva saldamente controllata, in misure variabili ai vari livelli, ma sempre massicce, dall'iniziativa privata e in massima parte cattolica. La mancata riforma della scuola secondaria manteneva in vita l'incredibile "scuola magistrale" triennale, di cui esistono solo pochissimi esemplari statali ma una pletora di edizioni d'ispirazione confessionale, e l'istituto magistrale quadriennale, per il quale numericamente, anche se non per effettivi di frequentanti, le istituzioni private e cattoliche sopravanzano quelle statali. La mancata riforma universitaria, per nulla surrogata in ciò dalla sperimentazione promossa dalla legge Valitutti, permette la sopravvivenza di quella facoltà di magistero che registra il massimo numero di esemplari non statali, ma pienamente riconosciuti dallo Stato, rispetto ad ogni altro tipo di facoltà universitaria" (
28).Posto che "La scuola deve essere sensibile ai fermenti di progresso presenti nella vita sociale e lottare contro la sclerosi delle forme e dei contenuti mantenuti autoritariamente per inserirsi nel movimento democratico in atto" (
29), l’insegnante della Riforma sarà sottoposto al controllo da parte della società, dei suoi allievi e di strutture interne alla scuola. In una delle varie Bozze di uno Statuto degli studenti e delle studentesse si legge: "Nella comunità scolastica si realizza il contratto formativo tra i docenti e gli studenti [...] La scuola garantisce un rapporto costante con altre agenzie formative e istituzioni culturali, con il mondo del lavoro e con il territorio circostante [...] Gli studenti possono essere chiamati ad esprimere la loro opinione, mediante referendum, nei casi in cui una decisione influisca in modo rilevante sull'andamento dell'organizzazione della scuola e della attività didattica [...] Il diritto all'apprendimento comprende [...] la formulazione di richieste e lo sviluppo di temi liberamente scelti [...] gli studenti hanno diritto alla previa consultazione sulle decisioni relative alla programmazione didattica e sulla individuazione dei criteri di valutazione; hanno diritto di formulare proposte, di collaborare alla scelta dei libri e del materiale didattico e di chiedere il riesame di decisioni ritenute lesive dei propri diritti [...] è riconosciuto il diritto di partecipare alla valutazione degli esiti del percorso didattico". Infine, come ha opportunamente scritto il prof. Giorgio Rembado, Presidente dell’Ass. Naz. Presidi, in merito alla Proposta di Legge dell’Ulivo - c.d. "Acciarini" - n. 2665 presentata alla Camera, che propone l'elevazione degli organi collegiali interni da tre passano a undici, "vengono diligentemente coperti tutti i possibili spazi di autonomia moltiplicando gli organi. Invece di decidere, insegnanti, presidi studenti e genitori dovrebbero stare in seduta permanente a discutere, mediare, contrattare in una perenne "mobilitazione" [...] L’effetto più deleterio di questa impostazione ultraconservatrice è quello di indurre ogni operatore al rispetto delle regole formale e delle procedure, piuttosto che impegnarsi a definire e realizzare gli obiettivi del servizio" (30).Il ruolo del docente come burocratico funzionario esecutore di procedure centrali - venuto a mancare il naturale patto di delega della famiglia all’insegnante (ogni suo "diritto" deriva infatti da questa delega) -, lungi dal meravigliare, coincide perfettamente con la prospettiva di un'educazione di cittadini "per il tempo futuro" ed è una logica conseguenza dell’errore iniziale: non si dovrà permettere che il maestro perpetui le condizioni dell’esistenza della civiltà; egli dovrà solo applicare i regolamenti statali, "correggere" eventuali momenti di "regresso" e accellerare il processo di cambiamento.
5 - LA SCUOLA NON STATALE
Nonostante le apparenze, la Riforma non ha trattato il tema della parità solo nella relazione conclusiva della Commissione detta D’Amore, di cui al DM n. 329, del 5-7-96 (che ha appunto
istituito una "Commissione di studio per la definizione del collegamento fra scuola non statale e sistema pubblico di istruzione").Al contrario, - e forse proprio per evitare reazioni politiche difficilmente controllabili -
ne ha già iniziato l’opera di "accerchiamento" attraverso interventi di natura indiretta e settoriale.Possono essere annoverati fra questi la proposta di riforma degli esami di maturità — a questo fine dichiaratamente rettificata con l’aumento dei commissari esterni negli esami —, "la vigilanza sulle scuole materne non statali esercitata dal Provveditore agli Studi, il quale si avvale del Direttore Didattico competente per territorio", prevista sin dal 1994
(31), il "più efficiente" controllo sui libri di testo adottabili, l’anticipo dell’obbligo scolastico all’ultimo anno delle materne previsto nel ddl sul Riordino dei cicli formativi, (che con l’abolizione delle magistrali comporterà inevitabilmente la perdita di utenza per gli istituti non statali), i nuovi criteri di selezione dei docenti universitari di seconda fascia.Vanno aggiunti poi provvedimenti già citati:
, i finanziamenti alle università "efficienti" (32), la formazione rigorosamente statale degli insegnanti, i controlli sulla qualità da parte del Sistema Nazionale di Valutazione (33) e sulle iniziative didattiche da parte del Comitato di Coordinamento e di Indirizzo, necessari proprio "in relazione alla problematica della "parità" fra scuole statali e non statali" (34).Peraltro, anche lo schema di documento conclusivo della citata Commissione D’Amore, presentato il 10-3-97, contiene sufficienti indicazioni che confermano quanto sinora delineato. In esso si può leggere che "il ruolo di Stato-gestore si va trasformando [...] nel ruolo di Stato-regolatore" mirante a "un sistema pubblico governato da norme comuni e fondato su una convergenza culturale e sociale circa gli obiettivi formativi"; la scuola non statale dovrà perciò assumere il ruolo di una istituzione educativa che concorra "al raggiungimento degli obiettivi e degli standard fissati dallo Stato". Tra le condizioni per poter svolgere il "servizio pubblico integrato" vengono ribadite la "conformità alle norme generali sull'istruzione fissate dalle Leggi della Repubblica", la "Esistenza di un Progetto educativo di Istituto elaborato sulla base dei principi costituzionali e di parametri generali", la "presenza di un sistema di controllo interno ad ogni istituto con finalità autovalutative e informative", la "accettazione dei controlli esterni", la "presenza di forme di partecipazione democratica alla gestione autonoma dell'istituto" e, non ultimo per importanza, il "possesso da parte del personale direttivo docente e non docente dei requisiti di professionalità previsti dalle leggi generali", che potrà consistere anche nell’assunzione dello stesso tra i ruoli dello Stato.
Nella prospettiva della Riforma l’educazione è un "servizio pubblico" (
35) e perciò - con una totale contraddizione del principio di sussidiarietà - le scuole non statali suppliscono lo Stato dove esso non può arrivare o non è sufficientemente efficiente. Siamo assai lontani da quanto auspicato dalla prof. E. Rosanna nell'ambito della già citata commissione c.d. dei "saggi": "Non è più possibile oggi parlare di programmi in termini tradizionali. In regime di autonomia ogni scuola dovrà scegliere il proprio percorso a partire dal profilo di uomo che vuol formare" (36). Ciò non sarà possibile perché la presenza della scuola "privata" (almeno nel senso di privata ormai di tutto) appare come l'ultima barricata che può turbare il progetto di adattamento della natura umana al continuo divenire.
Ai cattolici che appoggiano l’opera dell’On. Berlinguer, bisognerà perciò ricordare quanto scriveva Gramsci e viene oggi messo in pratica dai pedagogisti tecnocratico-progressisti della Riforma: "Se lo Stato rinunzia ad essere centro attivo e permanentemente attivo di una cultura propria, autonoma, la Chiesa non può che trionfare sostanzialmente [...] La Chiesa è uno Shylok anche più implacabile dello Shylok shakespeariano: essa vorrà la sua libbra di carne anche a costo di dissanguare la sua vittima e con tenacia, mutando continuamente i suoi metodi, tenderà a raggiungere il suo programma massimo [...] La Chiesa non può essere ridotta alla sua forza ‘normale’ con la confutazione in sede filosofica dei suoi postulati teorici e con le affermazioni platoniche di una autonomia statale (che non sia militante); ma solo con l’azione pratica quotidiana, con l’esaltazione delle forze umane creatrici in tutta l’area sociale" (
37).L’opposizione al progetto dell’Ulivo, nella consapevolezza del mosaico complessivo sin qui descritto, non dovrà dunque trascurare nessuna delle "tessere" che lo compongono.
NOTE