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La Riforma "Berlinguer": natura e metodologia

Elementi per un’opposizione consapevole e complessiva

(Articolo apparso - senza note - su Il Secolo d'Italia del 11-6-97, col titolo Spunta la scuola dell'avvenir)

 

Dalla nascita del Governo dell’Ulivo i media si occupano di problemi scolastici con un’intensità forse riscontrabile solo negli anni "caldi" della contestazione.

Il responsabile dei tre ministeri che regolano gran parte dell’attività educativa del nostro paese, On. Luigi Berlinguer, produce a ritmo incessante una grande quantità di documenti – in bozza o definitivi –, sui quali i commentatori emettono giudizi contrastanti: consenso per la maggiore sensibilità verso il mondo del lavoro e scandalo per la critica al liceo classico; favore per la semplificazione delle pagelle ma perplessità per l’importanza attribuita allo studio del Novecento, e così via.

Anche tra le fila dell’opposizione si ha forse l’impressione di un comunista sui generis: un tipo un po’ pasticcione, ma forse deciso a rinnovare, finalmente!, la fatiscente scuola italiana.

La maggiore difficoltà nell’inquadrare l’opera del Ministro, e della ventina di funzionari di area PDS che lo coadiuvano, è data proprio dal fatto che non è ancora stata presentata - e forse non lo sarà mai (1) - una "grande" proposta di legge, ma soltanto dei provvedimenti settoriali, molti dei quali passano pressoché inosservati.

Se è difficile dimostrare che - grazie a un’abile gestione di interviste e comunicati stampa -, si è attirata l’attenzione degli esperti su alcuni provvedimenti di facciata (come ad esempio la circolare relativa alle celebrazioni di Gramsci), mentre altri sono stati presentati come di natura meramente amministrativa, è però certo che pochissimi hanno tentato di capire la prospettiva di tutti gli interventi sinora disposti, nonostante il Ministro abbia apertamente affermato di aver "intenzione di tracciare un disegno complessivo per intervenire ed applicare una tessera per volta" (2).

La nostra intenzione consiste, perciò, nel tentare di dare una chiave univoca per la lettura di questo "disegno complessivo", classificando alcuni provvedimenti - più e meno noti - del Ministro all’interno di cinque tematiche principali (I fini dell’educazione, lo Stato, la famiglia, i docenti e le scuole libere) e, quando utile, "illuminandoli" con spiegazioni di fonte progressista.

 

1 - IL FINE DELL’EDUCAZIONE

Il fine del progetto educativo soggiacente la riforma è di fare dell’uomo un "capitale produttivo" capace di adattarsi ai cambiamenti e, anzi, in quanto cittadino veramente democratico, velocizzare il progresso (3).

Se è vero che il Disegno di Legge (DDL) presentato il 2-6-97 al Consiglio dei Ministri, non afferma più che la "centralità delle risorse umane" è data dall’essere "strumento per sostenere la crescita economica e la competizione a fronte di uguali livelli di investimento" - come invece si affermava nel documento Riordino dei cicli scolastici (d’ora in avanti abbreviato in Riordino), presentato dal Ministro al pubblico il 13-1-1997 (4)-, è altrettanto vero che questa è l’unica variazione accolta dal Ministro: è cambiata l’etichetta ma non i provvedimenti proposti (5).

Infatti, tutti i documenti sinora emanati - da quelli apparentemente "neutri", come l’Ordinanza Ministeriale (OM) n. 400, del 30-7-96, istitutiva di "Corsi per adulti finalizzati all’alfabetizzazione culturale e ad una prima formazione professionale", passando per il Decreto Ministeriale (DM) n. 26 del 10-1-97 che prevede di "assicurare l'unità di indirizzo dei programmi di sviluppo" concordandoli con "il Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, il Ministero del Bilancio e della Programmazione Economica, con l'Ispettorato Generale per il Fondo di Rotazione presso la Ragioneria Centrale del Ministero del Tesoro", per giungere alle più note D.M. n. 681 e 682 del 4-11-96 relative a "Modifiche delle disposizioni relative alla suddivisione annuale del programma di Storia" (6) -, fanno riferimento a un progetto educativo apparentemente finalizzato a sostenere la crescita economica.
A chi avesse dubbi sulla correttezza di interpretazione dell’ultimo provvedimento citato, è da segnalare quanto il filosofo Hans-Georg Gadamer ha acutamente osservato: "sono tutti convinti che solo lo sviluppo tecnologico, la scienza cioè e il complesso delle sue applicazioni tecniche, segnino il progresso. E siccome il Novecento è il secolo del progresso e dello sviluppo tecnologico, tutti sono convinti che sia giusto occuparcene molto" (
7). Così intesa anche la circolare per le celebrazioni gramsciane acquista un significato più profondo e più preoccupante del mero reducismo postcomunista, tant’è che il mensile Libertà di educazione ha affermato che "Oggi il ministro Berlinguer - in nome del valore del Novecento - attacca lo studio della storia passata, riducendo drasticamente la possibilità di conoscere quelle civiltà che a lui - neo illuminato, s'intende - non interessano, o non piacciono, o forse anche danno fastidio. [...] Che cosa è in gioco? Chi è oggi alla guida del paese lo sa: sono in gioco la memoria, la coscienza, la libertà. Tutto quello di cui ha bisogno un popolo per esserci da vivo, non come strumento cieco di un arcano potere. [...] La più forte arma del potere per tenere a bada la società infatti - insieme alla menzogna urlata - è il silenzio" (8).

Ma perché l’uomo sia un efficiente ingranaggio della "società che cambia", occorre che "il sistema dell’istruzione perda la sua caratteristica di struttura fortemente piramidale, dove ogni ciclo di studio ha funzione fondamentalmente propedeutica rispetto ai cicli successivi" (9): la logica è la stessa della "media unificata" degli anni '60, obiettivo del fronte marxista almeno dai tempi di Antonio Gramsci: "occorre dunque non moltiplicare e graduare i tipi di scuola professionale, ma creare un tipo unico di scuola preparatoria (elementare media) che conduca il giovinetto fino alla soglia della scelta professionale, formandolo nel frattempo come persona capace di pensare, di studiare, di dirigere o di controllare chi dirige" (10).

Perciò, la tanto enfatizzata attenzione al mondo del lavoro — presente anche in alcune sperimentazioni antecedenti il Ministero Berlinguer, come per esempio la c.d sperimentazione "Brocca" (11) — sembra piuttosto funzionale a una sorta di socialismo tecnocratico (12), che abbisogna di personale forgiato — come spiega la Proposta per l’istituzione de "Il liceo delle scienze sociali" — in modo da "superare la distinzione tra teoria e pratica in una concezione poietica del sapere" (13); ovvero, per dirla con le parole dell’on. Berlinguer, da "superare la concezione in base alla quale certa cultura ha carattere "disinteressato"": anche "l’annegamento" del Liceo Classico (14) all’interno del citato Riordino dei cicli formativi, oltre ai giusti rimpianti per la "scuola che fu", favorirà la produzione di un tipo umano culturalmente indifferenziato che avrà come "abilità" principale la capacità di adattarsi al progressivo divenire.

La definitiva conferma viene dalla lettura di buona parte degli interventi della "Commissione tecnico - scientifica per avviare, in modo coordinato a quella sugli ordinamenti, una discussione - la più ampia possibile - sulle conoscenze fondamentali su cui si baserà l’apprendimento dei giovani nella scuola italiana nei prossimi decenni", di cui al D.M. 50 del 21-1-97, particolarmente significativa perché ha raccolto i contributi di numerosi e importanti esponenti della "cultura" più in voga e in quanto preparatoria alla revisione dei programmi di insegnamento di tutte le materie delle scuole di ogni ordine e grado. Tra i numerosi verbali di questa Commissione, facenti parte dell’Ipertesto emanato il 13-5-97 e pubblicato su Internet dal suo coordinatore prof. R. Maragliano, è da segnalare quello dell’8-4-97, relativo a un’intervento scritto della prof. suor Enrica Rosanna, Preside della Pontificia Facoltà di Scienze dell’Educazione "Auxilium", in cui, nel dissociarsi dal documento finale proposto, manifesta "alcune perplessità sul senso che si dà alla parola "democrazia" utilizzata nella premessa. Non le sembrano chiari l'obiettivo a cui si fa riferimento, il tipo di cittadino che si presuppone, le responsabilità che si invocano [...] Il criterio che guida la bozza sembra essere quello "efficientista" competitivo; la formazione sembra finalizzata allo sviluppo socio - economico, col rischio conseguente di favorire la "chiusura" regionalistica anziché un'autentica apertura agli altri, al mondo. Lo stesso richiamo alla "globalizzazione" non sembra esca dalla preoccupazione di carattere economico. Sono del tutto assenti la concezione dell'uomo come persona, un orizzonte di senso che comprenda la trascendenza e, di conseguenza, un vero concetto di paideia e di scuola" (15).

Le perplessità della prof. Rosanna hanno sicuramente avuto origine - oltre che dalla bozza di documento collettivo, poi non approvata - anche dal complesso degli interventi uditi durante le varie sessioni, come ad esempio quello svolto il 18-3-97 dal prof. Tullio De Mauro, di area PDS, secondo cui "le nuove società devono imparare a guardare, dentro e oltre i labirinti della complessità, per estrarre dalle tendenze in atto una adeguata previsione di scenari del futuro in ogni parte del globo [...] queste società, questi popoli possono amministrare la loro sopravvivenza solo controllando la interdipendenza multinazionale e multietnica che si è creata tra loro: una interdipendenza che investe tutt'intera la loro vita, le basi produttive e l'intrattenimento, il costume e la ricerca fondamentale, le tecnologie e gli spettacoli, l'assetto politico e gli orientamenti etici. Forse è presto per dire che gli stati nazionali appartengono al passato, a una parentesi cruenta e gloriosa, fosca ed esaltante della storia delle culture umane tra XV e XX secolo. Certo è che si impone qualche forma di coordinamento stretto sovrastatuale".

L’intervento del prof. De Mauro convalida il potenziale e ulteriore scenario rispetto alla prospettiva "di mercato". Infatti, le tesi di "numerose correnti della pedagogia sociale americana", non contraddicono la visione pedagogica marxista, ma ne costituiscono un momento ed un completamento, perché "anche se si ammette - come nelle teorie americane - la cosiddetta mutevolezza della civiltà, ci si riferisce soltanto a una certa trasformazione del mercato del lavoro e dello stile di vita quotidiana, e non alla trasformazione radicale del regime sociale [...] il legame tra l'educazione degli uomini che si trasformano con l'attività degli uomini che trasformano le circostanze resta ancora [...] il principio direttivo fondamentale - e inesauribile nella sua ricchezza - dell'educazione" (16): "la nostra opera educativa deve consistere nel trasferire il centro dell’universo pedagogico non dall’educatore al discente, bensì dal passato al futuro" (17).

 

2 - LA FAMIGLIA

Quanto sinora esposto in tema di finalità educative comporta la riduzione del diritto naturale e primario della famiglia nell’educazione: nella logica della riforma, la famiglia non deve ostacolare il progresso con il naturale esercizio della sua influenza sui "futuri cittadini", e deve possibilmente essere sussidiaria all’azione dello Stato. Il citato prof. De Mauro pone il problema nei seguenti termini: "non possiamo dare troppa fiducia ai genitori e agli insegnanti nel creare la riforma, perché sono delle realtà immature, dobbiamo quindi governare la riforma dal centro" (18).

La tesi esposta trova un’eclatante conferma nella Proposta del MPI di riforma della legge 148/1990 (relativa alle scuole materne ed elementari) che, mentre adombra l’ipotesi di una frequenza scolastica anche di quaranta ore settimanali, afferma: "E' necessario confermare e consolidare le condizioni di qualità del tempo scolastico, rimuovendo le diverse difficoltà presenti (strutturali, inadempienze dell'ente locale, resistenze delle famiglie). Il tempo scolastico è un valore" (19). Il Ministro stesso ne ha dato conferma dichiarando che "La scuola dell’autonomia può far svolgere nella scuola alcune delle attività che oggi le mamme organizzano fuori" (20).

L’uso della Scuola come "alternativa" alla famiglia, trova un’altra conferma nella direttiva ministeriale n. 133/96 (21), inerenti il "Regolamento per apertura pomeridiana delle scuole", in cui si elenca la tipologia delle attività realizzabili: "teatro e animazione; ascolto ed esecuzione musica; giornali studenteschi; laboratori letterari; realizzazione libri, fumetti, video e audiocassette; concerti; conferenze; sport; tornei; gemellaggi; approfondimento di argomenti di attualità guidato da docenti; attività educative, culturali, ludiche, sportive anche aperte al territorio [...] possibilità di disporre anche di un locale attrezzato quale luogo di ritrovo anche pomeridiano, con servizio mensa o altro tipo di ristoro".

Anche la proposta del MPI di uno "Statuto degli studenti e delle studentesse" esclude ogni e qualsiasi possibilità di intervento delle famiglie in ambito formativo e di contributo, limitandone il ruolo ad eccezionali ed occasionali momenti di coinvolgimento per cause disciplinari: lungi dal toccare principalmente i docenti questo provvedimento acquista la sua vera e più profonda drammaticità se si considera la totale esclusione della famiglia e dei suoi diritti dall’ambito scolastico.

Si comprende allora come anche "l'elevazione della durata della scolarità obbligatoria da otto a dieci anni" e "l'attuazione in tempi ravvicinati del diritto alla formazione fino al diciottesimo anno di età" se da un lato viene presentata come mezzo "per consentire a tutti i giovani di conseguire un diploma o una solida qualifica professionale" (22), abbia come fine anche la creazione di una risorsa produttiva malleabile. Non bisogna dimenticare, infatti, le tesi enunciate dal PCI in occasione dell’approvazione dei c.d. "Decreti Delegati", nel 1974: "La crescita di una scolarità di massa é stata uno dei fattori che in questi anni più hanno modificato il volto della nostra società [...] ha infatti creato [...] anche a livelli di scuola secondaria e superiore, una situazione in cui i giovani e gli studenti sono divenuti - anche nei piccoli centri e nei villaggi - attivi portatori di un modo nuovo di intendere la famiglia e la società" (23).

3 - IL RUOLO DELLO STATO

Lo Stato, per assicurare la riuscita del disegno sin qui descritto, non può tollerare ingerenze nello stabilire i fini dell’educazione: dovrà perciò perseguire maggiore efficienza attraverso un decentramento amministrativo, valutare quali scuole sono efficienti e certificare i risultati ottenuti da alunni, docenti e scuole.

E’ questo lo scopo del DL 59/97 (c.d. "Bassanini"), in qualche modo già "anticipato" col DL n. 323 del 20-6-96, relativo a una "Manovra di contenimento della spesa pubblica" che "introduce [...] iniziative volte a rafforzare l’autonomia (finanziaria) delle scuole [con la] distribuzione trimestrale degli impegni di bilancio". Il "federalismo" e la "autonomia" previsti dall’On. Bassanini sono esposti nell’art. 21 del testo approvato l’11-3-97 dal Parlamento, dedicato all’Autonomia Scolastica che prevede il trasferimento di funzioni a Regioni e Provincie e attribuisce agli istituti scolastici personalità giuridica. In tale documento, però, al comma 7, si chiarisce che l’autonomia è meramente "organizzativa e didattica, nel rispetto degli obiettivi del sistema nazionale di istruzione e degli standard di livello nazionale". A chi pensasse a una lettura eccessivamente "di parte", il disposto del comma 9 toglie ogni dubbio: "L’autonomia didattica è finalizzata al perseguimento degli obiettivi generali del sistema nazionale di istruzione [...] Essa si sostanzia nella scelta libera e programmata di metodologie, strumenti, organizzazione e tempi di insegnamento scolastico". Dunque, nulla dell’autonomia tanto ventilata ai giornalisti, ma mero decentramento amministrativo senza mai mettere in discussione il progetto educativo statale e dare la possibilità di modificare i suoi obiettivi, contenuti e programmi d’insegnamento.

Gli eventuali rischi di un eccesso di autonomia vengono definitivamente fugati dal D.M. n. 26 del 10-1-97, di istituzione di un "Comitato di Coordinamento e di Indirizzo" che "sulla base delle direttive del Ministro svolge nelle materie riguardanti la formazione professionale, l'educazione degli adulti, la realizzazione di corsi post-secondari e le iniziative cofinanziate dall'Unione Europea il compito di: a) assicurare l'unità di indirizzo dei programmi di sviluppo; b) specificare gli obiettivi stabiliti dalle direttive in ordine alle priorità, alle modalità e ai tempi di intervento ed alla collaborazione necessaria con le Regioni e gli Enti Locali; c) individuare i criteri omogenei di attuazione delle iniziative, nel rispetto delle responsabilità dirigenziali".

Quanto agli obiettivi educativi e agli standard appena citati, verranno definiti da un altro importantissimo provvedimento, le cui implicazioni sono passate pressoché inosservate: i D.M. 296/96 e D.M. 328/96, hanno disposto la costituzione di una "Commissione tecnico-scientifica Per un Sistema Nazionale di Valutazione", presieduta dal prof. Aldo Visalberghi, nella cui relazione conclusiva si può leggere che: "Scopo fondamentale di un Sistema di valutazione è dunque quello di valutare lo stato e l'efficienza del sistema formativo del Paese nelle sue articolazioni e a tutti i suoi livelli, al fine di suggerire i necessari miglioramenti anche a confronto con comparabili situazioni di altri paesi [...] istituire un ente autonomo che collabori con il Ministero della PI (eventualmente anche con il MURST), si avvalga di specifiche e articolate competenze e dell'apporto degli IRRSAE, del CEDE e della BDP, delI'ISTAT, delI'lsfol, dell'istituto di Psicologia del CNR, del Censis, di istituzioni universitarie, ma sia indipendente dal MPI. La soluzione ottimale, in analogia con la prassi seguita negli altri paesi avanzati, è quella di richiedere un'affidabile certificazione ad agenzie indipendenti. Il Servizio nazionale di valutazione avrebbe così anche la funzione di "agenzia di certificazione", come servizio "esterno"" (24). Nonostante le rassicuranti dichiarazioni rilasciate dalla citata Commissione, l’uso del Sistema Nazionale di Valutazione, non lascia spazio a dubbi: "dove la qualità delle facoltà scende, e questo si vede dalla qualità delle pubblicazioni scientifiche, lì affluiranno meno finanziamenti dallo Stato. Lo Stato dà il massimo di autonomia, ma esercita il suo potere di controllo. [...] i finanziamenti dalle imprese, dagli enti di ricerca, dalla Comunità Europea, non arriveranno più nelle università che non funzionano, perché in tutte queste istituzioni ci sono dei valutatori" (25).

 

4 - IL COMPITO DEI DOCENTI

E’ questa la categoria che più occupa spazio nei media e, per non ripetere cose già dette in molte occasioni, si vuole qui segnalare un aspetto forse trascurato: anche i docenti sono un potenziale ostacolo al progetto educativo tecnocratico-progressista. Perciò, nella nuova scuola che nascerà dalla riforma, i docenti dovranno essere formati solo dallo Stato, non dovranno "inventarsi" i fini e i metodi di educazione ma attenersi strettamente alle indicazioni ricevute e dovranno permettere alle "forze vive" della società di controllare il loro operato e partecipare al progetto educativo.

Pochi giorni prima che il Ministro avvertisse che: "valuteremo l’impegno dei docenti. Questa scuola ha bisogno di un sistema di valutazione esterno" (26), i DPR n. 470 e 471 del 31-7-96 istituivano il "Corso di laurea in Scienze della formazione primaria e delle scuole di specializzazione per i docenti delle scuole secondarie". La prima conseguenza, messa in atto pochi mesi dopo, comporta che "a seguito dell'introduzione dei suddetti corsi di laurea non possono più considerarsi validi, ai tini dell'accesso all'insegnamento nelle predette scuole, i titoli di Studio attualmente rilasciati dalle scuole e dagli istituti magistrali", cioè la soppressione dei "corsi di Studio ordinari triennali e quadriennali, rispettivamente della scuola magistrale e dell'istituto magistrale" (27).

Il prof. Aldo Visalberghi spiega il perché dell’importanza dei provvedimenti adottati, in quanto, prima che divenissero legge: "la preparazione degli insegnanti di ogni grado di scuola rimaneva saldamente controllata, in misure variabili ai vari livelli, ma sempre massicce, dall'iniziativa privata e in massima parte cattolica. La mancata riforma della scuola secondaria manteneva in vita l'incredibile "scuola magistrale" triennale, di cui esistono solo pochissimi esemplari statali ma una pletora di edizioni d'ispirazione confessionale, e l'istituto magistrale quadriennale, per il quale numericamente, anche se non per effettivi di frequentanti, le istituzioni private e cattoliche sopravanzano quelle statali. La mancata riforma universitaria, per nulla surrogata in ciò dalla sperimentazione promossa dalla legge Valitutti, permette la sopravvivenza di quella facoltà di magistero che registra il massimo numero di esemplari non statali, ma pienamente riconosciuti dallo Stato, rispetto ad ogni altro tipo di facoltà universitaria" (28).

Posto che "La scuola deve essere sensibile ai fermenti di progresso presenti nella vita sociale e lottare contro la sclerosi delle forme e dei contenuti mantenuti autoritariamente per inserirsi nel movimento democratico in atto" (29), l’insegnante della Riforma sarà sottoposto al controllo da parte della società, dei suoi allievi e di strutture interne alla scuola. In una delle varie Bozze di uno Statuto degli studenti e delle studentesse si legge: "Nella comunità scolastica si realizza il contratto formativo tra i docenti e gli studenti [...] La scuola garantisce un rapporto costante con altre agenzie formative e istituzioni culturali, con il mondo del lavoro e con il territorio circostante [...] Gli studenti possono essere chiamati ad esprimere la loro opinione, mediante referendum, nei casi in cui una decisione influisca in modo rilevante sull'andamento dell'organizzazione della scuola e della attività didattica [...] Il diritto all'apprendimento comprende [...] la formulazione di richieste e lo sviluppo di temi liberamente scelti [...] gli studenti hanno diritto alla previa consultazione sulle decisioni relative alla programmazione didattica e sulla individuazione dei criteri di valutazione; hanno diritto di formulare proposte, di collaborare alla scelta dei libri e del materiale didattico e di chiedere il riesame di decisioni ritenute lesive dei propri diritti [...] è riconosciuto il diritto di partecipare alla valutazione degli esiti del percorso didattico". Infine, come ha opportunamente scritto il prof. Giorgio Rembado, Presidente dell’Ass. Naz. Presidi, in merito alla Proposta di Legge dell’Ulivo - c.d. "Acciarini" - n. 2665 presentata alla Camera, che propone l'elevazione degli organi collegiali interni da tre passano a undici, "vengono diligentemente coperti tutti i possibili spazi di autonomia moltiplicando gli organi. Invece di decidere, insegnanti, presidi studenti e genitori dovrebbero stare in seduta permanente a discutere, mediare, contrattare in una perenne "mobilitazione" [...] L’effetto più deleterio di questa impostazione ultraconservatrice è quello di indurre ogni operatore al rispetto delle regole formale e delle procedure, piuttosto che impegnarsi a definire e realizzare gli obiettivi del servizio" (30).

Il ruolo del docente come burocratico funzionario esecutore di procedure centrali - venuto a mancare il naturale patto di delega della famiglia all’insegnante (ogni suo "diritto" deriva infatti da questa delega) -, lungi dal meravigliare, coincide perfettamente con la prospettiva di un'educazione di cittadini "per il tempo futuro" ed è una logica conseguenza dell’errore iniziale: non si dovrà permettere che il maestro perpetui le condizioni dell’esistenza della civiltà; egli dovrà solo applicare i regolamenti statali, "correggere" eventuali momenti di "regresso" e accellerare il processo di cambiamento.

5 - LA SCUOLA NON STATALE

Nonostante le apparenze, la Riforma non ha trattato il tema della parità solo nella relazione conclusiva della Commissione detta D’Amore, di cui al DM n. 329, del 5-7-96 (che ha appunto istituito una "Commissione di studio per la definizione del collegamento fra scuola non statale e sistema pubblico di istruzione").

Al contrario, - e forse proprio per evitare reazioni politiche difficilmente controllabili - ne ha già iniziato l’opera di "accerchiamento" attraverso interventi di natura indiretta e settoriale.

Possono essere annoverati fra questi la proposta di riforma degli esami di maturità — a questo fine dichiaratamente rettificata con l’aumento dei commissari esterni negli esami —, "la vigilanza sulle scuole materne non statali esercitata dal Provveditore agli Studi, il quale si avvale del Direttore Didattico competente per territorio", prevista sin dal 1994 (31), il "più efficiente" controllo sui libri di testo adottabili, l’anticipo dell’obbligo scolastico all’ultimo anno delle materne previsto nel ddl sul Riordino dei cicli formativi, (che con l’abolizione delle magistrali comporterà inevitabilmente la perdita di utenza per gli istituti non statali), i nuovi criteri di selezione dei docenti universitari di seconda fascia.

Vanno aggiunti poi provvedimenti già citati:, i finanziamenti alle università "efficienti" (32), la formazione rigorosamente statale degli insegnanti, i controlli sulla qualità da parte del Sistema Nazionale di Valutazione (33) e sulle iniziative didattiche da parte del Comitato di Coordinamento e di Indirizzo, necessari proprio "in relazione alla problematica della "parità" fra scuole statali e non statali" (34).

Peraltro, anche lo schema di documento conclusivo della citata Commissione D’Amore, presentato il 10-3-97, contiene sufficienti indicazioni che confermano quanto sinora delineato. In esso si può leggere che "il ruolo di Stato-gestore si va trasformando [...] nel ruolo di Stato-regolatore" mirante a "un sistema pubblico governato da norme comuni e fondato su una convergenza culturale e sociale circa gli obiettivi formativi"; la scuola non statale dovrà perciò assumere il ruolo di una istituzione educativa che concorra "al raggiungimento degli obiettivi e degli standard fissati dallo Stato". Tra le condizioni per poter svolgere il "servizio pubblico integrato" vengono ribadite la "conformità alle norme generali sull'istruzione fissate dalle Leggi della Repubblica", la "Esistenza di un Progetto educativo di Istituto elaborato sulla base dei principi costituzionali e di parametri generali", la "presenza di un sistema di controllo interno ad ogni istituto con finalità autovalutative e informative", la "accettazione dei controlli esterni", la "presenza di forme di partecipazione democratica alla gestione autonoma dell'istituto" e, non ultimo per importanza, il "possesso da parte del personale direttivo docente e non docente dei requisiti di professionalità previsti dalle leggi generali", che potrà consistere anche nell’assunzione dello stesso tra i ruoli dello Stato.

Nella prospettiva della Riforma l’educazione è un "servizio pubblico" (35) e perciò - con una totale contraddizione del principio di sussidiarietà - le scuole non statali suppliscono lo Stato dove esso non può arrivare o non è sufficientemente efficiente. Siamo assai lontani da quanto auspicato dalla prof. E. Rosanna nell'ambito della già citata commissione c.d. dei "saggi": "Non è più possibile oggi parlare di programmi in termini tradizionali. In regime di autonomia ogni scuola dovrà scegliere il proprio percorso a partire dal profilo di uomo che vuol formare" (36). Ciò non sarà possibile perché la presenza della scuola "privata" (almeno nel senso di privata ormai di tutto) appare come l'ultima barricata che può turbare il progetto di adattamento della natura umana al continuo divenire.

 

Ai cattolici che appoggiano l’opera dell’On. Berlinguer, bisognerà perciò ricordare quanto scriveva Gramsci e viene oggi messo in pratica dai pedagogisti tecnocratico-progressisti della Riforma: "Se lo Stato rinunzia ad essere centro attivo e permanentemente attivo di una cultura propria, autonoma, la Chiesa non può che trionfare sostanzialmente [...] La Chiesa è uno Shylok anche più implacabile dello Shylok shakespeariano: essa vorrà la sua libbra di carne anche a costo di dissanguare la sua vittima e con tenacia, mutando continuamente i suoi metodi, tenderà a raggiungere il suo programma massimo [...] La Chiesa non può essere ridotta alla sua forza ‘normale’ con la confutazione in sede filosofica dei suoi postulati teorici e con le affermazioni platoniche di una autonomia statale (che non sia militante); ma solo con l’azione pratica quotidiana, con l’esaltazione delle forze umane creatrici in tutta l’area sociale" (37).

  L’opposizione al progetto dell’Ulivo, nella consapevolezza del mosaico complessivo sin qui descritto, non dovrà dunque trascurare nessuna delle "tessere" che lo compongono.

 

NOTE

  1. Cfr. Berlinguer: la scuola scoprirà l'autonomia di Chiara Raiola, L’eco di Bergamo del 20-7-96; "Le cause che non hanno permesso fino ad oggi l'approvazione di una riforma organica del sistema educativo italiano sono innumerevoli e, prima di tutte, aver voluto realizzare grandi progetti onnicomprensivi".
  2. Berlinguer: la scuola scoprirà l'autonomia, cit.. Il concetto è stato ribadito anche in occasione dell'annuncio del ddl sulla "parità": "L'approvazione dell'autonomia scolastica, insieme al riordino dei cicli e all'avvio della riforma dei programmi di insegnamento, costituiscono i capisaldi con cui il governo dell'Ulivo intende rispondere alle esigenze della scuola italiana. Manca ora all'appello solo la legge sulla parità solo la legge sulla parità delle scuole", Luciana di Mauro, Parità scolastica, presto la legge, in l'Unità del 4-6-97.
  3. Nelle Tesi elettorali 1996 della coalizione elettorale detta dell'Ulivo, che descrivevano apertamente le linee guida poi messe in atto dall’On. Berlinguer, NON è dichiarato - significativamente - alcun modello educativo: ci si limita a dire che è previsto "un piano di interventi straordinari basato su tre idee-cardine: educazione permanente, diritto allo studio e al sapere come diritto di cittadinanza, eguaglianza delle opportunità". In merito al termine educazione permanente, nei documenti ministeriali e delle commissioni internazionali recentemente ridenominata long life learning , può essere di giovamento la seguente definizione: "pratica che consiste nel trasformare la vita intera di una società, di una comunità, di una collettività situata e datata, in coscienza lucida e azione trasformante" (Antonio Silva, Sull’educazione permanente, in Cuadernos de Pedagogìa, n.° 40, aprile 1978). Quanto poi all'eguaglianza di opportunità si consideri che "La democratizzazione dell’educazione non é possibile che a condizione di liberarsi dei dogmi della pedagogia tradizionale, di istituire un dialogo libero e permanente nell’atto educativo, che si generi un processo personale di presa di coscienza esistenziale, ed orienti, semplicemente, in ogni occasione il discente verso l’autodidattica, in modo che quanto viene insegnato si trasformi da oggetto in soggetto. L’educazione é tanto più democratica quanto più riveste il carattere di una ascesa liberamente investigata, di una conquista, di una creazione, invece di essere [...] una cosa data o inculcata [...] Gli obiettivi dell’educazione non possono essere dedotti da principi cosmici, e non costituiscono affatto un insieme di valori assoluti [occorre andare verso] un umanesimo reale, nel senso che l’umanesimo scientifico rifiuta ogni idea preconcetta, soggettiva, astratta dell’uomo" (Edgar Faure e altri, Rapporto sulle strategie dell’educazione, trad. it. Armando, Roma, 1972, tit. originale Apprendre à étre, UNESCO, Paris, 1972, p. 86-87; p. 166; p. 167). Quanto poi al diritto allo studio come diritto di cittadinanza si valuti che "La crescita di una scolarità di massa é stata uno dei fattori che in questi anni più hanno modificato il volto della nostra società [...] ha infatti creato [...] anche a livelli di scuola secondaria e superiore, una situazione in cui i giovani e gli studenti sono divenuti - anche nei piccoli centri e nei villaggi - attivi portatori di un modo nuovo di intenderela famiglia e la società" (Giuseppe Chiarante, in La democrazia nella scuola, Ed. Riuniti, Roma 1974, p. 17).
  4. Riordino, La scuola secondaria.
  5. Cfr. anche Giulio Benedetti Addio vecchia scuola media in Corriere della Sera, 3-6-97; Luciana Di Mauro, Studenti, al via la patente formativa. Berlinguer presenta la nuova scuola, in L’Unità, 3-6-97; Margherita Luna d'Elsa, La scuola di Berlinguer, in Liberazione, 4-6-97.
  6. Il Decreto Ministeriale 31-1-1997, ha inoltre già stabilito l'adeguamento alle nuove disposizioni per gli Istituti professionali; estremi: S.O. n. 31 alla G.U. n. 036 serie generale parte prima del 13-2-1997. Sul modo di studiare di intendere lo studio della storia, ad esempio, "Il Labriola si mette così, decisamente, contro il sistema in uso di presentare la storia ai più piccini, per via di biografie di coloro che erano considerati i grandi protagonisti della storia. Questi eroi suscitano nel fanciullo "un interesse puramente empirico, una curiosità svagata"; e quel che é peggio "l'ammirazione dei forti, dei potenti, dei fortunati che non di rado risveglia dei fantastici assentimenti, dei desideri d'imitazione i quali, non che deprimere ed offendere possono affatto spegnere i sentimenti della giustizia e i motivi generosi della benevolenza" [...] egli parte da una sua particolare concezione della storia stessa che non é la storia delle classi dirigenti, dei grandi personaggi, delle guerre, delle paci e delle dinastie che hanno impresso il loro segno ai tempi, com'era insegnato fino a quel momento; ma la storia della fatica di tutti, del lavoro, delle cause e degli effetti visti nel concreto svolgimento della civiltà al quale gli uomini tutti hanno portato, sia pure anonimamente, il loro contributo. Storia di costume, quindi, di pensiero che si matura, di tecnica che si evolve. In questa storia i grandi personaggi riprendono le loro proporzioni umane, i loro limiti; la loro azione appare logicamente concatenata con le condizioni in cui operano; essi perdono quel tanto di taumaturgico e di superumano che suscita un'ammirazione malsana perché non critica e razionale. "E quando l'animo siasi abituato ad intendere in che cosa consista il concorrere di più uomini al medesimo fine, e quali limiti alla volontà di ciascuno impongano e la natura esteriore e la società in quanto sistema di rapporti, il distacco delle persone notevoli sul fondo comune dei contemporanei, perdute le vane attrattive poetiche della leggenda, finisce per assumere le giuste proporzioni della drammatica evidenza" (Dell'insegnamento della storia, pp. 39-40)" (cit. in Dina Bertoni Jovine, La scuola italiana dal 1870 ai giorni nostri, Editori Riuniti, Roma, 1975, p. 60-61)
  7. Novecento. Viviamolo. Studiando i greci. Colloquio con Hans-Georg Gadamer di Stefano Vastano, in L’Espresso, 24-10-1996. Sullo stesso argomento, con riferimento ai nuovi programmi di storia per gli istituti professionali, di cui al DM 31-1-97, è intervenuto anche il prof. Ernesto Galli della Loggia: "Tutto il programma berlingueriano appare volto nei primi due anni a contrastare ed esorcizzare un pericolo gravissimo: "l'intermittenza tematica derivante dalla tendenza ad aderire allo svolgimento cronologico di una pluralità di fatti". Tradotto in italiano vuol dire una evidente, fortissima diffidenza per tutto ciò che non sia una concettualizzazione modellistica, all'insegna di quella vulgata marxista-braudelista fatta da un misto confuso di storia sociale, di "longue durée" e di "mentalità collettive", la quale vulgata da anni tiene banco nelle nostre scuole. E' esattamente ciò che il decreto di novembre lasciava prevedere", in Corriere della Sera del 21-4-97: Come ti riscrivo il Novecento.
  8. Editoriale del n. 5-6 del dicembre-gennaio 1996-97.
  9. Riordino, Quadro di riferimento e linee guida della riforma.
  10. Antonio Gramsci, Gli intellettuali e l'organizzazione della cultura, cit. in L'alternativa pedagogica, La Nuova Italia, Firenze 1972, p. 144.
  11. DM n. 133 del 31-1-96; Beniamino Brocca è oggi il responsabile del settore scuola del CCD (Centro Cristiano Democratico). Cfr. pure, come esempio, la direttiva ministeriale n. 58 dell'8-2-96, relativa ai Programmi di Insegnamento di Educazione Civica, nel cui Allegato si afferma - tra l'altro - che: "i limiti e gli ostacoli allo sviluppo scientifico, tecnico, politico, economico e sociale sono soprattutto interni alla mente e al cuore dell'uomo, e dunque affrontabili anzitutto per via educativa".
  12. Cfr. Luiz Mendoza de Freitas, Le tappe della rivoluzione nell'economia, in Cristianità, n. 15, gennaio-febbraio 1976; Giovanni Cantoni, Repubblica italiana: laboratorio per un regime tecnocratico?, in Cristianità, n. 247-248, gennaio-febbraio 1995.
  13. MPI, Proposta per l’istituzione de Il liceo delle scienze sociali. Il MPI sta vagliando l'ipotesi di sostituire l'Istituto Magistrale, che ha perso la sua specifica valenza abilitante e formativa a seguito di quanto previsto dai DPR n. 470 e n. 471 del 31 luglio 1996 (concernente l'ordinamento didattico del corso di laurea in scienze della formazione primaria), con il Liceo delle Scienze Sociali, già a partire dall'anno scolastico 1998/99. Il liceo, che dovrebbe cominciare a funzionare in via sperimentale dal prossimo anno scolastico, prevede, tra l'altro, l'eliminazione della pedagogia dall'arco curricolare, ed una distribuzione delle discipline su un quadro orario di 30 ore settimanali. Cfr. pure il Progetto e Quadro orario, il Decreto Interministeriale per la soppressione degli Istituti e delle Scuole Magistrali (Bozza). Inoltre, dal prossimo anno scolastico si avvierà, su iniziativa della Direzione Tecnica, in 19 Istituti, la sperimentazione del 'Liceo Tecnico'. Il corso di studi quinquennale, articolato in un biennio (compatibile con un precedente anno di orientamento) ed un triennio, prevede: un'area disciplinare definita di equivalenza con insegnamenti comuni all'intera struttura secondaria; un'area professionale suddivisa a sua volta: 1. in un'area di insegnamenti comuni di settore per tipologia (biennio), 2. in aree di finalizzazione degli obiettivi definiti per tipologia e per indirizzo e parzialmente variabili in riferimento alle diverse realtà locali; un'area di approfondimento con funzioni di sostegno e di integrazione formativa in collaborazione con esperti esterni ed aziende. Gli ambiti disciplinari sono articolati in umanistico - sociale, scientifico, tecnico ed operativo, con i primi due a carattere nazionale e comune a tutti i settori. I contenitori sono: Liceo tecnico per le produzioni biologiche e le risorse naturaliste; Liceo tecnico per le produzioni industriali ed i servizi tecnici; Liceo tecnico per le costruzioni, le infrastrutture territoriali e la salvaguardia urbanistica; Liceo tecnico per le attività gestionali; Liceo tecnico per la salute individuale e collettiva; Liceo tecnico per le produzioni industriali (suddiviso in due corsi per il triennio: produzione e gestione dei servizi).
  14. "Il grande liceo classico in cui abbiamo studiato [...] ci ha corrotto. Molti di noi, che hanno fatto quegli studi, hanno un rifiuto della manualità e questo é un fatto che non va d’accordo con la cultura contemporanea" (Barone rosso, che scuola fai?, cit.).
  15. Il 23 gennaio 1997 la Conferenza dei Vescovi Italiani, aveva affermato che "desta preoccupazione il fatto che l'alunno sia visto non tanto come persona quanto come risorsa per lo sviluppo solo economico-produttivo, e quindi non venga dato adeguato rilievo all'impegno educativo, al coinvolgimento della famiglia, alla dimensione umanistica della nostra tradizione culturale".
  16. Bogdan Suchodolski, Fondamenti di pedagogia marxista, La Nuova Italia, Firenze 1967, p. 371 e 481.
  17. IDEM, Trattato di pedagogia generale. Educazione per il tempo futuro, Armando, 1964, p. 459.
  18. Il Manifesto, 15-1-97
  19. Il corsivo è mio.
  20. Enrico Pedemonte, Barone rosso, che scuola fai?, colloquio con Luigi Berlinguer, in L’Espresso del 22-8-96.
  21. Trasmessa con la Circolare Ministeriale n. 135 del 3-4-96, disposta col Decreto Legge n. 323 del 20-6-96 e quindi definita nella Circolare Applicativa n. 654 del 17-10-96.
  22. Riordino, Obiettivi di fondo
  23. Giuseppe Chiarante, in La democrazia nella scuola, Ed. Riuniti, Roma, 1974, p. 17.
  24. i corsivi sono miei
  25. Barone rosso, che scuola fai?, colloquio con Luigi Berlinguer, cit.
  26. IDEM
  27. Decreto Interministeriale del 10-3-97, DL 127/97 (Bassanini 2) e cm n. 434 del 15-7-97.
  28. La scuola italiana dal 1945 al 1983 a cura di Mario Gattullo, Aldo Visalberghi, La Nuova Italia, Firenze 1986, Introduzione, p. XI, i corsivi sono miei.
  29. Dina Bertoni Jovine, Sul rapporto scuola e società, in Scuola e Città, n. 8, 1964, p. 527
  30. Dichiarazione tratta da Internet, all’URL di www.tuttoscuola.com.
  31. Articolo 332 del DL n. 297/94 (testo unico).
  32. "L’organizzazione accademica dovrà essere riorganizzata e vivificata da cima a fondo. Territorialmente avrà una centralizzazione di competenze e di specializzazione: centri nazionali che si aggregheranno le grandi istituzioni esistenti, sezioni regionali e provinciali e circoli locali urbani e rurali. Si sezionerà per competenze scientifico-culturali, che saranno tutte rappresentate nei centri superiori ma solo parzialmente nei circoli locali. Unificare i vari tipi di organizzazione culturale esistenti: Accademie, Istituti di cultura, circoli filologici, ecc., integrando il lavoro accademico tradizionale, che si esplica prevalentemente nella sistemazione del sapere passato o nel cercare di fissare una media del pensiero nazionale come guida dell’attività intellettuale, con attività collegate alla vita collettiva, al mondo della produzione e del lavoro [...] La collaborazione tra questi organismi e le università dovrebbe essere stretta, così come con tutte le scuole superiori specializzate di ogni genere (militari, navali, ecc.). Lo scopo è di ottenere una centralizzazione e un impulso della cultura nazionale che sarebbero superiori a quelli della Chiesa cattolica". Antonio Gramsci, Gli intellettuali e l'organizzazione della cultura, op. cit., p. 109, il corsivo finale è mio.
  33. Cfr., come esempio di aggressione non estemporanea, né peculiare di questo Ministero, anche, l'intervista rilasciata dal già Ministro della P.I. Giancarlo Lombardi all'Avvenire del 3-4-96, in piena campagna elettorale: "Io credo che per gli istituti non statali che rispettino i criteri fissati da un centro di valutazione nazionale, si possano stabilire delle convenzioni con cui pagare il costo economico delle singole scuole".
  34. DM 26/97.
  35. In merito al concetto di servizio pubblico, il Ministro ha chiarito che "Il rapporto é di 9 pubblici per 1 privato [...] La competizione pubblico / privato nuoce alla scuola [...] Le finalità del sistema dell’istruzione sono sempre pubbliche: é la gestione che può essere privata [...] Quando parlo di parità non parlo di finanziamenti, ma di un insieme di obblighi e diritti comuni, soprattutto obblighi. Ci sono standard da osservare: docenti [...] Intanto definiamo i criteri dell’autonomia delle scuole. Poi affrontiamo il tema della parità [...] Non condividiamo la soluzione del buono scuola. E neppure la parte più forte e sensibile del mondo cattolico la condivide [...] Così come non siamo molto convinti della [...] defiscalizzazione delle spese. C’è invece chi propone la strada delle convenzioni" (L’Espresso 22-8-97); e che "parità della scuola non significa soldi pubblici agli istituti privati" (l’Unità del 6.9.96)
  36. Verbale del 15-02-97, Ipertesto, cit.
  37. Antonio Gramsci, Note sul Machiavelli, sulla politica e sullo Stato moderno, in L’alternativa pedagogica a cura di Mario Alighiero Manacorda, La Nuova Italia 1972, p. 39.