"... La luce che splende al di là di questo cielo, al di là di tutte le cose, nei più alti mondi, oltre ai quali non vi è più nulla, questa luce è in verità la stessa luce che irraggiò nell'uomo".
(Chändogya Upanishad, III-13/7)
S h a k t i
(Un'Odissea New Age)
di
Andrea S. Floriani
Al Dio Sconosciuto
(8950° anno di kaly yuga: 5950 d. c.)
L'Uno è il suo nome per noi miseri umani, lo Sconosciuto, la Luce Splendente del Brahman, l'unico che possa veramente conoscere tutto nell'Universo che sempre si espande ed esplode. Solo lui, che é Perfetto e Onniscente, può comprendere anche il più recondito significato del nostro cieco strisciare nella vita, come serici vermi accecati sulle foglie di un cosmico gelso Immortale. Lui è il Primo e più alto Fattore della vera Gnosi, al quale ognuno di noi dovrà tornare immacolato, quando l'ultimo "Tempo del Sogno" sarà spirato, quando il cerchio perverso dell'eterno ritorno sarà chiuso per sempre, dopo migliaia e migliaia di sogni affannosi, quando il nostro Atman, giunto alfine alla meta, potrà ricongiungersi con la propria perduta Essenza divina.
Ho una memoria confusa delle mie vite precedenti su questo pianeta che noi, fantasmi di carne, chiamiamo Terra. Qualche volta, l'alito caldo e profumato dell'amore mi ha sfiorato, come il tiepido vento di marzo che rinfranca le ossa, e l'anima gemella e gentile di una dea umana dal corpo liscio e infuocato, fatto di sangue e d'umori celesti, ha nutrito il mio karma assetato di vera gioia. Insieme abbiamo percorso innumerevoli tempi del sogno per un lungo o breve tratto, abbracciati e storditi, incespicando e cadendo nel fango della via dolorosa, aiutandoci invano, perchè ognuno ha un destino diverso. Ma la maggior parte delle mie innumerevoli vite non è stata altro che un orribile, angoscioso incubo, dove ogni senso compiuto s'era perso nel caos, e nessuna speranza poteva lenire il tormento della mia anima disperata. Nè una fede, nè un'altra verità esoterica da scoprire illuminava l'ombra maligna gettata dal fosco velo di Maya: ero solo... solo con me stesso nel deserto infuocato della vita. Perchè dovrei sopportare ancora tutto questo, mio Dio? Perchè, Volontà Sconosciuta, vorresti riportarmi ancora una volta all'incerta luce crepuscolare e malata della vita terrena con gli atroci dolori del parto di una piccola donna? Perchè lei, povera ragazza, dovrebbe amarmi, dopo tutto? Non voglio il tuo latte pietoso, cara Shakti terrena, nè i tuoi sogni, che non potranno mai essere miei. Non voglio vivere ancora; lascia che muoia per sempre, che possa tornare libero e puro alla Sacra Luna, mia vera madre, e poi al possente Sole, mio fiammeggiante Padre... ...E poi lontano, e più lontano ancora,oltre le galassie conosciute, oltre l'infinito, perso nello spazio-tempo senza spazio né tempo,, distante miliardi di anni-luce da queste squallide vite naufragate, una volta per tutte, finalmente leggero, come un cadavere siderale senza sangue, senza ossa, senza carne, senza pensieri nè memoria. Vorrei, Dio ti prego, ascoltami, diventare soltanto un eone, una solitaria, minuscola, insignificante ma splendente goccia di luce, dispersa nel vuoto infinito del nulla divino... ...Fino all'ultima fine del tempo finito.
La notte del Bardo Thödol
(5999° anno di Kaly-Yuga: 25 maggio 2999 d. C)
L'alba di questo giorno mi trova sveglio ed inquieto, dopo una notte di incubi assurdi, di lotte mortali con i miei dèmoni interni. Non so se sono vivo... Chi ha vinto?
Con un impulso del pensiero apro la finestra verso Est, e la Chiara Luce Primordiale mi acceca: è questa? Sono o non sono dunque?
Quanta bellezza ancestrale si rivela in quei bassi cirri candidi contornati di nero, ammassati in file parallele contro lo sfondo puro del cielo terso. Quanta magnificienza incomprensibile in quei raggi maestosi che dardeggiano e si rifrangono fra le nuvole come lingue di fuoco.
Sono solo al mondo. Nessuno può vedere con i miei occhi. Niente può appannare la mia mente, e il mio essere si lancia felice nell'aria frizzante senza suono.
Ho attraversato i millenni senza comprendere la mia vera innocenza. Ho percorso delirando le strade che mi sono state assegnate, illudendomi di deviare il corso degli eventi, anche solo di un infimo soffio...
Qualcuno ha riso di questa mia vana ribellione:
- Rilassati amico... Non c'è nulla che tu possa fare..."
Un assassino non è dunque colpevole?
Ho letto il mio passato brulicante di ricordi struggenti, di mani protese, di visi contorti, di urla strazianti. Appartengo alla notte dei tempi: tutto è ormai dietro di me e mi soffoca, mi preme dentro e mi spinge...
Il futuro mi aspetta ghignante; non ha fretta di cullarmi nel prossimo incubo.
Quante volte ancora?
Quante volte ancora dovrò tornare e cercarti?
Quante volte ancora dovrò perdermi in te?
Quante volte ancora dovrò affrontare la tua spietata, incomprensibile bontà senza capirne l'essenza?
Shakti (1)
Non fosse per te, come potrei mai sorridere? M'hai seguito mille volte paziente, per strade di fango finite nel vuoto, senza chiedere nulla, senza mai disperare.
Siamo stati divisi dal buio del tempo, mio dolce, mio tenero amore. Ho vissuto altre vite cercandoti invano, perchè ricordavo, sapevo che tu m'aspettavi: dov'eri mio cuore? Delirio degl'anni cercando la luce! Il mio karma è il tuo amore, il tuo fiore l'oblio delle colpe, il Brahman sublime che annulla e da pace.
T'ho sempre cercato Parvati adorata; ho percorso le strade del mondo in delirio, scrutando negli occhi le donne di Sumer, di Babilonia, di Atene, di Roma e New York. Ho sfiorato quei corpi con mani febbrili, la mente in subbuglio cercando il tuo segno: il profumo della tua pelle. - Sei tu Shakti? - Chiedevo tremante. Qualche volta hai risposto con voce flautata: - Sì, sono io amore, sono qui con te, ancora una volta..." Quelle vite, vissute nel sogno più dolce han nutrito il mio karma assetato d'amore.
Credi ancora in me, dolce Shakti? Sei certa che conosca davvero la meta finale del nostro vago cammino terreno? Quale meta Shakti... Quale meta? Non l'ho mai conosciuta... Ho vissuto fingendo, sperando, pregando, soffrendo e godedndo dei mali del mondo, cercando confuso il mio posto nell'abisso del tempo.
Anima Suprema, Grande Uno, Fratello Divino, liberami dal cerchio dolente dell'eterno ritorno. Fa che possa svanire per sempre dopo tanto tormento; accoglimi nel perfetto silenzio del tempo senza tempo. Diecimila e più volte, dimmi Paramatha, non bastano ancora?
Il mio solo conforto sei tu Shakti; non so più dove andare... Sono debole e solo, sfiduciato e deluso. Ecco la mia mano; stringila forta, lasciami bere alla tua bocca di miele... Fammi morire e rinascere in te, nel tuo fiore sublime che odora d'incenso. Fatti guardare mio dolce, ineffabile amore, gioia degli occhi di Indra,
labbra di rosa, viso di pesca, occhi di giada, voce d'incanto, corpo di seta, capelli di piuma...
Che il castello di fuoco mi accolga festoso, le lingue guizzanti mi brucino il cuore... che ancora e per sempre ti possa cercare.
Indra
(1570° anno di Kaly-Yuga: 1430 a.C.)
Vengo dai
monti dove il sole muore ogni giorno.
Ho percorso
altopiani deserti, valli ubertose,
fiumi veloci e
laghi salati con la mia gente,
gli armenti, gli
schiavi, i carriaggi.
Gli Dei m'hanno
sempre ascoltato;
m'hanno dato una
meta.
Ho sacrificato al
sole, al fuoco e al vento
cavalli forti e
fanciulle dalle natiche sode.
Sono Indra,
l'orgoglio e la guida degli Aryas,
terrore dei Vrtra,
dei Panis, dei Vala.
I carri da guerra
di dodici Vish,
trascinati dai
forti cavalli dalle froge fumanti,
hanno travolto i
nemici, distrutto i raccolti,
frantumato le mura
di grandi città.
Sono Puradamsra,
eversore di fortezze,
vincitore di mille
battaglie.
La mia ascia non
conosce pietà,
né il mio cuore
paura.
Sono un
guerriero, non temo la morte.
Quando verrà
quella vecchia puttana,
ci guarderemo
negli occhi ridendo.
La pira mi aspetta
da sempre,
il fuoco lambisce
il mio cuore
sin dal primo
vagito selvaggio.
Quando il mio
tempo sarà giunto,
brucerà la mia
carne di uomo divino,
le mie ceneri
danzeranno nell'aria,
per posarsi sulla
terra riarsa
e renderla pregna,
com'é giusto che sia.
Il mio seme
é fiorito nel ventre di cento fanciulle
dagli occhi
profondi e dagli occhi di ghiaccio.
I miei figli sono
lupi affamati di gloria e di morte.
Urleranno alla
Luna, pregheranno la luce,
correranno veloci
nel mondo ricordando il mio nome.
Il mio regno é lo
spazio frustato dal vento,
dove il rombo
degli zoccoli dei miei cento cavalli
si dispiega
possente come il tuono di un Dio.
Sono Indra
l'astuto, con il vento nei capelli,
con gli occhi
puntati verso il sole nascente,
là dove sorge la
fertile valle dei sette fiumi,
con le sue città
arroganti dalle mura svettanti,
nella terra dei
grassi e stupidi Dasyus.
Quella sarà la
mia ultima battaglia;
quando tutto sarà
finito mi godrò la mia pace:
voglio riposare,
ubriacarmi, cacciare
e fornicare per il
resto dei miei giorni,
dopo aver mozzato
le vostre teste immonde
e bevuto il vostro
sangue dolce,
dopo aver lordato
le vostre vergini più belle
con il mio seme
potente di Arya
che brucerà loro
le viscere,
dopo aver
strappato i genitali agli infanti
per ingrassare i
maiali che arrostirò sulla brace
ancora ardente
delle vostre sciocche case di fango
e aver scacciato i
vostri fiacchi Dei dalla mia terra.
Non meritate
questo giardino di miele e di soma,
brutti nani
deformi, neri come il Dio degli inferi
vostro padre e
padrone!
Aryavartha sarà
il nome della nostra terra,
dai monti di Shiva
fino alla fine del mondo,
per sempre, per il
tempo assegnato,
per tutta
l'eternità degli Aryas immortali.
Adoratori di
serpenti, tremate!
Indra il
conquistatore si avvicina!
La conquista di Mohenjo Daro
(1571° anno di Kaly-Yuga: 1429 a. C.)
Tu, dea
dell'amore di un popolo vinto,
che ho preso una
notte con forza brutale,
con la mente
sconvolta dal fuoco e dal sangue
versato dagli Arya
miei pari, guerrieri crudeli,
che infranti i
bastioni potenti della grande città,
dopo tanto
tormento di battaglie e di morte,
saccheggiano e
uccidono, accecati dal male,
di violenza
assassina mai paghi.
Tu m'hai
teso le braccia anche allora,
incurante di
tutto, del fuoco che ardeva,
delle carni dei
morti, di quel puzzo schifoso
che saliva già in
fumo nerastro nel cielo,
del mio viso
sconvolto d'ardore guerriero.
"Ti aspettavo
mio sposo, ti aspetto da sempre...",
m'hai detto in un
soffio leggero incompreso.
Non potevo capire,
non sapevo ancor nulla
del karma,
dell'Uno, dell'Eterno Ritorno,
del premio che
Shiva mi donava con te.
Un brivido
oscuro mi gela le ossa:
E' paura? Di chi,
del rimorso?
Di quel Dio
sconosciuto, nascosto
e potente che cela
il tuo volto?
Dei nemici che ho
ucciso e smembrato,
delle vittime
urlanti che ho immolato sul rogo
nel nome di Giove
tonante?
Ho voluto
scordare l'orrore del sangue
nel tuo grembo
infuocato di dea,
dopo averti
guardato danzare
una danza d'amore,
di Tantra.
Divoravo con gli
occhi e la mente
Le tue gambe
nervose e lascive.
Quel tuo piccolo
seno appuntito
sobbalzava
facendomi urlare,
quel tuo ventre
setoso e lubrico
riluceva invitante
e selvaggio
alla luce morente
di un giorno
lontano nel tempo
del sogno,
del quale s'è
perso il ricordo.
M'hai amato
con candido ardore
quella notte, la
prima di tante,
dolce Shakti dagli
occhi di giada.
M' hai svegliato
dal sonno agitato;
hai scacciato con
dolci parole,
con calde carezze,
con baci di donna,
quegli immondi
fantasmi di morte
che tornavano
sempre ad urlare
come lupi affamati
e consunti.
Le tue mani
sfioravano il viso
di un nemico
selvaggio e crudele,
ben più chiaro di
te nella pelle,
ma col buio
profondo nel cuore,
con quegli occhi
di cielo d'estate
che scrutavi con
animo buono.
Quel tuo
amore sereno e devoto,
io l' avrei poi
capito col tempo,
rinnegando per
sempre il passato,
rinascendo con te
nella luce dell'Uno.
Il mio karma è
intessuto col tuo,
dolce fiore dai
petali rosa.
Nascerò
mille volte e poi mille ,
per cercarti ed
amarti in silenzio,
per sfuggire con
te dalle ombre sinistre
delle vite future
già scritte,
in quel ciclo
perverso ma dolce,
dell'eterno
ritorno nel mondo,
dell'eterno
ritorno da te.
Adorata
Prakriti dall'anima pura,
danza ancora per
me coi bracciali lucenti
una danza di
Tantra, d'amore sincero.
Sarà l'ultima
volta del tempo per me,
mentre il giorno
si spegne annoiato
e s'accende la
pira guizzante
ravvivata dal
vento dell'Est.
All'Inferno e ritorno
(1587° anno di Kaly-Yuga: 1413 a. C.)
La tua
anima, il tuo soffio vitale,
Indra mio amato,
mio bene supremo,
sta lasciando il
tuo corpo per sempre.
Dove vai dolce
soffio che amo?
Il tuo spirito
fluisce lucente
dalla spoglia
terrena che brucia;
si ferma un
istante, si libra esitante,
mi guarda per
l'ultima volta,
poi scompare
veloce nel nulla.
Va' fiero
atman di Indra,
ho danzato per te
come hai chiesto,
ho danzato per
l'ultima volta,
con le lacrime
agli occhi,
con il cuore
spezzato
da un dolore
sublime.
Addio mio
sposo terreno;
prendi con te la
mia vita,
i miei baci più
ardenti,
il mio amore
devoto di donna.
Porta in cielo con
candido ardore
tutto il peso
delle azioni compiute
nell'inganno del
tempo del sogno.
Non scordarti chi
sei, chi sei stato,
chi sempre sarai
nel futuro,
del tuo cuore
immortale
che attende di
battere ancora,
quando il soffio
vitale che è tuo,
tornerà nella
carne di un altro.
Io non posso
aiutarti;
dovrai vivere solo
la prova suprema,
le pene strazianti
del karma incompiuto,
il rimorso del
sangue versato,
il silenzio del
tempo senza tempo...
Chiedo all'Uno
distante e segreto,
in quel nulla
infinito e lontano
che stordisce e
confonde la mente,
pietà vera per
un'anima persa.
Solo io la conosco
davvero;
solo io so che ha
amato nel sogno.
Ma a che serve
pregare,
quando tutto è
già scritto?
Temo tanto
amor mio,
per la vita futura
che avrai.
Pesante è il
fardello che porti!
Amico, fratello,
mio amante,
Non c'è nulla di
vero
ch'io possa fare
per te.
Nessuno mi
ascolta,
lassù, quaggù o
la sotto.
All'inferno e
ritorno,
per quel viaggio
di tanti
che tutti ci
aspetta.
Siamo tutti soli,
finché giunge il
momento...
Io t'aspetto per
sempre;
voglio ancora il
tuo viso,
le tue rudi
carezze per me,
per me sola...
Vivere o
morire
non è poi grande
cosa;
quel che conta è
l'amore.
Senza lui siamo
niente;
corpi vuoti
animali,
crudeli, feroci,
grotteschi.
E' l'amore che
salva,
che illumina il
Cosmo
di un bagliore
possente
che ci rende
davvero migliori.
Per averlo
una volta,
per provare a noi
stessi che esiste,
ci dobbiamo
annullare.
Si, perderci in
lui con i sensi,
senza usare la
mente.
Ci è dato
soffrire, aspettare;
chiudere gli occhi
e sperare
che giunga, che
ritorni al più presto,
che ci tenga per
mano per sempre...
No, non
posso aspettare serena
d'invecchiare e
morire da sola.
Non c'è pace nè
amore nel tempo del sogno
senza te, mio
Purusha immortale.
Che le stesse
fiamme ci uniscano ancora,
e quel fumo
odoroso ci accompagni nel nulla.
Soffia ancora più
forte caro vento dell'Est;
brucia ardente
anche me...
...ma fà in
fretta, ti prego;
sono solo una
donna... ho paura.
L'ultimo giorno di Indra Sadhu nella terra del sogno
(3565\'b0 anno di Kaly-Yuga: 565 d. C.)
Il sole spietato mi ha seccato la pelle, inaridito la carne e bruciato le pupille. Vedo tutto confuso, come in un eterno crepuscolo velato di nebbia. Da quanto sono qui? Quanti anni sono trascorsi da quando ho lasciato la fresca ombra della mia casa vicino al gran fiume?
Ha importanza?
Il tempo dell'uomo è incerto come il karma di un verme; non ha senso contarlo.
Sento il sibilo acuto di un cobra e lo vedo, senza aprire gli occhi. Dondola la magnifica testa a due passi dal mio viso di cuoio. E' gonfio e possente; s'inarca sicuro della sua forza divina cercando il mio sguardo, pronto a colpire con una frustata mortale. La mia mente legge nella sua; sappiamo entrambi d'essere fratelli. Un tempo sono stato lui e verrà un giorno in cui lui sarà me. Il possente naga capisce; soffia un'ultima volta, poi s'affloscia elegante e striscia via silenzioso fra i sassi bollenti, mentre lo seguo con la mente, e lo guido verso una lepre che annusa l'aria sospettosa, pronta a fuggire.
Sono solo nel deserto di sassi calcinati dal sole; solo come non potrò esserlo mai più, in nessun'altra vita. Solo con il mio Io immortale e questo povero corpo consunto.
Uno stuolo di avvoltoi gira in cerchio su nel cielo terso, proprio sopra di me, e uno sciacallo annusa l' aria sentendo la morte che si avvicina. Ascolto il sibilo fragoroso del mio respiro e dell'aria bollente che, attraverso le nari piagate, mi entra nei polmoni, riempiendo ogni alveolo rinsecchito, ma ancora goloso d'ossigeno.
Un alito leggero di vento mi porta a tratti l'odore dolciastro della carne che brucia.
- Uomo o animale? - mi chiedo.
Non che la cosa m' interessi in modo particolare. La vita è morte, e la morte è vita, per tutti. E' solo una piccola, sciocca curiosità, di quelle che mi concedo di rado, giusto per distrarmi un momento dalla contemplazione del nulla. Il vento, insistente, con refoli lievi, mi riporta quell'odore che analizzo con il corpo e la mente: c'è sentore di legno di sandalo nel fumo che giunge da lontano. Un essere umano dunque. Uomo o donna? La pira non mente mai, e il profumo sottilmente acre della stoffa del'ampio sari , combusta con i fiori, che distinguo nettamente, mi racconta pietosa che si tratta di una femmina umana.
Prego per te dolce anima, Shakti splendente dal ventre generoso; tu che hai portato alla terra la vita e il tuo sorriso di donna ad un uomo. Prego per te, chiunque tu sia. Anche l'ultimo dei sudra ha diritto alla pietà, più di un vanitoso guerriero, di un goloso brahmano e più ancora di un raja potente e arrogante, che si crede già un Dio.
Che tu possa lasciare la terra del sogno e non tornare mai più. Prego Dio che il tuo samsara sia concluso per sempre, che il tuo sé ritorni alla luce dalla quale si è scisso per l'imperscrutabile disegno divino; che possa risplendere e confondersi in lui per l'eternità.
Non è tempo questo per le anime buone; questo è il tempo di Kaly-Yuga, del ferro, della follia, del dolore.
Vedo lontano, nel tempo e nello spazio, prima e dopo questa misera vita. Il mio punto di vista temporale è parte di Maya, del sogno. Non esiste né prima né poi; il presente non è altro che un'astrazione senza senso compiuto: fluttua liberamente, fluisce e rifluisce, si espande e si ritira, in quella dimensione astratta che, in molte lingue diverse, ma sempre con lo stesso significato, gli uomini chiamano materia.
Posso vedere con gli occhi della mente tutte le mie vite passate, senza capirne il nesso segreto. Questo è il limite che non sono ancora riuscito a superare; la mia condanna a rinascere ancora, chissà quante volte. Sono stato e sarò, ricco o povero, sciocco o sapiente, vicino o lontano dalla verità che tutti ci attende... Prima ancora non so, ma sono certo di avere vissuto, almeno una volta, nel corpo flessuoso di un possente ed iroso cobra reale, che ha cambiato molte pelli prima di chiudere la sua esistenza. Guardo me stesso in mondi diversi, con curiosità, ma senza stupore. Non conosco molti degli oggetti che vedo: le strade, le case, i vestiti... mi sembrano strani, e sorrido. Non capisco le parole che sento pronunciare da chi vive con me in quei sogni reali, nelle vite passate o future, ma so d'essere sempre io; sempre lo stesso, sempre diverso.
Comprendo con il cuore il dolore e la gioia. Qualche volta l'alito dolce e tiepido dell'amore mi sfiora e mi avvolge nel suo abbraccio struggente, e rivedo il suo viso. La mia cara compagna di sempre; colei che sorride e mi ama, dov'è? Non ci siamo incontrati in questa vita. Forse ci siamo solo sfiorati, ma senza riconoscerci. Per questo non ho alcun timore della morte; non c'è bisogno che la cerchi; lei arriva sempre quando il tempo del sogno è trascorso. Il mio vecchio cuore, ormai asciutto come un pozzo abbandonato ha un sobbalzo, e il respiro si spezza in singhiozzo. Sì, ecco, ora vedo il suo viso gentile e posso udire la tua voce flautata. Tendo la mano nel vuoto e sento il tepore del suo corpo liscio e sottile.
- Sei tu, dolce Shakti dagli occhi di giada? Sei davvero tu? -
Lei sorride e scompare in un lampo accecante, mentre il tepore della sua mano mi scende nel cuore.
Non ho mai scordato il piacere dei sensi; dell'amore che unisce due metà speculari, gettate a casaccio da Dio sulla Terra, destinate ad incontrarsi solo qualche misera volta nell'abisso del tempo, in tante vite diverse e disperse, per tornare poi, dopo infiniti tormenti, finalmente alla luce, riuniti in un unico sé. Quell'amore che'è mio, quella parte di me che mi manca dolorosamente, che mi rende più buono e felice, che nutre il mio karma disperato, che mi avvicina all'eternità, mi attende in una prossima vita. Saprò riconoscerlo?
- Vieni morte, vieni mia dolce morte; non farmi aspettare ancora; sono pronto da sempre, fin dal primo vagito. Perchè devo respirare ancora, per vivere un altro giorno o un solo minuto... perchè bere, se poi sono costretto ad urinare? - .
Lo sciacallo si'è seduto boccheggiando con la lingua penzoloni all'ombra di un masso e mi guarda con occhi bramosi.
- Sento distintamente il tuo pensiero fratello; non temere, il mio corpo è già tuo. Fra poco potrai saziarti, e rigurgitare la mia carne ai cuccioli che ti aspettano affamati nella tana. Il momento è vicino, ma devi avere ancora un po' di pazienza: fammi pensare ancora, non distrarmi... -.
La mente intorpidita dal velo della morte, fatica a riprendere il corso del pensiero interrotto.
- Dov'ero? Ah sì, adesso ricordo... spirito e materia non sono che due metà di un unico seme. Né l'uno né l'altro perisce. Tutto è duplice ed unico. Il mio povero corpo, così leggero e rinsecchito, nutrirà parcamente lo sciacallo e i suoi cuccioli, e quel poco che rimarrà, dopo che gli avvoltoi avranno spolpato le ossa, concimerà la terra sulla quale ora sono seduto. Così sarà anche per il mio sé, che verrà sublimato in eoni di luce; in atomi senza peso specifico che racchiuderanno il mio vero essere immortale. Il piacere dei sensi non è parte della sola materia, come molti uomini sciocchi pensano, ma del soffio divino, che racchiude anche l'anima. L'amore carnale è puro come l' acqua della più alta sorgente dei monti di Shiva. L'amore ci è donato da Dio per riunire due parti disperse da un disegno immanente, in un unico essere, destinato a tornare esso stesso divino , dopo un lungo e doloroso processo di gnosi, al termine del quale, concluso il suo ciclo, si ricongiungerà con la matrice originale, causa ed effetto di tutte le cose. La via dell'Uno è l'unica via. La duplice essenza ci divide solo nel tempo del sogno, ma ci unisce alla luce immortale, eterna ed immutabile. La vita è parte del Suo disegno, incompreso nel tempo dell' uomo, ma anch'esso non é altro che Maya: come tutto, come Dio stesso, che esiste solo se noi esistiamo, e noi siamo reali per quei brevi momenti, solo se Dio non è anch'Esso pura illusione - .
E' buio... è buio... è buio...
Sospeso nel nulla
(4946° anno di Kaly-Yuga: 21 luglio 1946)
Sospeso nel nulla che culla il mio Io, attendo il ritorno nel mondo, il ritorno alla vita. Non sento passioni né ardori terreni Nel tempo che scorre più lento, ma solo silenzio. Ricordi lontani di vite sciupate non danno tormento al mio cuore, che proprio non sento.
Chi aspetta la in fondo, alla fine dei giorni? Cos'è quella luce che abbaglia, che illumina il Cosmo?
Sospeso nel nulla che culla il mio Io, attendo paziente il mio turno di vivere ancora. Un corpo di carne mortale mi attende in un ventre già pregno di donna, che ride contenta... per farmi soffrire, per farmi morire...
...ancora una volta.
Verrà la vita...
(4997\'b0 anno di Kaly-Yuga: 1997 d. C.)
Verrà la vita... e avrà i tuoi occhi, la prossima, la nostra, non questa, sbagliata, arruffata, pasticciona, divisa. Non questa, trascorsa nel vuoto, passata in attesa di mesti ritorni.
Lo senti quel suono lontano? E' l'eco, il richiamo appassito dei nostri ricordi che chiedono udienza.
Verrà la vita... e avrà il tuo sorriso, splendente di gioia e d'amore. Ci riconosceremo? Avremo un aspetto diverso: io sarò certamente più alto, tu sempre più bella. Forse non mi vedrai, forse non mi aspetterai, forse...
Lo senti quel suono lontano? E' l'eco, il richiamo appassito dei nostri ricordi che chiedono udienza.
Verrà la morte... ed avrà il tuo volto, pallido e triste, rigato di pianto. Non disperarti Shakti, Parvati adorata, la vita, l'amore, la morte, non sono che pura illusione. L'eterno ritorno ci attende, ci prende per mano, ci porta lontano, ci culla in un sogno infinito di lunghi tormenti, di estasi brevi.
Lo senti quel suono lontano? E' l'eco, il richiamo appassito dei nostri ricordi che chiedono udienza.
Verrà il nulla... e saremo uno solo, una sola certezza, una sola illusione. Del canto del mondo udiremo il brusio, lontano, ovattato, irreale. Saremo felici?
Non so piccolo amore, non so... Certezze terrene Ci opprimono il cuore. Nel nulla c'è pace, di più non so dire.
Lo senti quel suono lontano? E' l'eco, il richiamo appassito dei nostri ricordi che chiedono udienza.