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Stefanucci
Paola
Tricoli
L’EVOLUZIONE STORICO-IDEOLOGICA
DEI DIRITTI DELL’UOMO
1.
Premessa.
Descrivere l’evoluzione storica della dottrina
dei diritti dell’uomo rappresenta un compito assai arduo. Non è difficile
constatare come questo tema abbia occupato un posto di notevole rilievo in tutta
la storia del pensiero, da Aristotele ai giorni nostri.
Il giurista Norberto Bobbio schematizza questo
processo in tre periodi storici principali: l’epoca dei diritti umani naturali
e universali (il pensiero giusnaturalista), quella dei diritti umani positivi e
particolari (la Rivoluzione inglese, americana e francese) ed infine la fase
dell’internazionalizzazione dei diritti umani (che restano positivi se si
ammette che il Diritto Internazionale sia diritto, ma eluderemo questa pur
importantissima questione).
La filosofia giusnaturalista si preoccupò di
cercare un fondamento assoluto e universale dei diritti umani (trovandosi poi in
difficoltà quando a questa categoria bisognava dare un contenuto) partendo dal
presupposto che, una volta trovata una base solida, ne sarebbe scaturito
immediatamente il rispetto effettivo di questi diritti.
Come sostiene Bobbio, il problema del fondamento è
ormai superato. In primo luogo perché non può esistere come assoluto, ma solo
come storico, relativo, culturale. In secondo luogo perché la base storica
esiste: la Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo del 10 dicembre
1948, approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (che nelle sue
parole è lontana dalla realtà, ma costituisce, visto il successivo
“rafforzamento” del suo contenuto con i Patti del 1966, quel consensus
humani generis caro ai giusnaturalisti).
2.
I
diritti umani come diritti naturali e universali.
Non si può parlare propriamente dei diritti
fondamentali fino all’epoca moderna. In precedenza esisteva solamente
un’idea di dignità, di libertà e d’uguaglianza, che troviamo in autori
classici come Platone, Aristotele, ecc. Perché, dunque, i diritti umani
emergono solo nell’età moderna come dottrina di limitazione del potere
politico (costituzionalismo)?
I motivi sono, ovviamente, plurimi e sono
rintracciabili nelle “cesure” tra epoca classica e moderna, secondo la
tradizionale distinzione storiografica:
A)
Il
cambiamento nella situazione economica e sociale, con la lenta e costante
affermazione del capitalismo e della classe borghese.
B)
Il mutamento
della struttura del potere, con la grande rivoluzione della centralizzazione e
razionalizzazione del potere che prende il nome di Stato moderno.
C)
Il
cambiamento nella mentalità prodotto dall’Umanesimo e dalla Riforma, con la
progressiva affermazione dell’individualismo, del razionalismo, del
naturalismo e del processo di secolarizzazione.
D)
Il mutamento
nelle scienze e il nuovo significato attribuito al diritto, con la rivoluzione
scientifica.
In un contesto dove vi era il fallimento
dell’autorità della Chiesa e delle spiegazioni dogmatiche del mondo (e quindi
un vuoto nell’ordinamento sociale), il “soffocamento” della borghesia da
parte dello Stato assoluto (il cui processo di formazione aveva però contribuito
alla sua ascesa) e il generale dissenso alle dottrine del monarca assoluto, si
spiega il consenso prestato alla dottrina dei diritti umani come filosofia della
regolamentazione e della limitazione del potere assoluto (il costituzionalismo)
che, infatti, ha le sue radici in Inghilterra ed in Olanda, vale a dire quei
paesi dove non si era mai completamente affermato il potere legibus
solutus e, quindi, era più facile ostacolarne il compimento.
3.
I
diritti umani come positivi e particolari.
Tra
‘600 e ‘700 la dottrina dei diritti umani acquistò in concretezza, ma perse
in universalità. In altre parole, rispetto al precedente periodo storico, sono
ravvisabili tre principali punti di rottura dell’astrattezza dei diritti
dell’uomo: la Rivoluzione inglese, americana e francese.
Nella Rivoluzione inglese la preoccupazione
principale fu quella di limitare le prerogative regie a favore del Parlamento.
In realtà, sotto il profilo che a noi interessa, non fu una vera cesura col
passato, anzi, i diritti proclamati dagli inglesi, nella Petition of Rights
(1628) prima e nel Bill of Rights (1689) poi, prendevano le mosse dalla
tradizione, vale a dire la Magna Charta del XIII° secolo.
Anche la Rivoluzione americana, pur con le sue
peculiarità, costituisce un momento di continuità rispetto al passato: non
solo perché in alcune colonie era già stata abolita la società per ceti ed
erano stati positivizzati alcuni diritti fondamentali, ma anche perché gli
americani fondarono i loro diritti sempre sulle libertà proclamate dalla Magna
Charta.
La vera rottura col passato fu realizzata dalla
Rivoluzione francese: la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino
del 1789 costituì una frantumazione totale dell’ordine sociale e politico
precedente, il vero spartiacque sociale e giuridico tra l’età moderna e
quella contemporanea.
Il punto in comune di queste rivoluzioni fu appunto
quello della positivizzazione dei diritti fondamentali, attuando così il
passaggio dai diritti dell’uomo in quanto tale ai diritti del cittadino di uno
Stato. Le libertà civili acquistarono, come affermavamo sopra, in concretezza e
in effettività, ma persero il loro valore universale.
Il pensiero storico e politico si è consumato a
lungo sul rapporto tra le due rivoluzioni (assimilando quella inglese e quella
americana ad un unico modello) e su quale sia stata eticamente superiore. Ad
esempio per Thomas Paine esse avevano in comune i principi ispiratori, il
fondamento sul contratto sociale, ecc. Ma, come sostiene Bobbio, a ben guardare
i due modelli sono assai differenti, avendo in comune solamente la centralità
dell’individuo.
Non vi è
alcun dubbio che per l’Europa continentale la Dichiarazione francese del 1789
fu più importante, essendo stata il riferimento costante per tutti coloro che
combatterono per la propria libertà. Il nucleo della Dichiarazione è
costituito dal legame indissolubile tra individuo, diritti fondamentali e
sovranità popolare, che renderà inscindibile il concetto di democrazia dai
diritti dell’uomo. Non esiste democrazia che non presupponga il concetto
d’individuo come soggetto giuridico e, per converso, tutte le dottrine
reazionarie passarono per l’avversione all’individualismo.
Il testo della Dichiarazione del 1789 fu sottoposto
a molte critiche; ad esempio Burke, da sempre avverso alla Rivoluzione francese,
la definì come troppo astratta, generale, addirittura semplicistica; al
contrario Marx ne sentenziò l’eccessiva concretezza e parzialità, vale a
dire come proclamazione dei diritti della nuova classe al potere, la borghesia.
In ogni caso, tutte le critiche rivolte alla Dichiarazione possono essere
facilmente contro-criticate, soprattutto partendo dalla constatazione che non
solo costituiva, in quel preciso momento storico, l’espressione delle istanze
della Nazione contro gli abusi del potere, ma anche nel periodo successivo
divenne la base della tutela giuridica dei diritti fondamentali. Come infatti
sostenne Kant, la Rivoluzione francese fu il segno premonitore di un nuovo
ordine del mondo, sostenuta dall’entusiasmo ideale del popolo teso a darsi una
costituzione civile, sulla base di un diritto all’autodeterminazione, della
partecipazione al bene con passione. Questo è appunto l’aspetto positivo
della Rivoluzione francese. Per Kant la Dichiarazione del 1789 fu il segno
premonitore della tendenza “morale” della storia verso il pacifismo; ed
infatti egli prevedeva, come ultima fase dello svolgimento storico del diritto,
la formazione dell’ordinamento giuridico universale (o diritto cosmopolitico,
che disciplina i rapporti tra ogni Stato e i cittadini di altri Stati) in cui
ogni essere umano è cittadino del mondo ed in cui “la violazione del diritto
in un punto della terra è avvertita in tutti i punti”. Il diritto
cosmopolitico è dunque il necessario coronamento della “pace perpetua”.
Effettivamente si può costatare come vi siano istanze internazionali per un
sempre maggiore riconoscimento e garanzia dei diritti umani e per
l’affermazione dell’individuo come soggetto giuridico anche nel Diritto
Internazionale; è lecito dunque chiedersi se ad alimentare questo processo ci
sia realmente la tendenza al pacifismo sottolineata da Kant.
4.
Il
processo di generalizzazione dei diritti umani.
I diritti fondamentali, così come si presentano
dopo la loro positivizzazione, seppure nella loro formulazione astratta
riguardavano tutti gli individui, nella prassi furono inizialmente di esclusivo
godimento della sola classe borghese; in altre parole nacquero al fine di
consentire alla borghesia il superamento degli ostacoli alla sua completa
affermazione politica, dopo quella economica avvenuta nel vecchio regime. Un
esempio classico è dato dal peso attribuito al diritto di proprietà e
dall’abolizione, successiva alla Dichiarazione del 1789, del diritto di
associazione operaia (vedi legge Le Chapellier del 1791 in Francia), ovvero dal
suffragio censitario, ecc.
Questa contraddizione tra i testi e la realtà fu
progressivamente superata grazie al processo di democratizzazione che si sviluppò
in Europa successivamente, al quale parteciparono tanto i “liberali” quanto
i “socialisti”, segnando il passaggio dallo Stato liberale a quello sociale
(conquista del diritto di associazione; suffragio universale).
Venne così meno il monopolio borghese del potere;
si affermò la partecipazione degli altri settori sociali portando al
riconoscimento dei diritti sociali, vale a dire le libertà positive.
Con la dizione di generalizzazione si intende
proprio questo passaggio del godimento dei diritti fondamentali (che intanto
avevano ampliato il loro contenuto considerevolmente) a tutti gli individui.
Questo processo fu contemporaneamente la causa e l’effetto dello sviluppo del
sistema parlamentare rappresentativo, che continua a non avere alternative, ed
ha favorito l’affermazione della fase dell’internazionalizzazione dei
diritti umani. Va anche detto che l’ampliamento del godimento dei diritti alla
generalità degli individui ha reso più difficile la loro tutela (e soprattutto
la ricerca di una comune base “universale”) causa il contrasto inevitabile
degli interessi tutelati, riflesso di istanze a loro volta confliggenti. Queste
istanze sono tra loro in conflitto in quanto scaturiscono da almeno tre matrici
culturali o grandi ideologie che hanno accompagnato il processo di
generalizzazione; esse sono il pensiero liberale, quello democratico e quello
socialista.
Il modello
liberale, cronologicamente anteriore, ha come momento iniziale proprio il
giusnaturalismo ed ha il merito di aver imposto l’individuo come soggetto
titolare dei diritti fondamentali in quanto tale; tradizionalmente le libertà
scaturite dalla matrice liberale sono dette negative, poiché configurano la
libertà come sfera individuale verso cui lo Stato si deve astenere da ingerenze
(libertà di coscienza, espressione, libertà economiche, ecc.).
Il pensiero democratico ha come suo oggetto
principale il “chi governa”, avendo come scopo non quello di limitare il
potere, ma anzi estenderlo a favore della partecipazione del popolo sovrano
(diritto di associazione, voto, partecipazione politica, ecc.).
Il modello socialista, storicamente il più
recente, ha come obiettivo la creazione delle condizioni necessarie a che tutti
possano godere dei diritti fondamentali, cercando quindi di estendere alla
generalità degli individui i benefici della Rivoluzione liberale per mezzo dei
c.d. diritti sociali (o stato sociale), tutti ispirati al principio della
eguaglianza sostanziale.
5.
I
diritti umani come positivi e universali: il processo di internazionalizzazione.
Nel periodo tra il 1815 e la prima Guerra Mondiale
sono presenti alcune “tracce” di quello che è definito il processo di
internazionalizzazione dei diritti umani (specie nella lotta contro la schiavitù).
Anche successivamente alla primo conflitto mondiale si può segnalare la
Convenzione sull’abolizione della schiavitù e sul commercio degli schiavi del
1926, in seno alla Società delle Nazioni. Ma è a partire dal secondo
dopoguerra che questo processo ha compiuto passi notevoli, raggiungendo un
livello di “laboriosità internazionale” senza precedenti; basti pensare ai
soli cinque anni successivi al 1945: su scala universale l’istituzione delle
Nazioni Unite. Sul piano regionale, per quanto ci riguarda, la Convenzione
Europea per la salvaguardia dei diritti umani.
Il processo di internazionalizzazione può essere
definito come il tentativo di superare la barriera della sovranità degli Stati
al fine di ottenerne la tutela contro l’arbitrio e gli abusi, vale a dire
l’insufficienza della protezione statale. Il problema principale consiste nel
ottenere un’effettiva tutela dei diritti umani, superando la mera
proclamazione degli innumerevoli testi in materia, cioè la costruzione di una
giurisdizione internazionale che si imponga agli Stati così come i tribunali
statali si impongono agli individui. Con questo non vogliamo certo negare quanto
il notevole impulso allo sviluppo e alla tutela dei diritti fondamentali abbia
oggettivamente portato dei benefici; la qualità della vita è progressivamente
e continuamente aumentata. Ma la moltiplicazione delle istanze, il contributo
delle più diverse culture, ha generato un insieme di posizioni giuridiche,
tutte meritevoli di tutela e rientranti nella categoria dei diritti umani, che
sono in conflitto tra loro. E questo, oltre al problema della protezione
internazionale dell’individuo, rappresenta il paradosso dei diritti
inalienabili dell’uomo, che più aumentano e più è difficile tutelarli,
evidenziando come siano un prodotto storico dell’evoluzione culturale di ogni
singolo paese.
Una delle
tante pretese giuridiche odierne, che va ad aggiungersi alla già vastissima
categoria dei diritti umani, è costituita dal diritto allo sviluppo. La
possibilità che tale diritto possa passare da una semplice pretesa morale allo
stadio di diritto positivo sembra remota nell’ambito del Diritto
Internazionale, soprattutto a causa della mancanza di un potere sovraordinato
agli Stati che renda effettivo tale diritto, così come vale per tutti gli
altri.
Il diritto allo sviluppo si basa sul principio
dell’uguaglianza e consiste nella traduzione per i popoli di quello che per
gli individui sono i diritti sociali, economici e culturali. Ma se in una
comunità di nazioni si producesse una stessa quantità di diritti uguali tra i
cittadini dei diversi Stati, le oggettive differenze economiche e sociali
sarebbero in realtà motivo di disuguaglianza (almeno sotto il profilo del peso
politico).
E’ questa la preoccupazione che muove l’autore
di “The Grapes of Wrath”, John Steinbeck: la preoccupazione per le
sorti dell’umanità nella società industriale, discriminante nei confronti
dei soggetti più deboli incapaci di difendersi con le proprie mani. Steinbeck
descrive una famiglia di contadini negli anni ’30 roosveltiani (gli anni delle
gravi imposizioni fiscali ai latifondisti), che dopo essere stata espropriata
della terra sulla quale lavorava, lascia l’arida regione dell’Oklaoma alla
ricerca della terra promessa, la California, dove l’attenderanno delusioni e
disperazione. E’ quindi una descrizione di ciò che stava accadendo per un
numero crescente di famiglie e disoccupati che attraversavano l’America da Est
ad Ovest nella speranza di trovare lavoro. Dal racconto emerge una forte critica
al sistema capitalistico, alla società industriale; l’attacco di Steinbeck va
verso le “trattrici”, la forza meccanica che coltiva la terra e che,
sostituendosi al lavoro umano, provoca lo sfratto dei coloni. Il boom
industriale applicato alla meccanica agricola provocava la crisi della
manodopera americana.
Nonostante il tono polemico, Steinbeck sembra voler
continuare a credere nella funzione suprema dell’essere umano: la possibilità
di creare qualcosa di utile per l’umanità stessa, perché egli è capace di
sovrastare le proprie conquiste e di sollevarsi al di sopra delle proprie
concezioni; “sconcertante sarebbe notare che l’umanità rinunci a soffrire
ed a morire per un’idea, perché questa è la qualità che distingue l’uomo
dalle altre creature dell’universo”. Le idee servono a colmare le lacune ad
una possibile difesa statale o internazionale, per ovviare alle esigenze
primarie dell’uomo come cibarsi, trovare lavoro per provvedere alla famiglia e
vivere in buona salute. Ma questi non sono altro che specificazione particolari
del diritto allo sviluppo: il diritto alla vita, alla casa, alla sanità, alla
sicurezza sociale, all’istruzione.
Il diritto allo sviluppo comprende quei diritti
dell’individuo che si traducono in una pretesa diretta ai pubblici poteri,
affinché soddisfino i bisogni fondamentali dell’uomo e Steinbeck era convinto
che tali tutele sarebbero state garantite ad un numero sempre maggiore di
persone.
6.
Conclusione:
i diritti dell’uomo oggi.
Nella nostra epoca coesistono visioni ottimistiche
e pessimistiche circa la futura evoluzione dei diritti dell’uomo e della loro
effettiva tutela.
Secondo Bobbio oggi si può scorgere un segno
premonitore della tendenza dell’umanità verso il meglio nella crescente
attenzione che in ogni parte del mondo è rivolta ai diritti umani. Ma non si
tratta di una previsione profetica, quanto di un presagio, di una scommessa, che
la storia conduca al regno dei diritti dell’uomo anziché al regno del Grande
Fratello.
Il problema del riconoscimento e della protezione
dei diritti dell’uomo è oggi così importante in quanto strettamente connesso
con i due problemi fondamentali del nostro tempo: la democrazia e la pace.
Diritti dell’uomo, democrazia e pace sono infatti tre momenti necessari dello
stesso movimento storico; senza diritti dell’uomo non c’è democrazia, senza
democrazia non ci sono le condizioni minime per la soluzione pacifica dei
conflitti che sorgono tra individui, tra gruppi, tra Stati; la pace, a sua
volta, è il presupposto necessario per l’effettiva protezione dei diritti
dell’uomo nei singoli Stati e nel sistema internazionale.
Oggi, quindi, l’ideale della “pace perpetua”
può essere perseguito solo attraverso una progressiva democratizzazione del
sistema internazionale e degli Stati, ma il presupposto necessario di questa
democratizzazione è appunto il riconoscimento e soprattutto l‘effettiva
protezione dei diritti dell’uomo al di sopra dei singoli Stati. Un indizio, un
segno dei tempi che può rafforzarci nell’idea che l’umanità si stia
muovendo, seppur lentamente, verso il meglio può essere osservato nella
convergenza verso il fine comune dell’universale protezione dei diritti
dell’uomo delle tre grandi correnti del pensiero politico moderno : il
liberalismo, il socialismo e il cristianesimo sociale.
“Eppure si potrà parlare a ragion veduta di
tutela dei diritti dell’uomo solo quando una giurisdizione internazionale
riuscirà ad imporsi e a sovrapporsi alle giurisdizioni nazionali, e si attuerà
il passaggio dalla garanzia dentro lo Stato alla garanzia contro lo Stato”.
Bibliografia.
1.
Bobbio
N., L’età dei diritti, Torino, 1992, pp. 17-44, 89-120, 121-141,
143-155, 255-270.
2.
Peces-Barba
G., Teoria dei diritti fondamentali, Giuffrè, Milano, 1993, pp. 95-126,
127-182
3.
Viola
F., Il nuovo ruolo dei diritti dell’uomo, in Viola
F., Diritti dell’uomo, Diritto
naturale, Etica contemporanea, Giappichelli, Torino, 1989, pp. 157-169
4.
Steinbeck
J., Furore, Bompiani, 1994, pp. 165-180.
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