Paolo Benedetti
Michela Biccheri
Gianluca Dominici
Federica Falcinelli
Angela Grisolia
Bruno Mariotti
Francesca Nardella
Emanuele Pierotti
Nicola Sgarro
Valentina Sgarro
Dario Stefanucci
Paola Tricoli

 

 

L’EVOLUZIONE STORICO-IDEOLOGICA 
DEI DIRITTI DELL’UOMO

 

 

 

1.      Premessa.

Descrivere l’evoluzione storica della dottrina dei diritti dell’uomo rappresenta un compito assai arduo. Non è difficile constatare come questo tema abbia occupato un posto di notevole rilievo in tutta la storia del pensiero, da Aristotele ai giorni nostri.

Il giurista Norberto Bobbio schematizza questo processo in tre periodi storici principali: l’epoca dei diritti umani naturali e universali (il pensiero giusnaturalista), quella dei diritti umani positivi e particolari (la Rivoluzione inglese, americana e francese) ed infine la fase dell’internazionalizzazione dei diritti umani (che restano positivi se si ammette che il Diritto Internazionale sia diritto, ma eluderemo questa pur importantissima questione).

La filosofia giusnaturalista si preoccupò di cercare un fondamento assoluto e universale dei diritti umani (trovandosi poi in difficoltà quando a questa categoria bisognava dare un contenuto) partendo dal presupposto che, una volta trovata una base solida, ne sarebbe scaturito immediatamente il rispetto effettivo di questi diritti.

Come sostiene Bobbio, il problema del fondamento è ormai superato. In primo luogo perché non può esistere come assoluto, ma solo come storico, relativo, culturale. In secondo luogo perché la base storica esiste: la Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo del 10 dicembre 1948, approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (che nelle sue parole è lontana dalla realtà, ma costituisce, visto il successivo “rafforzamento” del suo contenuto con i Patti del 1966, quel consensus humani generis caro ai giusnaturalisti).

 

 

2.      I diritti umani come diritti naturali e universali.

Non si può parlare propriamente dei diritti fondamentali fino all’epoca moderna. In precedenza esisteva solamente un’idea di dignità, di libertà e d’uguaglianza, che troviamo in autori classici come Platone, Aristotele, ecc. Perché, dunque, i diritti umani emergono solo nell’età moderna come dottrina di limitazione del potere politico (costituzionalismo)?

I motivi sono, ovviamente, plurimi e sono rintracciabili nelle “cesure” tra epoca classica e moderna, secondo la tradizionale distinzione storiografica:

A)      Il cambiamento nella situazione economica e sociale, con la lenta e costante affermazione del capitalismo e della classe borghese.

B)      Il mutamento della struttura del potere, con la grande rivoluzione della centralizzazione e razionalizzazione del potere che prende il nome di Stato moderno.

C)     Il cambiamento nella mentalità prodotto dall’Umanesimo e dalla Riforma, con la progressiva affermazione dell’individualismo, del razionalismo, del naturalismo e del processo di secolarizzazione.

D)     Il mutamento nelle scienze e il nuovo significato attribuito al diritto, con la rivoluzione scientifica.

In un contesto dove vi era il fallimento dell’autorità della Chiesa e delle spiegazioni dogmatiche del mondo (e quindi un vuoto nell’ordinamento sociale), il “soffocamento” della borghesia da parte dello Stato assoluto (il cui processo di formazione aveva però contri­buito alla sua ascesa) e il generale dissenso alle dottrine del monarca assoluto, si spiega il consenso prestato alla dottrina dei diritti umani come filosofia della regolamentazione e della limitazione del potere assoluto (il costituzionalismo) che, infatti, ha le sue radici in Inghilterra ed in Olanda, vale a dire quei paesi dove non si era mai completamente affermato il potere legibus solutus e, quindi, era più facile ostacolarne il compimento.

 

 

3.      I diritti umani come positivi e particolari.

Tra ‘600 e ‘700 la dottrina dei diritti umani acquistò in concretezza, ma perse in universalità. In altre parole, rispetto al precedente periodo storico, sono ravvisabili tre principali punti di rottura dell’astrattezza dei diritti dell’uomo: la Rivoluzione inglese, americana e francese.

Nella Rivoluzione inglese la preoccupazione principale fu quella di limitare le prerogative regie a favore del Parlamento. In realtà, sotto il profilo che a noi interessa, non fu una vera cesura col passato, anzi, i diritti proclamati dagli inglesi, nella Petition of Rights (1628) prima e nel Bill of Rights (1689) poi, prendevano le mosse dalla tradizione, vale a dire la Magna Charta del XIII° secolo.

Anche la Rivoluzione americana, pur con le sue peculiarità, costituisce un momento di continuità rispetto al passato: non solo perché in alcune colonie era già stata abolita la società per ceti ed erano stati positivizzati alcuni diritti fondamentali, ma anche perché gli americani fondarono i loro diritti sempre sulle libertà proclamate dalla Magna Charta.

La vera rottura col passato fu realizzata dalla Rivoluzione francese: la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789 costituì una frantumazione totale dell’ordine sociale e politico precedente, il vero spartiacque sociale e giuridico tra l’età moderna e quella contemporanea.

Il punto in comune di queste rivoluzioni fu appunto quello della positivizzazione dei diritti fondamentali, attuando così il passaggio dai diritti dell’uomo in quanto tale ai diritti del cittadino di uno Stato. Le libertà civili acquistarono, come affermavamo sopra, in concretezza e in effettività, ma persero il loro valore universale.

Il pensiero storico e politico si è consumato a lungo sul rapporto tra le due rivoluzioni (assimilando quella inglese e quella americana ad un unico modello) e su quale sia stata eticamente superiore. Ad esempio per Thomas Paine esse avevano in comune i principi ispiratori, il fondamento sul contratto sociale, ecc. Ma, come sostiene Bobbio, a ben guardare i due modelli sono assai differenti, avendo in comune solamente la centralità dell’individuo.

Non vi è alcun dubbio che per l’Europa continentale la Dichiarazione francese del 1789 fu più importante, essendo stata il riferimento costante per tutti coloro che combatterono per la propria libertà. Il nucleo della Dichiarazione è costituito dal legame indissolubile tra individuo, diritti fondamentali e sovranità popolare, che renderà inscindibile il concetto di democrazia dai diritti dell’uomo. Non esiste democrazia che non presupponga il concetto d’individuo come soggetto giuridico e, per converso, tutte le dottrine reazionarie passarono per l’avversione all’individualismo.

Il testo della Dichiarazione del 1789 fu sottoposto a molte critiche; ad esempio Burke, da sempre avverso alla Rivoluzione francese, la definì come troppo astratta, generale, addirittura semplicistica; al contrario Marx ne sentenziò l’eccessiva concretezza e parzialità, vale a dire come proclamazione dei diritti della nuova classe al potere, la borghesia. In ogni caso, tutte le critiche rivolte alla Dichiarazione possono essere facilmente contro-criticate, soprattutto partendo dalla constatazione che non solo costituiva, in quel preciso momento storico, l’espressione delle istanze della Nazione contro gli abusi del potere, ma anche nel periodo successivo divenne la base della tutela giuridica dei diritti fondamentali. Come infatti sostenne Kant, la Rivoluzione francese fu il segno premonitore di un nuovo ordine del mondo, sostenuta dall’entusiasmo ideale del popolo teso a darsi una costituzione civile, sulla base di un diritto all’autodeterminazione, della partecipazione al bene con passione. Questo è appunto l’aspetto positivo della Rivoluzione francese. Per Kant la Dichiarazione del 1789 fu il segno premonitore della tendenza “morale” della storia verso il pacifismo; ed infatti egli prevedeva, come ultima fase dello svolgimento storico del diritto, la formazione dell’ordinamento giuridico universale (o diritto cosmopolitico, che disciplina i rapporti tra ogni Stato e i cittadini di altri Stati) in cui ogni essere umano è cittadino del mondo ed in cui “la violazione del diritto in un punto della terra è avvertita in tutti i punti”. Il diritto cosmopolitico è dunque il necessario coronamento della “pace perpetua”. Effettivamente si può costatare come vi siano istanze internazionali per un sempre maggiore riconoscimento e garanzia dei diritti umani e per l’affermazione dell’individuo come soggetto giuridico anche nel Diritto Internazionale; è lecito dunque chiedersi se ad alimentare questo processo ci sia realmente la tendenza al pacifismo sottolineata da Kant.

 

 

4.      Il processo di generalizzazione dei diritti umani.

I diritti fondamentali, così come si presentano dopo la loro positivizzazione, seppure nella loro formulazione astratta riguardavano tutti gli individui, nella prassi furono inizialmente di esclusivo godimento della sola classe borghese; in altre parole nacquero al fine di consentire alla borghesia il superamento degli ostacoli alla sua completa affermazione politica, dopo quella economica avvenuta nel vecchio regime. Un esempio classico è dato dal peso attribuito al diritto di proprietà e dall’abolizione, successiva alla Dichiarazione del 1789, del diritto di associazione operaia (vedi legge Le Chapellier del 1791 in Francia), ovvero dal suffragio censitario, ecc.

Questa contraddizione tra i testi e la realtà fu progressivamente superata grazie al processo di democratizzazione che si sviluppò in Europa successivamente, al quale parteciparono tanto i “liberali” quanto i “socialisti”, segnando il passaggio dallo Stato liberale a quello sociale (conquista del diritto di associazione; suffragio universale).

Venne così meno il monopolio borghese del potere; si affermò la partecipazione degli altri settori sociali portando al riconoscimento dei diritti sociali, vale a dire le libertà positive.

Con la dizione di generalizzazione si intende proprio questo passaggio del godimento dei diritti fondamentali (che intanto avevano ampliato il loro contenuto considerevolmente) a tutti gli individui. Questo processo fu contemporaneamente la causa e l’effetto dello sviluppo del sistema parlamentare rappresentativo, che continua a non avere alternative, ed ha favorito l’affermazione della fase dell’internazionalizzazione dei diritti umani. Va anche detto che l’ampliamento del godimento dei diritti alla generalità degli individui ha reso più difficile la loro tutela (e soprattutto la ricerca di una comune base “universale”) causa il contrasto inevitabile degli interessi tutelati, riflesso di istanze a loro volta confliggenti. Queste istanze sono tra loro in conflitto in quanto scaturiscono da almeno tre matrici culturali o grandi ideologie che hanno accompagnato il processo di generalizzazione; esse sono il pensiero liberale, quello democratico e quello socialista.

Il modello liberale, cronologicamente anteriore, ha come momento iniziale proprio il giusnaturalismo ed ha il merito di aver imposto l’individuo come soggetto titolare dei diritti fondamentali in quanto tale; tradizionalmente le libertà scaturite dalla matrice liberale sono dette negative, poiché configurano la libertà come sfera individuale verso cui lo Stato si deve astenere da ingerenze (libertà di coscienza, espressione, libertà economiche, ecc.).

Il pensiero democratico ha come suo oggetto principale il “chi governa”, avendo come scopo non quello di limitare il potere, ma anzi estenderlo a favore della partecipazione del popolo sovrano (diritto di associazione, voto, partecipazione politica, ecc.).

Il modello socialista, storicamente il più recente, ha come obiettivo la creazione delle condizioni necessarie a che tutti possano godere dei diritti fondamentali, cercando quindi di estendere alla generalità degli individui i benefici della Rivoluzione liberale per mezzo dei c.d. diritti sociali (o stato sociale), tutti ispirati al principio della eguaglianza sostanziale.

 

 

5.      I diritti umani come positivi e universali: il processo di internazionalizzazione.

 Nel periodo tra il 1815 e la prima Guerra Mondiale sono presenti alcune “tracce” di quello che è definito il processo di internazionalizzazione dei diritti umani (specie nella lotta contro la schiavitù). Anche successivamente alla primo conflitto mondiale si può segnalare la Convenzione sull’abolizione della schiavitù e sul commercio degli schiavi del 1926, in seno alla Società delle Nazioni. Ma è a partire dal secondo dopoguerra che questo processo ha compiuto passi notevoli, raggiungendo un livello di “laboriosità internazionale” senza precedenti; basti pensare ai soli cinque anni successivi al 1945: su scala universale l’istituzione delle Nazioni Unite. Sul piano regionale, per quanto ci riguarda, la Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti umani.

Il processo di internazionalizzazione può essere definito come il tentativo di superare la barriera della sovranità degli Stati al fine di ottenerne la tutela contro l’arbitrio e gli abusi, vale a dire l’insufficienza della protezione statale. Il problema principale consiste nel ottenere un’effettiva tutela dei diritti umani, superando la mera proclamazione degli innumerevoli testi in materia, cioè la costruzione di una giurisdizione internazionale che si imponga agli Stati così come i tribunali statali si impongono agli individui. Con questo non vogliamo certo negare quanto il notevole impulso allo sviluppo e alla tutela dei diritti fondamentali abbia oggettivamente portato dei benefici; la qualità della vita è progressivamente e continuamente aumentata. Ma la moltiplicazione delle istanze, il contributo delle più diverse culture, ha generato un insieme di posizioni giuridiche, tutte meritevoli di tutela e rientranti nella categoria dei diritti umani, che sono in conflitto tra loro. E questo, oltre al problema della protezione internazionale dell’individuo, rappresenta il paradosso dei diritti inalienabili dell’uomo, che più aumentano e più è difficile tutelarli, evidenziando come siano un prodotto storico dell’evoluzione culturale di ogni singolo paese.

Una delle tante pretese giuridiche odierne, che va ad aggiungersi alla già vastissima categoria dei diritti umani, è costituita dal diritto allo sviluppo. La possibilità che tale diritto possa passare da una semplice pretesa morale allo stadio di diritto positivo sembra remota nell’ambito del Diritto Internazionale, soprattutto a causa della mancanza di un potere sovraordinato agli Stati che renda effettivo tale diritto, così come vale per tutti gli altri.

Il diritto allo sviluppo si basa sul principio dell’uguaglianza e consiste nella traduzione per i popoli di quello che per gli individui sono i diritti sociali, economici e culturali. Ma se in una comunità di nazioni si producesse una stessa quantità di diritti uguali tra i cittadini dei diversi Stati, le oggettive differenze economiche e sociali sarebbero in realtà motivo di disuguaglianza (almeno sotto il profilo del peso politico).

E’ questa la preoccupazione che muove l’autore di “The Grapes of Wrath”, John Steinbeck: la preoccupazione per le sorti dell’umanità nella società industriale, discriminante nei confronti dei soggetti più deboli incapaci di difendersi con le proprie mani. Steinbeck descrive una famiglia di contadini negli anni ’30 roosveltiani (gli anni delle gravi imposizioni fiscali ai latifondisti), che dopo essere stata espropriata della terra sulla quale lavorava, lascia l’arida regione dell’Oklaoma alla ricerca della terra promessa, la California, dove l’attenderanno delusioni e disperazione. E’ quindi una descrizione di ciò che stava accadendo per un numero crescente di famiglie e disoccupati che attraversavano l’America da Est ad Ovest nella speranza di trovare lavoro. Dal racconto emerge una forte critica al sistema capitalistico, alla società industriale; l’attacco di Steinbeck va verso le “trattrici”, la forza meccanica che coltiva la terra e che, sostituendosi al lavoro umano, provoca lo sfratto dei coloni. Il boom industriale applicato alla meccanica agricola provocava la crisi della manodopera americana.

Nonostante il tono polemico, Steinbeck sembra voler continuare a credere nella funzione suprema dell’essere umano: la possibilità di creare qualcosa di utile per l’umanità stessa, perché egli è capace di sovrastare le proprie conquiste e di sollevarsi al di sopra delle proprie concezioni; “sconcertante sarebbe notare che l’umanità rinunci a soffrire ed a morire per un’idea, perché questa è la qualità che distingue l’uomo dalle altre creature dell’universo”. Le idee servono a colmare le lacune ad una possibile difesa statale o internazionale, per ovviare alle esigenze primarie dell’uomo come cibarsi, trovare lavoro per provvedere alla famiglia e vivere in buona salute. Ma questi non sono altro che specificazione particolari del diritto allo sviluppo: il diritto alla vita, alla casa, alla sanità, alla sicurezza sociale, all’istruzione.

Il diritto allo sviluppo comprende quei diritti dell’individuo che si traducono in una pretesa diretta ai pubblici poteri, affinché soddisfino i bisogni fondamentali dell’uomo e Steinbeck era convinto che tali tutele sarebbero state garantite ad un numero sempre maggiore di persone.

 

 

6.      Conclusione: i diritti dell’uomo oggi.

Nella nostra epoca coesistono visioni ottimistiche e pessimistiche circa la futura evoluzione dei diritti dell’uomo e della loro effettiva tutela.

Secondo Bobbio oggi si può scorgere un segno premonitore della tendenza dell’umanità verso il meglio nella crescente attenzione che in ogni parte del mondo è rivolta ai diritti umani. Ma non si tratta di una previsione profetica, quanto di un presagio, di una scommessa, che la storia conduca al regno dei diritti dell’uomo anziché al regno del Grande Fratello.

Il problema del riconoscimento e della protezione dei diritti dell’uomo è oggi così importante in quanto strettamente connesso con i due problemi fondamentali del nostro tempo: la democrazia e la pace. Diritti dell’uomo, democrazia e pace sono infatti tre momenti necessari dello stesso movimento storico; senza diritti dell’uomo non c’è democrazia, senza democrazia non ci sono le condizioni minime per la soluzione pacifica dei conflitti che sorgono tra individui, tra gruppi, tra Stati; la pace, a sua volta, è il presupposto necessario per l’effettiva protezione dei diritti dell’uomo nei singoli Stati e nel sistema internazionale.

Oggi, quindi, l’ideale della “pace perpetua” può essere perseguito solo attraverso una progressiva democratizzazione del sistema internazionale e degli Stati, ma il presupposto necessario di questa democratizzazione è appunto il riconoscimento e soprattutto l‘effettiva protezione dei diritti dell’uomo al di sopra dei singoli Stati. Un indizio, un segno dei tempi che può rafforzarci nell’idea che l’umanità si stia muovendo, seppur lentamente, verso il meglio può essere osservato nella convergenza verso il fine comune dell’universale protezione dei diritti dell’uomo delle tre grandi correnti del pensiero politico moderno : il liberalismo, il socialismo e il cristianesimo sociale.

 

“Eppure si potrà parlare a ragion veduta di tutela dei diritti dell’uomo solo quando una giurisdizione internazionale riuscirà ad imporsi e a sovrapporsi alle giurisdizioni nazionali, e si attuerà il passaggio dalla garanzia dentro lo Stato alla garanzia contro lo Stato”.

 

 

 

Bibliografia.

1.   Bobbio N., L’età dei diritti, Torino, 1992, pp. 17-44, 89-120, 121-141, 143-155, 255-270.

2.   Peces-Barba G., Teoria dei diritti fondamentali, Giuffrè, Milano, 1993, pp. 95-126, 127-182

3.    Viola F., Il nuovo ruolo dei diritti dell’uomo, in Viola F., Diritti dell’uomo, Diritto naturale, Etica contemporanea, Giappichelli, Torino, 1989, pp. 157-169

4.    Steinbeck J., Furore, Bompiani, 1994, pp. 165-180.

 

 

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